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Autore: millyray    12/02/2014    0 recensioni
Connie torna a Londra dopo tanti anni e con sé porta dietro tanti ricordi spiacevoli, tante esperienze terrificanti che non sono mai state dimenticate, tanti sentimenti negativi, risvegliando un lato nella personalità di Sherlock che i suoi amici più intimi non hanno mai conosciuto.
Ma non solo questo... Connie è una ragazza speciale, sa il fatto suo, sa osservare ma soprattutto sa vedere quello che non c'è in superficie. Perché lei, a differenza di qualcun altro che ben conosce, è in grado di vedere col cuore.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO CINQUE

Maledizione! Ma doveva proprio essere così sfigata? Non solo aveva perso l’autobus, ma aveva pure dimenticato l’ombrello a casa. Una cosa che assolutamente non le era mancata di Londra era il tempo. Il cielo era stato coperto da nuvole per tutto il giorno, ma non si era certo aspettata che si mettesse a diluviare in così poco tempo, come se fossero in amazzonia. E lei era bagnata fradicia perché, nel tempo che aveva impiegato a fare una rapida corsa fino alla fermata dell’autobus più vicina, la pioggia le era entrata persino nelle mutande. Ed ora aveva solo voglia  di imprecare. Era pure tardi, era stanca, aveva fame e si trovava in una strada completamente deserta. Ma la pioggia non aveva certo intenzione di smettere, così come un taxi non sembrava intenzionato a venire a soccorrerla. Aveva persino chiamato suo fratello al cellulare perché la venisse a prendere, ma com’era ovvio non le aveva risposto. Sicuramente era impegnato a fare qualcosa di più importante e per lui tutto era più importante della sua famiglia, giusto?
Maledizione anche a lui!

Connie si sedette sulla panchina sotto alla tettoia della fermata e si strinse nel cappotto. Chiuse gli occhi per un attimo prendendo un grosso respiro. Doveva restare calma. Non serviva a niente agitarsi. Sicuramente ora sarebbe passato un altro autobus o comunque avrebbe smesso di piovere presto. Questi acquazzoni non duravano mai a lungo.

Ma passarono altri dieci minuti e ancora niente era cambiato rispetto alla situazione precedente e lei stava per farsi prendere dal panico nuovamente.
Tirò fuori il cellulare per chiamare ancora una volta suo fratello, quando vide una bella macchina metallizzata accostarsi al marciapiede. Non era decisamente un autobus, ma non era nemmeno un taxi. E quello che ne stava scendendo fuori non somigliava per niente a suo fratello. Ecco, magari era qualcuno che la voleva rapire. Ci mancava solo questa! O forse no. Assottigliò gli occhi per distinguere meglio la figura che si avvicinava perché con il buio e la pioggia fitta faticava a riconoscerla. Le era familiare e per un attimo pensò che si trattasse di John, ma questo era più alto e aveva dei lineamenti più marcati.

“Ciao”, la salutò lui non appena la raggiunse sotto la tettoia chiudendo l’ombrello. Un’improvvisa lampadina si accese nella mente della ragazza. Era quell’amico di Sherlock che aveva conosciuto sulla scena del crimine.

“Connie, giusto?”

“Sì, esatto”, rispose lei con un sorriso. Poi storse la bocca in una smorfia dispiaciuta.

“Greg”, le ricordò l’uomo intuendo il suo problema. “Greg Lestrade”.

“Oh sì!” Doveva fare qualcosa per risolvere quel problema della dimenticanza dei nomi troppo comuni. “Scusami, sono…”.

“Non fa niente”, le sorrise Greg dolcemente. Poi con lo sguardo percorse tutte le direzioni, come a controllare che non ci fosse nessuno. “Hai… hai bisogno di aiuto? Che ci fai qui… da sola?”

Lei ridacchiò leggermente imbarazzata. O forse più sentendosi stupida. “Ero andata a fare un giro e… il temporale mi ha colta, non ho l’ombrello e ho perso l’autobus. Non ci sono nemmeno dei taxi e mio fratello non risponde”.

“Tipico di lui”.

“Sì, ma sono sua sorella e…”, Connie sospirò frustrata. “Va be’, lasciamo perdere. In poche parole, non so come tornare a casa”. Lo guardò con un sorriso imbarazzato e scrollò le spalle.

“Posso… posso accompagnarti io”, si offrì il detective senza distogliere gli occhi da quelli della ragazza di fronte a lui.

“Sei gentile, ma non vorrei disturbarti”.

“Ma figurati! Non è un disturbo. E poi sono di passaggio”. Non era affatto vero, lui abitava da tutt’altra parte. Però lei era lì da sola, sotto un acquazzone, al freddo. Non poteva mica lasciarla lì. E poi era… era la sorella di Sherlock.

“Questo sarebbe davvero magnifico. Ma sei sicuro?”

“Assolutamente sì. Dai, vieni!”

Connie non se lo fece ripetere un’altra volta e, al riparo sotto l’ombrello di Greg, corse con lui fino alla sua macchina, salendo sul lato del passeggero.

“Baker Street, giusto?” le chiese lui mettendo in moto.

“Sì”.

Il detective si immise nelle strade della città senza andare troppo veloce, anche se con tutta quella pioggia pochi avevano avuto il coraggio di uscire. Teneva lo sguardo fisso sulla strada, ma ogni tanto lanciava qualche occhiata alla ragazza seduta accanto a lui. Connie di aspetto somigliava molto a Sherlock, ma di carattere era completamente diversa, si poteva vedere fin da subito. Era diversa anche da Mycroft. Era più… più normale, forse, più umana. A volte, osservando i due fratelli Holmes, per qualche fugace attimo gli era passato per la mente che potessero essere due robot o degli alieni. Ma con lei non era così. Era sicuro che lei fosse al cento per cento umana. Di questo ne era certo, anche se non la conosceva così bene.

Connie, invece, fissava la strada di fronte a sé anche se in verità non la vedeva. Era immersa nei suoi pensieri, come le capitava piuttosto spesso. Il torpore dell’auto, la tranquillità e il rumore ticchettante della  pioggia che batteva contro i finestrini erano confortevoli e rassicuranti. Non vedeva l’ora di stendersi sul divano e mangiare qualcosa. Sperava che John e Sherlock non avessero ancora cenato.

“Allora, com’è che Sherlock non mi ha mai parlato di sua sorella?” sbottò ad un tratto Greg, ponendo la domanda in tono quasi disinteressato. In realtà la risposta gli interessava eccome, ma non voleva apparire troppo invadente, né rischiare di dire qualcosa di sbagliato.

Connie piegò le labbra in un debole sorriso, ma in realtà non vi erano nessuna allegria né divertimento; c’erano piuttosto una strana tristezza e una certa malinconia.

“Non saprei. Sherlock non ama parlare molto di sé e dei suoi affari”, rispose senza guardarlo.

“Non hai tutti i torti. E poi, io e lui non siamo così in confidenza”.

“Ma sei suo amico”. Improvvisamente aveva girato la testa verso di lui per osservarlo nella debole luce dell’abitacolo.

“Non siamo amici. Almeno, lui non mi considera suo amico”.

“Pff!” soffiò lei, voltando il capo verso il finestrino. “Nemmeno lui sa quello che prova. Sherlock e i sentimenti hanno sempre viaggiato su due rotaie diverse”.

“Perché? Lui ha dei sentimenti?” scherzò Greg mentre rallentava per svoltare in un incrocio.

Connie però parve prenderlo sul serio perché rispose in tono grave. “Ceto che li ha. Solo che non li vuole usare”. Ma la frase non sembrava averla indirizzata tanto all’uomo, quanto più a sé stessa.

Lestrade parcheggiò vicinò al marciapiede e spense l’auto. La ragazza si voltò a guardarlo confusa.

“Sei arrivata”, le fece notare. Lei vide la porta col numero 221B e sbatté le palpebre sorpresa. Non se n’era affatto accorta.

“Oh, be’, allora…”, iniziò senza sapere esattamente che dire. Non voleva risultare troppo banale e non voleva lasciarlo così, però non era certa che Sherlock avrebbe voluto che salisse da loro. “Grazie per il passaggio”, concluse infine optando per il solito cliché.

“Figurati”.

La ragazza girò il busto per aprire la portiera e uscire, quando qualcosa la frenò. Non poteva lasciare Greg così e non voleva nemmeno che lui serbasse di lei un ricordo così banale e scontato. E poi… e poi aveva bisogno di parlare con qualcuno.

“Greg?” chiamò, voltandosi dall’altra parte e incontrando i suoi occhi scuri che la guardavano.

“Sì?”

L’uomo poté leggere dell’incertezza nello sguardo chiaro di Connie, un’incertezza che in Sherlock non aveva mai trovato, ma anche dolore. Ecco qual era la differenza tra lei e i suoi fratelli: lei aveva dei sentimenti o comunque li mostrava.

“Sono incinta”, sbottò infine. “Sono incinta e non so come dirlo a Sherlock e Mycroft”.

Nell’auto calò il silenzio tutto d’un colpo. Il detective era sorpreso per quella confessione, ma soprattutto non aveva idea di che cosa dirle. Che cosa si aspettava? Che la consolasse e l’abbracciasse? Che le desse un consiglio? Non era bravo in nessuna delle due cose. Be’, forse abbracciarla non sarebbe stato male, ma qualcosa gli diceva che non era quello che lei voleva.

“Cazzo!” fu l’unica cosa gli uscì, ma se ne pentì subito. Connie però non sembrava essersela presa. “Già”.

“C’è… c’è qualcosa che posso fare?” le chiese e dovette confessare a se stesso che quella frase gli era uscita dal cuore e che sinceramente avrebbe voluto fare qualcosa per aiutarla.

“Non credo. Te l’ho detto perché avevo bisogno di dirlo a qualcuno e vorrei che tu non dicessi niente a Sherlock o a Mycroft”.

“No, non dirò niente. Te lo prometto”.

“Grazie. Ora posso andare”. La ragazza si girò di nuovo per andarsene, ma Lestrade la prese per un braccio e la bloccò.

“Connie…”, iniziò, improvvisamente incerto delle sue parole. “Se… se hai bisogno di qualcosa chiamami”. E le porse il suo biglietto da visita. “Qui c’è anche il mio numero di telefono. Qualunque cosa… a qualunque ora”.

Lei gli sorrise dolcemente. “Grazie. Sei gentile. Mio fratello se li sa scegliere bene gli amici”.

Stava per risponderle che lui non era amico di Sherlock, ma ci ripensò e alla fine la lasciò andare. La osservò correre sotto la pioggia fino alla porta di casa e non distolse lo sguardo nemmeno dopo che fu sparita dentro l’appartamento. Rimase lì ancora per un po’, poi rientrò di nuovo nel traffico.
Quella ragazza gli piaceva. Era particolare, non come Sherlock o Mycroft, ma particolare a modo suo. Ed era anche carina e sicuramente intelligente.
Ma appunto, era la sorella di Sherlock e Mycroft. E poi era incinta. Il suo intuito da investigatore gli diceva che doveva essere tornata a Londra proprio per questo. Chissà chi era il padre. Sicuramente qualcuno che non aveva voluto quel bambino. Un bastardo.
Doveva averne passate tante, Connie, lo poteva leggere nei suoi occhi e in tutti quei sorrisi finti privi di qualsiasi allegria.
Sperava di incontrarla di nuovo e sperava con tutto il cuore che lei lo chiamasse.

 

John continuava a rigirarsi nel letto senza alcuna voglia di dormire. Erano quasi le due di notte e lui non aveva ancora chiuso occhio. In quel momento gli ci voleva una di quelle avventure con Sherlock, una fuga notturna da qualche malfattore o un qualsiasi caso che gli tenesse lontano tutti quei pensieri.

Non aveva fatto altro che pensare a Sherlock, al lavoro, al supermercato, in taxi e persino quando era con lui. Lo aveva osservato, guardato, studiato e non ce la faceva più. Davvero, sentiva che sarebbe scoppiato.
Non pensava di poter provare una cosa simile per lui. Erano migliori amici, coinquilini, tutto qui.

O era quello che tu ti sei sempre imposto di pensare, John?

Aveva sempre pensato che Sherlock fosse un uomo attraente, con quegli zigomi, quei capelli e quegli occhi, con buon gusto nel vestire ed estremamente intelligente, ma chi altri non l’aveva pensato?
Da dove gli venivano tutte quelle fantasie? Ma non era solo questo. Non era solo attrazione sessuale… ogni tanto si scopriva a come sarebbe stato stare fra le sue braccia, accarezzarlo, coccolarlo, baciarlo e…
A volte il cuore gli batteva forte quando lo vedeva e  sentiva una strana sensazione pervaderlo tutto. Una bella sensazione.

E poi, quando l’aveva creduto morto era morto anche qualcosa dentro di lui. E quando aveva scoperto che invece era vivo, qualcosa era improvvisamente rinato. E sentiva che se l’avesse perso di nuovo non si sarebbe più ripreso.

Si passò le mani sulla faccia e si girò su un fianco. Ma che diamine gli stava succedendo? Lui non era gay e non aveva mai provato attrazione verso gli uomini. Ma verso Sherlock sì, fin da quando l’aveva conosciuto aveva provato qualcosa per lui, ma l’aveva sempre attribuito alla ammirazione che provava nei suoi confronti e a quella sorta di invidia per il suo essere sempre così impeccabile.

Non poteva provare queste cose per Connie? Lei era una ragazza ed era carina… ma soprattutto sarebbe stato più facile, con lei.

Da quanto, poi, non usciva con qualcuna? Troppo… forse era proprio per questo che sentiva queste sensazioni per Sherlock.
Bene, allora domani si sarebbe rimesso sulla pista.  

 

 

MILLY’S SPACE

Sarò breve visto che è tardi.
Ebbene, si è scoperto il segreto di Connie, ma immagino che qualcuno di voi l’avesse già intuito. Ma le sorprese non finiscono qui ^^

Purtroppo noto che non mi lasciate delle recensioni, il che mi dispiace. Potete anche dire che non vi piace o darmi consigli, quello che volete : )  accetto tutto (be’, quasi).
Be’, detto questo, vi ricordo solo di venirmi a trovare sulla mia pagina facebook così potete vedere le altre storie che ho pubblicato e a breve ci metterò le foto di Connie.

Un bacione,
M.

  
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