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Autore: masked_lady    13/06/2008    1 recensioni
Questa è la storia di come Eowyn e Faramir si sono innamorati. Tutto quello che il libro dice e non dice. la storia di come una dama ardita e fiera fu guarita dall'amore vero. Leggete in tanti e SE VI VA LASCIATE UN COMMENTO. bACI.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Eowyn, Faramir
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Il sovrintendente

Eccomi qui! Ripostato il capitolo. Chiedo scusa per gli errori…ma avevo postato il capitolo senza rileggerlo.

Cassiana : ti ringrazio per avermi fatto notare le forti incongruenze nei tempi dei verbi. Quasi non riconoscevo la mia scrittura rileggendo il testo!

Ad ogni modo ci tengo a spiegarti come mai è accaduto. Vedi, ho scritto questo capitolo parallelamente ad un altro di un’altra storia, che è scritto al passato. Talvolta, quindi, mi dimenticavo di passare al presente, il tempo che ho scelto per scrivere questa ff. Purtroppo, non rileggendo il chap, poi non me ne sono resa conto. Ora ho corretto e spero di non avere dimenticato nulla. Perdonami se puoi…

Spero, però, che al di là degli errori, la storia ti piaccia. Fammi sapere. Baci.

Il sovrintendente

Cammino a fianco del Custode. Ha acconsentito a condurmi dal solo che ha il potere di darmi ciò che chiedo. Le sue stanze non sono molto lontane da quelle dei guaritori, ho modo di osservare. Non posso fare a meno di domandarmi di che natura ed estensione siano le ferite riportate dal signore di Gondor. Forse che anche lui ha dovuto patire sofferenze e delusioni?

Ma ciò, in fondo, per me non ha importanza.

Arriviamo a destinazione. Lo capisco dal fatto che il Custode rallenta notevolmente la sua andatura, inducendomi a fare lo stesso. Siamo davanti ad una porta di quercia scura, molto robusta all’apparenza, con la serratura in metallo splendente. Sembra una porta differente da quelle delle altre stanze delle case di guarigione. Probabilmente, anche in un caso come quello in cui ci troviamo, la differenza di rango e ruoli gioca una parte fondamentale nella vita dei signori di questa città.

Il Custode bussa piano, colpi regolari e quasi esitanti sul legno duro e scuro.

« Avanti » la voce che risponde, anche se ancora non posso dirlo con certezza, è di timbro medio, suadente, gentile. Una bella voce, devo ammettere.

Entriamo, lentamente, e ci troviamo subito in una stanza piuttosto grande, con un letto al centro e un tavolo ampio e spazioso dove stavano sparse diverse carte. Faramir di Gondor è seduto davanti a quel tavolo, la testa china sui fogli, la fronte aggrottata in un’espressione di concentrazione. Non appena varchiamo la soglia della stanza, però, alza immediatamente lo sguardo.

Non dimenticherò mai quel momento. È un attimo. I nostri occhi si incontrano legandosi quasi magicamente. Per la prima volta ho modo di vedere con attenzione il volto dell’uomo i cui sguardi mi hanno perseguitata per giorni. I capelli neri, appena mossi, gli ricadono sulle spalle, pettinati in parte all’indietro sull’ampia fronte. I lineamenti, anche se non l’ho mai notato, sono regolari e belli, forse un tantino severi. Gli occhi, poi, sono capaci di affascinare. Persino io, in questo istante, rimango per un attimo vittima del loro incantesimo. Sono grandi e hanno ciglia lunghe, quasi femminili, che incorniciano le iridi grigie, dell’esatto colore del piombo.

Il suo sguardo mi colpisce perché ha tutte le caratteristiche per essere languido, ma invece è fiero, virile e anche messaggero di una capacità non comune in fatto di armi e battaglie. La bocca sottile enfatizza la severità, forse apparente della sua persona.

Mentre mi guarda, nulla traspare dai suoi occhi, se non uno sprazzo dell’unico sentimento che ho sempre disprezzato: la pietà.

« Mio Signore, » comincia a dire il Custode, distogliendo l’attenzione del sovrintendente da me « Costei e Dama Eowyn di Rohan. È la dama che ha cavalcato insieme con il re….e rimase gravemente ferita. Ora sta guarendo, ma non è contenta e desidera parlarvi. »

Faramir ascolta le parole dell’uomo con attenzione e senza scomporsi. Ammiro il suo autocontrollo. Tuttavia, non voglio che nessuno, neppure lui che fu così impudente, possa credermi un’ingrata.

Alzo una mano per reclamare la parola « Sire, non fraintendere le sue parole » dico, usando il tu, in quanto parlo con un mio pari. « Le cure che mi sono state riservate sono le migliori. Non potrei domandare di meglio. È altro, in effetti che mi affligge. »

Egli, dopo aver nuovamente rivolto lo sguardo al mio viso, fa un cenno al Custode e questo si allontana discretamente con un inchino. Provo una strana sensazione a trovarmi da sola in sua presenza. Qualcosa che non ho mai provato prima. Deve trattarsi di fastidio, fastidio per i suoi sguardi insistenti ed enigmatici, ma non potrei definirlo neppure in questa maniera. Si alza in piedi e mi accorgo che emana come un’aura di potere, simile a quella che da sempre sprigiona sire Aragorn. La sua corporatura robusta e snella, da guerriero, è celata da una tunica nera, con lo stemma di Gondor, sopra un paio di calzoni grigi.

Ma io sono stata a fianco degli uomini più valorosi della mia terra, perciò non sarò messa in soggezione da questa patetica esposizione di autorità. Io stessa ne emano quanta lui non potrà mai sognare. Eppure, triste e desolata come oramai sono, non posso che essere meno fiduciosa di me stessa di quanto lo sarei stata nella norma.

« È un onore, signora, conoscerti. » dice, inchinandosi profondamente. « Una conoscenza che è stata a lungo sperata, ma sempre rifiutata. » sorride. Me ne meraviglio, perché ciò che dice dovrebbe essere carico di indignazione, forse addirittura rancore. Invece il suo tono è gentile, comprensivo. Non sembra che mi stia rimproverando per avere ignorato i suoi tentativi di avvicinarmi.

« Anche per me è un onore conoscere il sovrintendente del regno più potente della Terra di Mezzo. » Non posso non ricambiare la cortesia, tuttavia mi astengo dal restituirgli il sorriso. « Sebbene in circostanze non liete. »

Si avvicina a me di alcuni passi, lentamente « il Custode ha detto che sei scontenta, mia signora. Cosa posso fare, dunque, per alleviare le tue pene? » qui sorride nuovamente, con un accenno di ironia « Anche io, come te, sono prigioniero dei guaritori e soggetto alla loro autorità »

Mentre lo osservo, vedo che mi sta fissando intensamente. Di nuovo, negli occhi leggo una profonda pena che mi fa rabbrividire di stizza. Cosa darei per cancellare quell’emozione dai suoi occhi, ora. Questa grave tenerezza che vi leggo mi trafigge il petto, come mille pugnali. Desideravo la gloria e l’ammirazione. La pietà è per me motivo di vergogna. Non credevo di esservi così esposta.

Nonostante questi sentimenti si facciano breccia nel mio cuore ferito, mi rendo conto anche di altro. Comprendo che ho davanti un uomo valoroso, anche severo, come il suo aspetto, seppure affascinante, tradisce, eppure gentile. Comprendo anche che, sebbene la cosa mi infonda profondo rammarico, nessun cavaliere della mia gente lo avrebbe mai eguagliato in battaglia.

« Cosa desideri? » ripete, svegliandomi dalla profonda riflessione di cui ero caduta preda. « Se è in mio potere, allora lo farò. »

La sua gentilezza mi mette stranamente in difficoltà. Deve essere a causa della pietà che la ispira, perché non sono estranea a questo tipo di premure. Decido allora di parlare chiaramente, senza temporeggiare ulteriormente.

« Vorrei che ordinassi al custode di lasciarmi andare. »

Faramir distoglie lo sguardo per un istante, sorridendo tristemente « temo di non poterti accontentare mia signora. » dopo aver detto queste parole torna a guadarmi « Infatti, come ti ho detto, sono anche io affidato alle cure e alla responsabilità del Custode. » Si avvicina di un altro passo, quasi esitante. D’istinto, i miei occhi lo fermano mandando cupi lampi « Ma non mi opporrei comunque alla sua volontà, se in gioco vi è la tua guarigione. »

In un unico istante vedo tutte le mie ultime speranze crollare, come sotto gli eserciti del nemico abbiamo dovuto abbandonare il Palazzo D’oro della mia stirpe.

« Ma io non desidero guarire » insisto, vedendo che sul volto di lui compare un’espressione curiosa, facendosi strada nella tenerezza « Io voglio andare in guerra e morire con onore, come mio fratello…o come mio zio, il re Theoden. »

Nel nominare il mio amato e compianto tutore e signore, qualcosa nella mia voce si intenerisce, senza che io possa farci nulla. Distolgo lo sguardo dal sovrintendente proprio come lui ha fatto poco prima con me. Non voglio che la debolezza traspaia dai miei occhi. Non voglio che mi consideri una sciocca o una vanesia che parla di cose più grandi di lei, di cui, magari, nemmeno sa nulla.

Ma egli è, invece, stranamente comprensivo. « Ti comprendo. La morte in battaglia è la più valorosa tra tutte le morti che si possano desiderare. Anche io la desideravo. » Sospira, come ma ho udito sospirare un uomo prima d’ora « Ma oramai è troppo tardi per seguire i soldati. E inoltre, come sono ora, non sarei che d’intralcio alle truppe. »

Non so come rispondere. In realtà non so neppure se rispondere sia la cosa giusta. Il suo modo di parlare è così suadente, dolce e gentile che qualcosa dentro di me si scioglie, come se il gelo fosse improvvisamente raggiunto da un raggio di sole. Mi irrigidisco: questa sensazione è per me nuova e non so cosa stia a significare. E, stando così le cose, non posso controllarla.

« Ma tu, se posso, mia signora, » continua intanto lui, approfittando del mio silenzio « Perché desideri una morte simile? Una fanciulla della tua bellezza e del tuo rango dovrebbe avere aspirazioni diverse da quelle che hai appena enumerato. »

Lo guardo intensamente. Nel suo menzionare la mia bellezza non c’era alcun tentativo di lusinga. Si comprende perfettamente che si tratta solamente di una semplice considerazione. Per questo ne rimango colpita. Era semplice e diretta, non un elaborato complimento.

« Non lo sai mio signore? »

Egli scuote la testa « Non conosco la tua storia, Dama Eowyn, né posso dire di essere vicino a scoprire i profondi segreti del tuo cuore. » allarga le mai in segno di resa « Del resto, se ho tentato di conoscerli, mi hai tenuto a distanza, mia signora. »

Non rispondo né presto troppa attenzione a quella allusione ai miei rifiuti di farmi conoscere da lui. Non posso e non voglio riaprire un discorso che doveva rimanere chiuso sin dall’inizio. Tuttavia non nutro rancore verso Faramir per averlo menzionato, perché non c’è ombra di malizia o sotterfugio in lui.

Sospiro a mia volta, non trovando le parole per provare ad insistere riguardo alla mia richiesta.

Ma lui mi precede e parla prima che io possa obbiettare « Ad ogni modo, mia signora, la morte in battaglia attende tutti, prima o poi. Cambia solo il dove ed il quando. »

Il pensiero corre velocemente a mio fratello Eomer , da solo, ad affrontare le tenebre di Sauron e dei suoi eserciti oscuri, ad oriente. Non posso fare a meno di cedere per un istante alle emozioni. Forse anche la gentilezza inaspettata e disarmante dell’uomo che ho davanti mi inducono a lasciarmi andare.

Una lacrima silenziosa scivola lungo la mia guancia sinistra e non faccio nulla per combattere quello sciocco segno di debolezza. Chino il capo da un lato, sovrappensiero, distogliendo lo sguardo da Faramir.

« Ma i guaritori desiderano che rimanga a letto altri sette giorni, » dico piano. In effetti sto parlando da sola in quel momento, non con lui « E la mia finestra non è rivolta ad oriente, dove mio fratello combatte per la libertà ».

Mi volto a guardare nuovamente il sovrintendente e noto che sta sorridendo. Sorride tristemente e mi accorgo che, se possibile, la sua pietà nei miei confronti è aumentata. Vorrei fuggire per non dover sopportare quell’umiliazione, per non leggere la pena sul suo viso da uomo d’arme, ma sensibile. Una parte di me mi dice che non sarei mai dovuta venire da lui.

« La tua finestra non è rivolta ad oriente? » ripete dolcemente lui « A questo c’è facile rimedio. Darò ordini al custode affinchè i tuoi alloggi siano spostati in questa ala delle case di guarigione. Qui potrai volgere lo sguardo ad oriente dalla tua stanza e anche da questo giardino, dove, se vorrai, potrai passeggiare al sole. » C’è una strana nuova euforia nella sua voce. Non la comprendo. Ad ogni modo, le sua parole sono per me fonte di piccole gioie, perché la vista dell’oriente mi darà modo di sentirmi vicina ai miei soldati, e ad Eomer.

Nel frattempo prosegue « Se prometti di riposare come ordinano i guaritori potrai avere ciò che ti sto offrendo. E se verrai qui a camminare, sovente troverai me. » la guarda con dolcezza infinita « Allevieresti le mie pene se trascorressi del tempo con me, passeggiando e discorrendo. »

La sua richiesta è molto strana, anche se innocua. Mi coglie profondamente di sorpresa, anche se mi pare di riuscire a non darlo a vedere. I nostri sguardi si incontrano nuovamente con crescente intensità. Quale strana magia possiede quest’uomo?

« Non desidero i discorsi dei viventi, mio signore. » dico, nel tentativo, sincero, di evitare di accontentarlo nella sua richiesta. Infatti, sebbene lui abbia, in parte, soddisfatto i miei bisogni, tenergli compagnia, per quanto sembra si tratti di un amabile uomo, sarebbe per me incarico troppo gravoso. La mia anima è morta, come potrei sopportare di curare la sua?

Faramir avanza di un altro passo. Ora è proprio davanti a me, a breve distanza. « Ti prego, signora. » dice in un preghiera assai dignitosa eppure straziante « non te lo chiederei se non lo desiderassi davvero. »

È sincero, o almeno così sembra. Ma il mio cuore è dilaniato da vecchie ferite che non si saneranno mai se non nella pace eterna e gloriosa dell’oblio.

Sostengo il suo sguardo con fierezza, senza però essere spinosa o fredda « E in che modo potrei alleviare io le tue pene, mio signore? »

« Vuoi la mia sincera risposta? »

Risponde con tanta rapidità che per un attimo credo di aver immaginato le sue parole. Ma non mi lascio intimorire o incuriosire dal suo strano comportamento. Non potevo permettermi di cedere. Non io.

« La voglio. »

Faramir mi fissa serio, improvvisamente cupo nei suoi lineamenti fino a quel momento sereni e forse un po’ malinconici. Un cambiamento sorprendente.

« Allora, Eowyn di Rohan, ti dico che sei bella. Nelle valli delle nostre colline crescono fiori belli e splendenti e fanciulle più splendenti ancora, ma non ho veduto sinora a Gondor né fiore né dama così meravigliosa e così triste. » nella sua voce c’è un impeto appassionato, strano in un uomo della sua tempra, seppure sensibile e gentile. « Forse non ci restano che pochi giorni prima che l’oscurità sommerga il mondo. Allevierebbe le pene del mio cuore se fino ad allora potessi vederti. Siamo passati ambedue sotto le ali dell’ombra e la medesima mano ci ha salvati. »

Le sue parole sono uscite dalle labbra di lui come un fiume insostenibile. Rimango mio malgrado colpita dal suo atteggiamento e dai suoi modi. Non so perché, ma c’è qualcosa di strano in lui. Faramir di Gondor non è un uomo comune e non posso fare a meno di ammirarlo.

« Non ha salvato me sire. » dico piano. È la verità, però, e lui lo sente dal tono della mia voce. So che capisce che la mia anima è perduta. Leggo la comprensione nei suoi occhi. « Non sono io che posso aiutarti a guarire. » Mi allontano risoluta da lui, lentamente, senza sciogliere il legame creatosi tra i nostri sguardi « Ma ti ringrazio per i favori che mi hai accordato. »

Prima che possa dire altro, faccio una piccola riverenza, e gli volto le spalle, lasciandolo solo. Prima di chiudere la porta alle mie spalle, faccio attempo a vedere un’ultima volta i suoi occhi grigi, che erano, se possibile, ancora più profondi e tristi di quando li avevo fissati dando la mia risposta.

  
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