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«No, devi inserire uno
strato di sughero, se non vuoi che i condomini sentano tutto di tutti. Non mi
interessa se costa più del poliuretano espanso. Il risultato è migliore, e lo
stabile ha rifiniture di pregio, ivi compreso lo strato di isolante
acustico.»
Max sbuffò infastidito
– ogni volta, doveva discutere con il loro responsabile acquisti – e ascoltò
paziente la sequela infinita di repliche di Marlon, prima di interromperlo.
«Odio sottolineare
l'ovvio, Marl, ma chi comanda sono io, i miei genitori mi hanno dato
pieni poteri da questo punto di vista, perciò comprerai quel maledetto sughero,
anche se il costo è del cinque percento in più.»
Chiuse la
comunicazione con un fastidio così viscerale da sentirlo risalire dalle gambe
fino al petto, dove assunse le sembianze di un brutto attacco di acidità di
stomaco.
Preso in fretta un
antiacido dal blister che portava sempre con sé nella sua ventiquattrore, Max tirò un sospiro di sollievo solo quando
intravide la scritta del negozio di Spring e, allungando il passo, si affrettò
per raggiungerlo.
Il giorno prima era
stata così gentile – e ingegnosa – da trovargli a colpo sicuro il luogo più
adatto per il matrimonio del fratello.
Dopo aver parlato in
sua vece con la titolare del Club, aveva ottenuto per Chris l'utilizzo della
sala conferenze e del giardino per l'intera giornata scelta per la cerimonia.
Non aveva idea di come
avesse fatto, ma aveva sapientemente orchestrato il discorso portando la
proprietaria proprio doveva aveva voluto arrivare lei.
Alla fine, però, aveva
dato l'impressione che il buon esito della contrattazione fosse dovuto solo
alla gentilezza della direttrice del Club.
Un vero asso, niente
da dire.
Sarebbe stata un
autentico squalo, negli affari.
Eppure si accontentava
di avere solo un negozio di fiori, bellissimo ovviamente, ma solo un negozio.
Con il suo talento,
avrebbe potuto averne un'intera catena.
In più Stati, forse.
Nell'afferrare la
maniglia della porta, si ripromise di metterle la pulce nell'orecchio in
merito.
Già sul punto di
salutarla non appena la vide spuntare dal retrobottega, si bloccò di botto quando
scorse dietro di lei la figura imponente ed elegante di un uomo.
I loro sguardi si incrociarono,
complici, mentre insieme portavano nel negozio un’enorme fioriera rettangolare
color mattone.
Max li osservò
accigliato; i loro movimenti parevano studiati alla perfezione, come se
stessero ballando, e non sistemando un ingombrante vaso di terracotta su un
ripiano.
Non aveva idea del
perché quella vista gli desse così fastidio, ma tant'era.
L'acidità allo stomaco
aumentò.
«Hai altro da
sistemare, Spry, perché...» iniziò col dire l'uomo, prima di avvertire lo
sguardo di qualcuno su di sé.
Non appena si volse,
Max incrociò i suoi chiarissimi quanto gelidi occhi e Spring, lanciando a
entrambi un'occhiata incuriosita, sorrise divertita e commentò: «Smettila, Win,
o giuro che ti pesto un piede.»
L'uomo che Spring
aveva chiamato Win distolse lo sguardo di colpo, come riscuotendosi da un sogno
e, sorridendo alla donna, mormorò: «Chiedo venia, mo chrói... forza
dell'abitudine.»
Spring scrollò le
spalle, come se fosse abituata a quell'atteggiamento da mastino e, nel volgere
lo sguardo in direzione di Max, sorrise maggiormente.
«Ciao, Max. Tutto
bene?»
«Ciao, Spring. Non
so... dipende se ho disturbato o meno» si limitò a dire lui, continuando a
fissare Win come in cerca di qualche segnale indiretto da parte sua.
Lei allora scoppiò a
ridere e, dando una pacca sul braccio a Win, asserì: «Oh, cielo, no! Lui è mio
fratello Winter. Win, lui è Max Parker.»
Come se all'improvviso
si fosse rischiarato il suo mondo, Max tirò mentalmente un sospiro di sollievo
e, rasserenandosi in viso, allungò una mano in direzione dell'uomo.
«Okay, bell'errore di
valutazione. Dalla mia posso dire che non vi somigliate affatto.»
Stringendo con forza
la mano protesa di Max, Win annuì replicando: «E meno male, o a quest'ora sarei
già morto. Con tutti gli strumenti elettronici che uso sul lavoro...»
Spring sbuffò
infastidita, a quell'accenno, e Max, aggrottando un momento la fronte, spalancò
la bocca subito dopo, esclamando: «Oh,... cavoli. Winter Hamilton! Il
ricercatore! Ora mi ricordo!»
Annuendo, Winter
infilò le mani nelle tasche dei jeans scuri che indossava e borbottò: «Il Caso
dello Stretto, già. I giornalisti mi danno ancora fastidio, ogni tanto.»
«Beh, immagino che,
finché non avranno finito il processo, la tartasseranno ben bene.»
Fin da quando Spring
gli aveva accennato di avere dei fratelli, e che uno di loro si chiamava
Winter, la sua mente aveva iniziato a rimuginare su vaghi ricordi che
turbinavano nella sua mente super impegnata.
Ecco perché quel nome
aveva scatenato la corsa ai ricordi!
Quel caso aveva scosso
l'opinione pubblica, e migliaia di attestati di stima erano giunti al NOAA per
sostenere i ricercatori e il coraggio da loro manifestato.
Ricordava bene che
anche la madre aveva scritto una lettera di encomio per lodare il coraggio dei
cinque scienziati, portandola di persona alla sede locale del NOAA.
E così, lui era Winter
Hamilton.
Climatologo e, gioco
forza, eroe nazionale fino a nuovo ordine, così come i suoi colleghi di lavoro.
I giornalisti avevano
ricamato talmente tanto sulla rocambolesca fuga che aveva visto protagonisti il
dottor Hamilton e la dottoressa Clark che, alla fine, era stato difficile
capire dove finissero le buffonate e dove iniziasse la verità.
Di certo, non sembrava
un uomo che era stato a un passo dalla morte, tutt'altro.
Il suono del telefono
del negozio distolse i tre dallo strano silenzio calato tra di loro e Spring,
allontanandosi dai due uomini per rispondere, sperò che il fratello non si
lasciasse andare a scenate di dubbio gusto.
Non ce n'era davvero
bisogno.
Winter, invece, si
limitò a dire: «Spry mi ha detto che la sta aiutando per il matrimonio del
fratello.»
«Senza di lei, sarei
ancora a brancolare nel buio. Mio fratello era impazzito, quando ha pensato di
far organizzare a me un simile evento» brontolò Max, sfiorando con un dito il
petalo carnoso di una rosa rosso rubino. «Datemi una casa da costruire, un
quartiere da far nascere dal nulla, e mi so districare meglio di un esploratore
nella giungla... ma quando si tratta di cose come queste, vado nel caos più
totale.»
«Cose che crescono per
mano della natura, o i matrimoni?» si informò con casualità Winter.
«Entrambe le cose. E'
mia madre che si occupa del verde, per quel che riguarda la ditta, non certo
io. Non saprei distinguere una quercia da un abete, credo... e neanche saprei
cosa mettere di adatto. Coi matrimoni è lo stesso» ammise Max, sollevando
esasperato le sopracciglia.
«Eppure, costruire una
casa richiede gusto, stile e una buona dose di senso del colore. E cioè quel
che serve per mettere in piedi un matrimonio… o piantare un arbusto in giardino»
gli fece notare Winter, sorridendo misteriosamente.
«All'equazione manca
il lato romantico e, in quello, sono deficitario. Mia madre dice che lavoro
troppo, e che questo ha castrato il mio lato più nascosto e femminile.»
Nel dirlo, ghignò.
Win allora sorrise con
una buona dose di complicità maschile e, nel veder tornare Spring, si limitò a
dire: «Beh, Spring ha senso del romanticismo in abbondanza.»
Afferrando quelle
ultime parole, la donna intrecciò le braccia sotto i seni e mugugnò: «Con
questo vuoi dire che sono troppo sdolcinata, e che mi vengono gli occhi a cuore
quando vedo i film d'amore?»
«Precisamente» sorrise
Winter, chinandosi per baciarla sulla tempia. «Ora vi lascio ai vostri affari.
Summer passerà nel giro di dieci minuti per darti una mano. A stasera.»
«Incrementeremo le
vendite del dieci percento, con Summy in negozio» ridacchiò Spring, tutta
soddisfatta, dando una carezza sul viso al fratello prima di vederlo avviarsi
verso la porta.
Sull'ingresso, Win si
fermò, lanciò un'altra occhiata a Max e infine lo salutò, avviandosi con passo
spedito verso la sua Prius grigia.
«Visita di cortesia...
o di controllo?» si informò a quel punto Max, sorridendole divertito.
Spring ridacchiò e
ammise contrita: «Win mi ha sgridata, quando gli ho detto di essere venuta in
auto con te.»
«E ha fatto bene. Nel
caso specifico, non avevi nulla da temere, ma se sei così espansiva
nell'accettare un invito da tutti quelli che vedi, prima o poi ti caccerai nei
guai» asserì lui, con non poca supponenza.
Spring allora levò un
sopracciglio con evidente sarcasmo.
«Oh, allora devo
ringraziare il cielo se sei capitato tu alla mia porta. Chissà cos'avrebbe
potuto succedermi!»
Max si limitò a
sghignazzare e, curioso, le chiese: «Perché hai accennato a un incremento delle
vendite, parlando dell'altro tuo fratello... o sorella? Summer è tua sorella,
giusto? Non mi ricordo male, vero?»
Un risolino divertito
e, sì, in qualche modo compiaciuto, scaturì dalle belle labbra a cuore di
Spring, quel giorno abbellite da un bel rossetto rosa antico.
Con tono tronfio, dichiarò: «Diciamo che,
quando la vedrai, capirai da solo il perché.»
«Uhm, la cosa si fa
interessante» ammiccò Max, poggiando le mani sui fianchi. «Hai il catalogo di
cui mi parlavi? Mentre aspettiamo l'arrivo di tua sorella, possiamo mettere le
mani avanti.»
«E' sul bancone e...»
Vedendo entrare una
cliente di vecchia data, si scusò un momento con Max e chiamò Justine e Melanie
– che si trovavano nel retrobottega – perché venissero a sostituirla momentaneamente
in negozio.
Nel giro di un minuto,
Spring fu da lui e Max, affiancandola al bancone dove si trovava la cassa, poté
abbeverarsi del suo dolce profumo di gelsomino.
Era curioso come
riuscisse ad avvertirlo chiaramente, pur trovandosi in un negozio di fiori,
eppure era più che certo che si trattasse di lei.
Era anche altresì
curioso come quella donna, appena conosciuta, riuscisse a intrigarlo tanto. Non
era mai stato un fanfarone, o un latin lover.
Aveva sempre preferito
lavorare piuttosto che darsi alla bella vita e spassarsela con le donne e,
spesso e volentieri, suo fratello Chris gli aveva dato del monaco, per questo.
A Max non erano mai
interessati i suoi insulti velati o le sue battutacce di spirito. Quel che più
gli era premuto, negli anni, era portare alle stelle il nome della sua famiglia.
Rendere fiorente
l'idea del padre, era stata la sua ispirazione.
Fare in modo che non
dovesse essere più lui in persona a mettere mattoni e calce, ma che fossero
degli operai a farlo per lui, il suo impegno primario.
Aveva passato anni nei
cantieri edili del padre, inframmezzando i suoi studi a lunghi periodi passati
sopra i tetti, piuttosto che nelle fosse scavate per approntare le fondamenta
delle case.
Il sudore della sua
fronte era caduto, e si era mescolato, con la terra delle prime case costruite
dalla piccola impresa del padre.
All'epoca, nessuno di
loro avrebbe immaginato di poter conquistare appalti come un intero centro
commerciale o un quartiere residenziale come, invece, erano soliti fare ora.
Max si era impegnato
anima e corpo per condurre l'azienda dov'era adesso, non si era mai tirato
indietro laddove aveva trovato un problema o un inghippo e, alla fine, era
riuscito a creare un nome solido, una garanzia per il cliente.
Aveva lavorato sodo
per quindici anni, faticando non poco a conciliare università e compagnia, ma
ce l'aveva fatta.
Anche grazie all'aiuto
costante dei suoi genitori, che l'avevano appoggiato nel suo progetto di
allargare gli orizzonti della ditta, era infine riuscito a ottenere ciò che
voleva.
Chris, di sei anni più
giovane di lui, era stato coinvolto molti anni dopo e, grazie alla sua passione
per la tecnologia, aveva introdotto la Parker Inc. all'interno del mercato
telematico e della rete.
Nonostante quel che
diceva di lui con tono scherzoso, Max gli era grato, perché ammetteva senza
remore che il suo aiuto era stato prezioso e illuminante.
Il fatto che, dopo
tutti quegli anni di disinteresse più o meno totale nei confronti del gentil
sesso, si ritrovasse a trovare più che piacevole la compagnia di Spring, fu per
lui una piacevole novità.
Certo, lei era bella
come una giornata di sole, tutta allegria e graziosi sorrisi, quindi avrebbe
dovuto essere un pezzo di ghiaccio per non essere attratto anche a livello
superficiale da quella donna.
Ma c'era dell'altro.
Non era solo la sua
bellezza a fargliela trovare interessante.
C'era il modo in cui
si sistemava le ciocche di capelli dietro le orecchie, o come arricciava il
naso quando era pensierosa.
Abbastanza
inquietante, il fatto che avesse notato queste cose in due soli giorni, ma
tant'era.
E non aveva nessuna
intenzione di smettere di guardarla.
Almeno per il momento,
gli piaceva un sacco ritagliare una parte del suo tempo per dedicarlo a lei.
Il matrimonio? Avrebbe
dovuto ringraziare sua madre per averlo indirizzato lì per i fiori per la
cerimonia di Chris.
«Ecco, avevo pensato a
una composizione di questo genere» disse Spring, attirando la sua attenzione.
«Il vasellame sembra fatto di ghiaccio, perciò direi che è adattissimo alla coppia
e, abbinato coi fiori che avevo scelto, direi che si combinerebbe alla
perfezione. Teniamo poi presente che la struttura esterna del Club è
interamente bianca, e anche i suoi articoli da giardino hanno quella tinta,
perciò direi che potremmo tranquillamente evitare di affittare sedie e tavoli.»
«Da quel che ho visto,
la struttura del Club si adatta anche per una cerimonia formale, vista la
struttura a colonne, che richiama il pronaos1 di un tempio
greco» annuì pensoso Max, tracciando con un dito lo schema della struttura.
«Pensavi a uomini in
frac e dame dagli abiti lunghi?» ironizzò vagamente Spring, ammiccando al suo
indirizzo.
«Chris mi
ammazzerebbe, no...» sghignazzò Max, scuotendo il capo. «... ma credo sia
giusto che ci sia un po' di stile, visto che il matrimonio non si svolgerà in
chiesa. Dopotutto, è uno dei soci della Parker Inc.. Sarebbe assurdo non badare
anche a questo, ti pare?»
Tamburellandosi il
dito indice sul mento, Spring assentì dopo qualche secondo.
«Sì, in effetti
sarebbe da persone superficiali non badare anche a un aggancio simile.
Dopotutto, avete un nome da tenere alto.»
«Qualcosa del genere.»
Con una scrollatina di
spalle, Max ammise: «Con la testa di Chris, lui festeggerebbe il matrimonio in
un pub, ma sarebbe decisamente squallido.»
«Denigrando i pub,
offendi la mia anima irlandese» replicò lei, con aria falsamente accigliata.
Max allora si portò
una mano al cuore e, con un mezzo sorriso, esalò: «Non lo sapevo, perdonami.
Diciamo, allora, in pub squallidi.»
«Così va meglio»
ridacchiò Spring, sollevando le sopracciglia di colpo per poi afferrarlo per le
braccia con l'intento di farlo voltare.
«Ecco la spiegazione
al rialzo delle vendite.»
«Cosa intendi...
dire...?» esalò sorpreso Max, gracchiando l'ultima parola non appena i suoi
occhi verdi, dagli strani riflessi dorati, inquadrarono la figura sensuale di
quella che, a quanto pareva, doveva essere Summer Hamilton.
Statuaria come una dea
greca e con rossi e fluenti capelli, simili a una cascata impetuosa, la donna
entrò nel negozio abbigliata con un completo total black in pelle, e scarpe nere con tacchi a spillo
vertiginosi.
Assieme a lei, in
jeans schiariti e camicia bianca a righine azzurre, un afroamericano dai
capelli cortissimi e gli occhi scuri e brillanti come ossidiana entrò nel
negozio e, con voce potente e sonora, esclamò: «E' arrivata la cavalleria!»
«Dov'è la mia
sorellina preferita?» esordì Summer, guardandosi intorno prima di incrociare lo
sguardo ceruleo della sorella ed esibirsi in un sorriso magnetico.
Spring mollò il fianco
di Max per raggiungere la gemella, più alta di lei di quasi mezza testa –
nonostante lei non fosse piccola, col suo metro e settanta – e, con un gran
sorrisone, esclamò: «Hai portato J.C.! Che bello!»
Sentendosi nominare,
l'uomo appena entrato si esibì in un sorriso gioviale e, avvolgendo nelle sue
poderose braccia tatuate la minuta Spring, mormorò: «Splendore,...è un piacere
rivederti!»
«Sono mesi che non ti
fai più vedere qui... pensavo ce l'avessi con me!» rise Spring, lasciandosi
stritolare dal collega della sorella.
«Big Mama ci ha tenuti
impegnati con il Galeras2 e, subito dopo, ci ha spediti in Sicilia,
lo sai. Abbiamo cominciato a respirare solo ora, dopo aver ultimato le analisi
compiute sulla bocca dell'Etna. Ma tra qualche mese ripartiremo ancora. Ci
aspettano bianche spiagge, mari caldi e palme a profusione. Una vera pacchia.»
Ammiccò all'amica e,
dandole un buffetto sulla guancia, aggiunse: «Sei una vera bellezza, Spry...
ancora un po' e sarò costretto a chiederti di sposarmi.»
Spring scoppiò a
ridere, mentre Summer li fissava con aria di sufficienza, ma Max non trovò
nulla di divertente in quello scambio di battute.
Il fatto che Spring si
trovasse così a suo agio con quel nuovo venuto, che non aveva nulla da
invidiare a Denzel Washington quanto a fascino e prestanza fisica, lo fece
irrigidire sullo sgabello su cui si era accomodato.
Impaziente e, sì,
accigliato, attese che lei si allontanasse da quel Maciste color cioccolato.
Summer, avvedendosi
immediatamente dell'occhiata caustica che l'uomo assiso accanto al bancone
lanciò a Spring e J.C., si mosse verso di lui con la mano protesa.
Pacata, mormorò: «Ci
vorrà ancora un po' prima che Spring molli John. Io sono Summer Hamilton e tu,
immagino, sei Max Parker. Tanto piacere.»
Stretta la mano della
donna, Max si concesse il lusso di studiarne meglio il volto dall'ovale
perfetto, e su cui splendevano degli strani occhi da gatta che, per qualche
strano motivo, lo misero a disagio.
Erano chiaramente
verdi come le giade, eppure la corona esterna dell'iride appariva più scura,
quasi fosse scolpita negli smeraldi più puri, conferendo all'occhio sfumature
davvero insolite.
E, in quel momento,
quegli occhi inquietanti erano puntati con curiosità su di lui.
«Certo che, pur
essendo gemelle, non vi somigliate per nulla» riuscì a dire Max senza apparire
del tutto idiota.
Ridacchiando nel
ritirare la mano, Summer tornò a guardare sorella e collega, che si stavano scambiando
vicendevolmente battute più o meno maliziose.
«Sì, non c'è alcuna
somiglianza fisica, e neppure di carattere, se è per questo. Ma ci lega il
sangue, oltre all'amore.»
Max tornò a scrutarla,
e notò immediatamente il modo in cui la donna studiava la sorella e le sue
reazioni alle battute di J.C., quasi fosse pronta a intervenire in qualsiasi
momento in suo aiuto.
Esattamente lo stesso
sguardo che Winter aveva rivolto alla gemella poco prima di uscire dal negozio,
lasciandola sola con lui.
Ritrovandosi a
sorridere comprensivo, Max mormorò: «Siete molto protettivi con lei, vero?»
«Siete? Oh,
devi aver incontrato Win.»
Sorrise divertita, e
aggiunse: «Sì, siamo protettivi con lei perché è la più dolce e generosa, tra
noi. Abbiamo sempre paura che qualcuno possa ferirla, anche se sappiamo che sa
difendere se stessa ed il suo cuore con efficacia. Però... ci viene spontaneo
controllarla. Non verrebbe anche a te?»
«Immagino di sì. Forse
perché appare delicata e fragile» assentì Max prima di sorriderle quando la
vide avvicinarsi a loro assieme a J.C..
«Scusa, Max, ma non
vedevo J.C. da mesi. Maximilian Parker, lui è il dottor Johnathan Colton
Richmond. E' un vulcanologo come Summer.»
Sorrise allegra nel
presentarli e, quasi senza accorgersene, si spostò in direzione di Max fino a
poggiargli amichevolmente una mano sul ginocchio.
Max cercò di fare
finta di niente, ma quell'apparente sicurezza nel creare un contatto tra loro
lo ringalluzzì un poco, specialmente dopo lo scambio di battute intercorso tra
lei e il vulcanologo strafigo.
«Sto aiutando Max a
preparare il matrimonio di suo fratello, e oggi pensavo di recarmi da Walt per
la torta ed il catering. Sicuri di volermi dare una mano qui in negozio?
Justine e Melanie possono...»
Tappando la bocca
della sorella con un dito, Summer scosse il capo e replicò: «Fai quello che
devi, Spry. Qui ci pensiamo noi. E poi, sarà un sabato pomeriggio diverso dal
solito. Trovo tutto dove sta sempre, vero?»
«Sì. E, per ogni
evenienza, chiedi a Justine» assentì Spring. «Passate da Win, più tardi?»
«In macchina ho un
regalo per Mal. Un bel telescopio nuovo. Sono sicuro che gli piacerà» commentò
orgogliosa la gemella. «Prenoto del cinese per tutti? Vieni anche tu, Max?»
«Beh, ecco, non
vorrei...» tentennò incerto lui, non sapendo bene cosa dire.
«Ordina per tutti»
sentenziò Spring, tagliando la testa al toro. «Saremo lì per... le sette e
mezza, direi.»
«Andata» annuì Summer,
scrutando la sorella correre nel retrobottega per recuperare borsetta e giacca.
«Siete certi che non
disturberò?» si informò Max, scrutando dubbioso Summer.
«Nessun disturbo. Ci
piace avere amici a cena.»
Poi, rifilandogli un
altro dei suoi sguardi inquietanti, domandò: «Perché tu sei un suo amico,
giusto?»
J.C. scoppiò a ridere
e, dando una pacca sulla spalla ad un angustiato Max, asserì: «Summer ti ha
appena voluto far capire che ti tiene d'occhio e che, al minimo accenno di
pericolo per sua sorella, affilerà gli artigli.»
«John!» esalò la donna,
fissandolo accigliata.
«Ammettilo, Summ, che
sei preoccupata per lei» replicò sorridente l'uomo.
Sbuffando, la
vulcanologa lo mandò al diavolo senza troppi complimenti e, dirigendosi con
passo fatale in direzione del retrobottega, lasciò i due uomini a gustarsi lo
spettacolo.
«Miseria... ladra»
gracchiò Max, passandosi un dito nel colletto della camicia, sentendosi ormai
prossimo allo svenimento per mancanza d’aria. «E io che pensavo che Winter
fosse stato terrificante. Summer è...»
«Diabolica?» buttò lì
J.C., ammiccando complice.
«Tra le altre cose»
ammise Max, lasciandosi andare a un sospiro quando aggiunse: «Oltre ad essere
una donna maledettamente sexy. L'ha fatto apposta, vero, ad allontanarsi a quel
modo? Sì, insomma, quella camminata alla Jessica Rabbit.»
«Summ? Oh, eccome!»
rise J.C., annuendo più volte. «Adora far cadere la mascella a noi maschietti,
ma non troverai mai nessuno fare mezzo passo verso di lei, se la donzella in
questione non vuole.»
«Ci hai mai provato?»
si informò con ironia Max.
J.C. allora tornò
serio e, scuotendo il capo, mormorò: «Summer è mia amica. Non mi permetterei
mai di fare lo stupido con lei.»
«Però...»
L'afroamericano lo
squadrò accigliato e Max, levando le mani verso l'alto, chiosò: «Si sentiva
lontano un miglio che c'era un però.»
Il ritorno di Spring e
Summer – che ora indossava dei più comodi zoccoli in gomma al posto delle Prada
dal tacco a spillo – consentì a J.C. di non rispondere.
Quando salutò l'amica
nel vederla uscire con Max, disse alla collega: «Cosa te ne pare?»
«E' un belloccio e
sembra simpatico, ma Spring è sorrisi e gentilezze con tutti. E' difficile
capire cosa le passi per la testa. Di sicuro, a preso a cuore la sua
situazione, visto come si sta prodigando per lui» mugugnò Summer, pensierosa.
«Starò attenta.»
«Non troppo, spero.»
Lei lanciò
immediatamente uno sguardo inquisitorio all'uomo che, abbozzando un sorrisino,
replicò: «Eh dai, Summ, non è una bambina. Ha trentaquattro anni, non sei mesi.
Se vuole spassarsela con un uomo, che faccia!»
«Spring non 'se la
spassa', come dici tu. Se si butta in una cosa, o in una relazione, lo fa
col cuore. E non voglio che rimanga ferita» brontolò accigliata Summer.
«Ad ogni modo, per ora
non c'è neppure una relazione, tra i due. Preoccupati quando ne avrai motivo,
non prima» ci tenne a dire J.C., scrollando le spalle.
«Giusto» sospirò lei,
abbozzando un mezzo sorriso. «Ti darei un bacio per la tua sapienza come consigliere,
ma poi ti monteresti la testa...»
«Non sia mai!»
sghignazzò John prima di indicare la vetrina, dove due attempate signore
stavano scrutando con interesse uno dei nuovi centro tavola in pizzo
confezionati da Spring.
Atteggiando il proprio
viso a un'espressione angelica, Summer si legò in fretta in una coda la chioma
ribelle.
Senza attendere oltre,
indossò poi il grembiule verde oliva che solitamente usava Spring, sperando che
tutto questo bastasse a farla apparire abbastanza dolce.
Sapeva che la sua
altezza – sfiorava il metro e ottanta – e il suo abbigliamento solitamente
aggressivo potevano mettere a disagio le persone più insicure e, di certo, lei
non voleva creare problemi ai clienti della sorella.
Avvicinandosi alle due
vecchiette quando entrarono nel negozio, Summer sfoderò il suo sorriso più tenero mentre J.C., osservandola
dal bancone, mormorò tra sé: «Solo chi non ti conosce potrebbe pensare che tu
non sia dolce.»
ЖЖЖ
Era più che sicuro
che, senza l'aiuto di Spring, si sarebbe impiccato nel giro di una settimana.
Cos'erano mai, le
cialde? O la glassa? E lo zucchero colorato? O la crema Chantilly?
No, non ce l'avrebbe
fatta di sicuro.
Conosceva i propri
limiti, e i dolci ne facevano parte integrante.
Poteva cavarsela con
uova strapazzate e bacon, ma che non gli chiedessero di riconoscere la differenza
tra una spuma di cioccolato o del fondant,
perché sarebbe caduto nel panico più totale.
Spring, invece,
sembrava a suo agio in quel mondo fatto di marzapane, di pan di Spagna e
roselline di zucchero e, a ben guardarla, era adorabile in quello scenario di
torte meravigliosamente costruite.
Era più che certo che,
se l'avesse assaggiata, l'avrebbe scoperta dolce e saporita tanto quanto i
campioncini di bignè che aveva sbocconcellato quel pomeriggio, tra una
telefonata e l'altra.
Il che era
imbarazzante quanto assurdo da pensare.
Conosceva quella donna
da quarantotto ore, e già pensava di mangiarsela? Che gli prendeva?
D'accordo, era bella.
D'accordo, era
spigliata e affascinante.
D'accordo, lui era un
uomo sano e di ottimi gusti.
Ma cavoli! Cosa sapeva
di lei, a parte che era una fiorista, e aveva un occhio speciale per le belle
cose?
Ben poco.
E lui non era affatto
un uomo che si buttava a pesce in una potenziale relazione, almeno non senza
sapere almeno l'ABC della propria compagna.
Non voleva ritrovarsi
in casa un'assassina, o una maniaca, solo perché non aveva perso almeno un paio
di minuti a tentare di capire chi voleva portarsi a letto.
Perché, inutile
girarsi intorno, una mezza idea se l'era fatta.
Sarebbe stato da
ipocriti non ammetterlo almeno con sé stessi, e lui non era un ipocrita.
Però, al tempo stesso,
si sentiva un idiota al solo immaginarsela stesa sotto di lui, fremente per i
suoi baci e le sue carezze.
Doveva assolutamente
smetterla di immaginarsela svestita o, prima o poi, sarebbe incappato in un
errore clamoroso.
O, peggio ancora,
Winter o Summer – soprattutto Summer – si sarebbero accorti degli sguardi lascivi
che, sapeva, un giorno o l'altro gli sarebbero sfuggiti.
«Andiamo?» si
intromise Spring, sbalzandolo con una sola parola dal suo mondo immaginifico.
Sobbalzando
leggermente, lui annuì lesto e la donna, sorridendogli divertita, lo prese
sottobraccio per uscire dal negozio di dolci e si incamminò con Max lungo il
marciapiede per raggiungere l'auto dell'uomo.
L'aria era ancora
fresca e scivolava tra i suoi soffici capelli formando un'aureola dorata
attorno al suo viso roseo e Max, non potendo fare a meno di notare il suo
sorrisino, le domandò: «Perché ho la netta impressione che tu mi stia
nascondendo qualcosa? E che questo qualcosa riguardi me?»
Spring allora
ridacchiò apertamente e, lanciatogli che ebbe uno sguardo malizioso, sussurrò:
«Penso tu abbia dei pensieri molto... divertenti.»
Max incespicò nei
propri piedi al suono delle sue parole e, impallidendo di colpo, esalò con un
gracidio stentato: «Che intendi dire?»
«Non devi vergognarti
se mi trovi interessante... o bella. Non mi offendi» si limitò a dire lei,
scrollando le spalle. «Sono abituata a riconoscere certi sguardi, o il
tentativo di mascherarli. Mi è capitato abbastanza volte per essere diventata
un'esperta conoscitrice di certe occhiate.»
«Oh, cielo!» esclamò
Max, passandosi una mano sul viso.
Addolcendo il suo
sguardo e perdendo del tutto la voglia di fare dell'ironia, Spring asserì
pacata: «A volte, negli anni, mi sono sbagliata e ho interpretato male
l'interesse di alcune persone, finendo con il farmi molto male. Ma penso sia
capitato a tutti. Quando ci sono di mezzo i sentimenti, si commettono errori.»
«Tendenzialmente,
cerco di non commetterli» ammise Max, guardandola di straforo per comprenderne
l’umore.
Decisamente, lui non
era bravo quanto lei, perché non capì un’acca di quel che vide, a parte che era
bellissima alla luce del tramonto.
«Quindi, non sei un
uomo da una botta e via» dichiarò con candore Spring, facendolo irrigidire
sensibilmente.
«Cristo, Spring! Sei
più diretta di un caccia bombardiere!» gracchiò lui, impallidendo leggermente.
«Evito disguidi.»
Scrollando una mano
con noncuranza, aggiunse: «Pensate davvero, voi ometti, che noi donne ci
limitiamo a guardarvi con occhi liquidi per poi sospirare per voi?»
«Beh, immagino che
abbiate anche voi i vostri … momenti» buttò lì Max, non sapendo
esattamente come fossero finiti a parlare di argomenti così personali.
Spring sorrise
divertita e gli confidò: «Abbiamo gli occhi anche noi, e sappiamo usarli molto
bene, Max.»
«Tutto questo per dire
che...?» biascicò lui, non sapendo esattamente cosa dire.
Era un tranello, il
suo? Lo stava mettendo alla prova, forse?
«Non devi nasconderti
dietro sorrisini stentati, o volgere subito lo sguardo non appena mi giro verso
di te. Non mi imbarazza sapere che mi trovi... appetibile? Può andare,
come idea?»
Lui annuì, non
arrischiandosi a parlare, preferendo di gran lunga lasciarla fare da sola.
Spring allora proseguì
dicendo: «Non penso ci sia nulla di male. Certo, se tu mi sbattessi sul cofano
della tua auto senza il mio consenso, allora sì che mi darebbe fastidio.
E credo che potrei perfino arrabbiarmi.»
Max scoppiò a ridere
di gusto, comprendendo subito che quella battuta era stata fatta al solo scopo
di farlo rilassare.
Nel battere una mano
su quella della donna, che riposava sul suo braccio, lui ammise: «Non ho mai
parlato con una donna così schietta, ma ammetto che è più semplice se posso
dirti cosa penso, senza aver timore di infastidirti. Non assume più i contorni
dell'ossessione.»
«Sei già a questo?»
ironizzò lei, ammiccando.
Max rise ancora e,
scuotendo il capo, replicò: «Mi ossessionava il fatto di non apparirti un
cafone, questo sì.»
«Non penso tu lo sia.
Appurato questo, cos'altro pensi?» gli domandò con curiosità lei.
Lui aprì l'auto con il
telecomando della chiave d'accensione e, dopo essere salito in macchina con
Spring, afferrò pensieroso il volante e, tenendo lo sguardo fisso dinanzi a sé,
mormorò: «Penso tu sia una bellissima donna, e vorrei... beh, immagino tu
sappia cosa. Ma dopo mi do dell'idiota per averci anche solo pensato, perché in
fondo non ti conosco affatto, e potresti non essere solo la donna stupenda e
dall'ottimo gusto estetico che per il momento so di te. Ed io detesto
commettere errori.»
«Lo avevo capito»
ammiccò lei. «La faccenda del sesso e del fatto che non vuoi commettere errori,
intendo. Mi stupisce la parte in cui ti dai dell'idiota, però.»
«Alla faccia
dell'analisi cruda del mio Ego» gracchiò Max, fissandola a sopracciglia
sollevate.
Spring sorrise nel
vederlo così sconcertato, così meravigliosamente disarmato di fronte alla sua
schietta sincerità e, sollevata una mano per sfiorargli il contorno del viso,
ammise: «Non mi piace dire le bugie, o girare intorno alla verità, Max. Tutto
qui. Ti da fastidio?»
«No, non credo. Te lo
saprò dire quando mi dirai qualcosa che mi da fastidio» ghignò lui, afferrando
la sua mano per volgerla verso di sé.
Ne studiò il palmo,
dove poté scorgere alcuni taglietti rimarginati e il segno di una cicatrice
vecchia di anni, e dal tessuto cicatriziale bianco latte.
La studiò con
attenzione, chiedendosi cosa avesse prodotto un simile squarcio e, in quel
mentre, Spring ne lesse le impressioni sul volto.
Era chiaro che quel
segno lo sconcertava e poteva capirlo, visto che la cicatrice che aveva sul
palmo era piuttosto evidente, ma di certo non si sarebbe messa lì a spiegare il
perché di quel segno.
Certi segreti,
dovevano rimanere tali.
Almeno per ora.
Max gliela sfiorò con
un dito, leggero come una piuma di colomba e Spring, senza volere, si lasciò
sfuggire un gemito.
Chiuse gli occhi,
assaporò sulla lingua il piacere di quel tocco e, intorno a sé, avverti le
piante danzare al ritmo del vento, i fiori assopirsi gradatamente al calare del
sole e la terra gorgogliare piena di vita.
«Spring...» sussurrò
Max, riportandola alla realtà.
«Scusa, sono particolarmente
sensibile, in quel punto» ammise, sapendo di non dire una bugia.
Ritirò delicatamente
la mano e Max, studiandola in viso meditabondo, le disse: «Vorrei accarezzarti
così dappertutto.»
«E' interessante come
pensiero e, lo ammetto, stuzzicante...» gli sorrise lei, dandogli un buffetto
sulla guancia perfettamente rasata. «... ma, come hai detto tu, non sai quasi
niente di me, ed io quasi niente di te, e prima di arrivare lì dovremo compiere
tanti altri passi.»
Sinceramente sorpreso,
Max levò un sopracciglio con intenzione e replicò: «Vuol dire che...»
«Che mi intriga l'idea
di averti nel mio letto? Sì» ammise con candore lei. «E' difficile che mi
capiti, perché tendenzialmente non ho mai ricevuto energie così positive dai
maschi che ho conosciuto negli anni ma, con te, è diverso. Hai un'aura... luminosa.»
«Aura? Sei una seguace
della new-age?» ironizzò Max, vagamente divertito.
Spring ridacchiò di
fronte al suo scetticismo e si limitò a dire: «Diciamo che ho una buona
connessione con tutte le creature viventi, maschi compresi. Amo ciò che cresce
e prospera.»
Max avviò il motore e,
nel sorriderle divertito, asserì: «Sei una strana combinazione di candore
virginale e sapienza antica. Non so come altro vederti, ora come ora.»
«E' un buon inizio.»
Poi, scrutando
l'orario sul display del navigatore satellitare, dichiarò: «Dobbiamo andare, o
il pollo alle mandorle se lo mangerà Summer.»
«Andiamo pure» annuì
Max, infilandosi nel traffico con la sua Mercedes.
ЖЖЖ
Una bellezza dagli
occhi verdi come pezzi di giade screziate aprì la porta e, nel vedere un nuovo
venuto, si aprì in un dolce sorriso prima di allungare una mano e dire:
«Benvenuto, Max. Io sono Kimberly, la fidanzata di Winter, ma puoi chiamarmi
Kim.»
«Piacere» mormorò lui,
stringendo quella mano esile ma forte.
E così, lei era la
dottoressa Clark che, assieme a Winter, era sopravvissuta all'incontro con i
mercanti d'armi russi.
Le fotografie sui
giornali non le rendevano giustizia.
Di corporatura e altezza
in tutto simili a Spring, Kimberly appariva scanzonata, con un abbigliamento
mascolino a cingerle il corpo perfetto, e sicura di sé quanto bastava.
In quel momento,
portava i lunghi capelli mossi e castano chiari stretti in una coda di cavallo
e la camicia, dichiaratamente maschile, era stretta in vita con un nodo.
I jeans a vita bassa e
lunghi al ginocchio, invece, erano attillatissimi e mettevano in mostra un
fisico mozzafiato e, tra le altre cose, una ferita recente al polpaccio, quasi
sicuramente un ricordo della brutta esperienza vissuta sullo Stretto.
«Prego, venite. Il
commesso del ristorante cinese sarà qui a momenti» disse loro Kim, avviandosi
verso la porta che conduceva al piano superiore.
Max e Spring si
accodarono a lei e, dopo essere giunti nell’appartamento di Win – dove la
tavola per gli ospiti era stata sistemata e apparecchiata – l'uomo si ritrovò
innanzi alla fotocopia rimpicciolita di Winter Hamilton.
Il bambino in
questione lo studiò curioso e, con una certa solennità, gli disse: «Benvenuto,
io sono Malcolm. Ciao, zia Spry!»
«Beh, ciao, Malcolm,
io sono Max» dichiarò lui, chinandosi su un ginocchio per essere più o meno
alla sua altezza. «Sei tu che comandi, qui?»
Malcolm ridacchiò
mentre, dalla cucina, sbucarono Summer, J.C. e Winter.
Nel rimettersi in
piedi, scrutò il padrone di casa e aggiunse: «Spero di non disturbare.»
«Ci piace la
compagnia» dichiarò Winter, dicendo poi a Malcolm: «Vai a prendere il vassoio
con gli aperitivi, di là.»
«Okay.»
Mal corse tutto
contento in cucina, mentre Spring si occupava della giacca di Max e della
propria.
L’uomo, scrutando
incuriosito il ritorno fiero del bambino, si chiese come mai quell'incombenza
fosse toccata proprio a lui.
Come leggendoglielo
nello sguardo, Summer gli spiegò: «Mal ama rendersi utile e, se una cosa può
farla, perché negargliela? Inoltre, meglio che Spring non si avvicini alla
cucina, quando c'è così tanta roba in ballo.»
Max si volse a fissare
confusamente la donna che, ridacchiando imbarazzata, ammise: «Finché mi occupo
di me stessa o di Mal, va più o meno tutto bene, ma con più di tre persone,
vado nel pallone.»
«Non è possibile! Il
tuo negozio è...» esalò sconcertato Max, prima di rendersi conto che lei gli
aveva detto l'assoluta verità.
I suoi occhi lo
dicevano a chiare lettere, neanche gli avesse appena fatto una confessione
scritta con il sangue.
Ridacchiò incredulo e
Winter, battendogli una mano sulla spalla, lo mise in guardia senza tanti giri
di parole.
«Pensaci bene, se vuoi
iniziare qualcosa con lei. La prima regola è: non farle toccare nulla, neanche
un bicchiere oltre al proprio.»
Spring gli fece la
linguaccia, ma non dissentì e Max, sempre più curioso, le domandò: «Non mi
stanno prendendo in giro, vero?»
«La zia ha fulminato
quattro aspirapolvere» dichiarò divertito Malcolm, sghignazzando.
Kim gli diede un
pizzicotto scherzoso sulla guancia e lui, stringendosi alla donna, mormorò:
«Non ho resistito, scusa.»
«Non scusarti con me,
ma con la zia. E' lei che non sta facendo una gran figura» replicò sorridente
Kimberly, strizzando l'occhio a Spring, che fece spallucce.
J.C. intervenne
dicendo: «Non ascoltarli, Max. Spring potrà essere un disastro con gli
elettrodomestici, ma ha un sacco di altre qualità.»
Summ allora tappò la
bocca a John e replicò: «E ora che abbiamo messo in imbarazzo entrambi, vediamo
di sederci a tavola a piluccare qualche antipasto mentre arriva la cena!»
Tutti risero e, quando
Max si accomodò al fianco di Spring, le sussurrò all'orecchio: «Perché tutti
pensano che io e te siamo reciprocamente interessati ad avere una... storia? Da
l'idea?»
«Sì, da l'idea» annuì
lei, divertita. «Perché la mia famiglia, ed i miei amici, sono degli impiccioni
e, di solito, non porto mai i miei uomini a casa di mio fratello.»
«Beh, è un evento,
allora, visto soprattutto che non ho ancora ben capito cosa ci sia tra noi»
ridacchiò Max, strizzandole l'occhio.
«Lasciali dire. Quando
si saranno sfogati un po', smetteranno» scrollò le spalle Spring, noncurante.
«Ho le spalle larghe.
Posso sopportare praticamente di tutto» sentenziò lui, prima di volgere lo
sguardo in direzione di Malcolm, che sedeva alla sua destra e che in quel
momento, stava tirandogli gentilmente la manica della camicia. «Sì, Malcolm?»
«Hai già baciato mia
zia? Come fa il mio papà con Kimmy?»
Una risata fragorosa
quanto collettiva riverberò tra le pareti della stanza e Max, fissando basito
il bambino, si chiese seriamente se fosse del tutto vero che poteva sopportare
di tutto.
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1: prònaos o
prodromo è una parte del tempio greco e romano costituita dallo spazio davanti
alla cella templare.
2:
Galeras. Si tratta di un vulcano di tipo Vesuviano che svetta in Colombia,
nella Cordigliera delle Ande.