Cinque febbraio: stand-by.
“Bè che cosa pensi di fare - piangerti addosso ancora?”
“Fa’ silenzio.”
“Fa’ silenzio.”
Il lezzo del preannunciato fallimento
penetra insidioso tra le ossa e i muscoli,
e ti ferma; ti si arresta il respiro e la voce
s’annoda nelle molli e volubili corde vocali.
La paura di vivere strattona i capelli ancora umidi,
profumati di pioggia, e le gambe cedono
- tremanti e deboli –
incapaci di sostenere il semplice peso del terrore.
Non ho idea di che cosa fare:
ogni cosa – desiderio, meta, obiettivo, emozione –
appare distante, impossibile da ghermire, fasullo.
La fronte imperlata da incubi grigi;
le dita affondate, contratte, nella carne:
l’organismo implode in un silenzio fastidioso.
*