CAPITOLO
CINQUE
Maledizione!
Ma doveva proprio essere così sfigata? Non
solo aveva perso l’autobus, ma aveva pure dimenticato
l’ombrello a casa. Una cosa
che assolutamente non le era mancata di Londra era il tempo. Il cielo
era stato
coperto da nuvole per tutto il giorno, ma non si era certo aspettata
che si
mettesse a diluviare in così poco tempo, come se fossero in
amazzonia. E lei
era bagnata fradicia perché, nel tempo che aveva impiegato a
fare una rapida
corsa fino alla fermata dell’autobus più vicina,
la pioggia le era entrata
persino nelle mutande. Ed ora aveva solo voglia
di imprecare. Era pure tardi, era stanca, aveva fame e si
trovava in una
strada completamente deserta. Ma la pioggia non aveva certo intenzione
di
smettere, così come un taxi non sembrava intenzionato a
venire a soccorrerla.
Aveva persino chiamato suo fratello al cellulare perché la
venisse a prendere,
ma com’era ovvio non le aveva risposto. Sicuramente era
impegnato a fare
qualcosa di più importante e per lui tutto era
più importante della sua
famiglia, giusto?
Maledizione anche a lui!
Connie
si sedette sulla panchina sotto alla tettoia
della fermata e si strinse nel cappotto. Chiuse gli occhi per un attimo
prendendo un grosso respiro. Doveva restare calma. Non serviva a niente
agitarsi. Sicuramente ora sarebbe passato un altro autobus o comunque
avrebbe
smesso di piovere presto. Questi acquazzoni non duravano mai a lungo.
Ma
passarono altri dieci minuti e ancora niente era
cambiato rispetto alla situazione precedente e lei stava per farsi
prendere dal
panico nuovamente.
Tirò fuori il cellulare per chiamare ancora una volta suo
fratello, quando vide
una bella macchina metallizzata accostarsi al marciapiede. Non era
decisamente
un autobus, ma non era nemmeno un taxi. E quello che ne stava scendendo
fuori
non somigliava per niente a suo fratello. Ecco, magari era qualcuno che
la
voleva rapire. Ci mancava solo questa! O forse no.
Assottigliò gli occhi per
distinguere meglio la figura che si avvicinava perché con il
buio e la pioggia
fitta faticava a riconoscerla. Le era familiare e per un attimo
pensò che si
trattasse di John, ma questo era più alto e aveva dei
lineamenti più marcati.
“Ciao”,
la salutò lui non appena la raggiunse sotto
la tettoia chiudendo l’ombrello. Un’improvvisa
lampadina si accese nella mente
della ragazza. Era quell’amico di Sherlock che aveva
conosciuto sulla scena del
crimine.
“Connie,
giusto?”
“Sì,
esatto”, rispose lei con un sorriso. Poi storse
la bocca in una smorfia dispiaciuta.
“Greg”,
le ricordò l’uomo intuendo il suo problema.
“Greg
Lestrade”.
“Oh
sì!” Doveva fare qualcosa per risolvere quel
problema della dimenticanza dei nomi troppo comuni. “Scusami,
sono…”.
“Non
fa niente”, le sorrise Greg dolcemente. Poi con
lo sguardo percorse tutte le direzioni, come a controllare che non ci
fosse
nessuno. “Hai… hai bisogno di aiuto? Che ci fai
qui… da sola?”
Lei
ridacchiò leggermente imbarazzata. O forse più
sentendosi stupida. “Ero andata a fare un giro e…
il temporale mi ha colta, non
ho l’ombrello e ho perso l’autobus. Non ci sono
nemmeno dei taxi e mio fratello
non risponde”.
“Tipico
di lui”.
“Sì,
ma sono sua sorella e…”, Connie sospirò
frustrata. “Va be’, lasciamo perdere. In poche
parole, non so come tornare a
casa”. Lo guardò con un sorriso imbarazzato e
scrollò le spalle.
“Posso…
posso accompagnarti io”, si offrì il
detective senza distogliere gli occhi da quelli della ragazza di fronte
a lui.
“Sei
gentile, ma non vorrei disturbarti”.
“Ma
figurati! Non è un disturbo. E poi sono di
passaggio”. Non era affatto vero, lui abitava da
tutt’altra parte. Però lei era
lì da sola, sotto un acquazzone, al freddo. Non poteva mica
lasciarla lì. E poi
era… era la sorella di Sherlock.
“Questo
sarebbe davvero magnifico. Ma sei sicuro?”
“Assolutamente
sì. Dai, vieni!”
Connie
non se lo fece ripetere un’altra volta e, al
riparo sotto l’ombrello di Greg, corse con lui fino alla sua
macchina, salendo
sul lato del passeggero.
“Baker
Street, giusto?” le chiese lui mettendo in
moto.
“Sì”.
Il
detective si immise nelle strade della città
senza andare troppo veloce, anche se con tutta quella pioggia pochi
avevano
avuto il coraggio di uscire. Teneva lo sguardo fisso sulla strada, ma
ogni
tanto lanciava qualche occhiata alla ragazza seduta accanto a lui.
Connie di
aspetto somigliava molto a Sherlock, ma di carattere era completamente
diversa,
si poteva vedere fin da subito. Era diversa anche da Mycroft. Era
più… più
normale, forse, più umana. A volte, osservando i due
fratelli Holmes, per
qualche fugace attimo gli era passato per la mente che potessero essere
due
robot o degli alieni. Ma con lei non era così. Era sicuro
che lei fosse al
cento per cento umana. Di questo ne era certo, anche se non la
conosceva così
bene.
Connie,
invece, fissava la strada di fronte a sé anche
se in verità non la vedeva. Era immersa nei suoi pensieri,
come le capitava
piuttosto spesso. Il torpore dell’auto, la
tranquillità e il rumore ticchettante
della pioggia che
batteva contro i finestrini
erano confortevoli e rassicuranti. Non vedeva l’ora di
stendersi sul divano e
mangiare qualcosa. Sperava che John e Sherlock non avessero ancora
cenato.
“Allora,
com’è che Sherlock non mi ha mai parlato di
sua sorella?” sbottò ad un tratto Greg, ponendo la
domanda in tono quasi
disinteressato. In realtà la risposta gli interessava
eccome, ma non voleva
apparire troppo invadente, né rischiare di dire qualcosa di
sbagliato.
Connie
piegò le labbra in un debole sorriso, ma in
realtà non vi erano nessuna allegria né
divertimento; c’erano piuttosto una
strana tristezza e una certa malinconia.
“Non
saprei. Sherlock non ama parlare molto di sé e
dei suoi affari”, rispose senza guardarlo.
“Non
hai tutti i torti. E poi, io e lui non siamo
così in confidenza”.
“Ma
sei suo amico”. Improvvisamente aveva girato la
testa verso di lui per osservarlo nella debole luce
dell’abitacolo.
“Non
siamo amici. Almeno, lui non mi considera suo
amico”.
“Pff!”
soffiò lei, voltando il capo verso il
finestrino. “Nemmeno lui sa quello che prova. Sherlock e i
sentimenti hanno
sempre viaggiato su due rotaie diverse”.
“Perché?
Lui ha dei sentimenti?” scherzò Greg mentre
rallentava per svoltare in un incrocio.
Connie
però parve prenderlo sul serio perché rispose
in tono grave. “Ceto che li ha. Solo che non li vuole
usare”. Ma la frase non
sembrava averla indirizzata tanto all’uomo, quanto
più a sé stessa.
Lestrade
parcheggiò vicinò al marciapiede e spense
l’auto.
La ragazza si voltò a guardarlo confusa.
“Sei
arrivata”, le fece notare. Lei vide la porta
col numero 221B e sbatté le palpebre sorpresa. Non se
n’era affatto accorta.
“Oh,
be’, allora…”, iniziò senza
sapere esattamente
che dire. Non voleva risultare troppo banale e non voleva lasciarlo
così, però
non era certa che Sherlock avrebbe voluto che salisse da loro.
“Grazie per il
passaggio”, concluse infine optando per il solito
cliché.
“Figurati”.
La
ragazza girò il busto per aprire la portiera e
uscire, quando qualcosa la frenò. Non poteva lasciare Greg
così e non voleva
nemmeno che lui serbasse di lei un ricordo così banale e
scontato. E poi… e poi
aveva bisogno di parlare con qualcuno.
“Greg?”
chiamò, voltandosi dall’altra parte e
incontrando i suoi occhi scuri che la guardavano.
“Sì?”
L’uomo
poté leggere dell’incertezza nello sguardo
chiaro di Connie, un’incertezza che in Sherlock non aveva mai
trovato, ma anche
dolore. Ecco qual era la differenza tra lei e i suoi fratelli: lei
aveva dei
sentimenti o comunque li mostrava.
“Sono
incinta”, sbottò infine. “Sono incinta e
non
so come dirlo a Sherlock e Mycroft”.
Nell’auto
calò il silenzio tutto d’un colpo. Il detective
era sorpreso per quella confessione, ma soprattutto non aveva idea di
che cosa
dirle. Che cosa si aspettava? Che la consolasse e
l’abbracciasse? Che le desse
un consiglio? Non era bravo in nessuna delle due cose. Be’,
forse abbracciarla
non sarebbe stato male, ma qualcosa gli diceva che non era quello che
lei
voleva.
“Cazzo!”
fu l’unica cosa gli uscì, ma se ne
pentì
subito. Connie però non sembrava essersela presa.
“Già”.
“C’è…
c’è qualcosa che posso fare?” le chiese
e
dovette confessare a se stesso che quella frase gli era uscita dal
cuore e che
sinceramente avrebbe voluto fare qualcosa per aiutarla.
“Non
credo. Te l’ho detto perché avevo bisogno di
dirlo a qualcuno e vorrei che tu non dicessi niente a Sherlock o a
Mycroft”.
“No,
non dirò niente. Te lo prometto”.
“Grazie.
Ora posso andare”. La ragazza si girò di
nuovo per andarsene, ma Lestrade la prese per un braccio e la
bloccò.
“Connie…”,
iniziò, improvvisamente incerto delle sue
parole. “Se… se hai bisogno di qualcosa
chiamami”. E le porse il suo biglietto
da visita. “Qui c’è anche il mio numero
di telefono. Qualunque cosa… a
qualunque ora”.
Lei
gli sorrise dolcemente. “Grazie. Sei gentile. Mio
fratello se li sa scegliere bene gli amici”.
Stava
per risponderle che lui non era amico di
Sherlock, ma ci ripensò e alla fine la lasciò
andare. La osservò correre sotto
la pioggia fino alla porta di casa e non distolse lo sguardo nemmeno
dopo che
fu sparita dentro l’appartamento. Rimase lì ancora
per un po’, poi rientrò di
nuovo nel traffico.
Quella ragazza gli piaceva. Era particolare, non come Sherlock o
Mycroft, ma
particolare a modo suo. Ed era anche carina e sicuramente intelligente.
Ma appunto, era la sorella di Sherlock e Mycroft. E poi era incinta. Il
suo
intuito da investigatore gli diceva che doveva essere tornata a Londra
proprio
per questo. Chissà chi era il padre. Sicuramente qualcuno
che non aveva voluto
quel bambino. Un bastardo.
Doveva averne passate tante, Connie, lo poteva leggere nei suoi occhi e
in
tutti quei sorrisi finti privi di qualsiasi allegria.
Sperava di incontrarla di nuovo e sperava con tutto il cuore che lei lo
chiamasse.
John
continuava a rigirarsi nel letto senza alcuna
voglia di dormire. Erano quasi le due di notte e lui non aveva ancora
chiuso
occhio. In quel momento gli ci voleva una di quelle avventure con
Sherlock, una
fuga notturna da qualche malfattore o un qualsiasi caso che gli tenesse
lontano
tutti quei pensieri.
Non
aveva fatto altro che pensare a Sherlock, al
lavoro, al supermercato, in taxi e persino quando era con lui. Lo aveva
osservato, guardato, studiato e non ce la faceva più.
Davvero, sentiva che
sarebbe scoppiato.
Non pensava di poter provare una cosa simile per lui. Erano migliori
amici,
coinquilini, tutto qui.
O
era quello che tu ti sei sempre imposto di pensare, John?
Aveva
sempre pensato che Sherlock fosse un uomo
attraente, con quegli zigomi, quei capelli e quegli occhi, con buon
gusto nel
vestire ed estremamente intelligente, ma chi altri non
l’aveva pensato?
Da dove gli venivano tutte quelle fantasie? Ma non era solo questo. Non
era
solo attrazione sessuale… ogni tanto si scopriva a come
sarebbe stato stare fra
le sue braccia, accarezzarlo, coccolarlo, baciarlo e…
A volte il cuore gli batteva forte quando lo vedeva e
sentiva una strana sensazione pervaderlo
tutto. Una bella sensazione.
E
poi, quando l’aveva creduto morto era morto anche
qualcosa dentro di lui. E quando aveva scoperto che invece era vivo,
qualcosa
era improvvisamente rinato. E sentiva che se l’avesse perso
di nuovo non si
sarebbe più ripreso.
Si
passò le mani sulla faccia e si girò su un
fianco. Ma che diamine gli stava succedendo? Lui non era gay e non
aveva mai
provato attrazione verso gli uomini. Ma verso Sherlock sì,
fin da quando l’aveva
conosciuto aveva provato qualcosa per lui, ma l’aveva sempre
attribuito alla
ammirazione che provava nei suoi confronti e a quella sorta di invidia
per il
suo essere sempre così impeccabile.
Non
poteva provare queste cose per Connie? Lei era
una ragazza ed era carina… ma soprattutto sarebbe stato
più facile, con lei.
Da
quanto, poi, non
usciva con qualcuna? Troppo… forse era proprio per questo
che sentiva queste
sensazioni per Sherlock.
Bene, allora domani si sarebbe rimesso sulla pista.
MILLY’S
SPACE
Sarò
breve visto che è tardi.
Ebbene, si è scoperto il segreto di Connie, ma immagino che
qualcuno di voi l’avesse
già intuito. Ma le sorprese non finiscono qui ^^
Purtroppo
noto che non mi lasciate delle recensioni, il
che mi dispiace. Potete anche dire che non vi piace o darmi consigli,
quello
che volete : ) accetto
tutto (be’, quasi).
Be’, detto questo, vi ricordo solo di venirmi a trovare sulla
mia pagina
facebook così potete vedere le altre storie che ho
pubblicato e a breve ci
metterò le foto di Connie.
Un
bacione,
M.