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Autore: millyray    02/02/2014    0 recensioni
Connie torna a Londra dopo tanti anni e con sé porta dietro tanti ricordi spiacevoli, tante esperienze terrificanti che non sono mai state dimenticate, tanti sentimenti negativi, risvegliando un lato nella personalità di Sherlock che i suoi amici più intimi non hanno mai conosciuto.
Ma non solo questo... Connie è una ragazza speciale, sa il fatto suo, sa osservare ma soprattutto sa vedere quello che non c'è in superficie. Perché lei, a differenza di qualcun altro che ben conosce, è in grado di vedere col cuore.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO QUATTRO

“Sherlooooock! Sherlooooock! Sheeeeeeeeerly!”

“Per favore, smettila di urlare! Stai svegliando tutta Baker Street!”

“Allora accontentami”.

Il detective si voltò verso Connie e la guardò come se fosse appena caduta dal cielo. Sbatté due volte le palpebre e aprì la bocca per dire qualcosa, ma non gli uscì niente. Allora la richiuse.

“Hai dimenticato come si parla, fratellino?”

“Stavo cercando di ricordare per quale inutile motivo tu mi stessi chiamando a voce così alta”.

La ragazza sospirò frustrata; possibile che Sherlock dovesse sempre essere così… così dannatamente frustrante, ecco.

“Ti avevo chiesto dei soldi”, gli ricordò lei.

“Soldi?”

“Sì, soldi. Per fare shopping”.

“Shopping?”

“E’ quando una persona va in giro per negozi a comprare qualcosa che…”.

“Sì, sì, so cosa vuol dire fare shopping. Perché dovresti fare shopping?”

“Perché ho bisogno di vestiti”.

“Ma non ne hai già?”

“Sono vecchi”.

“Puoi usare i miei”.

Connie si buttò sul divano coprendosi il volto con le mani. A volte sospettava che il fratello facesse apposta ad essere così ottuso. Insomma, un uomo intelligente e con tutto quel spirito di osservazione non poteva non capire certe cose che persino un fungo avrebbe capito.

“D’accordo, tieni”, le disse infine il detective, allungandole alcune banconote da cinquanta. La ragazza le prese in mano e rimase sorpresa di fronte a tutti quei soldi. “Così tanti? Sei sicuro?” gli chiese.

“Li vuoi o no?” gridò lui, spazientito.

“Sì, sì, sì!” rispose la ragazza saltando dal divano e afferrando la sua borsetta. “Grazie, fratellino”, lo salutò, dirigendosi verso la porta con la giacca infilata a metà.

Proprio quando lei usciva John, invece, rientrava. “Dove sta andando?” chiese al coinquilino, in piedi vicino al caminetto.

“A fare… shopping”, biasciò il moro pronunciando l’ultima parola come fosse una parolaccia.

“Oh, perché non l’hai accompagnata?”

“Perché avrei dovuto?” Sherlock si girò verso l’amico e rimase a osservarlo come se gli avesse appena chiesto di risolvere un’equazione particolarmente difficile.

“Perché è tua sorella e… niente lascia perdere”. John sapeva che era inutile fare certi ragionamenti con il detective, perciò era meglio se ci rinunciava fin da subito, avrebbe risparmiato fiato e un bel po’ di nervi. “Piuttosto, cosa vuoi mangiare?”

 

Connie stava girando da circa un’ora per il centro di Londra senza successo. Era stata sia da Harrods sia a Covent Garden, ma non aveva trovato niente che le piacesse. Forse a Picadilly avrebbe avuto più successo.
Lungo la strada però si era comprata una ciambella e ora la stava mangiando con gusto. Ogni volta che sentiva profumo di cibo o vedeva qualcosa di buono non riusciva a resistere e il suo stomaco la avvertiva di avere fame, benché magari avesse già mangiato mezz’ora prima. Be’, era normale nel suo stato delle cose, giusto? Ed era per lo stesso motivo che ora stava cercando dei vestiti nuovi; ne aveva già diversi in borsa e non aveva un bisogno urgente di fare shopping, però presto le sue camicette attillate e i suoi jeans stretti non le sarebbero più andati bene. Doveva comprare qualcosa di più largo.
A questo pensiero sentì una morsa stringerle lo stomaco. Non aveva ancora detto niente a Sherlock e Mycroft e si chiedeva come avrebbe fatto.

Finì di mangiare la sua ciambella e si leccò lo zucchero dalle dita. Poi si fermò di fronte alla vetrina di un negozio un po’ vintage. Forse faceva al caso suo, sembrava avere vestiti parecchio colorati. La ragazza entrò dentro, seguita dallo squillante trillo del campanello alla porta. La commessa, una ragazza bassa e minuta ma dal viso molto dolce, le sorrise cordiale e le chiese se poteva aiutarla. Connie declinò l’offerta, dicendo che prima avrebbe guardato un po’ quello che c’era.

Trovò una maglietta rosa primaverile con qualche volant e le sembrò abbastanza larga. Era molto bella, giusto il genere di cose che indossava lei. Chissà, magari sarebbe piaciuta anche a Sherlock; gli erano sempre piaciute le sue magliette strampalate, soprattutto quelle con delle scritte significative.
Ma Sherlock era cambiato, non era più lo stesso, non era più il suo Sherlock. Quel Sherlock era… era un Sherlock freddo, indifferente. Forse aveva chiuso il suo cuore dentro una scatola, come il personaggio di una fiaba che avevano letto da piccoli.
Ce l’avrebbe fatta a farlo tornare come prima? Sperava di sì perché se no…

 

Sherlock, John e Connie scesero dal taxi che li aveva accompagnati fino a un edificio abbandonato che probabilmente prima era stato una fabbrica.
Appena aveva ricevuto la telefonata da Lestrad che gli diceva di venire subito lì, il consulente detective non aveva esitato un attimo, trascinandosi dietro John, come sempre. Purtroppo per lui in quel momento stava rincasando pure Connie che non lo aveva affatto ascoltato quando le diceva di restare a casa e li aveva seguiti.

“Che cosa succede?” chiese John quando si trovò di fronte al detective investigativo.

“Abbiamo trovato il cadavere di un ragazzo…”, iniziò questi, ma fu subito distratto dalla visione di Connie che gli si avvicinava e si accostava accanto al medico completamente a suo agio.

“Oh, lei è Connie, la sorella di Sherlock”, presentò John, indicando la ragazza. “Connie, lui è Greg Lestrade”.

“Piacere”, disse la ragazza sorridendo.

“La sorella di Sherlock?”

John rimase sorpreso dello sbigottimento di Lestrade, ma al tempo stesso anche sollevato perché ciò significava che non era l’unico a non saperne niente.

“Oh, dobbiamo ricominciare con questa pantomima?” chiese lei alzando gli occhi al cielo.

“Dov’è questo corpo?” fece Sherlock, sbucato al loro fianco senza farsi sentire.

Il detective si voltò verso di lui e sembrò fulminarlo con lo sguardo. “Tu hai una sorella?!”

Sherlock inclinò il capo e inarcò le sopracciglia. “Sì, è lei. Ora, dov’è questo corpo”.

Lestrade rimase a boccheggiare spostando lo sguardo da John a Sherlock, ma alla fine decise di accontentare il moro. “Di qua”. Lo accompagnò dentro l’edificio, su per delle scale di ferro fino a un corridoio col soffitto retto da delle colonne quadrate. Verso il fondo giaceva scomposto il cadavere di un giovane di quasi trent’anni, fisico magro e capelli corti.

Il consulente gli si chinò affianco e lo guardò senza toccarlo. Poco dopo venne raggiunto da John e Connie. L’uomo si affiancò all’amico e prese ad analizzare il corpo. In quel momento sopraggiunse anche Sally col solto cipiglio accigliato.

“A prima vista sembra essere andato in overdose”, li informò Lestrade. “Ma quelli della scientifica dicono che è…”.

“Stato strangolato”, concluse John per lui indicando i segni sul collo che indicavano una strangolatura. “C’è della sporcizia sotto le unghie perciò deve aver lottato”.

“Lo mandiamo da Molly”, disse Greg. “Comunque abbiamo trovato questo nelle sue tasche”.

Sherlock allungò una mano verso il sacchetto che gli stava porgendo il detective contenente delle piccole pillole color rosa.

“E’ droga”.

“Grazie, Sally, ci arrivavo anche da solo”.

Connie, che per tutto quel tempo se n’era rimasta in disparte appoggiata ad una colonna, lanciò una strana occhiata di sottecchi al fratello ma nessuno parve accorgersene. Be’, eccetto Sherlock che solo per qualche istante ricambiò il suo sguardo, reggendo la droga tra le mani.

“Conclusioni, Sherlock?” chiese Lestrade, le mani sui fianchi, in attesa che l’altro lo illuminasse con le sue brillanti deduzioni.

“Oh, ma possibile che  debba sempre dirtelo io?”

E anche delle sue offese gratuite.

“Di certo non è stata una rissa provocata dalla droga, l’omicidio era volontario. L’aggressore doveva essere più forte di lui altrimenti tutta quella sostanza nel corpo avrebbe permesso alla vittima di difendersi. Ha lottato, il che ci fa dedurre che non è morto sul colpo. Be’, è stato soffocato, probabilmente con una corda, visti i segni sul collo”. Sherlock bloccò la sua arringa durante la quale aveva continuato a camminare su e giù per il corridoio. “A prima vista sembra un classico caso di omicidio, forse per qualche vendetta o…”. Il detective improvvisamente smise di camminare e, con lo sguardo fisso di fronte a sé, esalò quasi impercettibilmente. “O forse sapeva qualcosa che non doveva sapere”. Si voltò di scatto verso gli altri presenti e puntò l’indice contro il corpo. “Portatelo da Molly”.

Sherlock si precipitò fuori dall’edificio e gli altri furono costretti a seguirlo quasi di corsa.

“Ti serve altro, Greg?” chiese John, più per cortesia che altro.

“No, è tutto”. Lestrade si voltò verso Connie, intenta a guardare gli altri poliziotti che si aggiravano sulla scena del crimine. “E’ stato un piacere conoscerti, Connie”.

“Oh!” esclamò lei con una certa sorpresa negli occhi. “Anche per me…”.

“Greg”.

“Greg”.

Sherlock in quel momento fece fermare un taxi e i suoi accompagnatori capirono che era il momento di andarsene. Quando Connie si allontanò dietro a John e il fratello, Lestrade rimase per un po’ a guardarla con una strana espressione sulle labbra.

“Ehi!” lo riscosse Sally poggiandogli una mano sulla spalla.

Dentro il taxi, invece, i tre occupanti erano piombati in silenzio: John non sapeva che dire, Sherlock era immerso nei suoi pensieri e Connie digitava qualcosa al cellulare.
All’improvviso il silenzio venne interrotto dal telefono di Sherlock che aveva emesso due squilli prolungati. Il consulente lo estrasse dalla tasca e lesse il messaggio.

Da Connie: quindi mi hai completamente bannata dalla tua vita?”

 

Molly Hooper, impegnata a esaminare il corpo che le era stato spedito quel giorno, quello del ragazzo trovato morto nella fabbrica abbandonata, lanciava ogni tanto occhiate alla sorella di Sherlock. Sorella di Sherlock. Non aveva idea che ne avesse una, non l’aveva mai nemmeno nominata. Perché? Be’, le stranezze del moro erano tante, ma di solito non nascondeva di avere un parente, specialmente se era così vicino.

Connie, invece, si era accorta che quella dottoressa la stava puntando e resistere alla tentazione di urlarle di smetterla era piuttosto difficile.
Ma perché tutti facevano così? E, soprattutto, perché Sherlock non aveva detto a nessuno di lei? Nessuno sapeva della sua esistenza. Questo era… faceva male. Ecco. Soprattutto dopo tutto quello che loro due aveva passato insieme, sapere che per lui lei non significava niente era peggio… peggio che non avere un posto dove dormire.
Perché? Le veniva da chiedergli soltanto questo, ma sicuramente non le avrebbe risposto. Non le aveva risposto nemmeno a quel messaggio. Se solo avesse potuto leggergli nella mente come faceva con tutti gli altri. Tutti gli altri erano un libro aperto per lei, ma lui non lo era mai stato. E pensare che Sherlock era l’unica persona che veramente contava per lei.   

“Sherlock?” lo chiamò, allungandosi sul lungo tavolo al quale era seduta.

“Hmm?” mugugnò lui senza spostare gli occhi dal microscopio su cui stava analizzando qualcosa.

“Dimmi che mi vuoi bene”.

 

 

MILLY’S SPACE

Non credevo che avrei aggiornato oggi visto che di pomeriggio non avevo molta ispirazione. Ma come ai migliori scrittori, le idee vengono di sera ^^ e quindi eccomi qui, dopo una puntata di “Braccialetti Rossi”, ad aggiornare questa storia per voi.

Fatemi sapere che ne pensate e se volete ditemi pure le idee che vi siete fatti leggendo.

Kiss kiss.

M.

MONKEY_D_ALICE: ehi : ) sono contenta che la storia ti piaccia, spero continuerai a seguirla. Siamo solo agli inizi ma ho già delle belle ideuzze in mente ^^ fatti sentire ancora. Un bacione, Milly.

  
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