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Autore: Kuri    07/06/2008    1 recensioni
"E per l’ennesima volta è ancora estate. Gli yukata leggeri vengono tirati fuori dalle loro buste di plastica, il condizionatore riprende a riempire tutta la casa del suo quieto ronzio. E come ogni estate si rinnova questo rito, da anni e anni e anni, questo aggrapparsi ostinatamente alla memoria per non andare alla deriva."
Satsuki è cresciuta. Ha diciassette anni e vorrebbe solo essere felice, vorrebbe solo potergli dire che lo ama. Ma ci sono troppe cose che non conosce del passato delle persone che la circondano.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Arrivati a questo punto posso solo dire una cosa: SCUSATEMI!
Mi dispiace se c'era qualcuno che ci teneva a questa storia, visto come l'ho maltrattata, trascurandola senza alcun pudore. In parte posso solo giustificarmi dicendo che la mia vita ha affrontato alcuni assestamenti piuttosto "forti" ma tutti in senso molto positivo, perciò don't worry! *___* Ho cambiato due lavori (e finalmente ne ho trovato uno che mi piace moltissimo) e ho superato (dopo essere stata miserevolmente segata) il mio ultimo esame universitario. Adesso rimane solo la laurea, ma questo non mi impedirà di scrivere.
Vi ringrazio se finirete di leggere questa storia, soprattutto le lettrici più affezzionate: ValHerm, majinannetta, etoil noir, LiveintheDark, SakiJune e NanaOsaki... siete state tutte gentilissime e pucciosissime, molto ma molto nanose! *_____* Ma i due grazie più grandi sono per Keiko e Mommika, che mi hanno tirato le orecchie fino a convincermi a terminare la storia. Grazie mille cucciole! ^^
So che vi deluderò con questi ultimi due capitoli, sono consapevole del fatto che c'è stato un calo di stile, ma spero vogliate perdonarmi. ENJOY!!!



Pioggia


Quando esco dalla metropolitana, le nubi ricoprono ormai tutto il cielo e l'aria soffia fredda, anticipo dell'autunno che sta arrivando.
Non so quanto ho singhiozzato, nascosta dallo schermo nero dei capelli, seduta sul seggiolino del treno che mi ha portato fin qui, sotto l'appartamento di papà.
Non riesco a capire nulla di quello che Naoki mi ha detto, è come se mi trovassi sott'acqua, avvolta da un velo finissimo che non c'è modo di lacerare.
Vorrei solo che qualcuno mi dicesse cosa sta accadendo. E cosa dovrei fare.
I miei piedi, chiusi nelle scarpe nere della divisa scolastica, mangiano l'asfalto del marciapiede e il palazzo dal colore giallo vivo è sempre più vicino.
Ed è lì che lo vedo. In piedi vicino al portone, con le braccia abbandonate lungo i fianchi e il viso rivolto verso l'alto.
Il profilo immobile di Shin fa rallentare la mia corsa finché non mi fermo a qualche passo da lui.
«Shin...» sento le mie labbra tendersi in un sorriso folle.
Folle perché non posso credere, dopo le parole di Naoki, di poterlo vedere ancora e che anche lui possa guardarmi e sorridere piegando appena la testa di lato.
Eppure è strana la luce che brilla nel suo sguardo, come se qualcuno avesse riacceso una fiammella che da tanto tempo covava sopita.
E ho paura, così tanta paura che mi sembra di provarla solo ora per la prima volta.
«Shin...» dico ancora, allungando una mano verso di lui.
Lui scuote piano la testa, come se questo potesse bastare a tenermi lontana.
«Mi dispiace, Satsuki. Non avrei mai voluto che tu provassi questa cosa.» mi dice togliendo la mano dalla tasca dei pantaloni e allungandola verso di me per tergermi una lacrima.
«Perché non sono abbastanza?» chiedo con gli occhi spalancati.
Attraverso la stoffa della divisa scolastica iniziano a penetrare le prime gocce di pioggia, che punteggiano anche l'asfalto ai miei piedi di macchie scure.
«No, Satsuki. Perché c'è stata sempre e solo lei. Mi dispiace.»
Urto la sua mano con un colpo secco della mia, mentre i capelli iniziano ad appiccicarsi al mio viso.
«Cosa posso farmene delle tue scuse?» grido stringendo forte i pugni lungo i fianchi.
«Hai ragione, non servono a nulla.»
Improvvisamente una consapevolezza mi attraversa il corpo, facendomi sussultare. Sollevo il viso verso Shin e devo avere davvero uno sguardo folle a vedere l'espressione contratta di preoccupazione che gli si forma sul volto.
«Tu mi hai usato per vendicarti di mio padre...»
La pioggia ormai scroscia intorno a me e mi assorda. Colpisce il marciapiede e l'asfalto e rimbalza sulle mie gambe.
Non sento il freddo, malgrado sia zuppa di acqua gelida. Non sento nulla e davvero non vorrei sentire più nulla per tutto il resto della mia vita.
«Non l'ho mai fatto, Satsuki. Malgrado tutto il rancore che ho provato verso Takumi, non mi sono mai comportato così nei tuoi confronti. Sei la mia sorellina.» e mi sorride così dolcemente, mentre dice quelle parole, che sento le gambe tremare ancora «Ho solo voluto proteggerti da tutto questo. Ma sei come tua madre. Anche lei ha sempre dovuto vivere tutti i suoi sentimenti fino in fondo, malgrado le raccomandazioni degli altri.»
Arranco, mentre tutto è distorto da questo ansito affannoso.
Non ci sarà mai più aria per me e questo silenzio, fatto dal fragore sempre più intenso della pioggia, finirà per soffocarmi.
«Un giorno ripenserai a me e ti stupirai di quello che hai provato. Sorriderai, guarderai il tuo compagno, e già ti sarai dimenticata di me. In un certo senso sono felice che tu mi abbia detto cosa provavi, perché so che in questo modo le parole non dette non continueranno a tormentarti per sempre.»
Lo dice con un'espressione quasi serena sul viso e mi sorride.
Tento di allontanare i capelli dalla faccia, piagnucolando come una bambina.
«Sì, ma adesso io cosa faccio?» mormoro tra un singhiozzo e l'altro.
Lui mi guarda con sconforto e solleva appena il palmo delle mani.
«Mi dispiace, Satsuki, ma io non ho questa risposta. Per molto tempo non l'ho avuta neppure per me, e persino ora non so se è quella giusta.»
Digrigno i denti.
Tutte questa parole di consolazione non mi servono a nulla, perché domani avrò sempre queste mani vuote e tristi a stringere sogni vani e irrealizzabili. I sogni dei baci di Shin, dei suoi sussurri d'amore che mille volte ho sentito durante il sonno.
«Io... non so cosa farmene di te!»
Lo grido con quanto fiato ho in corpo, perché più farà male, più mi strapperà le corde vocali, meno mi renderò conto di quanto ho perso, irrimediabilmente.
È in quel momento che il ticchettio imperioso dei tacchi si fa udibile sopra lo scroscio della pioggia.
Io e Shin voltiamo la testa in direzione dell'entrata del palazzo.
Le iridi scure e dilatate di Reira fissano attraverso le gocce grigie. Scavano l'aria, affamate ma allo stesso tempo ricolme di timore, finché non si posano sulla figura di Shin. Fa un passo, ondeggiando. Poi stende in avanti le braccia con i palmi aperti, come una bambina che cerca di afferrare una bambola posta su uno scaffale troppo alto.
«Shin...»
Lo dice come se fosse l'unico pensiero compiuto che la sua mente è in grado di formulare. Come se in quel nome, nel suo formarsi tra quelle labbra perfette e rosa, ci fosse il senso di tutta una vita sommersa nel dolore e nel rimpianto.
Le loro dita si sfiorano, quasi avessero la paura di rivelarsi concreti l'uno per l'altra. Socchiudono le labbra, febbricitanti di anni di silenzio.
Osservo attonita il loro abbraccio, lo scoppio di lacrime di Reira che affonda il viso nella spalla di Shin, lui che le accarezza i lunghissimi capelli stringendola a sé con uno straziante sentimento di esclusività.
Arretro ancora di alcuni passi.
È come se Reira e Shin mi avessero strappato i battiti dal cuore.
Gli adulti sono tutti dei bugiardi.
Tutte le parole di affetto, i gesti gentili di Reira, erano solo atti ipocriti. Gli sguardi di Shin, crudeli derisioni. Le parole di tutti, tutto quello che mi hanno detto sempre – sempre – era solo una menzogna.
Mi volto e inizio a correre lungo la strada, completamente accecata dalla rabbia e dalla delusione.
I miei piedi calpestano le pozzanghere fangose sulla strada, mentre le gocce danzano con riflessi folli intorno a me come schegge di vetro.
Quasi non sento il rombo potente dell'auto che risale la strada. Tutto è fragore, fuori e dentro, una confusione che mi schiaccia il cranio facendo stridere i denti dal dolore.
Sollevo gli occhi e mi blocco in mezzo alla carreggiata solo quando dall'auto che avanza lungo la strada provengono i suoni acuti del clacson.
I fari risplendono nel buio e si fanno sempre più vicini, tagliando con la loro luce la superficie dell'acqua come lame.
Reira grida, mentre sento Shin urlare indistintamente il mio nome.
E ripenso alla prima volta in cui i miei occhi si sono posati su di lui e tutto è cambiato in modo irreversibile. Era l'estate di due anni fa, e come ogni estate c'era il nostro appuntamento all'appartamento settecentosette. Io e la mamma eravamo arrivate con molto anticipo durante la mattinata invasa dal sole e dal frinire delle cicale, e lei si era già messa a sbrigare tutte le faccende che ripeteva con meticolosità almeno una volta alla settimana.
Poi la porta si era aperta e Shin era entrato, coperto come sempre dagli avvolgenti occhiali da sole e dal cappellino. E mi aveva sorriso.
Forse è stato davvero quello il momento in cui ho realizzato di non essere più una bambina. Che sentivo, che provavo un calore al centro del petto ben diverso da una semplice emozione o dal piacere ingenuo degli infanti.
Volevo quel sorriso con un'intensità mai provata prima, come mai avevo provato desiderio verso un nuovo modello di Yumeko. Tutti i balocchi, all'improvviso, non avevano più importanza o significato. La bellezza non risiedeva più nella plastica colorata e in pastelli multicolori, ma in un corpo caldo e vivo che sfuggiva a tutti gli imperativi del mio mondo di principessina.
Mi aveva chiesto di aiutarlo a ripassare le battute dello sceneggiato che stava preparando e in cui avrebbe rivestito il ruolo del protagonista, come sempre nelle ultime produzioni televisive di un certo successo.
E mentre sussurravo vicino a lui, seduti a quel tavolo sotto alla finestra, frasi audaci e inappropriatamente adulte, avevo iniziato ad amarlo con consapevolezza.
L'auto frena, graffiando l'asfalto con le gomme. Lo stridore di quel morso disperato invade la strada, l'intero quartiere, tutta la mia testa.
Sussulto appena quando la carrozzeria gialla e lucida si ferma a pochi centimetri dalle mie gambe magre infilate nelle calze della divisa scolastica, dopo che l'auto è slittata di lato sull'asfalto bagnato.
Rimango ad ansimare sotto la pioggia che non accenna a smettere, sollevando le spalle sotto le spinte del mio respiro affannoso. Oltre il finestrino chiuso vedo il viso sconvolto di mia madre, le lacrime che disegnano le sottili rughe sul suo bel viso. Appoggia i palmi delle mani sul vetro appena appannato, come se quello fosse l'unico contatto che ci è concesso. Come se tutti i miei silenzi e le confidenze trattenute avessero alzato uno schermo trasparente tra me e lei, impedendoci di sentire le parole reciproche.
L'altra portiera si apre e si richiude con un tonfo quasi di rabbia.
Le mani di Naoki si stringono attorno alle mie spalle mentre mi scuote come se fossi una bambolina, una Yumeko sbiadita dal tempo.
«Cosa avevi intenzione di fare, Satsuki?» grida mentre i suoi occhi, dietro le lenti a contatto azzurre, mi guardano con furore. La pioggia gli appiccica i capelli al lato del viso, su cui una furia autentica lotta con una sorta di paura potente.
«Non farci prendere mai più uno spavento del genere, Sa-chan, altrimenti io non potrò tenere fede alle mie promesse...» [1]
Naoki mi stringe contro il suo petto, avvolgendomi in un abbraccio caldo che odora di uno sfrontato profumo, sicuramente di qualche marca prestigiosa, indelebile sotto la coperta umida della pioggia.
«Sa-chan...»
La voce flebile della mamma sussurra vicino al mio orecchio. Mi volto per osservarla.
In questo momento non ho la forza per pensare a nulla. Il mio cuore è frantumato, il mio amore più bello è svanito come uno ristagno d'acqua sotto il sole impietoso di una giornata di sole.
Allungo le mani verso di lei, aggrappandomi alla stoffa della maglia che indossa. Singhiozzo forte, come quando quando i bambini della scuola elementare mi prendevano in giro perché non avevo un papà che mi venisse a prendere fuori dal cancello.
«È tutto passato, piccola mia. Sono qui. La tua mamma è qui.»
Continuo a piangere, priva di pensieri e di emozioni, solo con la voglia di frignare e disperarmi finché non rimarrà più nulla, finché tutto si sarà consumato come l'ennesima estate afosa mangiata dall'avanzare inesorabile del vento freddo.





[1] Se volete sapere di che promessa si tratta, posso solo dirvi di leggere Your eyes over me, che è da intendersi come una sorta di spin-off di Recorded Butterfiles e della futura long-fic che sarà il seguito di RB... ops, ho già rovinato la sorpresa? *______*

   
 
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