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Autore: Colpa delle stelle    23/01/2014    4 recensioni
- In revisione... -
Anno 2200, Inghilterra
Anche i tempi d'oro in seguito alla sconfitta di Voldemort terminarono e una nuova epoca di problemi e battaglie si fece strada nel Mondo Magico.
Gli eroi del passato persero la loro importanza, gli antichi ideali furono distrutti da una nuova grave minaccia, che si fece strada tra le debolezze dei Maghi.
Fu allora, quando le persone erano deboli e non potevano combattere, che un giovane uomo, a dispetto della sua natura non magica, ideò un colpo di stato e piegò con il suo potere dittatoriale l'intera nazione, dividendola poi in 14 parti, per meglio governarla: la capitale, Diagon City, e altri 13 Distretti, che la circondavano e la mantenevano in vita.
Anche questo tempo di pace però non durò e una nuova guerra sconvolse la nazione, che vide la vittoria del nuovo presidente Snow e del suo governo.
Il Distretto 13 venne raso al suolo dalla capitale e una condizione fu imposta a tutti i cittadini degli altri Distretti.
Un nuovo gioco, una nuova distrazione, terribile ma efficace: gli Hunger Games.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Favoriti, Nuovi Tributi, Nuovo personaggio, Presidente Snow, Sorpresa
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The power of the elements'
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Distretto 4




 

  "Il mare è un nemico che gli uomini
si sforzano di amare"

 

 

Quando Lucinda aprì un occhio, il sole non era nemmeno sorto e una delicata sfumatura rosa colorava il cielo. Doveva essere quasi l'alba. Sentì una mano che le toccò la spalla, costringendola a girarsi nelle coperte, ancora mezza intontita. Margot, sua sorella, doveva averla vista muoversi. Aveva i capelli scompigliati e delle orribili occhiaie nere rendevano ancora più evidente l'ansia sul suo viso stremato. Probabilmente non aveva dormito per tutta la notte, troppo preoccupata a pensare a cosa l'aspettava quel giorno. Il giorno della Mietitura.
- Cosa vuoi? Cerca qualcun altro con cui disperarti per la tua sorte ingiusta e cattiva, io non ho tempo da perdere. - sibilò Lucinda, alzandosi dal letto e ignorandola volutamente. 
I suoi occhi la seguirono tristi, finché non trovò il coraggio di parlare. - Non avevo intenzione di lamentarmi con te. -
La sua voce flebile costrinse Lucinda a voltarsi. Era la prima volta che la sentiva rispondere a tono a qualcuno più grande di lei. Con i suoi compagni di scuola era abbastanza battagliera e raramente si faceva zittire da qualcuno, ma in famiglia e con gli adulti diventava un'altra persona, più riservata e schiva, e perdeva la sua parlantina. Evidentemente era davvero convinta di morire entro due settimane e l'occasione di poterle tener testa almeno una volta nella vita doveva essere troppo ghiotta per pensare di non coglierla.
Lucinda le sorrise beffarda e si appoggiò al muro con le braccia incrociate.
- Stai tranquilla, se uscirà il tuo nome non sarai tu ad andare a Diagon City. -
Gli occhi di Margot si staccarono dal pavimento e si fissarono in quelli della sorella.
- Qualunque nome verrà estratto, sarò io a giocare quest'anno. -
Senza aggiungere altro, Lucinda uscì dalla stanza, ridendo tra sé e sé del sospiro di sollievo scappato dalla bocca di Margot. Era una delle prime volte che le diceva la verità. Nessuno poteva rubarle la scena quel giorno, soprattutto non la sorella. Si sarebbe sicuramente messa a piangere, attirando il disonore sulla loro famiglia e su di lei, e Lucinda non poteva permetterglielo.
Ingoiò senza nemmeno masticare un po' di pane e marmellata, sorseggiando del latte direttamente dal pentolino. Il silenzio della casa era assoluto, segno che tutti stavano ancora dormendo. Anche Margot era tornata a letto e fino alle due del pomeriggio avrebbe avuto tutto il tempo necessario per capire se fidarsi o meno delle parole di Lucinda.
La ragazza indossò la tuta dell'addestramento e uscì subito, diretta verso la palestra. Frequentava quell'edificio ogni giorno, senza eccezioni, ed era arrivata a considerarlo una sorta di seconda casa, molto meno accogliente della prima e traboccante di armi, ma comunque familiare.
Tuttavia, per quanto si fosse allenata tutta la vita, Lucinda non si sentiva del tutto pronta. Era solo la sua costante ricerca della perfezione ad avere la meglio o una reale mancanza di abilità? Lucinda propendeva per la prima, sarebbe stata comunque troppo orgogliosa da ammettere la seconda in caso di verità.
Camminò velocemente nelle vie del Distretto addormentato, accompagnata solamente dagli sguardi freddi dei Pacificatori. Tutti la conoscevano lì, era la figlia del direttore della palestra.
All'ultimo momento però, Lucinda decise di cambiare la sua meta e anziché svoltare a destra, girò a sinistra verso la fila di alberi che divideva le abitazioni dal confine. C'era un appuntamento che l'attendeva e l'importanza di quell'incontro superava di gran lunga tutti gli altri impegni della giornata.
Arrivata alla periferia del Distretto, scostò un ramo di pino e superò parecchi cespugli, prima di sbucare davanti al cimitero. Quel posto non aveva più segreti per lei, da piccola lo frequentava tutti i giorni. Faceva visita al nonno e lo teneva aggiornato sui progressi che faceva, come se lui potesse davvero risponderle o anche solo sentirla. La sua tomba e quella di sua moglie erano in un angolo remoto, all'ombra di un faggio e ricoperte da un sottile strato di edera.
Di rado l'accompagnava anche il padre, ma quando era in sua compagnia non parlava. Si limitava a guardarlo sostituire i fiori appassiti con dei fiori freschi. Il compito di riportare l'acqua del vaso pulita spettava a lei.
Alzò rapida la mano verso i fiori appassiti sulla sua lapide e quelli subito tornarono a vivere, grazie all'acqua che bagnò le loro radici. Quella era la prova inconfutabile: mancava da troppo tempo, dal momento esatto in cui i suoi genitori si erano decisi a svelarle il vero motivo della morte di suo nonno. La sua famiglia era stupida se aveva pensato davvero di poterle nascondere un segreto, Lucinda era già arrivata a sospettare qualcosa prima che svuotassero il sacco di loro spontanea volontà, facilitandole il lavoro. Venne così a conoscenza della reale fine che il destino riservò a suo nonno. Nessuna malattia e nessuna giustificazione ricercabile nella vecchiaia: suo nonno era morto annegato.
Se qualcuno ti teneva di forza sott'acqua, impedendoti di respirare, le tue abilità di nuotatore perdevano importanza. E lui non aveva nessun potere, non aveva nessun legame con l'acqua. Fu solo la causa della sua morte.
Presa da un impeto di furia, Lucinda mosse un braccio verso l'albero più vicino e un enorme getto d'acqua gli strappò gran parte dei rami, lasciandolo mezzo spoglio. Dentro di lei si muoveva l'assassina di suo nonno e non era ancora riuscita ad accettarlo pienamente. Era grata della magia che le scorreva nelle vene, di come le facilitasse la vita e le aprisse innumerevoli porte per il futuro, ma non poteva semplicemente non pensarci.
Prese un respiro profondo, calmando i battiti del suo cuore, e tornò a fissare la foto sulla tomba. Capelli chiari e occhi verdi, animati dalla stessa sfumatura di determinazione che popolavano quelli di Lucinda davanti a una sfida. Suo nonno era un bell'uomo e se non fosse stato un ribelle sarebbe ancora al suo fianco, pronto a portarla fuori in barca o a leggerle una storia a voce alta. Non gli importava quante volte Lucinda glielo facesse notare, per lui rimaneva sempre la sua bambina.
Lucinda era fiera e sollevata di aver preso tutto da lui e niente da suo padre. La passione per le armi, la voglia di non arrendersi mai, la familiarità con l'acqua. Erano tutti aspetti che la legavano a suo nonno in maniera indissolubile e che, allo stesso tempo, l'allontanavano dalla sua famiglia. Se solo non ci fosse stato suo padre però a intercedere per lei e a farle continuare la scuola e gli allenamenti, Lucinda si sarebbe ritrovata con gli altri abitanti del Distretto 4 a raccogliere conchiglie e perle dal fondale marino, esattamente come facevano tutti gli altri ragazzi privi di potere che non facevano degli Hunger Games una prospettiva per il loro futuro. Ma gli obiettivi di Lucinda erano ben più importanti di quelli riservati agli altri ragazzi e anche se per quanto riguardava il suo impiego da adulta le lasciavano abbastanza campo libero, aveva un solo interesse nella vita, per il quale era nata e si era allenata così a lungo: vincere gli Hunger Games. Non c'era niente di più importante.
Senza accorgersene era scivolata in ginocchio, con una mano ad accarezzare per l'ultima volta la foto del nonno. Se fosse riuscita nella sua vendetta, tornare davanti a quella tomba non avrebbe più avuto senso.
Lucinda si sollevò di scatto, recuperò lo zaino che aveva abbandonato in terra e tornò sui suoi passi, senza più voltarsi indietro.

 

Non appena superò la soglia dell'Accademia, la voce di Atos l'aggredì, strappandole un gemito di fastidio.
- Lucinda Lockwood, in ritardo di tre minuti. Credi che io sia qui esclusivamente per te? - ruggì lui, la faccia rossa e le mani strette lungo i fianchi.
Quando si arrabbiava, l'omone che il padre di Lucinda aveva scelto come suo allenatore personale perdeva credibilità.  Sapeva benissimo che il semplice schioccare delle sue dita avrebbe potuto significare per lui morte certa, ma lo ignorava. L'aveva già steso una volta in passato e la punizione che subì le fece perdere la voglia di riprovarci di nuovo, ma il divertimento della minaccia non avrebbe potuto rubarglielo nessuno.
Lucinda continuò tranquillamente a camminare, finché non si fermò davanti alla postazione delle armi. Afferrò la prima ascia della fila e se l'appoggiò con noncuranza sulle spalle.
- Non credo, ne sono sicura. - disse tranquillamente, passando un dito sulla lama affilata. 
Atos la fissò in cagnesco, ma poi si limitò ad afferrare un bastone di ferro. Da quando Lucinda aveva spaccato in due quello di legno, mancandogli per un soffio il viso, aveva adottato dei nuovi metodi di allenamento.
- Saper parlare non è tutto nella vita. -
Non fece in tempo a mettersi in posizione di difesa, che il bastone le aveva raggiunto il polpaccio. Un dolore acuto le attraversò tutta la gamba e fu solo grazie ai suoi riflessi che Lucinda non perse la presa sull'ascia. Sperò per lui che fosse solo un'innocua botta.
- Domani sarò a Diagon City, pronta per gli Hunger Games - soffiò tra i denti, schivando un colpo al braccio e poi uno alla testa. - E non voglio regali indesiderati da parte tua. -
- Troverai i miei colpi una piuma in confronto a ciò che ti attende nell'arena. -
Aveva ragione, ma era un caso che l'avesse colpita, perché non si sarebbe più fatta trovare impreparata.
Sollevò l'ascia, bloccando un suo attacco, poi si girò verso destra, fintò e indirizzò la lama a sinistra, verso l'estremità del bastone. Atos aveva capito tutto e gli bastò un passo indietro per evitare di rimanere colpito. Tradendo uno sbuffo di rabbia, Lucinda indietreggiò e si mise a distanza di sicurezza Il sorriso che campeggiava sul viso del suo allenatore tuttavia la fece infuriare e sollevando con un braccio solo l'ascia, indirizzò l'altra mano al terreno, che si fece subito bagnato e scivoloso. Passarono pochi secondi e un'onda gigantesca era spuntata dal nulla. Nel mezzo, Lucinda la cavalcava. Girò intorno ad Atos, che non sembrava più molto sicuro, e poi ritornò all'altezza della sua faccia, mantenendosi comunque a distanza.
- Sai Atos, dovresti imparare a non sottovalutarmi. - ghignò Lucinda, pronta a colpirlo.
Se lui poteva lasciarle tutti i lividi che voleva, di certo non poteva lamentarsi del piccolo colpo che avrebbe ricevuto nei secondi successivi. Lucinda era pronta a lanciare l'incantesimo, quando la punta fredda di una spada sul suo collo la fece sobbalzare. Perse la concentrazione e il controllo sull'onda, che girò su sé stessa e la fece precipitare di schiena sul pavimento. Aveva mollato l'ascia e riuscì a mitigare il danno della caduta con la forza delle mani.
- E tu dovresti imparare a non dare le spalle al nemico. -
Dopo essersi spostata un ciuffo di capelli dal viso, Lucinda si voltò e incontrò il viso di Joey, l'altro tributo che si sarebbe offerto volontario con lei quell'anno alla Mietitura. In famiglia le avevano consigliato di farselo amico, in quanto il suo aiuto, unito a quello degli altri Favoriti, l'avrebbe sicuramente fatta uscire dall'arena con facilità, ma Lucinda mal lo sopportava. Rappresentava il canone di ragazzo tutto muscoli e niente cervello che non le suscitava alcuna attrattiva. Le veniva solo voglia di buttarlo a terra e riempirlo di pugni. Era troppo egocentrico, anche per gli standard della ragazza, e non aveva nessun potere che lo aiutasse ad assumere importanza agli occhi di Lucinda.
Alzò il viso e lo guardò con sfida. Prima che se ne potesse accorgere, era lungo disteso a terra, bagnato dalla testa ai piedi.
- Guarda le tue spalle prima di osare interrompere una mia sessione di allenamento. - replicò Lucinda, alzandosi in piedi e tendendogli la mano. Per quanto avesse affermato che non avrebbe fatto squadra con lui nei giochi, prenderlo in giro le sembrava un passatempo abbastanza divertente, che l'avrebbe tenuta impegnata nei giorni precedenti agli Hunger Games. Era curiosa di vedere se sarebbe riuscito a tenerle testa.
Joey sembrò accettare di buon grado l'offerta di aiuto, afferrando la mano di Lucinda e sfruttando anche la sua forza per sollevarsi. Poi le sorrise.
- Impossibile guardarsi le spalle. Non sono un gufo! -
Senza trattenersi, Lucinda sentì le labbra che le si piegarono involontariamente in una smorfia di irritazione. Probabilmente la sua stupidità era in grado di uccidere più persone di quante ne uccidesse lui stesso con la spada. Lucinda scosse affranta la testa, ma non si trattenne oltre. Lo abbandonò senza salutarlo e raggiunse la postazione del tiro con l'arco che, per quanto detestasse, era senz'altro meglio del restare in compagnia di Joey. E poi Atos sembrava avesse bisogno di parlarci.
Accordò un arco in poche mosse e subitò lo incoccò, indirizzandolo verso il manichino più vicino. Scoccò e la freccia vorticò in aria, per andare a infilarsi solo nell'estremo anello del cerchio. Abbassò l'arco con stizza e fissò il bersaglio, come se avesse potuto incenerirlo con una sola occhiata. Sfruttare il suo potere le riusciva fin troppo facile, ci condivideva da una vita, ma affinare la sua mira era tutta un'altra storia.
Prese un'altra freccia e scacciò il moto di irritazione che l'aveva invasa. Se voleva vincere non doveva essere brava. Doveva essere perfetta.

 




Angolo d'autrice:

Okay, vi confesso che non resistevo più a pubblicare. Non sono mai stata capace di tener fede alle programmazioni, di qualsiasi genere, e molte volte consegno dei lavori in anticipo. Mi sembrava inutile e tremedendamente masochista quindi farvi aspettare e ho anche deciso di levare la promessa di pubblicare la domenica che vi avevo fatto nel precedente capitolo. Pubblicherò seguendo la giornata, magari in base a come mi sveglio, quando ho voglia e tempo di farlo... Andrò un po' a naso ecco, ma vi assicuro che più di settimana non rimarrete senza avere notizie di me.
Odio i ritardatari e odio anche di più quando sono io a fare qualcosa di importante in ritardo, perché a questa storia ci tengo davvero molto, così come tengo alla vostra opininione.
Quindi, se avete un po' di tempo libero dedicatelo a me e lasciatemi una piccola recensione. Apprezzo i consigli e anche le critiche!
A presto,
Colpa delle stelle

   
 
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