Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: Daisy Pearl    27/01/2014    3 recensioni
Finì di parlare e ansimò brevemente, come se avesse fatto una corsa infinita, lo sentii andare avanti e indietro e in qualche modo riuscii a immaginarmelo. Aveva un lungo abito bianco che si adagiava sul pavimento in pietra. La veste ondeggiava con eleganza e sembrava brillare di luce propria. Le lunghe ali erano spalancate sulle sue spalle, candide come il vestito e, a completarne la figura c’erano i classici boccoli oro che gli ricadevano sulle spalle con gentilezza. Potevo quasi vedere gli occhi azzurri come il cielo fissarmi attendendo che fossi in grado di alzarmi, in quel modo mi avrebbe potuta portare dove dovevo stare.
Mi avrebbe portata all’inferno.
- Questa è la storia di Mar e di Dave. Una storia di magia, tradimenti, colpi di scena, pazza, lucidità, amore. Bene e male si intrecciano in continuazione fondendosi in alcuni punti per poi separarsi. Il confine tra bianco e nero non è mai stato così invisibile.
Genere: Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Gioco di...'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
So di essere in ritardo, ma vi prego di perdonarmi.
Non ho nemmeno risposto alle recensioni e me ne scuso dal più profondo del cuore! Cercherò di rimediare il prima possibile, ma prima devo trovare il tempo di respirare!
Dubito che ci saranno aggiornamenti per le prossime due settimane, ma non si può mai dire! nel frattempo vi lascio con questo capitolo non perfetto, ma che spero possa interessarvi.
Ricordatevi che il bello dev ancora venire!
Daisy

Ps. Grazie a chi ha recensito e chi continua a leggermi, nonostante i miei ritardi!

CAPITOLO 22

La porta si aprii sempre di più. Chiunque si trovasse dall’altra parte era prudente, il che mi faceva pensare che, anche sedata, mi consideravano pericolosa. Attesi con pazienza che la persona entrasse nella stanza, trattenni il respiro e mi concentrai.
Se i miei ricordi sfocati non mentivano avevo ancora i miei poteri. Tutti, in quel covo di matti, sembravano essere preoccupati dalla grande dose di potere che possedevo. Mi concentrai e provai a sentirlo.
Lo percepii come se fosse un’entità distinta da me, come se non mi appartenesse e abitasse solo dentro il mio corpo, all’interno della mia essenza. Lo potevo quasi visualizzare, una cortina di luce che si espandeva attorno ad ogni mio nervo, attorno ad ogni vena, percorrendo ogni fibra muscolare. Il potere mi dava vita.
Quella consapevolezza arrivò dal nulla, inaspettata eppure era così che lo percepivo.
Socchiusi gli occhi per concentrarmi maggiormente. Ancora non avevo recuperato pienamente i ricordi, mi sentivo leggermente stordita, ma l’adrenalina mi faceva rimanere sufficientemente lucida, così tanto da sapere cosa dovevo fare. Una donna entrò nella stanza, puntò lo sguardo su di me ad assunse un’espressione sorpresa.
I nostri occhi si incrociarono.
Immaginai di liberare una grossa quantità di potere e di scagliarla contro di lei, vidi con chiarezza un  lampo di luce illuminare ancora di più quella stanza bianca ed asettica, prima di finire direttamente sul petto della donna, con una forza tale da farla cadere a terra.
Non appena la mia mente terminò il pensiero in modo razionale tutto ciò che avevo immaginato avvenne: la donna sgranò gli occhi dalla sorpresa e un boato riempì la stanza. Un attimo dopo lei era a terra con gli occhi chiusi. La scavalcai senza pensarci due volte e lanciai un’occhiata rapida fuori dalla stanza. Il corridoio sembrava quello di un ospedale, il soffitto era a pannelli quadrati, alcuni di essi mancavano e al loro posto c’erano delle luci al neon, decisamente meno fastidiose del bagliore bianco emanato dalle pareti di quella che era stata la mia prigione.
Non sapevo da che parte andare. Cercai di individuare se ci fossero delle telecamere, ma non mi sembrava di vederne. Questo non voleva dire che non ci fossero.
Inspirai ed espirai.
Immaginai che la corrente saltasse, mi figurai i generatori che saltavano in aria lasciando al buio l’intero edificio.
Una frazione di secondo dopo sbattevo le palpebre alla cieca.
Decisi di andare a destra, prima che si spegnessero le luci avevo notato un’insegna con sopra scritto ‘uscita di sicurezza’ proprio in quella direzione.
Camminai facendo scorrere le mani sulle pareti, in modo da orientarmi e da sentire se c’era una svolta nel corridoio.
I miei passi erano svelti e silenziosi. Cercavo di tendere le orecchie per captare una qualsiasi fonte di rumore, ma tutto il piano sembrava sprofondato nel silenzio, non c’era un anima viva e la cosa non mi convinceva affatto.
Le mie dita sulla parete toccarono un angolo, segno che il corridoio girava a destra, proseguii in quella direzione e notai, in fondo al corridoio appena imboccato, un’altra scritta luminosa che indicava l’uscita di sicurezza. Espirai e camminai più velocemente.
Le mie mani sfiorarono la maniglia della porta, già il mio cervello era proiettato a quello che avrei fatto una volta uscita da lì. Per prima cosa avrei dovuto cercare informazioni su quello che era successo dopo che Jasmine m aveva abbandonata morente in quello scantinato. No. In realtà Jasmine se n’era andata che io ero morta. Sapevo che non avrei dovuto essere lì.
L’immagine di Dave con gli occhi verdi e rossi occupò nuovamente tutto il mio campo visivo. Il ricordo era così forte che indietreggiai.
Un istante dopo mi diedi della stupida e riposai le mani sulla maniglia premendola.
Improvvisamente un suono acuto mi perforò le orecchie. Era formato da due note che si intervallavano regolarmente, era una sorta di allarme.
Ero stata scoperta.
La porta non si apriva. Spinsi con maggiore forza, sperando che cedesse, ma questa rimase immobile.
Dannazione.
Mi voltai e strinsi gli occhi sperando di non scorgere nessuna sagoma in avvicinamento nell’oscurità. Potevo sentire un insieme di voci sommesse e del trambusto provenire da qualche zona indistinta dell’edificio, ma non potevo udire molto a causa del forte rumore dell’allarme.
Mi portai le mani alle orecchi e immaginai che il volume si abbassasse fino a diventare muto. Vidi la luce rossa dell’allarme lampeggiare sul fondo del corridoio, copra l’insegna ‘uscita di sicurezza’, ma era silenzioso.
Tirai un sospiro di sollievo e tornai sui miei passi incapace di decidere dove andare. Non mi rimaneva molta scelta se non quella di percorrere il corridoio all’indietro e tornare alla stanza bianca. Da lì sarei andata verso sinistra.
Mi mossi velocemente, questa volta sfiorando a malapena la parete. Sentivo un rumore di passi frenetici, mi sembravano sempre più vicini. Non sapevo quante persone poteva causare un rumore simile, ma mi metteva ansia.
Inizia a correre. Avevo la libertà vicina alle mie dita e non avevo alcuna intenzione di farmela scivolare via.
Arrivai alla svolta che avevo imboccato precedentemente e mi ritrovai nel corridoio dove c’era la stanza bianca, la porta leggermente socchiusa faceva in modo che una piccola porzione di oscurità rimanessie illuminata da un sottile fascio di luce. Staccai le dita dalla parete e mi misi a correre finchè avevo davanti agli occhi un obiettivo visibile.
I passi che udivo si fecero sempre più vicini, così come anche le voci concitate. C’era qualcuno che parlava sopra gli altri, probabilmente impartendo ordini, ma non riuscivo a capire cosa dicesse.
Oltrepassai la luce proveniente da quella che era stata la mia prigione e ritornai a sfiorare con una mano la parete. Sapevo che non dovevo correre, avevo i muscoli ancora indolenziti e andare veloce nell’oscurità mi avrebbe potuta far finire contro un muro, a quel punto avrei di nuovo perso conoscenza ed ero stanca di ciò. Ero felice di essere consapevole di ciò che mi accadeva e non ero entusiasta all’idea di tornare ad essere un automa.
Una porta laterale si aprì e una luce gialla inondò il corridoio, vidi delle sagome stagliarsi di fronte a me, ne contai cinque, ma potevano anche essere di più. Mi arrestai e li fissai per un lungo secondo. Il cuore mi martellava nel petto e l’adrenalina mi faceva tenere gli occhi spalancati e i sensi all’erta. Ero pronta a ogni loro mossa.
Eppure rimanemmo immobili uno di fronte a tutti.
Una torcia mi venne puntata dritta in faccia. Non ero più abituata alla luce, quindi istintivamente mi portai una mano sugli occhi.
“Marguerite, non vogliamo farti del male!” disse la voce di un uomo.
Mi venne da sorridere. Quella era una delle classiche frasi da film, quelle a cui nessuno dovrebbe mai credere.
“E io non ne voglio fare a voi!”
Bugia. Mi sarei divertita a far loro del male. Dopotutto era colpa loro se avevo perso tutto quel tempo prezioso per salvare Dave, non avrei permesso a nessuno di frapporsi tra me e il mio obiettivo. Ero troppo determinata e avrei spazzato via chiunque si fosse messo in mezzo.
Un’altra torcia mi venne puntata in volto. Socchiusi gli occhi per il fastidio.
“Maguerite, non costringerci…”
Ne avevo abbastanza. Ogni secondo che perdevo era una possibilità in più che una vita fosse mietuta. Era un secondo in meno alla vita di Dave.
Liberai il mio potere come avevo fatto prima con la donna che era entrata nella stanza bianca, ma quella volta non pensai a colpire ognuno di loro, immaginai che si scagliasse contro ogni vetro presente in tutto il corridoio.
Un attimo dopo il frastuono fu assordante. Ogni vetro presente in un raggio di venti metri da me andò in frantumi emettendo un forte frastuono. Avrei voluto coprirmi le orecchie con le mani, ma in quel modo non avrei potuto sentire i miei cacciatori. Essi si gettarono prontamente a terra facendo rotolare le torce sul pavimento. I vetri volarono sopra le loro teste atterrando rumorosamente sul pavimento e rompendosi nuovamente. Le schegge saettavano davanti e dietro di me senza neppure sfiorarmi. Rimasi un istante a godermi lo spettacolo, le urla di stupore di quelli che dovevano essere degli agenti mista al loro dolore mentre le schegge graffiavano la loro pelle. Non provai pietà per loro, se l’erano cercata.
La mia unica possibilità era quella di raggiungere la porta dalla quale erano entrati. Fortunatamente il corridoio era leggermente illuminato dalle torce per terra, perciò riuscii a muovermi velocemente. I vetri danzavano intorno a me deviando la loro traiettoria se mi arrivavano troppo vicini.
“Sta scappando!” urlò una voce.
“Dannazione, serve un campo di contenimento!” disse un’altra.
“Siamo al quinto piano, la ragazza sta scappando!” uno aveva una mano portata all’orecchio, parlando a quella che doveva essere una ricetrasmettente. Mi avvicinai a lui. Egli sgranò gli occhi mentre la mia mano correva verso il suo orecchio. Estrassi con forza la ricetrasmittente e la sbattei con forza a terra, dopo di che la pestai col piede.
Ero sempre più arrabbiata.
Ero arrabbiata con me stessa per avere permesso tutto ciò, ero arrabbiata per avere perso tutto quel tempo, ero arrabbiata con loro perché mi avevano utilizzata come una cavia da laboratorio. Non riuscivo più a trattenermi e stavo riversando tutta la mia rabbia nei miei poteri, in quelle dimostrazioni di forza che dovevano ridarmi la libertà.
Varcai la porta dalla quale erano arrivate tutte quelle persone. Essa dava su una rampa di scale, senza pensarci troppo scesi. Pochi secondi dopo sentii dei passi affrettati alle mie spalle, segno che qualcuno mi stava inseguendo. Non persi tempo a voltarmi per vedere che faccia avesse chiunque fosse alle mie calcagna. Giunsi ad un pianerottolo al termine del quale non vi erano più scale che scendevano verso il basso. Ero piuttosto sicura di non aver sceso cinque piani, ma al massimo tre, quindi ancora non ero al piano terra. Varcai l’unica porta che c’era. Essa dava su un corridoio simile a quello di un ospedale come quello dal quale arrivavo. C’era un’unica differenza.
Era molto più affollato. Almeno una ventina di persone mi stavano bloccando la strada, erano poste l’una dietro l’altra in una specie di schema. Quelle più vicine erano accovacciate, quelle della fila dietro erano in ginocchio e quelle dell’ultima fila erano in piedi. Sembrava la posa di una foto di gruppo, peccato che tutti avessero una pistola in mano che puntava diritta verso di me.
Mi arrestai di colpo.
Avevo il fiatone, sentivo il ritmo frenetico del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie, mi sentivo accaldata. Istintivamente alzai leggermente le mani verso l’alto, come avevo visto fare nei film. Sentii la porta dalla quale ero arrivata richiudersi, segno che il mio inseguitore mi aveva raggiunta e che in quel momento si trovava dietro di me. Non ci voleva una gran fantasia a capire che anche lui mi stava puntando un’arma contro.
Nonostante probabilmente fossi molto più forte di tutti loro messi insieme, avere tutte quelle armi puntate addosso non mi rendeva tranquilla, anzi. Il mio cuore, già provato dalla corsa, sembrò aumentare ulteriormente i battiti, il respiro si fece più corto. La paura che anche solo uno di loro premesse il grilletto mi impediva di ragionare in maniera coerente, mi impediva di immaginare per compiere una magia.
“Basta così, mi sono stancato!” disse una voce nelle retrovie. Alcuni agenti mormorarono tra di loro senza tuttavia staccare gli occhi da me.
“Fatemi passare!” disse l’unica voce che mi aveva fatto compagnia nella mia incoscienza.
Gli agenti si guardarono perplessi. La voce era imperativa, ma mi sembrava ovvio che non apparteneva ad un loro superiore, quindi avevano riluttanza ad obbedire.
“Lei è il MIO caso!” ribadì la voce con maggiore convinzione.
La piccola folla si aprì per far passare un uomo solo. Spallato, con i corti capelli marrone chiaro lisci pettinati con perizia sulla sua testa. Non aveva più il cerotto bianco a nascondergli un sopracciglio e lo sguardo era severo e determinato.
Avevo sopportato a fatica quell’uomo e le sue domande, avevo desiderato la sua morte e avrei voluto esserne io l’artefice. Eppure era la prima faccia conosciuta che vedevo da non so quanto tempo. Un peso che avevo sul petto, il peso di tutta quella colpa che grava su di me, parve essere meno opprimente.
Cyfer si fece avanti a spallate, lo sguardo dritto su di me. Diversi agenti abbassarono le loro armi e fissarono con astio l’uomo che aveva osato bloccarli.
“Perché?” domandò uno di loro.
“Lei è il mio caso, e soprattutto abbiamo già perso dodici uomini!”
“E non ne perderemo uno di più!” ribattè l’agente.
Cyfer non lo guardò nemmeno. Si arrestò a pochi centimetri da me sovrastandomi con la sua altezza e guardandomi con sguardo severo.
“Tu non conosci Marguerite Jones!” disse semplicemente incatenando il suo sguardo nel mio.
Mi venne da sorridere, ma non lo feci. Sapevo che la faccenda era estremamente seria. Potevo sentire la tensione nell’aria, era come se crepitasse come corrente elettrica.
Cyfer stava sfidando le autorità, stava mettendo in discussione gli ordini.
Gli fui infinitamente grata per quello, ma non sapevo fino a che punto potevo fidarmi, era pur sempre Edward Cyfer, l’uomo che era stato mandato a tenermi d’occhio.
Mi circondò un braccio con la sua grossa mano e, gentilmente, mi trascinò in mezzo agli agenti. Passai tra di loro a testa alta e con lo sguardo colmo di sfida. Ero tornata lucida e, se mi avessero minacciata, avrei scagliato la mia magia contro di loro. Mi sentivo enormemente più sicura di me.
 
 
“Bè, grazie, è stato un piacere!” feci per liberarmi della sua stretta, ma essa era salda e, soprattutto, non sembrava essere intenzionato a lasciarmi andare.
“Cyfer, basta che mi indichi l’uscita!” continuai, cercando nuovamente di liberare il braccio dalla sua mano.
“Non puoi andartene come se nulla fosse!”
“Certo che posso!” sbottai irritata. Era sempre il solito Cyfer, quello odioso al quale avrei staccato volentieri la testa.
“No, non puoi!”
“Lasciami andare!” sibilai.
“Altrimenti?” lo guardai con fare minaccioso e gli occhi socchiusi.
“Siamo appena entrati in quello che viene chiamato un campo di contenimento. Qui il potere esiste, ma non può essere utilizzato, qui non puoi nuocere a nessuno!”
“E io dovrei credere alla storia del campo di contenimento?” alzai un sopracciglio e lo guardai con scetticismo.
“Ti invito a fare una prova! Alcune aree dell’edificio sono protette in questo modo. Sono le zone che utilizziamo per fare esperimenti con il potere!”
“O per studiare le persone!” conclusi facendo trasparire in quell’unica semplice frase tutta la mia rabbia.
Cyfer sospirò.
“Anche. Senti Mar, non approvo quello che ti è stato fatto!” si giustificò.
“Per questo non mi fai fuggire? Perché non approvi?” ero sarcastica e il mio tono di voce era tagliente.
“Non posso farti fuggire così, abbiamo bisogno di risposte!”
“Potevate averle prima, ora ho cose più importanti da fare!” dissi infastidita dalle sue parole.
“Tipo conquistare il mondo?” era scettico e si stava prendendo gioco di me.
“Attento Cyfer! Sarà anche in un campo di contenimento, ma so tirare un pugno!” lo guardai minacciosamente. Lui fissò lo sguardo dinnanzi a se e strinse la mascella.
“Cos’hai di così importante da fare?” domandò tra i denti.
“Conquistare il mondo!” ribattei, evitando di dargli una vera risposta. Osservai la sua mascella contrarsi ancora di più mentre mi guidava per i corridoi della struttura.
“Smettila!”
“Hai iniziato tu a fare dell’ironia sulla mia nobile missione!”
“Non è un gioco!” sembrava che a stento riuscisse a trattenere la rabbia, avrei voluto che esplodesse per avere una scusa per prenderlo a pugni.
“Lo so che non lo è!” lo dissi con amarezza, ripensando a come Jasmine aveva giocato con me. Per lei era stato un gioco, ma per me, per Dave e per tutte le altre persone la cui vita era in pericolo non lo era. Eppure io mi ero comportata tutta la vita come lei. Avevo giocato con le esistenze altrui senza comprendere che per loro quella era la vita vera.
 Ora lo capivo e la cosa mi feriva.
Un altro dei miei tanti errori. Cercai di pensare ad altro, non aveva senso continuare a ripetermi da sola quanto fossi stupida, quello non avrebbe rimediato ai miei danni.
“Perché mi hai salvato la vita?”
Mi accigliai udendo la sua domanda.
“Perché dici che ti avrei salvato la vita?”
Cyfer parve volersi rimangiare quello che aveva appena detto e io glielo lasciai fare. Non mi interessava quello che stava blaterando.
“Perché sono viva?” domandai a bruciapelo. Fin da quando mi ero risvegliata in quella stanza bianca avevo capito che non dovevo essere lì, che tutto era sbagliato. Avevo sentito Dave che mi risucchiava tutti i poteri e, infine, tutta la mia essenza. Avevo sentito la vita abbandonarmi.
Avevo percepito la gioia di quel mostro che era stato il ragazzo più gentile del pianeta mentre succhiava via tutto ciò che rimaneva di me.
Eppure ero lì, e un posto con Cyfer non poteva essere il paradiso, forse l’inferno, ma nel mio inferno ci sarebbero dovute essere tutte le mie vittime a tormentarmi per l’eternità e non vedevo nessuna di esse, a partire da Rob.
Quello non era l’inferno: ero viva.
Da quando quella agente aveva aperto la porta della stanza non avevo avuto molto tempo per pensare al perché respiravo ancora, avevo avuto la testa impegnata, ma in quel momento non stavo fuggendo, quindi quella domanda continuava ad assillarmi.
“Crediamo che sia stato il potere dentro di te a guarirti! Come ti sei fatta quelle ferite? C’è stato uno scontro vero?”
Non risposi alla sua domanda, ero troppo concentrata sulla prima frase che aveva detto.
Non poteva essere stato il potere a guarirmi perché non ne avevo più. Dave me lo aveva risucchiato, lo avevo percepito. Eppure potevo sentirlo scorrere dentro di me.
Improvvisamente mi ritrovai a pensare che tutto quello che mi fosse successo fosse solo un brutto sogno. Ma non poteva esserlo. Quello stesso giorno avevo visto la cicatrice sulla gamba, la ferita c’era stata davvero.
Avevo sentito Alex parlare di Dave con tono preoccupato, quindi era davvero scomparso. Eppure qualcosa non quadrava.
“Combattevi con o contro Dave?” lanciai una brutta occhiata a Cyfer che continuava imperterrito a fare le sue domande, in quel modo disturbava i miei ragionamenti.
Non risposi e continuai a camminare in silenzio al suo fianco.
Dopo pochi istanti Cyfer si fermò dinnanzi ad una porta e bussò un paio di volte.
“Avanti !”esclamò una voce dall’interno.
Con la mano libera Cyfer spalancò la porta, poi mi spinse dentro prima di seguirmi.
La stanza era piccola ed ordinata. Sull’estremità opposta alla porta c’era una scrivania fatta di legno pregiato, dietro la quale sedeva un uomo brizzolato che portava un paio di occhiali dalla montatura nera dinnanzi agli occhi azzurri.
L’uomo parve stupito di vedermi lì, sgranò gli occhi e guardò con fare interrogativo Cyfer.
“Abbiamo perso troppo tempo Dush, è giunto il momento delle risposte!”
Era ovvio che quel Dush fosse un superiore di Cyfer, ma il tono con il quale gli aveva parlato non era affatto quello di un sottoposto, era quello di un leader.
“Non sono d’accordo!” l’uomo mi lanciò una lunga occhiata, come se con esse avrebbe potuto studiarmi.
“Ci darà il suo potere se l’ascolteremo e non la sederemo più!” asserì Cyfer.
Un lampo di sorpresa giunse dentro di me, ma cercai di nasconderlo. Una specie di sesto senso mi diceva che sarebbe stato meglio assecondare la storia d Cyfer così annui semplicemente.
“Molto bene!” era decisamente seccato “Dopotutto te lo devo, hai appena mobilitato metà del personale con la tua fuga!”
“Una fuga mal riuscita a quanto pare!” sibilai, lanciando un occhiata gelida a Cyfer. La presa sul mio braccio si era allentata, così lo strattonai e mi liberai della sua mano. Avanzai con studiata calma e mi sedetti su una delle morbide sedie dall’altra parte della scrivania.
“Lei è il boss?” domandai studiando il sua volto maturo.
“Dush!” disse semplicemente.
“Immagino che lei sappia chi io sia!” ribattei con arroganza.
“Hai dato abbastanza problemi da far in modo che i ricordassi il tuo nome!”
Cyfer prese posto accanto a me. Potevo vedere con la coda dell’occhio che era decisamente teso.
“Ne sono lieta!” feci un sorriso di cortesia decisamente finto. “Così lei è lo stronzo che mi ha fatto perdere tutto questo tempo!”
Cloud non sembrò particolarmente toccato dall’insulto. Mi guardò con lo stesso interesse che userebbe un esperto d’arte di fronte a un opera di Raffaello.
“Tre mesi!” disse semplicemente, non negò, diede solo un terribile numero. Sgranai gli occhi dimenticandomi del tono di finta cortesia e delle maniere posate che stavo adottando.
“Tre mesi?” la mia voce era leggermente più acuta del normale. Lui parve incuriosito dal mio cambiamento d’umore.
“Qual è il problema, Marguerite?” domandò con tutta la calma del mondo. Mi venne voglia di scagliargli addosso la sua costosissima scrivania.
“Il conto alla rovescia è iniziato, e voi mi avete fatto perdere tre mesi?” non riuscivo a credere alle mie orecchie. Tre mesi. Se Jasmine aveva deciso fin da subito di provare a concepire un figlio con Dave e le cose erano andate per il verso giusto quello voleva dire che a Dave rimanevano si e no sei mesi di vita.
Dannazione.
“Che conto alla rovescia?” le domande di Cloud erano studiate. Mi fissava incuriosito e per nulla agitato, quanto avrei voluto spaccargli qualcosa in testa.
“Siete un’associazione di imbecilli!” sbottai sempre più agitata alzandomi in piedi “Nella foga di avere il potere che è in me avete condannato a morte degli innocenti!”
“Se parli dei miei 12 uomini, ti posso assicurare che non ci saranno più morti!”
Sbattei con forza le mani sulla scrivani e mi poggiai su di esse avvicinando il mio viso al suo, solo quel mobile ci separava e, arrabbiata com’ero, ero piuttosto sicura di poterlo spostare senza un grande sforzo.
“Non so nulla dei tuoi 12 uomini, ma so che delle persone innocenti moriranno solo perché possiedono del potere. E alla fine morirà l’ultima persona al mondo che dovrebbe farlo, l’unica che meriterebbe di vivere più di tutti noi messi assieme!” lo dissi con foga. Potevo sentire gli occhi di Cyfer su di me. Era stupito di sentirmi parlare in quel modo, non era da me, ma da quando avevo scoperto il modo in cui Jasmine si era servita della mia sete di potere per distruggermi avevo cambiato modo di vedere le cose.
Quella stessa sete danzava negli occhi di Dush e lo rendeva cieco, così cieco da fargli buttare al vento tre mesi. Se per prima cosa avesse preteso le rispose avrebbe saputo che non poteva permettersi di perdere neppure un minuto.
“Sei brava a sviare i discorsi, non ti ho sottovalutata! Allora dove hai preso i poteri che hai?” domandò con
semplicità, come se non gli avessi rivelato nulla di sconvolgente.
Strinsi i denti mentre la rabbia divampava sempre di più dentro di me.
“MA MI HAI SENTITA?” sbottai alzando la voce “DAVE RISCHIA DI MORIRE!” aggiunsi in preda alla furia più totale.
“Dave? Dave Sullivan?” finalmente avevo catturato la sua attenzione, questo fece calmare un po’ la mia rabbia. Sentii Cyfer trattenere il respiro alle mie spalle.
“Sì lui!” confermai rilassandomi leggermente.
“Che gli è successo?”
“E’ successo che quella che tu dirigi è un’associazione di buoni a nulla. Vi ho fatto credere che il nemico fosse Alan Black mentre lui era solo una pedina di un gioco più grande!” vidi Dush trattenere il fiato e assaporai quel  momento in cui egli pendeva dalle mie labbra. “In realtà le redini erano in mano ad una strega abilissima. Lei ha fatto uscire Alan di prigione. E’ stata lei a ridarmi i poteri e, sempre lei, mi ha costretta a fare tutto ciò che ho fatto per consegnarle Dave. E’ lei che ucciderà, se non ha già ucciso, ed è lei che devo fermare!”
“Ho bisogno di più informazioni!” era come un bambino avido che gli venisse raccontato il resto della fiaba, ma era un bambino cattivo e non lo meritava.
“Non ne ha bisogno invece. Io sono riuscita a mettervi tutti nel sacco facilmente. Lei è incredibilmente più capace, quindi brancolereste nel buio. Io la fermerò, ma per fare questo mi dovete lasciarmi andare!”
Ero determinata a tentare il tutto per tutto.
Dush mi guardò con freddezza e battè le mani un paio di volte in un triste applauso.
“Ci hai provato, ma non sono così stupido da lasciarti andare!”
Me lo aspettavo, ma dovevo trovare il modo di aggirare l’ostacolo. Improvvisamente ebbi un’idea.
“Allora mettiamola così, sono disposta a collaborare con voi, così sarai sicuro della mia onestà. Voglio fare quello che questa associazione non sembra in grado di fare! Dush, lei è troppo impegnato con i giochi di potere per compiere il suo dovere, questo non è positivo. Rivelerò tutto quello che è successo solo ad un agente di mia fiducia e lavorerò solo al suo fianco. Lei avrà la sua garanzia e finalmente questa associazione riuscirà  a fare qualcosa di utile. Dopo di che avrà anche il mio potere. In più collaborerò autonomamente a qualsiasi test decidiate di farmi, purchè non venga sedata e purchè questo non mi faccia perdere il poco tempo che ho a disposizione. Ci sta?”
Lo guardai con determinazione dritto negli occhi. Sapevo di non poterlo soggiogare, ma adoravo fissare le persone nelle iridi, incatenare i loro sguardi, era un modo per sfidarli a distoglierlo.
“Sarai sotto la stretta sorveglianza di un agente che mi informerà di ogni tua mossa. Scegli pure l’agente di tua fiducia con cui lavorare, io sceglierò quello che ti seguirà dovunque andrai!”
Strinsi la mascella, dovevo aspettarmi quella complicazione.
“Basta che non si intrometta!”
Dush annuì velocemente.
“Allora chi è il fortunato?”
Sorrisi.
“Edward Cyfer, non è ovvio?”

 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Daisy Pearl