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Autore: Blackvirgo    08/06/2008    5 recensioni
C'è una vecchia attorno al fuoco che racconta la storia del mondo quando ancora c'erano gli spiriti. C'è una bambina sicura che un giorno incontrerà uno spirito. C'è un bardo che, ascoltando la storia della vecchia e osservando la bambina, si chiede se in quella storia anche lui - per uno strano scherzo del destino - abbia un ruolo. E, prima della fine, ognuno - in un modo o nell'altro - troverà ciò che cerca.
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Naraku, Nuovo personaggio, Sesshoumaru, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 3

CAPITOLO 3

Di corpo, di anima e di spirito

Dar da mangiare agli affamati.
Dar da bere agli assetati.
Vestire gli ignudi.
Alloggiare i pellegrini.
Visitare gli infermi.
Visitare i carcerati.
Seppellire i morti.


Le sette opere di misericordia corporale - Vangelo

La notte era fresca e limpida e l’assenza della luna faceva apprezzare la luce delle stelle, di milioni di stelle che creavano strani disegni in quel cielo nero. Quante volte gli uomini hanno fantasticato – nel corso dei secoli – sui possibili significati e influssi di stelle lontane sulle loro vite… Al bardo piaceva pensare che fosse tutto vero, che le stelle fossero il segno indelebile di grandi uomini e di grandi Dei vissuti secoli prima. O che fossero semplicemente una guida, per ognuno, la luce da seguire quando intorno è tutto buio. E in una notte come quella poteva anche credere che per ogni uomo esistesse una stella.

Fu distratto dalla bambina che si mise a battere le mani: “Forza nonna! La vera storia! Cominciamo!”

“Come vi ho già detto,” la vecchia riprese il suo racconto, sistemandosi il fazzoletto che portava sulla testa, “di Izayoi e del Generale si persero completamente le tracce. Il nostro racconto riprende con Inuyasha, che noi abbiamo lasciato in fasce, diventato un giovane forte e determinato, seppure inselvatichito dalla vita randagia che era stato costretto a condurre: aveva presto imparato quanto crudeli potessero essere sia gli spettri che gli umani con chi non era né l’uno né l’altro. O meglio: con chi era entrambi.

Poco si sa della sua infanzia, prima di un incontro che segnò per sempre la sua vita… si dice solo che ogni tanto qualcuno lo vedesse girare per i boschi e attorno ai villaggi, da solo, a volte in compagnia di uno strano essere dalle sembianze animali, e pare che pochi di coloro che si avvicinassero al mezzo spettro per fargli del male vivessero abbastanza a lungo per raccontarlo.”

“Era uno spirito!” Sentenziò la bambina, sicura della propria supposizione. Lei era cresciuta assieme a quelle storie e per lei gli spiriti non erano frutto della fantasia popolare e della paura, ma entità tangibili, potenti e nascoste. Il fatto di non averne mai incontrato uno dipendeva solo da un malaugurato incidente del fato al quale, presto o tardi, – era sicura – avrebbe posto rimedio.

“Sì piccola, era proprio uno spirito che, a suo modo, aiutò Inuyasha a crescere e a imparare a cavarsela da solo. Uno spirito che un giorno scomparve e che, in questa nostra storia, si fece rivedere nelle sue vere sembianze solo una volta. Ma non corriamo troppo.

Perché questo spirito riappare soltanto alla fine, mentre il nostro mezzo-spettro è ancora agli inizi.

Nel suo peregrinare Inuyasha giunse ad un paese, simile a tutti gli altri che si trovavano a quel tempo su queste montagne. Ma, poco lontano da questo villaggio, in una piccola borgata al limitare del bosco, viveva una giovane donna.”

“Un’altra storia d’amore!” Esclamò Corinna con lo sguardo illuminato.

“Uffa!” Sbuffò il bambino seduto accanto a lei. “Perché sempre e solo amore? Che noia! Non ci sono anche le streghe in questa storia?”

La vecchia sorrise. “Fate i bravi, bambini, questa storia è ancora lunga e, presto o tardi, sarete tutti accontentati.

Dunque… eravamo rimasti alla giovane donna che viveva in disparte, con una sorella ancora bambina. Kikyo era il suo nome ed era una guaritrice. Per questa sua arte alcuni la definivano strega, altri si rivolgevano a lei chiamandola sacerdotessa, e nessuno poteva fare a meno del suo consiglio e del suo aiuto ogni volta che qualcuno – uomo o animale che fosse – si trovava alle prese con una salute cagionevole, con un osso rotto o con un neonato da far nascere. O quando il problema aveva il volto di uno spirito.

Peccato che la stima non vada di pari passo con l’affetto. Per quanto nessuno avesse mai avuto l’intenzione – o il coraggio – di farle anche solo il minimo sgarbo, nessuno mai le si era dimostrato amico né, tantomeno, innamorato. E così era arrivata a vent’anni ancora zitella.”

“Era brutta?” Chiese uno di bambini. “Di quelle streghe brutte con il naso curvo e la gobba?”

Uno scoppio di ilarità colse tutti i presenti. “No piccoletto,” rispose la vecchia, quando il suo petto smise di sussultare per la risata. “Anzi. Si dice che fosse molto bella, di una bellezza che ispirava reverenza, timore, che si manifestava come un istinto impellente – e mal tollerato da chi lo provava – di chinare il capo davanti a lei che non era né la Madonna né una nobildonna. Dicono anche che Kikyo non fosse consapevole del turbamento che suscitava nelle persone col suo passo cadenzato e lo sguardo assorto, fisso in un punto lontano. Altera l’avrebbe potuta definire un uomo colto come il nostro ospite,” aggiunse, indicando il bardo con un cenno del capo. “Ma i contadini come noi non amano le persone che camminano in mondi sconosciuti e, così, la definirono superba.”

“Era anche lei uno spirito?” Chiese la bambina sgranando gli occhi, dato che questa proprio non se l’aspettava.

“No Corinna, non era uno spettro. Ma anche ai mortali è dato di vagare nel mondo degli spiriti. Per alcuni è facile come respirare, per altri occorrerebbero decenni di studio, ma pochi sono sempre stati coloro che hanno osato farlo. E Kikyo avrebbe potuto e, forse, l’ha anche fatto. Ma non sono sicura che lo volesse davvero.”

“Suvvia zia!” La interruppe uno dei presenti. “State difendendo questa donna come se essere strega non fosse un peccato! E dire che ne hanno bruciate parecchie per liberarci dalle loro fosche…”

“Non strega,” lo interruppe il bardo. “Molti la chiamavano sacerdotessa, narra la leggenda, un appellativo attribuito con parsimonia dopo la caduta degli dei pagani. E voi vi chiedete quale sia la differenza quando si tratta comunque di amministrare un potere a cui nessuno sa dare un nome… Eppure esiste. Perché da sempre è noto che le streghe usano un potere che è nato con loro e che per loro è naturale come respirare mentre i sacerdoti – o sacerdotesse – amministrano un potere concesso da altri.”

“Buono o cattivo?” Volle sapere una delle donne.

“Il potere o chi lo usa?” Chiese a sua volta il bardo con un sorriso sornione, prima di riprendere il suo discorso dato che nessuno azzardava una risposta. “Cosa fosse esattamente Kikyo nessuno può saperlo. Forse lei stessa lo ignorava. Eppure di qualsivoglia natura fosse quel potere, per il resto del mondo, era comunque sacrilegio. Perché rappresentava una donna che poteva tenere in scacco anche gli uomini. Una vergine, nel corpo e nello spirito. Purezza e libertà. Una donna sola, senza padre e senza marito, libera di decidere per se stessa. Come una vestale… Davvero credete che di quella donna fosse il potere a essere temuto? Dagli sciocchi forse. Io so cosa temevano di lei. Quello che a loro mancava. Quello che nessuno aveva mai insegnato loro che esistesse. Si chiama libertà, amico mio. E fa sempre paura.” E probabilmente faceva paura anche a lei, aggiunse fra sé.

La vecchia sorrise. Quello straniero non era poi così male.

“Non sta a noi giudicare se Kikyo fosse una strega o una sacerdotessa, solo ricordare che a quei tempi la superstizione era forte quanto la fede: tutti si rivolgevano a lei nel momento del bisogno, correndo poi in chiesa ad accendere un cero per tacitare le proprie coscienze.

Per quanto il curato di quel villaggio non apprezzasse la considerazione di cui godeva la sacerdotessa, considerando sospetta per stregoneria ogni occupazione femminile diversa dalla preghiera e dai lavori domestici, aveva sempre preferito chiudere un occhio, se non entrambi, sulle attività di Kikyo.

E fu proprio così, in un momento di bisogno, che il destino di quella fanciulla venne incrociato con quello di un uomo ferito.”

“Ma io credevo che si sarebbe innamorata di Inuyasha!” Commentò Corinna, per nulla felice dell’entrata in scena di questo tizio che, sicuramente, avrebbe messo i bastoni tra le ruote al figlio del Generale.

La vecchia sghignazzò. “Non è che due innamorati vivano solo nel loro guscio: il resto del mondo rimane e, in un modo o nell’altro, bisogna sempre farci i conti.

Dove eravamo rimasti? Al ferito, sì. Era costui un bandito, tradito dai propri compagni, derubato e malmenato fino ad essere ridotto in fin di vita.

Eppure, per quel giorno, la Provvidenza – o il Diavolo in persona – non lo aveva abbandonato perché egli venne trovato ancora vivo in una grotta nelle vicinanze del villaggio. Come vi sia giunto rimane un mistero. E anche come fu trovato, in un pomeriggio di una stagione come questa, più morto che vivo, coperto di sangue e sporcizia. Qualcuno andò a chiamare Kikyo, altri andarono ad avvertire il prete e, quando si trovarono al cospetto del ferito, ognuno fece il proprio dovere: la guaritrice lo esaminò per capire da dove cominciare e il prete gli diede l’estrema unzione. Solo a scopo preventivo, in quanto il giorno della sua morte era ancora molto lontano.

La caverna diventò la sua dimora: inizialmente era troppo grave per essere trasportato, successivamente chissà? Forse fu semplicemente dimenticato. O forse nessuno se la sentiva di accollarsi un tale fardello, quando le proprie famiglie erano già sufficientemente gravose. E nessuno avrebbe mai voluto attirare la collera dei banditi rimasti verso il villaggio.

Si salvò grazie alle cure della guaritrice e pian piano cominciò a riprendere le forze, ma mai si sarebbe ripreso completamente: la sua schiena era rotta e aveva perso un occhio. E il suo morale… come capire quello che provava? Era stato un uomo ambizioso, di azione, avvezzo a comandare e a essere obbedito e ora era costretto in una grotta, abbandonato da Dio e dagli uomini, incapace di muoversi, dipendente dalla bella guaritrice che lo accudiva, le cui mani ormai non dispensavano più solo cure e sollievo, ma risvegliavano in lui pensieri inopportuni e, forse, con quel corpo martoriato, irrealizzabili.”

Hai detto uomo, vecchia, pensò il bardo. Gli uomini pensano e pensare non è mai inopportuno. Scomodo forse, ma cosa ci rimarrebbe se dovessimo negarci il pensiero? L’anima? Lo spirito? O solo il corpo?

“Quell’idea divenne ben presto un chiodo fisso, l’unica compagnia in quelle lunghe e monotone giornate, passate a osservare il riverbero del sole tra le fronde dei rami che intravedeva nel mondo di fuori dalla grotta, il tempo scandito solo dall’alternarsi del giorno e della notte, le stagioni dal colore delle foglie sugli alberi… giorni così identici l’uno all’altro da sembrare immobili. E ogni giorno l’attesa per quell’unico diversivo, per quella donna che non sarebbe mai stata sua, ma della quale vedeva il profilo disegnato da ogni ombra, che amava e odiava proprio perché così necessaria e così irraggiungibile. Perché già di un altro.

Infatti, ancora non ve l’avevo detto, ma un giorno Inuyasha era stato avvicinato proprio da Kikyo. Un incontro inusuale, nel bosco, mentre lei scacciava uno spirito divenuto troppo aggressivo nei confronti degli abitanti del villaggio. E il nostro mezzo spettro fu turbato da lei come tutti gli altri, anche se, forse, non per gli stessi motivi: ne avrà sicuramente notato la bellezza, ma credo che a colpirlo sia stato il fatto che lei era stata la prima persona che gli aveva parlato senza mostrare alcun fastidio per il suo aspetto stravagante, la prima a dargli le spalle senza scappare a gambe levate. Un atteggiamento sconcertante per il mezzo spettro, atteggiamento che si era riproposto di osservare. Perché tutto, per uno come lui, poteva nascondere una trappola. E questa, dopotutto, sarebbe stata solo l’ennesima.

Ma Kikyo non voleva tendere trappole a nessuno: lei era umana, è vero, ma non per questo si trovava bene coi suoi simili. La gente, da sempre, la teneva a debita distanza e lei non aveva mai amato imporre a nessuno la propria presenza.”

Solitudine, pensò il bardo. Amica e nemica di tutte le genti… che non ti spaventi ad accompagnare nessuno… né uomini né spiriti né, tantomeno, chi sta nel mezzo. E, in questi incontri, sembri quasi cercare te stessa.

“All’inizio si erano tenuti a distanza, si erano studiati, come due animali selvatici che ancora non sanno se sia il caso di azzuffarsi o di scappare. Ma poi, pian piano, avevano iniziato a cercarsi, sempre da lontano, sempre silenziosamente: avevano cominciato a godere della reciproca vicinanza, dato che forse ancora non si poteva chiamare compagnia. Ogni mattina un appuntamento silenzioso li faceva incontrare al Grande Albero e, da lì, vagavano assieme finché i doveri di Kikyo la portavano troppo vicino agli umani.”

“Perché non andava con lei, nonna? Inuyasha era buono, no?” Chiese la bambina.

“Era mezzo spettro ed era diverso da loro e per questo lo temevano.” Rispose il bardo, con la sua voce musicale, la testa abbandonata sulle braccia incrociate dietro al nuca. “La paura ancestrale del diverso è molto radicata negli uomini… ciò che è diverso è potenzialmente pericoloso… e, generalmente, viene visto e trattato come tale. La chiamano sopravvivenza.”

La vecchia di nuovo sorrise e il bardo non poté fare a meno di notare come il suo atteggiamenti verso di lui si fosse ammorbidito. Almeno un po’.

“Inuyasha, di certo, non ispirava fiducia alla prima occhiata” continuò la vecchia. “In ogni suo movimento si vedeva l’impronta del combattente e il suo carattere schivo e aggressivo non gli facilitava di certo i rapporti umani. Al villaggio sapevano che Kikyo gradiva la sua compagnia, ma questa non era certamente una buona presentazione: anche la sacerdotessa era temuta. Così gli abitanti si limitarono a prendere atto della sua presenza e a evitare di infastidirlo, ma lasciavano chiaramente capire come non fosse il benvenuto in mezzo alle loro case.”

“Poverino…” mormorò Corinna. “Ma venne mai accettato da qualcuno?”

La vecchia si lasciò andare a una risata chioccia. “Certo, bambina mia. Ma passarono molti anni per quello. Molti anni… e noi non siamo ancora andati così lontano.

Eppure, per la tua felicità – e anche per la loro – l’amore sbocciò fra quelle due anime solitarie. Un sentimento timido a cui entrambi si aggrapparono con forza inaudita, un sentimento che faceva loro paura, ma che dava loro coraggio.”

Il bardo socchiuse gli occhi beandosi dell’apparente controsenso.

“O forse solo speranza… di aver trovato qualcuno in cui specchiarsi, qualcuno con cui condividere momenti, pensieri, baci. E sì,” sospirò la vecchia. “Anche baci e carezze e tutte quelle cose che fanno due innamorati quando fanno all’amore.”

“E cosa sono?” Chiese Mario, le cui parole furono seguite da uno scappellotto da parte del padre e da un rimbrotto sull’inconvenienza che i bambini sappiano certe cose.

“Erano felici, ma la sciagura incombeva su di loro. Nelle sembianze di un uomo ferito e di un gioiello da un potere troppo grande per essere usato da una sola persona.”

“Perché anche l’uomo ferito si era innamorato di Kikyo, vero?” Chiese Corinna.

“Quale gioiello? E quale potere?” Chiese il ragazzino che aveva coraggiosamente ricacciato indietro i lacrimoni e si stava sfregando con noncuranza la nuca.

“Non so dare nome al sentimento di quell’uomo, Onigumo. Poteva anche essere amore… o forse solo desiderio, lussuria… non lo so davvero. Difficile immaginare che l’amore possa provocare le tragedie che ancora sono da narrare. Forse l’amore per se stessi… nello stesso tempo non è possibile banalizzarlo al solo desiderio carnale perché non si renderebbe giustizia né a Onigumo né alle sue azioni.

E in quanto al gioiello… Kikyo ne era la custode. Ne era venuta in possesso in circostanze misteriose e il suo compito era di custodirlo.”

Sempre la solita solfa: custodirlo e non usarlo. Perché i grandi poteri servono sempre solo da tentazioni? Si chiese il bardo. Perché non finiscono mai nelle mani di qualcuno che sappia veramente usarli e ottenere il massimo da loro? Anche quella sarebbe una storia degna di essere raccontata… di storie con poteri che vanno sprecati di fronte a un bene maggiore ne circolavano anche troppe.

“Ma anche lei, come la Pandora del mito,” riprese la vecchia, con una note triste nella voce, “ad un certo punto non fu immune dal fascino di un così grande potere per le mani: si era illusa di poter ottenere una vita normale accanto ad un uomo normale. Ne aveva parlato con Inuyasha e lui aveva accettato: da sempre aveva desiderato di poter essere uno spettro completo come suo padre, come un fratello che aveva incontrato solo una volta tanto tempo prima, ma per amore di quella donna sarebbe diventato umano. E finalmente sarebbe stato trattato alla pari. Da qualcuno almeno. Ma non avevano considerato che la felicità si può raggiungere solo al prezzo di grandi sacrifici e che nessun potere sarà mai abbastanza grande da garantirla se non si è disposti a lottare con le unghie e con i denti pur di conquistarla e di trattenerla.”

“E loro non erano disposta a farlo?” Chiese Corinna pensierosa.

“Non lo so, piccola. Inuyasha dimostrò di saperlo fare, anche se, forse, in quell’occasione non ne ebbe modo. E di Kikyo dicono che fosse una donna dal temperamento forte e risoluto, ma in fondo si dimostrò fragile e forse schiava di un destino che non sentiva suo. “

“Schiava, avete detto,” la interruppe il bardo. “Lo era o credeva di esserlo? E di cosa? Del destino, di un gioiello che forse non ambiva solo a essere custodito o delle consuetudini popolari?”

La vecchia ascoltò con attenzione quelle domande, ma non dette segno di voler cambiare discorso. “Può darsi che sbagliarono a scegliere le proprie armi. Oppure i propri nemici. O forse fu proprio un insieme di fattori che decisero la sconfitta dei due amanti solitari: l’amore fra Kikyo e Inuyasha era un giovane virgulto. Una meraviglia per gli occhi e per il cuore, ma ancora troppo debole per resistere alle intemperie della vita.”

“Ma l’amore non può vincere tutto?” Chiese di nuovo la bambina, speranzosa.

“È una domanda a cui nessuno potrebbe dare una risposta. Mi verrebbe piuttosto da girare la frittata: anche quando perde, non significa che non sia stato amore, di quello vero. I sentimenti sono delle grandi cose, ricordatevelo, ma gli umani no… e gli uni senza gli altri non potrebbero andare lontano: gli uomini hanno bisogno della grandezza dei sentimenti per poter vivere e realizzarsi e i sentimenti hanno bisogno degli umani – con tutti i limiti che ciò importa – per poter essere realizzati e diventare concreti.

Nella mia lunga vita ho capito che in genere gli eventi non sono da imputare ai sentimenti, ma agli uomini che li provano… nel bene e nel male.

E tutto questo per dire che non credo che l’amore di Kikyo e Inuyasha non fosse vero e profondo e solido, uno di quei sentimenti che avrebbe potuto dar loro la felicità. Solo che entrambi erano troppo abituati a contare solo su loro stessi, a non fidarsi mai completamente degli altri per sopravvivere, a considerare la solitudine una condanna della sorte contro cui non avevano mai trovato una soluzione. Ma due solitudini non fanno una felicità, disse un saggio. O un poeta. È questo che intendo quando parlo di limiti. È questo che fece sì che un piano malefico potesse separarli e che essi stessi, con le loro azioni, non fecero altro che aiutare gli eventi invece di impedirli.”

“E gli spettri, nonna? Gli spettri non provano sentimenti?” Chiese di nuovo Corinna.

“Chi lo può sapere, Corinna… è da talmente tanto tempo che sono spariti che pochi potrebbero rispondere a questa domanda.” Di nuovo un sospiro, profondo, seguito da qualche colpetto di tosse. “Eppure anche loro sono fatti di anima… possono o potrebbero. Chi lo può sapere?”

I sentimenti stanno nell’anima, mormorò il bardo. Non gli era nuova questa tripartizione della natura umana in anima, spirito e corpo, ma non l’aveva mai presa veramente in considerazione. La gente capiva benissimo la dicotomia anima-corpo, chiamando appunto anima tutto ciò che non era materiale… E lo spirito allora cos’era? Una parte di quella che la maggioranza della gente chiama anima? O qualcosa che nella semplice dicotomia anima-corpo mancava all’appello?

“Onigumo, lungi dal rispettare le regole della santa Chiesa che, quando novizio in un monastero aveva studiato con tanto ardore, creò il proprio personale inferno nel suo cuore.”

“Un novizio diventato bandito?” Chiese il bardo alzando un sopracciglio.

“Sì,” sospirò la vecchia. “Una punizione ingiusta secondo lui, che era stato cacciato per troppa sete di conoscenza, proprio come Adamo ed Eva nel Giardino dell’Eden. E fu proprio quel peccato che lui non aveva mai ritenuto un peccato a dargli la possibilità di ordire le sue trame e di stringere un patto col Demonio in persona.”

“E per quanto vendette la sua anima?” Chiese il bardo con una nota di ironia, mentre tutti gli altri, dopo un primo momento in cui trattennero il fiato, iniziarono a biascicare un Pater Ave e Gloria.

“Per il suo spirito.”

Grazie a chi legge e un grazie di cuore a Rosencrantz, Mel_nutella, Miriel67 e Mikamey che hanno recensito il secondo capitolo.

   
 
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