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Autore: Mary P_Stark    01/02/2014    5 recensioni
Spring Hamilton è proprietaria di un grazioso negozio di fiori, il Four Seasons, nella contea di Silver Spring, a Washington D.C.. Come i gemelli Winter, Summer e Autumn, padroneggia i poteri di un Elemento, ed il suo è la Terra. Ogni creatura che vive e prospera risponde al suo richiamo, ma nessun potere ancestrale potrà aiutarla a non rimanere abbagliata da Max Parker, A.D. della ditta di costruzioni Parker Inc. Pur se i loro interessi sembrano essere diametralmente opposti, paiono attrarsi come due calamite. Ma riuscirà Spring a passare sopra alla sua paura di ammettere con lui chi è realmente? Potrà dirgli che lei è la Guardiana della Terra? 2° RACCONTO DELLA SERIE "POWER OF THE FOUR" - (riferimenti alla storia presenti anche nel racconto precedente)
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
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- Questa storia fa parte della serie 'The Power of the Four'
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2

 

 

 

 

«No, devi inserire uno strato di sughero, se non vuoi che i condomini sentano tutto di tutti. Non mi interessa se costa più del poliuretano espanso. Il risultato è migliore, e lo stabile ha rifiniture di pregio, ivi compreso lo strato di isolante acustico.»

Max sbuffò infastidito – ogni volta, doveva discutere con il loro responsabile acquisti – e ascoltò paziente la sequela infinita di repliche di Marlon, prima di interromperlo.

«Odio sottolineare l'ovvio, Marl, ma chi comanda sono io, i miei genitori mi hanno dato pieni poteri da questo punto di vista, perciò comprerai quel maledetto sughero, anche se il costo è del cinque percento in più.»

Chiuse la comunicazione con un fastidio così viscerale da sentirlo risalire dalle gambe fino al petto, dove assunse le sembianze di un brutto attacco di acidità di stomaco.

Preso in fretta un antiacido dal blister che portava sempre con sé nella sua ventiquattrore,  Max tirò un sospiro di sollievo solo quando intravide la scritta del negozio di Spring e, allungando il passo, si affrettò per raggiungerlo.

Il giorno prima era stata così gentile – e ingegnosa – da trovargli a colpo sicuro il luogo più adatto per il matrimonio del fratello.

Dopo aver parlato in sua vece con la titolare del Club, aveva ottenuto per Chris l'utilizzo della sala conferenze e del giardino per l'intera giornata scelta per la cerimonia.

Non aveva idea di come avesse fatto, ma aveva sapientemente orchestrato il discorso portando la proprietaria proprio doveva aveva voluto arrivare lei.

Alla fine, però, aveva dato l'impressione che il buon esito della contrattazione fosse dovuto solo alla gentilezza della direttrice del Club.

Un vero asso, niente da dire.

Sarebbe stata un autentico squalo, negli affari.

Eppure si accontentava di avere solo un negozio di fiori, bellissimo ovviamente, ma solo un negozio.

Con il suo talento, avrebbe potuto averne un'intera catena.

In più Stati, forse.

Nell'afferrare la maniglia della porta, si ripromise di metterle la pulce nell'orecchio in merito.

Già sul punto di salutarla non appena la vide spuntare dal retrobottega, si bloccò di botto quando scorse dietro di lei la figura imponente ed elegante di un uomo.

I loro sguardi si incrociarono, complici, mentre insieme portavano nel negozio un’enorme fioriera rettangolare color mattone.

Max li osservò accigliato; i loro movimenti parevano studiati alla perfezione, come se stessero ballando, e non sistemando un ingombrante vaso di terracotta su un ripiano.

Non aveva idea del perché quella vista gli desse così fastidio, ma tant'era.

L'acidità allo stomaco aumentò.

«Hai altro da sistemare, Spry, perché...» iniziò col dire l'uomo, prima di avvertire lo sguardo di qualcuno su di sé.

Non appena si volse, Max incrociò i suoi chiarissimi quanto gelidi occhi e Spring, lanciando a entrambi un'occhiata incuriosita, sorrise divertita e commentò: «Smettila, Win, o giuro che ti pesto un piede.»

L'uomo che Spring aveva chiamato Win distolse lo sguardo di colpo, come riscuotendosi da un sogno e, sorridendo alla donna, mormorò: «Chiedo venia, mo chrói... forza dell'abitudine.»

Spring scrollò le spalle, come se fosse abituata a quell'atteggiamento da mastino e, nel volgere lo sguardo in direzione di Max, sorrise maggiormente.

«Ciao, Max. Tutto bene?»

«Ciao, Spring. Non so... dipende se ho disturbato o meno» si limitò a dire lui, continuando a fissare Win come in cerca di qualche segnale indiretto da parte sua.

Lei allora scoppiò a ridere e, dando una pacca sul braccio a Win, asserì: «Oh, cielo, no! Lui è mio fratello Winter. Win, lui è Max Parker.»

Come se all'improvviso si fosse rischiarato il suo mondo, Max tirò mentalmente un sospiro di sollievo e, rasserenandosi in viso, allungò una mano in direzione dell'uomo.

«Okay, bell'errore di valutazione. Dalla mia posso dire che non vi somigliate affatto.»

Stringendo con forza la mano protesa di Max, Win annuì replicando: «E meno male, o a quest'ora sarei già morto. Con tutti gli strumenti elettronici che uso sul lavoro...»

Spring sbuffò infastidita, a quell'accenno, e Max, aggrottando un momento la fronte, spalancò la bocca subito dopo, esclamando: «Oh,... cavoli. Winter Hamilton! Il ricercatore! Ora mi ricordo!»

Annuendo, Winter infilò le mani nelle tasche dei jeans scuri che indossava e borbottò: «Il Caso dello Stretto, già. I giornalisti mi danno ancora fastidio, ogni tanto.»

«Beh, immagino che, finché non avranno finito il processo, la tartasseranno ben bene.» 

Fin da quando Spring gli aveva accennato di avere dei fratelli, e che uno di loro si chiamava Winter, la sua mente aveva iniziato a rimuginare su vaghi ricordi che turbinavano nella sua mente super impegnata.

Ecco perché quel nome aveva scatenato la corsa ai ricordi!

Quel caso aveva scosso l'opinione pubblica, e migliaia di attestati di stima erano giunti al NOAA per sostenere i ricercatori e il coraggio da loro manifestato.

Ricordava bene che anche la madre aveva scritto una lettera di encomio per lodare il coraggio dei cinque scienziati, portandola di persona alla sede locale del NOAA.

E così, lui era Winter Hamilton.

Climatologo e, gioco forza, eroe nazionale fino a nuovo ordine, così come i suoi colleghi di lavoro.

I giornalisti avevano ricamato talmente tanto sulla rocambolesca fuga che aveva visto protagonisti il dottor Hamilton e la dottoressa Clark che, alla fine, era stato difficile capire dove finissero le buffonate e dove iniziasse la verità.

Di certo, non sembrava un uomo che era stato a un passo dalla morte, tutt'altro.

Il suono del telefono del negozio distolse i tre dallo strano silenzio calato tra di loro e Spring, allontanandosi dai due uomini per rispondere, sperò che il fratello non si lasciasse andare a scenate di dubbio gusto.

Non ce n'era davvero bisogno.

Winter, invece, si limitò a dire: «Spry mi ha detto che la sta aiutando per il matrimonio del fratello.»

«Senza di lei, sarei ancora a brancolare nel buio. Mio fratello era impazzito, quando ha pensato di far organizzare a me un simile evento» brontolò Max, sfiorando con un dito il petalo carnoso di una rosa rosso rubino. «Datemi una casa da costruire, un quartiere da far nascere dal nulla, e mi so districare meglio di un esploratore nella giungla... ma quando si tratta di cose come queste, vado nel caos più totale.»

«Cose che crescono per mano della natura, o i matrimoni?» si informò con casualità Winter.

«Entrambe le cose. E' mia madre che si occupa del verde, per quel che riguarda la ditta, non certo io. Non saprei distinguere una quercia da un abete, credo... e neanche saprei cosa mettere di adatto. Coi matrimoni è lo stesso» ammise Max, sollevando esasperato le sopracciglia.

«Eppure, costruire una casa richiede gusto, stile e una buona dose di senso del colore. E cioè quel che serve per mettere in piedi un matrimonio… o piantare un arbusto in giardino» gli fece notare Winter, sorridendo misteriosamente.

«All'equazione manca il lato romantico e, in quello, sono deficitario. Mia madre dice che lavoro troppo, e che questo ha castrato il mio lato più nascosto e femminile.»

Nel dirlo, ghignò.

Win allora sorrise con una buona dose di complicità maschile e, nel veder tornare Spring, si limitò a dire: «Beh, Spring ha senso del romanticismo in abbondanza.»

Afferrando quelle ultime parole, la donna intrecciò le braccia sotto i seni e mugugnò: «Con questo vuoi dire che sono troppo sdolcinata, e che mi vengono gli occhi a cuore quando vedo i film d'amore?»

«Precisamente» sorrise Winter, chinandosi per baciarla sulla tempia. «Ora vi lascio ai vostri affari. Summer passerà nel giro di dieci minuti per darti una mano. A stasera.»

«Incrementeremo le vendite del dieci percento, con Summy in negozio» ridacchiò Spring, tutta soddisfatta, dando una carezza sul viso al fratello prima di vederlo avviarsi verso la porta.

Sull'ingresso, Win si fermò, lanciò un'altra occhiata a Max e infine lo salutò, avviandosi con passo spedito verso la sua Prius grigia.

«Visita di cortesia... o di controllo?» si informò a quel punto Max, sorridendole divertito.

Spring ridacchiò e ammise contrita: «Win mi ha sgridata, quando gli ho detto di essere venuta in auto con te.»

«E ha fatto bene. Nel caso specifico, non avevi nulla da temere, ma se sei così espansiva nell'accettare un invito da tutti quelli che vedi, prima o poi ti caccerai nei guai» asserì lui, con non poca supponenza.

Spring allora levò un sopracciglio con evidente sarcasmo.

«Oh, allora devo ringraziare il cielo se sei capitato tu alla mia porta. Chissà cos'avrebbe potuto succedermi!»

Max si limitò a sghignazzare e, curioso, le chiese: «Perché hai accennato a un incremento delle vendite, parlando dell'altro tuo fratello... o sorella? Summer è tua sorella, giusto? Non mi ricordo male, vero?»

Un risolino divertito e, sì, in qualche modo compiaciuto, scaturì dalle belle labbra a cuore di Spring, quel giorno abbellite da un bel rossetto rosa antico.

 Con tono tronfio, dichiarò: «Diciamo che, quando la vedrai, capirai da solo il perché.»

«Uhm, la cosa si fa interessante» ammiccò Max, poggiando le mani sui fianchi. «Hai il catalogo di cui mi parlavi? Mentre aspettiamo l'arrivo di tua sorella, possiamo mettere le mani avanti.»

«E' sul bancone e...»

Vedendo entrare una cliente di vecchia data, si scusò un momento con Max e chiamò Justine e Melanie – che si trovavano nel retrobottega – perché venissero a sostituirla momentaneamente in negozio.

Nel giro di un minuto, Spring fu da lui e Max, affiancandola al bancone dove si trovava la cassa, poté abbeverarsi del suo dolce profumo di gelsomino.

Era curioso come riuscisse ad avvertirlo chiaramente, pur trovandosi in un negozio di fiori, eppure era più che certo che si trattasse di lei.

Era anche altresì curioso come quella donna, appena conosciuta, riuscisse a intrigarlo tanto. Non era mai stato un fanfarone, o un latin lover.

Aveva sempre preferito lavorare piuttosto che darsi alla bella vita e spassarsela con le donne e, spesso e volentieri, suo fratello Chris gli aveva dato del monaco, per questo.

A Max non erano mai interessati i suoi insulti velati o le sue battutacce di spirito. Quel che più gli era premuto, negli anni, era portare alle stelle il nome della sua famiglia.

Rendere fiorente l'idea del padre, era stata la sua ispirazione.

Fare in modo che non dovesse essere più lui in persona a mettere mattoni e calce, ma che fossero degli operai a farlo per lui, il suo impegno primario.

Aveva passato anni nei cantieri edili del padre, inframmezzando i suoi studi a lunghi periodi passati sopra i tetti, piuttosto che nelle fosse scavate per approntare le fondamenta delle case.

Il sudore della sua fronte era caduto, e si era mescolato, con la terra delle prime case costruite dalla piccola impresa del padre.

All'epoca, nessuno di loro avrebbe immaginato di poter conquistare appalti come un intero centro commerciale o un quartiere residenziale come, invece, erano soliti fare ora.

Max si era impegnato anima e corpo per condurre l'azienda dov'era adesso, non si era mai tirato indietro laddove aveva trovato un problema o un inghippo e, alla fine, era riuscito a creare un nome solido, una garanzia per il cliente.

Aveva lavorato sodo per quindici anni, faticando non poco a conciliare università e compagnia, ma ce l'aveva fatta.

Anche grazie all'aiuto costante dei suoi genitori, che l'avevano appoggiato nel suo progetto di allargare gli orizzonti della ditta, era infine riuscito a ottenere ciò che voleva.

Chris, di sei anni più giovane di lui, era stato coinvolto molti anni dopo e, grazie alla sua passione per la tecnologia, aveva introdotto la Parker Inc. all'interno del mercato telematico e della rete.

Nonostante quel che diceva di lui con tono scherzoso, Max gli era grato, perché ammetteva senza remore che il suo aiuto era stato prezioso e illuminante.

Il fatto che, dopo tutti quegli anni di disinteresse più o meno totale nei confronti del gentil sesso, si ritrovasse a trovare più che piacevole la compagnia di Spring, fu per lui una piacevole novità.

Certo, lei era bella come una giornata di sole, tutta allegria e graziosi sorrisi, quindi avrebbe dovuto essere un pezzo di ghiaccio per non essere attratto anche a livello superficiale da quella donna.

Ma c'era dell'altro.

Non era solo la sua bellezza a fargliela trovare interessante.

C'era il modo in cui si sistemava le ciocche di capelli dietro le orecchie, o come arricciava il naso quando era pensierosa.

Abbastanza inquietante, il fatto che avesse notato queste cose in due soli giorni, ma tant'era.

E non aveva nessuna intenzione di smettere di guardarla.

Almeno per il momento, gli piaceva un sacco ritagliare una parte del suo tempo per dedicarlo a lei.

Il matrimonio? Avrebbe dovuto ringraziare sua madre per averlo indirizzato lì per i fiori per la cerimonia di Chris.

«Ecco, avevo pensato a una composizione di questo genere» disse Spring, attirando la sua attenzione. «Il vasellame sembra fatto di ghiaccio, perciò direi che è adattissimo alla coppia e, abbinato coi fiori che avevo scelto, direi che si combinerebbe alla perfezione. Teniamo poi presente che la struttura esterna del Club è interamente bianca, e anche i suoi articoli da giardino hanno quella tinta, perciò direi che potremmo tranquillamente evitare di affittare sedie e tavoli.»

«Da quel che ho visto, la struttura del Club si adatta anche per una cerimonia formale, vista la struttura a colonne, che richiama il pronaos1 di un tempio greco» annuì pensoso Max, tracciando con un dito lo schema della struttura.

«Pensavi a uomini in frac e dame dagli abiti lunghi?» ironizzò vagamente Spring, ammiccando al suo indirizzo.

«Chris mi ammazzerebbe, no...» sghignazzò Max, scuotendo il capo. «... ma credo sia giusto che ci sia un po' di stile, visto che il matrimonio non si svolgerà in chiesa. Dopotutto, è uno dei soci della Parker Inc.. Sarebbe assurdo non badare anche a questo, ti pare?»

Tamburellandosi il dito indice sul mento, Spring assentì dopo qualche secondo.

«Sì, in effetti sarebbe da persone superficiali non badare anche a un aggancio simile. Dopotutto, avete un nome da tenere alto.»

«Qualcosa del genere.»

Con una scrollatina di spalle, Max ammise: «Con la testa di Chris, lui festeggerebbe il matrimonio in un pub, ma sarebbe decisamente squallido.»

«Denigrando i pub, offendi la mia anima irlandese» replicò lei, con aria falsamente accigliata.

Max allora si portò una mano al cuore e, con un mezzo sorriso, esalò: «Non lo sapevo, perdonami. Diciamo, allora, in pub squallidi.»

«Così va meglio» ridacchiò Spring, sollevando le sopracciglia di colpo per poi afferrarlo per le braccia con l'intento di farlo voltare.

«Ecco la spiegazione al rialzo delle vendite.»

«Cosa intendi... dire...?» esalò sorpreso Max, gracchiando l'ultima parola non appena i suoi occhi verdi, dagli strani riflessi dorati, inquadrarono la figura sensuale di quella che, a quanto pareva, doveva essere Summer Hamilton.

Statuaria come una dea greca e con rossi e fluenti capelli, simili a una cascata impetuosa, la donna entrò nel negozio abbigliata con un completo total black  in pelle, e scarpe nere con tacchi a spillo vertiginosi.

Assieme a lei, in jeans schiariti e camicia bianca a righine azzurre, un afroamericano dai capelli cortissimi e gli occhi scuri e brillanti come ossidiana entrò nel negozio e, con voce potente e sonora, esclamò: «E' arrivata la cavalleria!»

«Dov'è la mia sorellina preferita?» esordì Summer, guardandosi intorno prima di incrociare lo sguardo ceruleo della sorella ed esibirsi in un sorriso magnetico.

Spring mollò il fianco di Max per raggiungere la gemella, più alta di lei di quasi mezza testa – nonostante lei non fosse piccola, col suo metro e settanta – e, con un gran sorrisone, esclamò: «Hai portato J.C.! Che bello!»

Sentendosi nominare, l'uomo appena entrato si esibì in un sorriso gioviale e, avvolgendo nelle sue poderose braccia tatuate la minuta Spring, mormorò: «Splendore,...è un piacere rivederti!»

«Sono mesi che non ti fai più vedere qui... pensavo ce l'avessi con me!» rise Spring, lasciandosi stritolare dal collega della sorella.

«Big Mama ci ha tenuti impegnati con il Galeras2 e, subito dopo, ci ha spediti in Sicilia, lo sai. Abbiamo cominciato a respirare solo ora, dopo aver ultimato le analisi compiute sulla bocca dell'Etna. Ma tra qualche mese ripartiremo ancora. Ci aspettano bianche spiagge, mari caldi e palme a profusione. Una vera pacchia.»

Ammiccò all'amica e, dandole un buffetto sulla guancia, aggiunse: «Sei una vera bellezza, Spry... ancora un po' e sarò costretto a chiederti di sposarmi.»

Spring scoppiò a ridere, mentre Summer li fissava con aria di sufficienza, ma Max non trovò nulla di divertente in quello scambio di battute.

Il fatto che Spring si trovasse così a suo agio con quel nuovo venuto, che non aveva nulla da invidiare a Denzel Washington quanto a fascino e prestanza fisica, lo fece irrigidire sullo sgabello su cui si era accomodato.

Impaziente e, sì, accigliato, attese che lei si allontanasse da quel Maciste color cioccolato.

Summer, avvedendosi immediatamente dell'occhiata caustica che l'uomo assiso accanto al bancone lanciò a Spring e J.C., si mosse verso di lui con la mano protesa.

Pacata, mormorò: «Ci vorrà ancora un po' prima che Spring molli John. Io sono Summer Hamilton e tu, immagino, sei Max Parker. Tanto piacere.»

Stretta la mano della donna, Max si concesse il lusso di studiarne meglio il volto dall'ovale perfetto, e su cui splendevano degli strani occhi da gatta che, per qualche strano motivo, lo misero a disagio.

Erano chiaramente verdi come le giade, eppure la corona esterna dell'iride appariva più scura, quasi fosse scolpita negli smeraldi più puri, conferendo all'occhio sfumature davvero insolite.

E, in quel momento, quegli occhi inquietanti erano puntati con curiosità su di lui.

«Certo che, pur essendo gemelle, non vi somigliate per nulla» riuscì a dire Max senza apparire del tutto idiota.

Ridacchiando nel ritirare la mano, Summer tornò a guardare sorella e collega, che si stavano scambiando vicendevolmente battute più o meno maliziose.

«Sì, non c'è alcuna somiglianza fisica, e neppure di carattere, se è per questo. Ma ci lega il sangue, oltre all'amore.»

Max tornò a scrutarla, e notò immediatamente il modo in cui la donna studiava la sorella e le sue reazioni alle battute di J.C., quasi fosse pronta a intervenire in qualsiasi momento in suo aiuto.

Esattamente lo stesso sguardo che Winter aveva rivolto alla gemella poco prima di uscire dal negozio, lasciandola sola con lui.

Ritrovandosi a sorridere comprensivo, Max mormorò: «Siete molto protettivi con lei, vero?»

«Siete? Oh, devi aver incontrato Win.»

Sorrise divertita, e aggiunse: «Sì, siamo protettivi con lei perché è la più dolce e generosa, tra noi. Abbiamo sempre paura che qualcuno possa ferirla, anche se sappiamo che sa difendere se stessa ed il suo cuore con efficacia. Però... ci viene spontaneo controllarla. Non verrebbe anche a te?»

«Immagino di sì. Forse perché appare delicata e fragile» assentì Max prima di sorriderle quando la vide avvicinarsi a loro assieme a J.C..

«Scusa, Max, ma non vedevo J.C. da mesi. Maximilian Parker, lui è il dottor Johnathan Colton Richmond. E' un vulcanologo come Summer.»

Sorrise allegra nel presentarli e, quasi senza accorgersene, si spostò in direzione di Max fino a poggiargli amichevolmente una mano sul ginocchio.

Max cercò di fare finta di niente, ma quell'apparente sicurezza nel creare un contatto tra loro lo ringalluzzì un poco, specialmente dopo lo scambio di battute intercorso tra lei e il vulcanologo strafigo.

«Sto aiutando Max a preparare il matrimonio di suo fratello, e oggi pensavo di recarmi da Walt per la torta ed il catering. Sicuri di volermi dare una mano qui in negozio? Justine e Melanie possono...»

Tappando la bocca della sorella con un dito, Summer scosse il capo e replicò: «Fai quello che devi, Spry. Qui ci pensiamo noi. E poi, sarà un sabato pomeriggio diverso dal solito. Trovo tutto dove sta sempre, vero?»

«Sì. E, per ogni evenienza, chiedi a Justine» assentì Spring. «Passate da Win, più tardi?»

«In macchina ho un regalo per Mal. Un bel telescopio nuovo. Sono sicuro che gli piacerà» commentò orgogliosa la gemella. «Prenoto del cinese per tutti? Vieni anche tu, Max?»

«Beh, ecco, non vorrei...» tentennò incerto lui, non sapendo bene cosa dire.

«Ordina per tutti» sentenziò Spring, tagliando la testa al toro. «Saremo lì per... le sette e mezza, direi.»

«Andata» annuì Summer, scrutando la sorella correre nel retrobottega per recuperare borsetta e giacca.

«Siete certi che non disturberò?» si informò Max, scrutando dubbioso Summer.

«Nessun disturbo. Ci piace avere amici a cena.»

Poi, rifilandogli un altro dei suoi sguardi inquietanti, domandò: «Perché tu sei un suo amico, giusto?»

J.C. scoppiò a ridere e, dando una pacca sulla spalla ad un angustiato Max, asserì: «Summer ti ha appena voluto far capire che ti tiene d'occhio e che, al minimo accenno di pericolo per sua sorella, affilerà gli artigli.»

«John!» esalò la donna, fissandolo accigliata.

«Ammettilo, Summ, che sei preoccupata per lei» replicò sorridente l'uomo.

Sbuffando, la vulcanologa lo mandò al diavolo senza troppi complimenti e, dirigendosi con passo fatale in direzione del retrobottega, lasciò i due uomini a gustarsi lo spettacolo.

«Miseria... ladra» gracchiò Max, passandosi un dito nel colletto della camicia, sentendosi ormai prossimo allo svenimento per mancanza d’aria. «E io che pensavo che Winter fosse stato terrificante. Summer è...»

«Diabolica?» buttò lì J.C., ammiccando complice.

«Tra le altre cose» ammise Max, lasciandosi andare a un sospiro quando aggiunse: «Oltre ad essere una donna maledettamente sexy. L'ha fatto apposta, vero, ad allontanarsi a quel modo? Sì, insomma, quella camminata alla Jessica Rabbit.»

«Summ? Oh, eccome!» rise J.C., annuendo più volte. «Adora far cadere la mascella a noi maschietti, ma non troverai mai nessuno fare mezzo passo verso di lei, se la donzella in questione non vuole.»

«Ci hai mai provato?» si informò con ironia Max.

J.C. allora tornò serio e, scuotendo il capo, mormorò: «Summer è mia amica. Non mi permetterei mai di fare lo stupido con lei.»

«Però...»

L'afroamericano lo squadrò accigliato e Max, levando le mani verso l'alto, chiosò: «Si sentiva lontano un miglio che c'era un però.»

Il ritorno di Spring e Summer – che ora indossava dei più comodi zoccoli in gomma al posto delle Prada dal tacco a spillo – consentì a J.C. di non rispondere.

Quando salutò l'amica nel vederla uscire con Max, disse alla collega: «Cosa te ne pare?»

«E' un belloccio e sembra simpatico, ma Spring è sorrisi e gentilezze con tutti. E' difficile capire cosa le passi per la testa. Di sicuro, a preso a cuore la sua situazione, visto come si sta prodigando per lui» mugugnò Summer, pensierosa. «Starò attenta.»

«Non troppo, spero.»

Lei lanciò immediatamente uno sguardo inquisitorio all'uomo che, abbozzando un sorrisino, replicò: «Eh dai, Summ, non è una bambina. Ha trentaquattro anni, non sei mesi. Se vuole spassarsela con un uomo, che faccia!»

«Spring non 'se la spassa', come dici tu. Se si butta in una cosa, o in una relazione, lo fa col cuore. E non voglio che rimanga ferita» brontolò accigliata Summer.

«Ad ogni modo, per ora non c'è neppure una relazione, tra i due. Preoccupati quando ne avrai motivo, non prima» ci tenne a dire J.C., scrollando le spalle.

«Giusto» sospirò lei, abbozzando un mezzo sorriso. «Ti darei un bacio per la tua sapienza come consigliere, ma poi ti monteresti la testa...»

«Non sia mai!» sghignazzò John prima di indicare la vetrina, dove due attempate signore stavano scrutando con interesse uno dei nuovi centro tavola in pizzo confezionati da Spring.

Atteggiando il proprio viso a un'espressione angelica, Summer si legò in fretta in una coda la chioma ribelle.

Senza attendere oltre, indossò poi il grembiule verde oliva che solitamente usava Spring, sperando che tutto questo bastasse a farla apparire abbastanza dolce.

Sapeva che la sua altezza – sfiorava il metro e ottanta – e il suo abbigliamento solitamente aggressivo potevano mettere a disagio le persone più insicure e, di certo, lei non voleva creare problemi ai clienti della sorella.

Avvicinandosi alle due vecchiette quando entrarono nel negozio, Summer sfoderò il suo  sorriso più tenero mentre J.C., osservandola dal bancone, mormorò tra sé: «Solo chi non ti conosce potrebbe pensare che tu non sia dolce.»

ЖЖЖ

Era più che sicuro che, senza l'aiuto di Spring, si sarebbe impiccato nel giro di una settimana.

Cos'erano mai, le cialde? O la glassa? E lo zucchero colorato? O la crema Chantilly?

No, non ce l'avrebbe fatta di sicuro.

Conosceva i propri limiti, e i dolci ne facevano parte integrante.

Poteva cavarsela con uova strapazzate e bacon, ma che non gli chiedessero di riconoscere la differenza tra una spuma di cioccolato o del fondant, perché sarebbe caduto nel panico più totale.

Spring, invece, sembrava a suo agio in quel mondo fatto di marzapane, di pan di Spagna e roselline di zucchero e, a ben guardarla, era adorabile in quello scenario di torte meravigliosamente costruite.

Era più che certo che, se l'avesse assaggiata, l'avrebbe scoperta dolce e saporita tanto quanto i campioncini di bignè che aveva sbocconcellato quel pomeriggio, tra una telefonata e l'altra.

Il che era imbarazzante quanto assurdo da pensare.

Conosceva quella donna da quarantotto ore, e già pensava di mangiarsela? Che gli prendeva?

D'accordo, era bella.

D'accordo, era spigliata e affascinante.

D'accordo, lui era un uomo sano e di ottimi gusti.

Ma cavoli! Cosa sapeva di lei, a parte che era una fiorista, e aveva un occhio speciale per le belle cose?

Ben poco.

E lui non era affatto un uomo che si buttava a pesce in una potenziale relazione, almeno non senza sapere almeno l'ABC della propria compagna.

Non voleva ritrovarsi in casa un'assassina, o una maniaca, solo perché non aveva perso almeno un paio di minuti a tentare di capire chi voleva portarsi a letto.

Perché, inutile girarsi intorno, una mezza idea se l'era fatta.

Sarebbe stato da ipocriti non ammetterlo almeno con sé stessi, e lui non era un ipocrita.

Però, al tempo stesso, si sentiva un idiota al solo immaginarsela stesa sotto di lui, fremente per i suoi baci e le sue carezze.

Doveva assolutamente smetterla di immaginarsela svestita o, prima o poi, sarebbe incappato in un errore clamoroso.

O, peggio ancora, Winter o Summer – soprattutto Summer – si sarebbero accorti degli sguardi lascivi che, sapeva, un giorno o l'altro gli sarebbero sfuggiti.

«Andiamo?» si intromise Spring, sbalzandolo con una sola parola dal suo mondo immaginifico.

Sobbalzando leggermente, lui annuì lesto e la donna, sorridendogli divertita, lo prese sottobraccio per uscire dal negozio di dolci e si incamminò con Max lungo il marciapiede per raggiungere l'auto dell'uomo.

L'aria era ancora fresca e scivolava tra i suoi soffici capelli formando un'aureola dorata attorno al suo viso roseo e Max, non potendo fare a meno di notare il suo sorrisino, le domandò: «Perché ho la netta impressione che tu mi stia nascondendo qualcosa? E che questo qualcosa riguardi me?»

Spring allora ridacchiò apertamente e, lanciatogli che ebbe uno sguardo malizioso, sussurrò: «Penso tu abbia dei pensieri molto... divertenti

Max incespicò nei propri piedi al suono delle sue parole e, impallidendo di colpo, esalò con un gracidio stentato: «Che intendi dire

«Non devi vergognarti se mi trovi interessante... o bella. Non mi offendi» si limitò a dire lei, scrollando le spalle. «Sono abituata a riconoscere certi sguardi, o il tentativo di mascherarli. Mi è capitato abbastanza volte per essere diventata un'esperta conoscitrice di certe occhiate.»

«Oh, cielo!» esclamò Max, passandosi una mano sul viso.

Addolcendo il suo sguardo e perdendo del tutto la voglia di fare dell'ironia, Spring asserì pacata: «A volte, negli anni, mi sono sbagliata e ho interpretato male l'interesse di alcune persone, finendo con il farmi molto male. Ma penso sia capitato a tutti. Quando ci sono di mezzo i sentimenti, si commettono errori.»

«Tendenzialmente, cerco di non commetterli» ammise Max, guardandola di straforo per comprenderne l’umore.

Decisamente, lui non era bravo quanto lei, perché non capì un’acca di quel che vide, a parte che era bellissima alla luce del tramonto.

«Quindi, non sei un uomo da una botta e via» dichiarò con candore Spring, facendolo irrigidire sensibilmente.

«Cristo, Spring! Sei più diretta di un caccia bombardiere!» gracchiò lui, impallidendo leggermente.

«Evito disguidi.»

Scrollando una mano con noncuranza, aggiunse: «Pensate davvero, voi ometti, che noi donne ci limitiamo a guardarvi con occhi liquidi per poi sospirare per voi?»

«Beh, immagino che abbiate anche voi i vostri … momenti» buttò lì Max, non sapendo esattamente come fossero finiti a parlare di argomenti così personali.

Spring sorrise divertita e gli confidò: «Abbiamo gli occhi anche noi, e sappiamo usarli molto bene, Max.»

«Tutto questo per dire che...?» biascicò lui, non sapendo esattamente cosa dire.

Era un tranello, il suo? Lo stava mettendo alla prova, forse?

«Non devi nasconderti dietro sorrisini stentati, o volgere subito lo sguardo non appena mi giro verso di te. Non mi imbarazza sapere che mi trovi... appetibile? Può andare, come idea?»

Lui annuì, non arrischiandosi a parlare, preferendo di gran lunga lasciarla fare da sola.

Spring allora proseguì dicendo: «Non penso ci sia nulla di male. Certo, se tu mi sbattessi sul cofano della tua auto senza il mio consenso, allora sì che mi darebbe fastidio. E credo che potrei perfino arrabbiarmi.»

Max scoppiò a ridere di gusto, comprendendo subito che quella battuta era stata fatta al solo scopo di farlo rilassare.

Nel battere una mano su quella della donna, che riposava sul suo braccio, lui ammise: «Non ho mai parlato con una donna così schietta, ma ammetto che è più semplice se posso dirti cosa penso, senza aver timore di infastidirti. Non assume più i contorni dell'ossessione.»

«Sei già a questo?» ironizzò lei, ammiccando.

Max rise ancora e, scuotendo il capo, replicò: «Mi ossessionava il fatto di non apparirti un cafone, questo sì.»

«Non penso tu lo sia. Appurato questo, cos'altro pensi?» gli domandò con curiosità lei.

Lui aprì l'auto con il telecomando della chiave d'accensione e, dopo essere salito in macchina con Spring, afferrò pensieroso il volante e, tenendo lo sguardo fisso dinanzi a sé, mormorò: «Penso tu sia una bellissima donna, e vorrei... beh, immagino tu sappia cosa. Ma dopo mi do dell'idiota per averci anche solo pensato, perché in fondo non ti conosco affatto, e potresti non essere solo la donna stupenda e dall'ottimo gusto estetico che per il momento so di te. Ed io detesto commettere errori.»

«Lo avevo capito» ammiccò lei. «La faccenda del sesso e del fatto che non vuoi commettere errori, intendo. Mi stupisce la parte in cui ti dai dell'idiota, però.»

«Alla faccia dell'analisi cruda del mio Ego» gracchiò Max, fissandola a sopracciglia sollevate.

Spring sorrise nel vederlo così sconcertato, così meravigliosamente disarmato di fronte alla sua schietta sincerità e, sollevata una mano per sfiorargli il contorno del viso, ammise: «Non mi piace dire le bugie, o girare intorno alla verità, Max. Tutto qui. Ti da fastidio?»

«No, non credo. Te lo saprò dire quando mi dirai qualcosa che mi da fastidio» ghignò lui, afferrando la sua mano per volgerla verso di sé.

Ne studiò il palmo, dove poté scorgere alcuni taglietti rimarginati e il segno di una cicatrice vecchia di anni, e dal tessuto cicatriziale bianco latte.

La studiò con attenzione, chiedendosi cosa avesse prodotto un simile squarcio e, in quel mentre, Spring ne lesse le impressioni sul volto.

Era chiaro che quel segno lo sconcertava e poteva capirlo, visto che la cicatrice che aveva sul palmo era piuttosto evidente, ma di certo non si sarebbe messa lì a spiegare il perché di quel segno.

Certi segreti, dovevano rimanere tali.

Almeno per ora.

Max gliela sfiorò con un dito, leggero come una piuma di colomba e Spring, senza volere, si lasciò sfuggire un gemito.

Chiuse gli occhi, assaporò sulla lingua il piacere di quel tocco e, intorno a sé, avverti le piante danzare al ritmo del vento, i fiori assopirsi gradatamente al calare del sole e la terra gorgogliare piena di vita.

«Spring...» sussurrò Max, riportandola alla realtà.

«Scusa, sono particolarmente sensibile, in quel punto» ammise, sapendo di non dire una bugia.

Ritirò delicatamente la mano e Max, studiandola in viso meditabondo, le disse: «Vorrei accarezzarti così dappertutto.»

«E' interessante come pensiero e, lo ammetto, stuzzicante...» gli sorrise lei, dandogli un buffetto sulla guancia perfettamente rasata. «... ma, come hai detto tu, non sai quasi niente di me, ed io quasi niente di te, e prima di arrivare lì dovremo compiere tanti altri passi.»

Sinceramente sorpreso, Max levò un sopracciglio con intenzione e replicò: «Vuol dire che...»

«Che mi intriga l'idea di averti nel mio letto? Sì» ammise con candore lei. «E' difficile che mi capiti, perché tendenzialmente non ho mai ricevuto energie così positive dai maschi che ho conosciuto negli anni ma, con te, è diverso. Hai un'aura... luminosa

«Aura? Sei una seguace della new-age?» ironizzò Max, vagamente divertito.

Spring ridacchiò di fronte al suo scetticismo e si limitò a dire: «Diciamo che ho una buona connessione con tutte le creature viventi, maschi compresi. Amo ciò che cresce e prospera.»

Max avviò il motore e, nel sorriderle divertito, asserì: «Sei una strana combinazione di candore virginale e sapienza antica. Non so come altro vederti, ora come ora.»

«E' un buon inizio.»

Poi, scrutando l'orario sul display del navigatore satellitare, dichiarò: «Dobbiamo andare, o il pollo alle mandorle se lo mangerà Summer.»

«Andiamo pure» annuì Max, infilandosi nel traffico con la sua Mercedes.

ЖЖЖ

Una bellezza dagli occhi verdi come pezzi di giade screziate aprì la porta e, nel vedere un nuovo venuto, si aprì in un dolce sorriso prima di allungare una mano e dire: «Benvenuto, Max. Io sono Kimberly, la fidanzata di Winter, ma puoi chiamarmi Kim.»

«Piacere» mormorò lui, stringendo quella mano esile ma forte.

E così, lei era la dottoressa Clark che, assieme a Winter, era sopravvissuta all'incontro con i mercanti d'armi russi.

Le fotografie sui giornali non le rendevano giustizia.

Di corporatura e altezza in tutto simili a Spring, Kimberly appariva scanzonata, con un abbigliamento mascolino a cingerle il corpo perfetto, e sicura di sé quanto bastava.

In quel momento, portava i lunghi capelli mossi e castano chiari stretti in una coda di cavallo e la camicia, dichiaratamente maschile, era stretta in vita con un nodo.

I jeans a vita bassa e lunghi al ginocchio, invece, erano attillatissimi e mettevano in mostra un fisico mozzafiato e, tra le altre cose, una ferita recente al polpaccio, quasi sicuramente un ricordo della brutta esperienza vissuta sullo Stretto.

«Prego, venite. Il commesso del ristorante cinese sarà qui a momenti» disse loro Kim, avviandosi verso la porta che conduceva al piano superiore.

Max e Spring si accodarono a lei e, dopo essere giunti nell’appartamento di Win – dove la tavola per gli ospiti era stata sistemata e apparecchiata – l'uomo si ritrovò innanzi alla fotocopia rimpicciolita di Winter Hamilton.

Il bambino in questione lo studiò curioso e, con una certa solennità, gli disse: «Benvenuto, io sono Malcolm. Ciao, zia Spry!»

«Beh, ciao, Malcolm, io sono Max» dichiarò lui, chinandosi su un ginocchio per essere più o meno alla sua altezza. «Sei tu che comandi, qui?»

Malcolm ridacchiò mentre, dalla cucina, sbucarono Summer, J.C. e Winter.

Nel rimettersi in piedi, scrutò il padrone di casa e aggiunse: «Spero di non disturbare.»

«Ci piace la compagnia» dichiarò Winter, dicendo poi a Malcolm: «Vai a prendere il vassoio con gli aperitivi, di là.»

«Okay.»

Mal corse tutto contento in cucina, mentre Spring si occupava della giacca di Max e della propria.

L’uomo, scrutando incuriosito il ritorno fiero del bambino, si chiese come mai quell'incombenza fosse toccata proprio a lui.

Come leggendoglielo nello sguardo, Summer gli spiegò: «Mal ama rendersi utile e, se una cosa può farla, perché negargliela? Inoltre, meglio che Spring non si avvicini alla cucina, quando c'è così tanta roba in ballo.»

Max si volse a fissare confusamente la donna che, ridacchiando imbarazzata, ammise: «Finché mi occupo di me stessa o di Mal, va più o meno tutto bene, ma con più di tre persone, vado nel pallone.»

«Non è possibile! Il tuo negozio è...» esalò sconcertato Max, prima di rendersi conto che lei gli aveva detto l'assoluta verità.

I suoi occhi lo dicevano a chiare lettere, neanche gli avesse appena fatto una confessione scritta con il sangue.

Ridacchiò incredulo e Winter, battendogli una mano sulla spalla, lo mise in guardia senza tanti giri di parole.

«Pensaci bene, se vuoi iniziare qualcosa con lei. La prima regola è: non farle toccare nulla, neanche un bicchiere oltre al proprio.»

Spring gli fece la linguaccia, ma non dissentì e Max, sempre più curioso, le domandò: «Non mi stanno prendendo in giro, vero?»

«La zia ha fulminato quattro aspirapolvere» dichiarò divertito Malcolm, sghignazzando.

Kim gli diede un pizzicotto scherzoso sulla guancia e lui, stringendosi alla donna, mormorò: «Non ho resistito, scusa.»

«Non scusarti con me, ma con la zia. E' lei che non sta facendo una gran figura» replicò sorridente Kimberly, strizzando l'occhio a Spring, che fece spallucce.

J.C. intervenne dicendo: «Non ascoltarli, Max. Spring potrà essere un disastro con gli elettrodomestici, ma ha un sacco di altre qualità.»

Summ allora tappò la bocca a John e replicò: «E ora che abbiamo messo in imbarazzo entrambi, vediamo di sederci a tavola a piluccare qualche antipasto mentre arriva la cena!»

Tutti risero e, quando Max si accomodò al fianco di Spring, le sussurrò all'orecchio: «Perché tutti pensano che io e te siamo reciprocamente interessati ad avere una... storia? Da l'idea?»

«Sì, da l'idea» annuì lei, divertita. «Perché la mia famiglia, ed i miei amici, sono degli impiccioni e, di solito, non porto mai i miei uomini a casa di mio fratello.»

«Beh, è un evento, allora, visto soprattutto che non ho ancora ben capito cosa ci sia tra noi» ridacchiò Max, strizzandole l'occhio.

«Lasciali dire. Quando si saranno sfogati un po', smetteranno» scrollò le spalle Spring, noncurante.

«Ho le spalle larghe. Posso sopportare praticamente di tutto» sentenziò lui, prima di volgere lo sguardo in direzione di Malcolm, che sedeva alla sua destra e che in quel momento, stava tirandogli gentilmente la manica della camicia. «Sì, Malcolm?»

«Hai già baciato mia zia? Come fa il mio papà con Kimmy?»

Una risata fragorosa quanto collettiva riverberò tra le pareti della stanza e Max, fissando basito il bambino, si chiese seriamente se fosse del tutto vero che poteva sopportare di tutto.

 

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1: prònaos o prodromo è una parte del tempio greco e romano costituita dallo spazio davanti alla cella templare.

 

2: Galeras. Si tratta di un vulcano di tipo Vesuviano che svetta in Colombia, nella Cordigliera delle Ande.


 

  
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