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Autore: funklou    02/02/2014    183 recensioni
Al Norwest Christian College le cose vanno così: o sei popolare, o non sei nessuno.
Ma c'è anche chi, oltre ad essere popolare, è anche misterioso, quasi pericoloso. E nessuno sta vicino al pericolo.
Tutti sapevano quello che Luke Hemmings e i suoi amici avevano fatto.
Ricordatevi solo una cosa: le scommesse e i segreti hanno conseguenze.
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Dal secondo capitolo:
"A me, invece, non sembri un tipo così pericoloso. Forse strano" affermò Avril, senza distogliere l'attenzione dal suo libro.
"Due." Si guardò intorno, in cerca di un banco libero.
"Due?"
"Due."
"Cosa significa?" Alzò lo sguardo e lo guardò confusa.
"Sinceramente? Nulla. Quando non so cosa rispondere, o quando non voglio rispondere, dico due." Scrollò le spalle, come se fosse la cosa più ovvia e si allontanò.
"Questo conferma la mia teoria, Hemmings."
Doped!Luke
Scene di droga esplicite. Se ne siete sensibili, non aprite.
Il trailer di Two: http://www.youtube.com/watch?v=NE35nheHyZY
Genere: Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Calum, Hood, Luke, Hemmings, Michael, Cliffors, Nuovo, personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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No fault.

02/02/2014
E' domenica. E' domenica e a Sydney non c'è niente da fare. O almeno, non c'è più niente da fare. Sono seduta sul prato del solito parco, con un giornale aperto sulla quarta pagina. Il parco è silenzioso, oggi. Calum sta calciando una palla contro il muro, soffocato da scritte su scritte. Distolgo lo sguardo dalle pagine riciclate, e guardo il movimento monotono e continuo del moro. La palla rimbalza e torna indietro, Calum dà un ultimo calcio, poi si gira. Sta osservando Michael, disteso sul prato, con una sigaretta tra le labbra, un braccio sotto la testa e i capelli scompigliati dal vento, che agita anche i fili d'erba. 
Il parco è anche deserto, oggi. Lascia spazio al silenzio, che sembra urlare, rimbombare e diffondersi tra gli alberi, le panchine e tra quei giochi che non hanno mai conosciuto le grida allegre dei bambini. Ritorno al mio giornale, leggo il titolo in neretto che spicca. 

«Scandalo al Norwest Christian College: arrestati dirigente scolastico e insegnante. Episodi di pedofilia e sfruttamento minorile si fanno risentire a Sydney.»
Non è una novità. E' scandalo ormai da settimane, qui. La gente, all'inizio, non voleva nemmeno crederci. Siamo stati noi a dire la nostra, a crearci giustizia da soli. Alla fine, siamo sempre vuoti. Non abbiamo niente. Mia madre aveva fatto fatica ad assimilare la notizia e a prender per vero il racconto di quei giorni in cui Luke era la mia priorità. In un primo momento, aveva preso in considerazione il fatto di tornarsene a Melbourne, un'altra volta. Forse, poi, aveva capito che non avrebbe avuto senso. Troppe cose, da un po' di tempo, non ce l'hanno più. Non puoi scappare dai posti, quando quelli ti hanno assorbito, e tra essi ci sono tracce di te. 
Emily, invece, si è trasferita. Probabilmente ha fatto anche bene, perché ci sono luoghi che non puoi sentire tuoi fino in fondo.
Sfoglio un'altra pagina, e questa recita esattamente queste parole: 
«Ultimo buco fatale per il ventunenne di Hurstville: seconda morte in un mese.»
Scorrendo poi tra le colonne, le righe stampate riportano: "E' stato trovato Frank Nolan nel bagno di casa sua dalla sorella che, dopo un primo momento di shock, si è affrettata a chiamare l'ambulanza. Niente da fare per Nolan, che è deceduto per overdose durante la corsa all'ospedale. Il caso sembra ripetersi: già due settimane fa, il diciassettenne Luke Hemmings era stato sorpreso dalla fidanzatina entrare overdose, esalando il suo ultimo respiro, proprio davanti alla giovane, che aveva provato a chiamare i soccorsi, invano. [...]"
Chiudo il giornale e lo poso a terra. Leggere il suo nome tra gli articoli mi fa ancora tremare. Fa male e fa salire il cuore in gola, come se Luke, quando mi accorgo della sua inesistenza, morisse ogni volta. Ma non mi sentirò mai in colpa, perché io, di colpe, non ne ho mai avute. 
La gente si sceglie la propria strada. E Luke l'aveva scelta da tempo, la sua, trovando un ostacolo. E quell'ostacolo ero proprio io. Io, che avrei rischiato anche la mia vita per continuare a fargli vivere la sua. Perché Luke meritava di vivere, e probabilmente di questo non se ne era mai reso conto. 
Questo, io lo so, vuol dire solo perdere: avevo iniziato una battaglia per salvarlo, e non l'ho vinta. Il grigio mi ha uccisa. Il grigio mi ha travolta, e non sono stata in grado di respingerlo col bianco. L'intermedio che vince sul bene. 
Il fatto è che non sono riuscita a salvare nemmeno me stessa. Perché, quando una persona muore, si ferma tutto. Ed io mi sono fermata nell'esatto momento in cui, suonato il campanello di casa Hemmings, nessuno venne ad aprirmi. Forse avevo già capito, forse lo negavo a me stessa. Allora avevo salito le scale, avevo controllato parecchie camere, fino ad arrivare nello stanzino che, in quella casa, nessuno prendeva in considerazione. C'era solo un divano, un armadio, e vari oggetti vecchi e di poco valore. Luke era steso a terra, con una siringa piantata nel braccio. La sua ultima siringa. Aveva una mano sul collo, aveva capito di star soffocando. Aveva gli occhi ribaltati all'indietro, e un colorito bluastro che non avevo mai visto da nessuno. Mi venne da vomitare. I soccorsi arrivarono dopo una decina di minuti, ma io non avevo più nessuna speranza. Me lo sentivo. Me lo sentivo perché io e Luke, ormai, eravamo la stessa persona, e quel pomeriggio mi sentivo solo me stessa. Solo io, al centro del nulla. Urlavano di somministrare endovena del Narcan, ed io non avevo la minima idea di che cosa fosse. Poi me lo dissero, o almeno, lo affermarono e basta: decesso per asfissia. Mi sentii male. Iniziai a tossire e mi portano via in ambulanza. Luke non c'era più. 
Io non lo so che cosa si prova quando si muore per overdose. Seduta al centro di questo parco, testimone del nostro primo bacio, mi chiedo se Luke abbia sofferto, se abbia pensato, in quel decimo di secondo prima di morire, di uccidere anche me, andandosene. 
E' passato quasi un anno da quando Ashton è tornato. La sua casa è proprio la villetta di fianco alla mia, e ogni sera lo sento esercitarsi con la sua batteria. Ha lasciato a Melbourne sua madre, ed ora vive solo col padre, che sembra meno pressante. Ora la scritta all primes are odd except two, which is the oddest of all è impressa nella sua pelle, precisamente sul braccio. Dice di sentirsi meglio, con quel tatuaggio. Dice di sentirlo di più, così. 
La cosa bizzarra è che stava andando tutto bene. Poteva avere tutto, Luke. Perché tutto era tornato alla normalità. La mattina si andanva a scuola, ogni tanto si scavalcava il cancello e si saltavano le lezioni. Ashton e Luke avevano ricominciato ad aspettarsi al Bronx, a scambiarsi i vestiti, a prendersi in giro. Ashton l'aveva addirittura convinto a riprendere a studiare, a diminuire le sigarette, ad andare piano sulla moto. La sera, poi, il Gens era la nostra seconda casa. E chi arrivava ultimo doveva pagare a tutti da bere, ma a me veniva da ridere, perché alla fine Luke pagava lo stesso al posto mio. Ci piaceva pensare che quello fosse il vero bene, che fosse quella la vera felicità. 
Che poi, Luke ci era pure riuscito, a dire di amarmi. Così, mentre Vicky era seduta di fianco a lui sul letto, ed io ero in piedi, davanti all'armadio di casa mia. Vicky mi stava consigliando di indossare la felpa che mi aveva regalato lei pochi giorni prima, e lui restò in silenzio a guardarmi fin quando non mi disse quelle due parole che probabilmente aveva in mente da quando s'era svegliato. Credo che quello sia stato uno dei miei giorni preferiti.
E' assurdo, comunque. Luke è stato due anni in balia del grigio, incapace di smaltire un abbandono, quando poi, in fin dei conti, è stato lui a lasciare Ashton.
L'altro giorno l'ho sentito dire di aver abbandonato la scuola. Non lo potevo sapere, perché anche io, il giorno dopo la morte di Luke, mi sono ritirata. Mia mamma non ha osato aprir bocca. Credo che Luke, lasciandomi, abbia contaminato un po' tutti. 
Calum e Michael ora si stanno abbracciando, lo fanno spesso dal funerale. Invece, io, non appena ero entrata in chiesa, avevo deciso di non salutare in questo modo Luke, perché forse non lo saluterò mai. Quella mattina, per la prima volta, ho visto la famiglia Hemmings al completo. Nessuno parlava. C'era solo il rimbombo della voce del prete, e dei singhiozzi che si diffondevano per la chiesa. Vedere quella bara, al centro, era la mia sconfitta. Così me ne andai.
"Le chiavi della moto gliele abbiamo messe nella bara" mi avevano rassicurato. 
Ed io avevo annuito soddisfatta, perché sapevo quanto Luke avrebbe voluto continuare ad essere in due, nonostante fosse sotterrato metri sottoterra. Il problema, adesso, è che sono io stessa ad essere da sola. 
Michael ora mi sta guardando, e nemmeno me ne sono accorta subito, perché lui non è Luke, e quello che c'è nei suoi occhi non è quell'azzurro intenso sul quale amavo contare le tonalità. Michael si sta anche avvicinando. 
"Stai bene?" mi chiede. 
Rispondo di sì, perché io non ho colpe. Questo è quello che Luke voleva, era ciò che voleva raggiungere, continuando a portare con sé in tasca il suo quartino di eroina. Luke ultimamente era strano, ma non sciupato. Non era come le prime volte, che sembrava morire da un momento all'altro. Aveva solo perso la voglia di uscire e divertirsi, e questo mi sembrava quasi positivo. E' stato anche bravo a nascondersi, a fuggire da se stesso, a fuggire da me. 
A me Luke piace ricordarlo così, con lo sguardo presente ma sospeso nel vuoto, con l'odore di fumo sulla pelle, le mani al volante di una macchina che non avrebbe potuto neanche guidare, o in sella alla sua Derbi, mentre sfreccia tra le sue amate vie di Sydney. 
L'altro pomeriggio ero sul pullman, diretta al cimitero. Tenevo gli occhi fissi sulla strada, al di fuori del finestrino. E una moto era proprio ferma al semaforo, di fianco a me. Mi era sembrato lui. Allora ho iniziato a picchiare le mani sul finestrino che mi separava da lui, e urlavo così forte il suo nome che una signora anziana mi aveva chiesto se stavo bene, se avevo perso il pullman sul quale magari sarei dovuta salire una volta scesa da questo. Risposi che no, avevo già perso troppo. Poi il ragazzo si girò, mi guardò sconcertato e ripartì. Quello non era Luke e io non l'avrei mai accettato. 
"Tra poco noi andiamo da Ashton, vieni anche tu?" mi domanda Michael, sedendosi di fianco a me.
Michael si salva. Lui ha Vicky, e un po' mi ricorda me stessa quando ero davvero convinta di essere un'ancora per Luke. Mi sento quasi soffocare, se ci penso sul serio mentre li guardo.
Calum riprende a calciare la palla, e quasi mi fa paura. Sembra sempre inconsapevole di ciò che fa. 
"Resterò qui" rispondo, e nel frattempo strappo dei fili d'erba. 
Il fatto è che, quando penso a Luke, non mi sento. Ho qualcosa che non va. C'è qualcosa che non ho. E vorrei urlarglielo, ma lui non mi sentirebbe. I morti non sentono. Sono morti e basta. Non è che ritorneranno, un giorno o l'altro, come Ashton. 
Luke non tornerà più. Tutto resterà fermo. 
Prendo un respiro profondo e mi mordo il labbro. Merda, io non voglio piangere. Non voglio più piangere per Luke, lui non se lo merita. Gli ho dato tutto, e lui non si è preso niente. Non lo perdonerò mai. Nemmeno tra dieci o venti anni, nemmeno quando avrò una famiglia. Perché Luke mi ha segnata, l'ha fatto con il ferro rovente. Anzi, spero che mi veda, spero che veda tutto il marcio che ho dentro. Voglio che capisca che mi ha abbandonata, che ce l'avremmo potuta fare insieme. Invece lui ha scelto la via più facile, è ciò che ha sempre fatto. Se n'è andato, trascinando via anche me, lasciandomi sospesa in una miscela di vuoti e malinconia. Se n'è andato ed ha abbattuto ogni colonna che mi reggeva. Io lo so che non tornerò la stessa che ero prima di perderlo. Lo so perché le mie punte non sono più tinte, perché al sasso non ci vado più, perché l'azzurro mi disgusta. Solo ora capisco cosa diamine ha provato Luke quando Ashton se ne andò.
Probabilmente non guarirò mai. Mi dicono che reprimere la sofferenza non mi faccia bene. Invece, ho deciso: non ci saranno più lacrime sulle mie guance per causa sua. Mi dicono anche che ripetermi di non avere colpe mi aiuterà a convincermene davvero. Io lo faccio spesso.
E' strano. Questa cosa mi mozza il fiato. Durante il giorno vivo col pensiero che lui non ci sia più, ma solo alla sera lo realizzo sul serio.
Poi, venerdì, passando per il suo viale, ho notato che la sua casa ha un enorme cartellone sulla porta con scritto vendesi. Questo mi fa male. Mi stanno portando via un pezzo di noi due, delle nostre tracce, ed io ho sempre meno posti in cui riporre i nostri ricordi. Che poi, alla fine, al vicolo del Due, mi ci ha portata Ashton. Era completamente diverso da come me l'ero immaginato. Ma riuscivo a sentire Luke da ogni parte, era come se l'avesse infestato, quel posto. Decisi che non ci sarei più andata, lì. 
Michael si accende l'ennesima sigaretta, si alza e, prima di uscire dal parco, osserva la panchina sulla quale si sedeva sempre Luke. Stringe la mano in un pugno e se ne va. Calum abbandona la sua palla e, dopo avermi lanciato l'ennesimo sguardo apatico, oltrepassa anche lui il cancello. 
Sono consapevoli di dovermi lasciar stare in questi momenti, ma in realtà lo so, lo fanno perché associano la mia figura a quella di Luke. Erano abituati a vederci sempre insieme e adesso, come io ogni volta mi rendo conto della sua morte quando leggo il suo nome, loro ne prendono coscienza quando mi guardano. Di fianco a me non c'è più nessuno. Io sono sola.
Reprimo le lacrime e riprendo il mio libro. Su queste pagine, c'è scritto di me e Luke. Io e lui, ora, siamo raccontati tra delle righe. Dal primo all'ultimo giorno, ogni parola, gesto, sguardo, sono racchiusi qui dentro. Penso che sia giusto così. Ma ventiquattro capitoli non saranno mai abbastanza. Io, senza Luke, non sarò mai abbastanza. 
Altro che due, altro che uno. Qui s'è annullato tutto, qui non c'è più nessuno
Quanto a me, io resterò a Sydney. Non posso scappare dal suono della sua risata, dai suoi occhi con l'oceano dentro, dalla sua espressione quando raccontava qualcosa di serio, o da qualsiasi altro dettaglio che ho salvato nella mia testa. Da alcuni dettagli proprio non si può scappare. Ti rimangono incastrati dentro, e alcune volte sono così ingombranti da far male. Allora ho deciso di scriverli da qualche parte. Avevo bisogno di imprimere inchiustro su carta, di raccontare ciò che mi sta consumando giorno dopo giorno, di raccontare la nostra storia, quella di me e Luke.
Osservo la panchina su cui Luke non c'è e non ci sarà più, e chiudo il libro. Da quando Luke ed Ashton si erano ritrovati, non ci scrivevo più sopra, ma non servirà più, ora. Non c'è più niente da dire, lui non c'è più.
Resterò a Sydney anche perché non ho paura di risentire il suo profumo, di guardare la sua ombra, di toccare ciò che gli apparteneva, di ritrovarlo nei posti che erano diventati parte di lui.
Perché io, di colpe, non ne avrò mai.



Ciao e scusatemi.
Io, solo... Scusatemi. Spero solo che questa fine non vi abbia fatto tanto male quanto l'ha fatto a me. So che molto probabilmente non ve lo sareste aspettate questo finale, o forse sì, ma nella mia mente avevo ormai questo schema. Finire bene Two sarebbe stata proprio una cosa strana per me, che sono abituata a scrivere principalmente della tristezza.
E' chiaro che Avril non sarà mai in pace con se stessa, fino a quando non avrà avuto la certezza che non è stata colpa sua. Per ora, si limiterà solo ad andare in giro con la sua corazza, a ripetersi di non avere colpe, ad odiare Luke per averlo amato troppo. Io me lo ripeto: doveva andare così.
Appena pubblicherò questo epilogo, andrò a cliccare su 'completa' e mi sembrerà la fine di una parte della mia vita. Ho iniziato questa storia quando avevo all'incirca quattordici anni, ora ne ho quindici e mi sembra passato davvero troppo tempo. 
Spero solo che vi rimarrà qualcosa di Two. Io vi ho raccontato della mia concezione di due, del grigio che avevo dentro, dei posti della mia città. Ci sono davvero cresciuta, con questa ff. Ricordo quando nei primi capitoli scrivevo pensando ad una persona che mi aveva abbandonata così, lasciandomi a me stessa. Scrivevo per averla più vicina, per spargere in giro tutto il grigio che mi aveva attaccato, ed ora ho imparato a bastarmi. Scrivendo, ho capito molte cose e adesso sono più in pace con me stessa. 
Volevo ringraziare tutte voi perché, se ho continuato la storia, è solo grazie alle lettrici. Probabilmente non vi ringrazierò mai abbastanza. Volevo dirvi che vi voglio bene, anche se non vi conosco di persona. Siete state importanti a realizzare tutto questo, a realizzare Two. Grazie anche a Martina, creatrice del banner, del trailer e sostenitrice della sottoscritta.
Come all'inizio del primo capitolo avevo detto, dedico questa ff a Susanna e ad Ilaria. Ma ho deciso che Two è da dedicare anche a Gaetano e a Francesco. Gae era un diciassettenne delle mie parti, morto la notte del 6 giugno 2010, lasciando Francesco, il suo migliore amico.
Non so se scriverò altre storie, ma penso di sì, perché io e la scrittura non credo che potremmo mai abbandonarci. 
Scusate se mi sono dilungata, è che non vorrei lasciare tutto questo così. Però devo, quindi vi saluto per l'ultima volta. 
Two finisce qua, ciao belle. 
Grazie ancora :)


VI LASCIO DISPERARVI UN PO' PER LA FINE, PERO' POI POTETE TRANQUILLIZZARVI PENSANDO CHE STO SCRIVENDO UN'ALTRA STORIA -> http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2662958&i=1
 
Ps: su twitter ho cambiato nick, ora sono funklou


Se non l'avete ancora visto, questo è il trailer di Two: http://www.youtube.com/watch?v=NE35nheHyZY



Questa è Avril, nel parco.



E questo è il bronx, il ritrovo di Ashton e Luke. 


E poi mi sembrava giusto finire Two con questa foto, per ricordarli così.



-Nali.
  
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