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Autore: _ AMBRA _    01/02/2014    7 recensioni
Questa è la storia della scorsa generazione. Cercando di attenermi il più possibile alla saga precedente, ho scritto le avventure dei Malandrini, partendo ancor prima della loro formazione. Siamo nel 1971 e James Potter e Sirius Black frequentano il loro primo anno ad Hogwarts. Il racconto si protrarrà poi, per tutti i sette anni d'istruzione dei nostri protagonisti.
I miei capitoli sono dedicati a tutti coloro che hanno seguito Harry fin proprio alla fine, e che non hanno accettato la fine della saga; ma soprattutto, la storia è dedicata a J.K.Rowling, colei che ha dato colore e valori alla mia vita.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Potter, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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Capitolo  I,
impeti di magia.

 

Scricchiolio di una porta, passetti felpati su una moquette antica, svolazzante stoffa strusciata sullo scorri-mano di vecchio mogano, bassi tendaggi dischiusi.

<< Lumos >>,

un sussurro.

La piccola stanza illuminata mostrava file e file di scatoloni metà imballati, metà semiaperti che mostravano il contenuto più bizzarro, almeno agli occhi di un normale Babbano. In un angoletto dal colore non incoraggiante e dall’odore ammuffito ancor meno, uno sgabello a tre gambe era appena stato occupato da un ragazzino minuto dai capelli scompigliati, il cui ciuffo ribelle lasciava intravedere i furbi occhi scuri, brillanti alla luce ravvicinata della bacchetta accesa.
James fece un mezzo sorriso compiaciuto; era stato facile come sempre. Da mesi ormai si rinchiudeva nel silenzio della notte fonda, nel sottoscala di palazzo Potter.

Lì sotto si sentiva bene, a suo agio, si sentiva magico.

Infatti era stato proprio su quello scomodo sgabello, in un giorno, non diverso dagli altri a dirla tutta, in cui i signori Potter lo avevano messo in castigo, che circa cinque anni prima aveva illuminato la stanza stantia senza il bisogno di uno di quegli strani bottoni per la luce dei Babbani, né tantomeno di una bacchetta magica. Quella stessa sera si sarebbero potute sentire le grida di gioia dei Potter, in tutto il paese di Godric’s Hollow, festeggiare la prima manifestazione di magia nel loro unico figlio.

Lo stesso bambino guardava ora con noncuranza l’alone di luce che aveva creato, togliendosi gli occhiali rotondi per pulirli con un lembo del pigiama.

<< James! >>.

Gli occhiali caddero rompendo le lenti fragili.

<< JAAAMES! >>

Il piccolo Potter, maledicendosi sottovoce, prese la montatura da terra proprio nel momento in cui le tende del sottoscala venivano dischiuse per la seconda volta in quella notte.

<< Esci fuori di lì, James! Piccolo ladruncolo che non sei altro! >>.

Dall’angolo si sentì uno sbuffo e poi, il ragazzino, emerse dalla stoffa pesante con l’aria più pentita che gli riusciva.

<< Ti sei appena guadagnato una settimana chiuso in camera, James! E NON PROVARE A IMPIETOSIRMI SIGNORINO! NON ATTACCA, NON CON ME! >>

aggiunse poco dopo la Signora Potter notando l’atteggiamento stranamente umile del figlio, che era solito fare nei momenti in cui aleggiava il puzzo di qualche punizione.
James attraversò il corridoio a testa china per non tradirsi guardando la madre in pieno viso e poi si trascinò su per la grande scalinata che dall’ingresso portava al corridoio delle camere da letto. Stava per chiudere la porta della sua stanza con un sorrisetto sospettosamente trionfante, quando una voce alterata giunse dal pino inferiore:

<< La bacchetta di papà, James! Mi sottovaluti ancora dopo undici anni di esasperante convivenza e nove lunghi mesi di scalciate incessanti all’addome…Robe da non credere! >>.

Un grugnito infuriato giunse dallo spiraglio tra lo stipite e la porta, da dove sbucava una mano a palmo aperto su cui poggiava la fatidica bacchetta del Signor Potter. La donna la prese senza commenti, evidentemente ritenendoli assai poco significativi se il destinatario era il figlio, e sbattendo la porta, si coricò accanto al marito e mentre gli restituiva la bacchetta trafugata, si dedicò alla sfilza di lamentele consueta su che figlio viziato, intemperante, turbolento e sfrenato era capitato loro.
Ma mentre l’ultimo sospiro rassegnato giungeva dall’ altro capo del grande letto a baldacchino, un barlume lunare, proveniente da un’alta finestra, si posò sul volto spensierato dell’uomo illuminandone un sorriso quasi compiaciuto.
                                                      
                                                                  *******

La settimana seguente, fu una delle più afose dell’intero mese di Agosto, e per James la più opprimente e claustrofobica dell’anno. Da sei giorni e sei notti usciva dalla sua stanza solo per mangiare, bere e andare al bagno; cominciava ad invidiare perfino le tortorelle sulle tegole della casa affianco e addirittura lo stupido cane della signorina Bathilda in fondo alla via, che sembrava aver basato la sua esistenza su un abbaiare perpetuo: almeno lui era libero di fare ciò che voleva, si trattasse anche solo di abbaiare per il resto della sua esistenza, che James si augurava, sarebbe stata breve.
Era proprio intento a rimuginare su tali ingiustizie, quando la porta della sua odiata prigione si spalancò e andò a sbattere contro il muro di pietra dura producendo un boato tale da far alzare in volo tutti gli uccelli alla finestra.
Era talmente immerso nei suoi pensieri malinconici che non si era neanche accorto del passo pesante e frettoloso del padre che risaliva la scalinata per raggiungerlo. Ed ora eccolo lì, sulla soglia di camera sua, con il fiatone, le gote arrossate e un sorrisone stampato sul viso che andava da zigomo a zigomo. Il ragazzino lo guardò concedendosi un momento per viaggiare con la memoria per accertarsi di non aver combinato niente nelle ultime ventiquattr’ore. Quando l’esame interiore fu vittoriosamente terminato, James osservò attentamente il padre che ora stava sventolando come un vessillo sottoposto ad un tornado, un affare bianco-giallastro che assomigliava tanto a…

<< NO! >>

James gli corse incontro

<< No!...cioè, sì, sì, sì, sì! >>.

Cercò di arrampicarsi come un euforico scimpanzé alle braccia muscolose del padre che rideva allegramente portando la lettera sopra il capo, laddove il piccolo non sarebbe mai giunto. Poi il Signor Potter attraversò di gran carriera la porta, il corridoio con la lunga balaustra, la scalinata e girò a destra, oltre le due grosse e possenti colonne ai lati della cucina, sempre seguito dal trotterellante figlio che sembrava aver ritrovato il consueto buonumore perso nell’ultima settimana.

In cucina Dorea Potter guardava sorridendo quella scenetta, evidentemente divertita, poi spostò una sedia di lucido legno scuro e ci ficcò sopra a forza il figlio esultante.
Il Signor Potter solo allora allungò il braccio verso James e gli porse la lettera tanto attesa. Gli occhi del ragazzino erano sgranati come non mai e le mani corsero rapide alla chiusura in ceralacca rossa.

Era stato ammesso. Sarebbe andato ad Hogwarts!

In fondo aveva sempre saputo che quelle dei genitori erano solo intimidazioni per farlo stare buono. Eppure, ammise James, non era difficile credere che, come sostenevano entrambi, non sarebbe mai andato ad Hogwarts poiché là non li volevano gli scapestrati come lui.
Ma invece ora aveva la lettera, scritta con l’inchiostro verde smeraldo e con i ghirigori negli angoli.
Ed era sua.


Se in quel momento James avesse alzato lo sguardo dalla lettera, ancora pieno di gioia, avrebbe potuto vedere il bel gufo marrone che aveva assistito alla piccola riunione familiare fino ad allora, appollaiato suulla staccionata in ferro battuto che delimitava il parco di Palazzo Potter, spiccare il volo su nell’alto ciel sereno con un’altra lettera d’ammissione da portare a destinazione, a Londra.


                                                                           *******
                                                                                                       
Quella sera stessa in Grimmauld Place n°12, una lunga tavolata era stata imbandita ad opera d’arte dal vecchio elfo domestico Kreacher, che ora era intento a portare pietanze prelibate e a ripulire velocemente dalle stoviglie sporche, il tavolo occupato da circa una dozzina di maghi e streghe.
L’undicenne Sirius, se ne stava a capotavola, al posto che di solito spettava a suo padre, Orion Black. Il ragazzo era del tutto contrariato da quella situazione ma stranamente non era stato abbastanza scaltro da inventare qualche diversivo per evitare quella cena orripilante con i parenti che tanto odiava. Avrebbe di gran lunga preferito festeggiare l’ammissione alla Suola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, recapitatagli quel pomeriggio, da solo in camera sua, o magari di nascosto con i ragazzini Babbani che a volte guardava sognante mentre schiamazzavano allegri in fondo alla via. I genitori vietavano a lui e al fratello minore, perfino di guardarli in faccia e gli avevano insegnato fin da piccoli che quella gente doveva essere considerata come la schiavitù più scadente. O meglio ancora, non doveva essere considerata proprio.
Regulus, il fratellino minore di Sirius, beveva tutte quelle storie, pendendo letteralmente dalle labbra del padre, mentre il giovane Sirius aveva imparato a  far entrare da un orecchio e poi subito espellere dall’altro tutte le cattiverie infondate dei parenti Black; non era contro, ma neanche a favore di tutto ciò, si limitava a restarne fuori pensando piuttosto a progettare furbate varie che facevano esasperare l’elfo Kreacher che cercava ogni volta di fermare le birbanterie del padroncino, inutile dirlo, quasi sempre fallendo spudoratamente.
Ma di certo non si poteva biasimare il povero Kreacher, infatti Sirius Black era un ragazzino assai sveglio e intelligente per la sua età, spiccava tra i coetanei non solo per l’intelletto e la furbizia, ma anche per il bell’aspetto che già a undici anni e mezzo dimostrava con gran compiacimento della madre, Walburga.

Quella sera però, la Signora Black non era per niente contenta del comportamento del figlio maggiore, che come al solito si rivelava scontroso e sfuggente ogni qualvolta uno dei parenti Black si materializzava sugli ultimi gradini della dimora.

Sirius guardò alla sua destra oltre la rada chioma scura di suo padre, suo fratello Regulus punzecchiava l’arrosto scostando i lunghi capelli dalle spalle minute; ancora un po’ più in là, sedevano i nonni paterni, Arcturus Black e Melania Macmillan, con il suo immancabile cappello piumato che, notò Kreacher con un certo compiacimento, spolverava il lampadario ogni volta che la donna voltava il capo. La figlia Lucretia era seduta alla destra del padre, intenta a lisciare la bella chioma ambrata chiacchierando  amichevolmente con la lontana nipote Andromeda, che aveva corti capelli folti e un paio di occhioni dolci che avevano catturato persino la simpatia restia del cugino, con il quale era sempre andata molto d’accordo.

Lei gli fece un cenno comprensivo dall’altro capo della tavola a cui Sirius rispose con un sorriso esasperato per poi continuare la perlustrazione alla sua sinistra.

Oltre la madre, dall’aspetto alquanto superbo e reduce di una grande bellezza, sedeva quasi imbalsamato suo zio Cygnus e la bionda moglie Druella con le altre due figlie, Bellatrix e Narcissa, talmente diverse fra loro che fuori da quel contesto non sarebbero state scambiate nemmeno per remote cugine. Infine sull’ultima sedia al lato sinistro, Sirius riuscì a scorgere a malapena il lungo naso aquilino dello zio prediletto,  Alphard Nigellus. Il ragazzo notò con alquanto scarso stupore la bravura impeccabile dei genitori nell’affibbiare agli unici parenti che trovava degni di quel nome, i posti più lontani possibile dal figlio.

<< Sirius >>,

lo riportò una voce  gracchiante alla realtà,

<< ragazzo, spero bene che tu abbia intenzione di portare onore e gloria alla Casa di Serpeverde, come d’altra parte abbiamo fatto tutti noi. Ah, bei tempi quelli! Mi ricordo che al terzo anno il professor Dippet mi aveva consigliato di frequentare il corso di Babbanologia. Babbanologia! Sì, proprio così >>.

Quasi tutti i parenti risero di gusto a quelle parole mentre Sirius, fissava come ipnotizzato le alte piume nere sventagliare di qua e di là, pericolosamente vicine al prezioso lampadario d’argento.

<< Bhe, non ne parliamo poi, di tutti quei luridi Mezzosangue e traditori filobabbani che insozzavano il castello! Noi Serpeverde li odiavamo a morte, e anche tu, Sirius, scommetto che sarai un perfetto tradizionalista degli antichi costumi dei Black, davvero, ti ci vedo bene a torturare quei sudici porci, ad ammazzare i loro figli intaccati e ad incendia…AAARGH!! >>,

la vecchia donna fu distolta dal pensiero di perfetto erede che sarebbe stato il nipote, quando il più alto dei pennacchi del suo copricapo, apparentemente avvicinandosi troppo ad un paio di candele del lampadario affisso al soffitto, aveva preso fuoco. In pochi secondi le fiamme si erano divulgate fino a raggiungere le altre lunghe piume nere, trasformando la donna in un caminetto vivente, il quale si rifletteva guizzante negli occhi ardenti di Sirius, che esibiva il suo miglior ghigno soddisfatto.








Angolo autrice:

Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto, come ha entusiasmato me scriverlo.
Scrivetemi cosa ne pensate ( anche le critiche sono ben accette ;) )

A breve pubblicherò il secondo capitolo, perciò,
a presto! :*
 
  
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