Eccomi qui! Ripostato
il capitolo. Chiedo scusa per gli errori…ma avevo postato il capitolo senza
rileggerlo.
Cassiana : ti ringrazio per avermi fatto notare
le forti incongruenze nei tempi dei verbi. Quasi non riconoscevo la mia
scrittura rileggendo il testo!
Ad ogni modo ci tengo a spiegarti come
mai è accaduto. Vedi, ho scritto questo capitolo parallelamente ad un altro di
un’altra storia, che è scritto al passato. Talvolta, quindi, mi dimenticavo di
passare al presente, il tempo che ho scelto per scrivere questa ff.
Purtroppo, non rileggendo il chap, poi non me ne sono
resa conto. Ora ho corretto e spero di non avere
dimenticato nulla. Perdonami se puoi…
Spero, però, che al di là degli
errori, la storia ti piaccia. Fammi sapere. Baci.
Il
sovrintendente
Cammino a
fianco del Custode. Ha acconsentito a condurmi dal solo che ha il potere di
darmi ciò che chiedo. Le sue stanze non sono molto lontane da quelle dei
guaritori, ho modo di osservare. Non posso fare a meno di domandarmi di che
natura ed estensione siano le ferite riportate dal signore di Gondor. Forse che anche lui ha dovuto patire sofferenze e
delusioni?
Ma ciò, in
fondo, per me non ha importanza.
Arriviamo a
destinazione. Lo capisco dal fatto che il Custode rallenta notevolmente la sua
andatura, inducendomi a fare lo stesso. Siamo davanti ad una porta di quercia
scura, molto robusta all’apparenza, con la serratura in metallo splendente.
Sembra una porta differente da quelle delle altre stanze delle case di
guarigione. Probabilmente, anche in un caso come quello in cui ci troviamo, la
differenza di rango e ruoli gioca una parte fondamentale nella vita dei signori
di questa città.
Il Custode
bussa piano, colpi regolari e quasi esitanti sul legno duro e scuro.
« Avanti » la
voce che risponde, anche se ancora non posso dirlo con certezza, è di timbro
medio, suadente, gentile. Una bella voce, devo ammettere.
Entriamo,
lentamente, e ci troviamo subito in una stanza piuttosto grande, con un letto
al centro e un tavolo ampio e spazioso dove stavano sparse diverse carte. Faramir di Gondor è seduto
davanti a quel tavolo, la testa china sui fogli, la fronte aggrottata in
un’espressione di concentrazione. Non appena varchiamo la soglia della stanza,
però, alza immediatamente lo sguardo.
Non
dimenticherò mai quel momento. È un attimo. I nostri occhi si incontrano
legandosi quasi magicamente. Per la prima volta ho modo di vedere con
attenzione il volto dell’uomo i cui sguardi mi hanno perseguitata per giorni. I
capelli neri, appena mossi, gli ricadono sulle spalle, pettinati in parte
all’indietro sull’ampia fronte. I lineamenti, anche se non l’ho mai notato, sono
regolari e belli, forse un tantino severi. Gli occhi,
poi, sono capaci di affascinare. Persino io, in questo istante, rimango per un
attimo vittima del loro incantesimo. Sono grandi e hanno ciglia lunghe, quasi
femminili, che incorniciano le iridi grigie, dell’esatto colore del piombo.
Il suo sguardo
mi colpisce perché ha tutte le caratteristiche per essere languido, ma invece è
fiero, virile e anche messaggero di una capacità non comune in fatto di armi e
battaglie. La bocca sottile enfatizza la severità, forse apparente della sua
persona.
Mentre mi
guarda, nulla traspare dai suoi occhi, se non uno sprazzo dell’unico sentimento
che ho sempre disprezzato: la pietà.
« Mio Signore,
» comincia a dire il Custode, distogliendo l’attenzione del sovrintendente da
me « Costei e Dama Eowyn di Rohan. È la dama che ha cavalcato insieme con il re….e
rimase gravemente ferita. Ora sta guarendo, ma non è contenta e desidera
parlarvi. »
Faramir ascolta le parole dell’uomo con attenzione e senza
scomporsi. Ammiro il suo autocontrollo. Tuttavia, non voglio che nessuno,
neppure lui che fu così impudente, possa credermi un’ingrata.
Alzo una mano
per reclamare la parola « Sire, non fraintendere le sue parole » dico, usando
il tu, in quanto parlo con un mio pari. « Le cure che
mi sono state riservate sono le migliori. Non potrei domandare di meglio. È
altro, in effetti che mi affligge. »
Egli, dopo aver
nuovamente rivolto lo sguardo al mio viso, fa un cenno al Custode e questo si
allontana discretamente con un inchino. Provo una strana sensazione a trovarmi
da sola in sua presenza. Qualcosa che non ho mai provato prima. Deve trattarsi
di fastidio, fastidio per i suoi sguardi insistenti ed enigmatici, ma non
potrei definirlo neppure in questa maniera. Si alza in piedi e mi accorgo che
emana come un’aura di potere, simile a quella che da sempre sprigiona sire Aragorn. La sua corporatura robusta e snella, da guerriero,
è celata da una tunica nera, con lo stemma di Gondor,
sopra un paio di calzoni grigi.
Ma io sono
stata a fianco degli uomini più valorosi della mia terra, perciò non sarò messa
in soggezione da questa patetica esposizione di autorità. Io stessa ne emano
quanta lui non potrà mai sognare. Eppure, triste e desolata come oramai sono,
non posso che essere meno fiduciosa di me stessa di quanto lo sarei stata nella
norma.
« È un onore, signora, conoscerti. » dice,
inchinandosi profondamente. « Una conoscenza che è
stata a lungo sperata, ma sempre rifiutata. » sorride.
Me ne meraviglio, perché ciò che dice dovrebbe essere carico di indignazione,
forse addirittura rancore. Invece il suo tono è gentile, comprensivo. Non
sembra che mi stia rimproverando per avere ignorato i suoi tentativi di
avvicinarmi.
« Anche per me è un onore conoscere il sovrintendente del regno più
potente della Terra di Mezzo. » Non posso non
ricambiare la cortesia, tuttavia mi astengo dal restituirgli il sorriso. « Sebbene in circostanze non liete. »
Si avvicina a
me di alcuni passi, lentamente « il Custode ha detto
che sei scontenta, mia signora. Cosa posso fare, dunque, per alleviare le tue
pene? » qui sorride nuovamente, con un accenno di ironia « Anche io, come te,
sono prigioniero dei guaritori e soggetto alla loro autorità »
Mentre lo
osservo, vedo che mi sta fissando intensamente. Di nuovo, negli occhi leggo una
profonda pena che mi fa rabbrividire di stizza. Cosa darei per cancellare
quell’emozione dai suoi occhi, ora. Questa grave tenerezza che vi leggo mi
trafigge il petto, come mille pugnali. Desideravo la gloria e l’ammirazione. La
pietà è per me motivo di vergogna. Non credevo di esservi così esposta.
Nonostante
questi sentimenti si facciano breccia nel mio cuore ferito, mi rendo conto
anche di altro. Comprendo che ho davanti un uomo valoroso, anche severo, come
il suo aspetto, seppure affascinante, tradisce, eppure
gentile. Comprendo anche che, sebbene la cosa mi infonda profondo rammarico,
nessun cavaliere della mia gente lo avrebbe mai eguagliato in battaglia.
« Cosa desideri? » ripete, svegliandomi
dalla profonda riflessione di cui ero caduta preda. « Se è in mio potere,
allora lo farò. »
La sua
gentilezza mi mette stranamente in difficoltà. Deve essere a causa della pietà
che la ispira, perché non sono estranea a questo tipo di premure. Decido allora
di parlare chiaramente, senza temporeggiare ulteriormente.
« Vorrei che ordinassi al custode di lasciarmi andare. »
Faramir distoglie lo sguardo per un istante, sorridendo
tristemente « temo di non poterti accontentare mia
signora. » dopo aver detto queste parole torna a guadarmi « Infatti, come ti ho
detto, sono anche io affidato alle cure e alla responsabilità del Custode. » Si avvicina di un altro passo, quasi esitante. D’istinto,
i miei occhi lo fermano mandando cupi lampi « Ma non
mi opporrei comunque alla sua volontà, se in gioco vi è la tua guarigione. »
In un unico
istante vedo tutte le mie ultime speranze crollare, come sotto gli eserciti del
nemico abbiamo dovuto abbandonare il Palazzo D’oro della mia stirpe.
« Ma io non
desidero guarire » insisto, vedendo che sul volto di lui compare un’espressione
curiosa, facendosi strada nella tenerezza « Io voglio
andare in guerra e morire con onore, come mio fratello…o come mio zio, il re Theoden. »
Nel nominare il
mio amato e compianto tutore e signore, qualcosa nella mia voce si intenerisce,
senza che io possa farci nulla. Distolgo lo sguardo dal sovrintendente proprio
come lui ha fatto poco prima con me. Non voglio che la debolezza traspaia dai
miei occhi. Non voglio che mi consideri una sciocca o una vanesia che parla di
cose più grandi di lei, di cui, magari, nemmeno sa nulla.
Ma egli è,
invece, stranamente comprensivo. « Ti comprendo. La
morte in battaglia è la più valorosa tra tutte le morti che si possano
desiderare. Anche io la desideravo. » Sospira, come ma ho udito sospirare un
uomo prima d’ora « Ma oramai è troppo tardi per seguire i soldati. E inoltre,
come sono ora, non sarei che d’intralcio alle truppe. »
Non so come
rispondere. In realtà non so neppure se rispondere sia la cosa giusta. Il suo
modo di parlare è così suadente, dolce e gentile che qualcosa dentro di me si
scioglie, come se il gelo fosse improvvisamente raggiunto da un raggio di sole.
Mi irrigidisco: questa sensazione è per me nuova e non so cosa stia a
significare. E, stando così le cose, non posso controllarla.
« Ma tu, se
posso, mia signora, » continua intanto lui, approfittando del mio silenzio « Perché desideri una morte simile? Una fanciulla della tua
bellezza e del tuo rango dovrebbe avere aspirazioni diverse da quelle che hai
appena enumerato. »
Lo guardo
intensamente. Nel suo menzionare la mia bellezza non c’era alcun tentativo di
lusinga. Si comprende perfettamente che si tratta solamente di una semplice
considerazione. Per questo ne rimango colpita. Era semplice e diretta, non un
elaborato complimento.
« Non lo sai mio signore? »
Egli scuote la
testa « Non conosco la tua storia, Dama Eowyn, né posso dire di essere vicino a scoprire i profondi
segreti del tuo cuore. » allarga le mai in segno di resa « Del resto, se ho
tentato di conoscerli, mi hai tenuto a distanza, mia signora. »
Non rispondo né
presto troppa attenzione a quella allusione ai miei rifiuti di farmi conoscere
da lui. Non posso e non voglio riaprire un discorso che doveva rimanere chiuso
sin dall’inizio. Tuttavia non nutro rancore verso Faramir
per averlo menzionato, perché non c’è ombra di malizia o sotterfugio in lui.
Sospiro a mia
volta, non trovando le parole per provare ad insistere riguardo alla mia richiesta.
Ma lui mi
precede e parla prima che io possa obbiettare « Ad
ogni modo, mia signora, la morte in battaglia attende tutti, prima o poi.
Cambia solo il dove ed il quando. »
Il pensiero
corre velocemente a mio fratello Eomer , da solo, ad affrontare le tenebre di Sauron
e dei suoi eserciti oscuri, ad oriente. Non posso fare a meno di cedere per un
istante alle emozioni. Forse anche la gentilezza inaspettata e disarmante
dell’uomo che ho davanti mi inducono a lasciarmi andare.
Una lacrima
silenziosa scivola lungo la mia guancia sinistra e non faccio nulla per
combattere quello sciocco segno di debolezza. Chino il capo da un lato,
sovrappensiero, distogliendo lo sguardo da Faramir.
« Ma i
guaritori desiderano che rimanga a letto altri sette giorni, » dico piano. In effetti sto parlando da sola in quel momento, non con lui
« E la mia finestra non è rivolta ad oriente, dove mio fratello combatte per la
libertà ».
Mi volto a
guardare nuovamente il sovrintendente e noto che sta sorridendo. Sorride
tristemente e mi accorgo che, se possibile, la sua pietà nei miei confronti è
aumentata. Vorrei fuggire per non dover sopportare quell’umiliazione, per non
leggere la pena sul suo viso da uomo d’arme, ma
sensibile. Una parte di me mi dice che non sarei mai dovuta venire da lui.
« La tua finestra non è rivolta ad oriente? » ripete dolcemente lui
« A questo c’è facile rimedio. Darò ordini al custode affinchè
i tuoi alloggi siano spostati in questa ala delle case di guarigione. Qui
potrai volgere lo sguardo ad oriente dalla tua stanza e anche da questo
giardino, dove, se vorrai, potrai passeggiare al sole. »
C’è una strana nuova euforia nella sua voce. Non la comprendo. Ad ogni modo, le sua parole sono per me fonte di piccole gioie, perché la
vista dell’oriente mi darà modo di sentirmi vicina ai miei soldati, e ad Eomer.
Nel frattempo
prosegue « Se prometti di riposare come ordinano i
guaritori potrai avere ciò che ti sto offrendo. E se verrai qui
a camminare, sovente troverai me. » la guarda con dolcezza infinita « Allevieresti
le mie pene se trascorressi del tempo con me, passeggiando e discorrendo. »
La sua
richiesta è molto strana, anche se innocua. Mi coglie profondamente di
sorpresa, anche se mi pare di riuscire a non darlo a vedere. I nostri sguardi
si incontrano nuovamente con crescente intensità. Quale strana magia possiede
quest’uomo?
« Non desidero i discorsi dei viventi, mio signore. » dico, nel tentativo, sincero, di evitare di accontentarlo
nella sua richiesta. Infatti, sebbene lui abbia, in parte, soddisfatto i miei
bisogni, tenergli compagnia, per quanto sembra si tratti di un amabile uomo,
sarebbe per me incarico troppo gravoso. La mia anima è morta, come potrei
sopportare di curare la sua?
Faramir avanza di un altro passo. Ora è proprio davanti a
me, a breve distanza. « Ti prego, signora. » dice in un preghiera assai dignitosa eppure straziante « non te lo
chiederei se non lo desiderassi davvero. »
È sincero, o
almeno così sembra. Ma il mio cuore è dilaniato da vecchie ferite che non si saneranno
mai se non nella pace eterna e gloriosa dell’oblio.
Sostengo il suo
sguardo con fierezza, senza però essere spinosa o fredda «
E in che modo potrei alleviare io le tue pene, mio signore? »
« Vuoi la mia sincera risposta? »
Risponde con
tanta rapidità che per un attimo credo di aver immaginato le sue parole. Ma non
mi lascio intimorire o incuriosire dal suo strano comportamento. Non potevo
permettermi di cedere. Non io.
« La voglio. »
Faramir mi fissa serio, improvvisamente cupo nei suoi
lineamenti fino a quel momento sereni e forse un po’ malinconici. Un
cambiamento sorprendente.
« Allora, Eowyn di Rohan,
ti dico che sei bella. Nelle valli delle nostre colline crescono fiori belli e
splendenti e fanciulle più splendenti ancora, ma non ho veduto sinora a Gondor né fiore né dama così meravigliosa e così triste. » nella sua voce c’è un impeto appassionato, strano in un
uomo della sua tempra, seppure sensibile e gentile. «
Forse non ci restano che pochi giorni prima che l’oscurità sommerga il mondo.
Allevierebbe le pene del mio cuore se fino ad allora
potessi vederti. Siamo passati ambedue sotto le ali dell’ombra e la medesima
mano ci ha salvati. »
Le sue parole
sono uscite dalle labbra di lui come un fiume insostenibile. Rimango mio
malgrado colpita dal suo atteggiamento e dai suoi modi. Non so perché, ma c’è
qualcosa di strano in lui. Faramir di Gondor non è un uomo comune e non posso fare a meno di
ammirarlo.
« Non ha salvato me sire. » dico piano. È
la verità, però, e lui lo sente dal tono della mia voce. So che capisce che la
mia anima è perduta. Leggo la comprensione nei suoi occhi. «
Non sono io che posso aiutarti a guarire. » Mi allontano risoluta da lui,
lentamente, senza sciogliere il legame creatosi tra i nostri sguardi « Ma ti
ringrazio per i favori che mi hai accordato. »
Prima che possa
dire altro, faccio una piccola riverenza, e gli volto le spalle, lasciandolo
solo. Prima di chiudere la porta alle mie spalle, faccio attempo
a vedere un’ultima volta i suoi occhi grigi, che erano, se possibile, ancora
più profondi e tristi di quando li avevo fissati dando la mia risposta.