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Autore: Ily Briarroot    24/01/2014    2 recensioni
Due sorelle divise da un destino che le segnerà profondamente. Due cuori profondamente uniti ma costretti a separarsi. Due cuori che battono all'unisono, ma che non sono liberi di farlo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Akemi Miyano | Coppie: Shiho Miyano/Ai Haibara
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sesto capitolo
 

Il lungo corridoio scuro si distingueva a malapena, mentre i passi echeggiavano decisi al contatto con il pavimento freddo.
La poca luce che illuminava appena il muro scrostato era l'unica cosa che permetteva di distinguere le varie porte a destra e a sinistra.
L'uomo non rallentò la sua camminata, neanche per un istante.
Gli occhi verdi e lo sguardo di ghiaccio vagavano impassibili in quell'ambiente umido e tetro. Le mani nascoste nelle tasche della giacca nera, i capelli che ondeggiavano a ogni movimento.
Entrò in un laboratorio, poco più avanti. Spalancò piano la porta, evitando il minimo rumore. Soltanto in quel momento la vide.
Immersa nel suo lavoro tra provette e computer, il camice bianco che le donava un aspetto molto più adulto di quanto in realtà non fosse.
I capelli ramati, gli occhi di quel colore. Lo avrebbe riconosciuto tra mille.
Lei aveva sollevato lo sguardo, fissandolo incerta. Soltanto qualche secondo più tardi riprese la sua abituale indifferenza, alzandosi dalla scrivania bianca.
“Cosa sei venuto a fare, Dai?” gli chiese, scrutandolo. Appoggiò la schiena contro il bancone dietro sé, nascondendo di nuovo il viso sotto la frangia spettinata.
“Anzi, no. Forse dovrei chiamarti Rye, adesso”.
Il giovane rimase inizialmente impassibile, senza muoversi. Soltanto dopo istanti che parvero ore tirò fuori le mani dalle tasche del lungo cappotto nero.
Era inutile. Tutto inutile. Decifrare ciò che provava era impossibile.
Non le rispose, non poteva farlo. Poteva solo sperare che le cose andassero nel verso giusto.
Il suo sguardo cadde su alcune provette riposte in ordine sulla scrivania, dietro di lei. Appena più distante, un piccolo contenitore conservava al proprio interno qualche strana capsula rossa e bianca.
Shiho non si fece sfuggire i suoi movimenti e chiuse la scatola con un gesto secco.
“Allora, mi dici perché sei qui?”.
La ragazza incrociò le braccia, ora sollevando lo sguardo. La tensione che entrambi percepivano sembrava trascinarli a chilometri di distanza tra loro. Come se non fossero stati davvero lì, uno davanti all'altra.
“Non è come credi”.
Dai Moroboshi era immobile, senza la minima intenzione di scomporsi. Mosse soltanto qualche passo, lo sguardo duro che non accennava a mutare espressione.
“Adesso devo andare. La mia permanenza negli Stati Uniti è terminata. Torno in Giappone”.
Le diede le spalle, voltandosi. Soltanto quando raggiunse la soglia del laboratorio, percepì di nuovo la voce distaccata di lei.
“Per loro conto?”.
L'uomo la guardò un ultimo istante con la coda dell'occhio, prima di decidersi a svoltare l'angolo oltre la porta.
“Agisco solo per loro, mettitelo bene in testa”.
Shiho lo scrutò, stavolta senza fiatare. Soltanto quando lo vide scomparire oltre il corridoio buio, mormorò più verso se stessa che verso di lui.
“Tu sei l'unico. Non abbandonarla”.

Akemi accese il computer e passò in rassegna ogni nuova email ricevuta nell'arco della settimana in cui, per un motivo o per un altro, non aveva controllato la posta elettronica.
Con un nodo alla gola, sperò con tutta se stessa che ci fosse un messaggio da parte della sorella più piccola, di qualunque tipo, soltanto per essere certa che stesse bene.
Era trascorso quasi un mese e non aveva ricevuto più alcuna notizia da lei, nonostante le avesse inviato qualche tempo prima un dischetto contenenti le foto dell'ultima gita universitaria. Niente di niente.
Come, fino a poco tempo prima, sembrava che la sua vita fosse cambiata in meglio, ora si sentiva per l'ennesima volta nel vortice freddo e scuro della solitudine. Una solitudine imposta da quel qualcosa che non faceva avvicinare gli altri a sé. Una solitudine che non voleva, trascinata da una vita di sofferenza in cui poteva contare soltanto sulle proprie forze.
Fece un respiro profondo quando l'occhio cadde sulla foto che aveva lasciato sulla scrivania, dimenticata lì da chissà quanto tempo.
Allungò il braccio e la prese in mano, mentre un macigno pesante le contorceva lo stomaco. Non poteva più credere a ciò che vi fosse impresso, non poteva più credere a quell'immagine. Non poteva riconoscersi in quella ragazza felice, la luce emanata dagli occhi, accanto a un uomo dallo sguardo serio ma sereno. Dagli occhi verdi, quasi glaciali, ma dei quali lei si fidava ancora.
In quello stesso istante, il telefono squillò e spense il computer velocemente, correndo verso la cornetta nel salone.
Quando rispose, riconobbe immediatamente quella voce.
Si stupì, realizzando di non provare alcuna sorta di risentimento. Non era arrabbiata, non era delusa da lui. Era tornato, contava soltanto questo. Era tornato in Giappone. Era tornato da lei.

Il motivo, lo capì soltanto quando si recò all'appuntamento.
Aveva controllato più volte che non ci fossero automobili nere nei dintorni, dopodiché lo raggiunse. Lo trovò appoggiato contro la parete, l'espressione assorta.
Sorrise quando la vide e lei non potè che esserne felice. Di nuovo, come se lo vedesse per la prima volta. Come innamorarsene per la prima volta.
“Ciao, Akemi”.
Non erano necessarie altre dimostrazioni. Non era necessaria neanche una parola. Bastava questo. Soltanto questo.
In cuor suo, e con tutta se stessa, Akemi Miyano sapeva di potersi fidare di lui. Ora ne era certa. L'unico, che forse avrebbe potuto tirarla fuori dal vero incubo. Doveva crederci ancora, doveva lasciarglielo fare.
Ne ebbe l'ennesima conferma quando lo guardò negli occhi, occhi che potevano soltanto dirle la verità. Occhi che non erano cattivi. Occhi che non potevano avere niente a che fare con il colore nero, né con l'oscurità che lei stessa aveva conosciuto.

I giorni trascorrevano in fretta in quello che la giovane donna avrebbe potuto definire il periodo più bello della sua vita.
Non riusciva a pensare a Dai come un membro dell'organizzazione che le aveva precluso la libertà, che si era impossessata della sua vita e di quella della sua famiglia. Non poteva credere a niente di tutto ciò.
Non voleva pensare al nome Rye, continuava a rifiutarsi di vedere il male dentro di lui. Non ne esisteva alcuna traccia, ne era certa. Sentiva che fosse così; lo percepiva attraverso la pelle, attraverso la dolcezza delle sue labbra. Non era una persona cattiva, non lo era mai stato.
Con il passare del tempo, l'unica cosa che davvero le faceva male era ciò che le nascondeva.
Un segreto che, Akemi ne era certa, sarebbe riuscita a custodire. Se solo Dai glielo avesse confessato, se solo si fosse aperto verso di lei.
Il dubbio che la tormentava era un peso in gola che rimaneva immobile e che quasi non le permetteva di respirare.
La ragazza decise di aspettare, aspettare il momento giusto, aspettare un minimo cenno, anche se, probabilmente, l'uomo non le avrebbe mai detto nulla.
Ma ci volle provare comunque. Perché lo amava. Perché stare con lui significava dimenticare il passato e vivere il presente. Sognare il futuro, come una qualsiasi ragazza della sua età.
Perché stare con Dai significava sentirsi al sicuro dal mondo.

Il momento arrivò qualche tempo dopo, mentre camminavano lungo una strada poco trafficata, accanto al parco.
La confessione di Dai la colse inizialmente impreparata, un tuffo al cuore.
“Sei dell'FBI? Mi stai prendendo in giro?”.
Sperò con tutta se stessa che i suoi dubbi rimanessero tali, piuttosto che conoscere la verità. Perché sapeva che avrebbe fatto male, sapeva che sarebbe stato come una lama affilata nel cuore. Non voleva credere che lui, in realtà, stesse soltanto fingendo un sentimento che non esisteva.
“Niente affatto. Parto domani per risistemare le cose”.
Lo precedette, le lacrime che minacciavano di traboccarle dagli occhi. Forzò un sorriso che durò soltanto pochi istanti.
“Smettila, ma che cosa dici? Ti va di scherzare, vero?”.
Pregò mentalmente che Dai negasse ogni cosa, ma dentro sé lei conosceva già la risposta. Capì tutto quando lui rimase in silenzio, impassibile.
“No... tu stai parlando sul serio... “.
Si voltò verso di lui, stringendo la cinghia della borsa appoggiata sulla spalla. Le lacrime presero a traboccarle lentamente dagli occhi.
“Vuoi sapere la verità? Lo sospettavo da un pezzo”.
La voce tremante, le gocce leggere che le scivolavano sul viso. Finalmente riuscì a liberarsi delle parole che si era tenuta nel cuore per molto tempo.
Akemi sgranò gli occhi quando il moro l'afferrò per le spalle, l'espressione tesa. La scosse leggermente, costringendola a incrociare i suoi occhi freddi.
“Stai dicendo che lo avevi capito?! E allora perché non mi hai lasciato perdere?! Ti stavo usando e tu lo sapevi, Akemi!”.
Una fitta. Una fitta dritta al petto quasi le mozzò il respiro. La frase che Dai aveva appena pronunciato era ciò che non avrebbe voluto sentire, ciò che le faceva paura. Usata. Soltanto usata. Erano troppe le volte in cui aveva cercato di eliminare quel pensiero dalla sua mente.
Tremò, mentre le lacrime le offuscavano la vista, cercando di capire come avesse fatto lui a non trovare una risposta. Stupita dal fatto che non avesse capito.
“Ma insomma... non vedi quello che provo per te?”.
Fu l'ultima cosa che gli disse, prima di allontanarsi. Fu l'ultimo sguardo, l'ultima volta di Dai. L'ultima volta insieme, prima di affrontare la prova più importante della sua vita.
Gli diede le spalle e corse via dall'unica persona che avesse mai amato, l'unica che la facesse sentire al sicuro. L'unica, alla quale avesse donato il proprio cuore e alla quale avesse permesso di entrare nella propria vita, di stravolgerla in meglio, di farne ciò che voleva. E non si era pentita, nonostante tutto. Non si era pentita, nonostante non fosse per nulla sicura di essere stata ricambiata. Nonostante fosse stata usata da lui. Non avrebbe cambiato niente, avrebbe rivissuto ogni momento, ogni minuto, ogni secondo. Il suo cuore era ancora lì, limpido e puro, per lui. Solo per lui. Ancora per lui. Ciò che provava, non era cambiato per nulla.
Dai pensava la stessa cosa mentre la guardava correre via. Mentre non poteva far altro che rimanere stupito dal suo animo e dai suoi sentimenti così veri, intoccabili. Mentre si sentiva in colpa come non gli era mai successo, conscio del fatto di aver messo in pericolo e di aver sfruttato la donna di cui, molto probabilmente, era riuscito a innamorarsi.
Tutto questo perché, non appena aveva visto gli occhi di Akemi riempirsi di lacrime e la sofferenza impressa sul volto angelico, ogni cosa passò in secondo piano.
La missione da compiere, quella vera. Se stesso. La sua vera identità, che credeva di non possedere più del tutto.
Con lei era cambiato. Con lei riusciva sul serio a essere un'altra persona. Ma questo non lo aveva ancora compreso del tutto.
Dai non era vero, frutto di qualcosa di ancora più grande. Ma i battiti cardiaci che acceleravano stando a contatto con lei, il profumo della sua pelle e il colore corvino dei suoi capelli sì. Loro due erano reali, lei era reale.
Avrebbe preferito essere mandato al diavolo, riempito di insulti, lasciato su due piedi a studiare un altro piano per infiltrarsi in quella vita che le apparteneva e che la teneva prigioniera, schiaffeggiato.
Tutto, ma vederla soffrire per qualcosa che aveva trattenuto dentro sé e che aveva cercato di soffocare, senza successo, soltanto per l'amore che provava verso di lui era un qualcosa che gli mozzava il respiro nei polmoni.
Ciò che Akemi non sapeva, e che non aveva fatto in tempo a dirle, era che anche lui sarebbe volentieri tornato indietro nel tempo, rivivendo ogni momento, ogni minuto e ogni secondo insieme.
Perché, adesso ne era convinto più che mai, lei gli aveva rapito il cuore.

Akemi prese la decisione più importante di tutte qualche tempo dopo, quando, per l'ennesima volta, trovò la posta vuota.
La nostalgia l'aveva ormai completamente sopraffatta, la solitudine l'aveva trascinata via di nuovo, inesorabilmente, dalla realtà.
Voltò lo sguardo, notando ogni piccolo dettaglio dell'appartamento che aveva preso in affitto da alcuni anni. Piccolo, comodo. Era sempre stata felice all'idea di poter vivere autonomamente, senza la sorveglianza di nessuno. Senza passare da una casa all'altra, attorniata da persone fredde come il ghiaccio e che non le avevano mai rivolto seriamente la parola.
Non pensò neanche minimamente che fosse tutto un'illusione. L'ennesima illusione che riguardava una vita che non poteva vivere. Non ancora.
Si sentiva costretta lì, in quell'ambiente che credeva familiare, con delle amiche e la libertà di poter studiare e uscire, nonostante fosse una libertà limitata dalle automobili scure parcheggiate di tanto in tanto sotto casa. Il mondo, però, lo aveva conosciuto bene, sin da piccola.
Stentava a pensare a Shiho, chiusa in un laboratorio di un paese straniero, strappata da lei, strappata da una realtà che non aveva mai conosciuto, costantemente ai loro ordini.
Fu in quel momento che vide la risposta della sorella minore, scritta velocemente in poche semplici righe. Stava bene. Sì, stava bene.
Ma non era più l'unica cosa a dover contare, adesso.
Ormai, era una lotta per la libertà.
Fu quello il momento in cui decise di mantenere la promessa a cui aveva sempre creduto sin da quando erano piccole. Doveva farlo per Shiho. Doveva farlo per se stessa. Doveva farlo per una vita che doveva essere vissuta fino in fondo.
Era ora di cominciare.
E avrebbe dato tutta se stessa per mantenerla, quella promessa.

 

  
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