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Autore: PeaceS    06/02/2014    11 recensioni
Da un Malfoy ci si deve aspettare tutto, anche che ti renda la vita un inferno per noia. Specie per noia. I Malfoy annoiati, di solito, erano più pericolosi di un Potter arrabbiato. Ma Lily avrebbe dovuto saperlo… le migliori storie iniziano alle tre di notte e in quel momento, la lancetta più piccola, si posò proprio sul tre.
[ ... ]
Perché, se Scorpius Malfoy decide di renderti la vita un inferno e tu te ne innamori perdutamente, mentre la tua migliore amica è nelle mani di un certo Zabini - famoso per essere un porco - e cerca di conquistare un Nott di tua conoscenza anche se - alla fin fine - quel certo Zabini non è molto felice, non puoi fare altro che chiederti perché la vita ha deciso di renderti le cose così difficili.
Insomma, tutto quello, però, avrebbe dovuto aspettarselo: era o non era una Potter?
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy, Un po' tutti | Coppie: Lily/Scorpius
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo ventunesimo –
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“Stai sbavando”
Dominique Weasley era quella che, in apparenza, avresti additato come la cheerleader bella e scema della situazione; munita di trequarti di sangue Veela e due occhi blu da bambola di porcellana, molti confidavano nel fatto che facesse leva sulla sua bellezza per ottenere i meravigliosi voti che aveva in tutte le materie, la stima del preside e i professori di Beauxbatons. Quello che non sapevano quelle stronze francesi – nomignolo che aveva affibbiato alle studentesse della lontana scuola di magia la cara e finissima Roxanne – era il fattore Weasley.
Perché Dominique poteva anche frequentare Beauxbatons a differenza dei suoi cugini, avere i capelli biondi come l'oro e l'incarnato perfettamente liscio e privo di lentiggini, ma le palle quadrate – come le definiva il caro e piccolo Freddie – erano tutte della famiglia dai capelli rossi.
Dom aveva l'accento di sua madre e l'aggressività lupesca di suo padre; aveva ereditato il lato rivoluzionario di zio George e quello materno di nonna Molly: insomma, era un mix straordinario della famiglia e le stronze francesi poteva mangiarsele a colazione.
“Fatti i cazzi tuoi” rispose James, bestemmiando in aramaico quando Dom lo colpì alla schiena con il bastone d'oro massiccio di Blaise Zabini.
“Ma sei impazzita?” sbraitò il primogenito di Harry Potter, piagnucolando come un bambino di due anni per la batosta che aveva ricevuto alla schiena.
Dominique lo guardò con un'aria di sufficienza.
“Sciacquati la bocca con l'acido solforico quando parli con me, Potter” sibilò la Weasley, riavviandosi con un gesto secco i capelli lunghi e biondissimi.
Alcuni Auror – che oramai avevano fatto casa al quartier generale Inglese – sospirarono ammaliati a quel gesto, beccandosi un'occhiata velenosa da parte di James. Si stava trattenendo fin troppo dall'azzannarli tutti seduta stante e prima o poi sarebbe arrivato il momento in cui avrebbe fatto strage di Auror stranieri.
E 'fanculo Azkaban!
“E tu smettila di dire cose che non dovrebbero riguardarti!” sibilò James, facendole la linguaccia e dimostrando a tutti – molto intelligentemente – il suo lato maturo. Per un bambino di due anni, era chiaro.
Dominique lo guardò con un'aria schifata, restituendo il bastone a Blaise e sorridendogli a mo' di ringraziamento.
“Sempre disponibile per le donzelle belle come te” ammiccò Zabini, allungando l'occhio obliquo verso le gambe scoperte di Dominique – che sorrise lusingata.
“Ah, gli Italiani... loro e la galanteria da perfetti gentiluomini che posseggono!
Mica come certi cafoni” cinguettò Dominique, fissando James come un insetto particolarmente molesto.
Questo digrignò i denti.
“Ah, le francesi... loro e quel culo perf...” iniziò Blaise, beccandosi un calcio dritto negli stinchi.
“Ma sei impazzito?” ululò, ripetendo la sua stessa frase di quando si era beccato il bastone dritto nella schiena.
James bisbigliò l'ennesima bestemmia prima di alzarsi di botto e afferrare Dominique per un polso: questa lo guardò con un sopracciglio alzato, storcendo la bocca rossa nell'imitazione di una smorfia disgustata.
“Jamie, mi stai toccando” cinguettò Dominique, suscitando alcune risatine da parte di tre Auror Americani.
James cercò di non urlare per la frustrazione e si limitò solamente a stringere la presa e trascinare Dominique lontano dalla Sala riunione; si sbatté la porta alle spalle e superò il corridoio gremito di persone.
Lei era ancora inerme tra le sue braccia. Si limitava a seguirlo e James aprì lo sgabuzzino che di solito usava con vecchie fiamme per un incontro che... di solito si bruciava in niente.
“Stai esagerando” urlò appena la sbatté nella stanza, lasciando la presa su di lei e affannando con il petto.
Dominique ignorò l'unica lampadina appesa al soffitto e le ragnatele che creavano giochi d'ombra al muro, concentrandosi sulla vena pulsante sulla gola di suo cugino.
Si abbracciò e ignorò lo stropicciarsi della camicia bianca che indossava, poggiandosi con i fianchi all'unico ripiano di legno presente nella stanza impolverata; la gonna nera a balze si macchiò poco di bianco, ma ignorò anche quello.
“Va bene fingere, ma ora sto passando per lo zimbello della situazione!” continuò James – scompigliandosi i capelli neri con rabbia.
Dominique continuò a guardare quella vena pulsare e socchiuse gli occhi azzurri, sorridendo nel ricordare tutte le volte che l'aveva sfiorata con le labbra quando Jamie si arrabbiava e aveva la voglia di spaccare qualcosa. Solo così riusciva a calmarlo. Solo così riusciva a vederlo per com'era davvero.
E amarlo ancora di più. Sempre di più.
“Sei tu che lo vuoi” sospirò Dominique, affondando le unghia perfettamente curate nel proprio avambraccio.
James la superava di venti centimetri buoni ed era stato così fin da quando erano piccoli: lui era il suo gigante buono e prepotente e lei la sua piccola bambolina che non accettava i suoi scherzi, ma che poi gli sorrideva sempre come se avesse il sole dentro.
Cos'era cambiato? Perché ora lui non riusciva più ad essere buono e lei non riusciva più a sorridergli?
“Ti sono mancato?”
James aveva il capo basso e ciuffi di capelli a coprirgli il volto pallido coperto di efelidi: le braccia erano lungo i fianchi e Dominique non riusciva a guardarlo negli occhi; rimasero a tre metri di distanza, a sentire l'uno l'odore dell'altro e lei tremò dentro – sentendo il cuore implorarla di avvicinarsi a lui.
Di avvicinarsi e stringerselo al petto fino a farsi mancare il fiato.
Stringerselo al petto e sentire la carne dilaniarsi per fargli spazio, per farlo entrare dentro sé.
“E io, uomo dall'armatura d'acciaio?
Io ti sono mancata?” bisbigliò Dominique, spostandosi una ciocca dagli occhi per portarla dietro l'orecchio.
Quando era piccola era solito farlo lui quel gesto, quasi come se fosse naturale rimuovere qualsiasi ostacolo che gl'impediva di guardarla fisso in quel mare che aveva al posto delle iridi.
“Non partire più” sussurrò James, flettendo le dita che fino a quel momento aveva tenuto chiuse a pugno.
Dominique sorrise ancora – ma questa volta in un modo così amaro che sentì le viscere attorcigliarsi.
“E dopo come giustificherai a Emily la mia presenza, James?” mormorò Dominique, socchiudendo gli occhi e lasciando che le ciglia lunghe e bionde creassero ghirigori sulle guance umide.
Di nuovo. Ancora.
James alzò il volto di scatto e la fissò con una muta domanda negli occhi bruni: alcune venature verdastre nelle iridi si schiarirono e Dominique indietreggiò ancora – toccando con la schiena il mobiletto alle sue spalle.
“Mi sei mancata” disse James, questa volta a voce alta, come a voler dar forza alle sue parole.
Dominique si strinse con più prepotenza, tenendosi integra da sola... come oramai succedeva da tre anni; prima ci pensava James ad asciugare le sue lacrime, a calmare i suoi attacchi di panico, a stringerla e cullarla fino a farla sentire al sicuro. A casa.
Ma ora come avrebbe potuto consolarla se la causa del suo male era lui stesso?
“Magari quando eri a letto con lei?”
“Quando sei lontana mi sembra di stare in apnea”
“E con Emily come ti senti, James?”
Questo urlò, colpendo il muro con così tanta forza da sgretolarlo con un solo colpo: le nocche si piegarono nella crepa che si era formata e James affannò con gli occhi spalancati dalla rabbia.
“Smettila, smettila!” strillò, ritirando il braccio e ricolpendo il muro con ancora più forza di prima, ignorando il sangue che gli stava colando lungo il polso.
Prima Dom baciava le sue ferite, se ne prendeva cura, le amava forse più delle perfezioni: le cicatrici erano le parti a cui lei dedicava più attenzione e James per quel motivo aveva imparato ad amare ogni singolo solco sulla sua pelle. Ogni singola ferita che l'avevano reso quell'uomo dall'armatura d'acciaio – come lei lo aveva soprannominato.
“Io lo faccio per te... quindi smettila” la pregò, coprendosi lo sguardo con la mano insanguinata e sporcandosi il volto.
Ora erano a due metri di distanza: lei si era allontanata dal ripiano di legno e si era avvicinata lentamente, lasciando quell'abbraccio solitario e sporgendo le dita verso di lui; non riuscì nemmeno a sfiorarlo che James l'afferrò con violenza e l'abbracciò.
La sporcò di sangue, coprì il suo profumo con il proprio, le rimase qualche livido sulla schiena quando spinse le dita sulla spina dorsale – per sentirla sempre più forte. Per sentirsi male ancora di più... perché la sua mancanza era terribile e quello non era niente in confronto.
“Lasciala, James” mormorò Dominique al suo orecchio, mentre lui affondava le mani nei suoi capelli e il volto nell'incavo del suo collo nudo.
No, Dom non aveva paura di Emily – la nuova ragazza di James. Non aveva mai avuto paura delle altre: sapeva che lei era costantemente con lui. Sapeva che era la sua ossessione, la sua paura, la sua unica debolezza... ma non voleva che qualcun altro lo toccasse.
Non voleva che qualcun altro godesse di qualcosa che lei poteva godere solo di rado e di nascosto. Non voleva lasciare a quelle presunti spasimanti il potere di poterlo sfiorare, baciare e magari sussurrargli che lui era l'unico.
Lui doveva essere l'unico solo per lei. Sempre e solo per lei.
“Lascerei il mondo per te, Dom” disse James, scostando il volto dal suo collo e guardandola con una determinazione che la infiammò.
Intrecciò le dita alle sue e le due ancore tatuate sui loro polsi coincisero con una perfezione quasi maniacale; grazie alla magia che avevano effettuato sull'inchiostro le due unghie dell'ancora si attorcigliarono... finalmente unite.
Ora amanti. Ora sorelle. Ora insieme.
“Quando avrete finire di farmi venire la nausea, forse mi cagherete” sbuffò Roxanne, facendo staccare i due ragazzi di scatto – pallidi come lenzuoli e con gli occhi spalancati dal terrore.
Era ferma sull'uscio della porta, nemmeno l'avevano sentita entrare e ora aveva le braccia conserte: indossava ancora la divisa e aveva un sorrisetto sulla bocca che fece incazzare James come una biscia.
“Tu, perfida stronzetta...” iniziò con il suo colorito linguaggio, zittendosi quando si accorse del solito Frank alle calcagna della ragazza di colore.
“Come sai, lui è il mio segretario tutto-fare. Conosce la maggior parte dei miei fascicoli – dove, naturalmente, voi due siete presenti – tranne quelli che li riguardano direttamente” soffiò Roxanne, guardandosi le unghia mangiucchiate e beccandosi un bestemmione da parte di James grande quanto una casa.
“Che c'è, Rox?” domandò Dominique, guardinga, mentre la cugina si riavviava i ricci rossicci con un gesto secco.
La massa di capelli colpì Frank in pieno viso e questo per poco non svenne per il profumo che l'aveva investito; essere alle spalle di Roxanne era meraviglioso: aveva un culo praticamente perfetto e nonostante il sesso o l'aspetto fisico in generale di una persona non colpivano Frank particolarmente, persino a lui riusciva difficile non guardarla e magari sbavarle dietro.
Eppure, Paciock, a differenza degli altri, poteva starle accanto senza che lei lo scacciasse o lo trattasse male.
Okay, forse a volte lo trattava come uno zerbino... oh, e va bene! Quasi sempre lo trattava come il suo tappetino personale, ma Frank era l'unica persona che Rox riteneva – oltre le sue cugine – veramente importante.
“Forse ho trovato il modo di far sparire i serpenti dalla testa di Lily!” cinguettò Roxanne tutta eccitata, mentre James si chiedeva se fosse normale.
Dominique fece sparire il sopracciglio biondo oltre l'attaccatura dei capelli e fissò la cugina con un sorrisetto perverso sulla bocca rossa.
“Dimmi che è quello che sto pensando io e potrei farti una statua d'oro” rise la Weasley, facendo brillare gli occhi azzurri con una libidine che fece rabbrividire James.
La cosa non gli piaceva. Quelle due parlavano di sua sorella con un'espressione troppo maniaca...
“Sesso” chiarì infatti Roxanne, cinguettando angelica come se non avesse appena pronunciato QUELLA parola davanti a lui. Con il nome di sua sorella nella stessa frase.
James sbiancò.
“Non ho capito bene” alitò, aggrappandosi al ripiano di legno che Dominique aveva sfiorato prima con la schiena per evitarlo.
“Hai capito bene, idiota” sibilarono in coro quelle due vipere, con l'unica differenza che una poteva minacciarlo di rovinarlo in famiglia se avesse impedito il piano, mentre l'altra semplicemente avrebbe indossato una mutanda di ferro e addio sesso per i prossimi anni.
Oddio, sesso. Lily.
Malfoy!
“NO” urlò James, assumendo la stessa faccia dell'urlo di Munch e tirando su con il naso.
Due minuti e sarebbe scoppiato a piangere come un moccioso.
“Oh, ma nessuno ha chiesto il tuo parere, James caro” sospirò Roxie, sbattendo civettuola le ciglia e suscitando in Frank tutta la compassione possibile per il primogenito di Potter.
Quella era un'arpia quando voleva... e se ci si metteva un'altra Weasley al suo fianco, sicuramente la situazione non migliorava.
“Già, amore. Non abbiamo di certo chiesto il tuo parere” le diede man forte Dominique, riavviandosi con un gesto secco i capelli biondi e accecandolo con il suo trequarti di sangue Veela.
Appunto. Quello era un taro di famiglia, cazzo!
“Ma è mia sorella” piagnucolò il ragazzo dai capelli neri, venendo ignorato bellamente dalle due cugine.
Insomma, era diventato trasparente.
“Credi che funzionerà?” domandò Dominique a Roxanne, stringendo la bocca dubbiosa e inclinando il capo.
Quello stanzino cominciava a diventare stretto con tutti e quattro, ma la ragazza di colore riuscì lo stesso a chiudersi la porta alle spalle.
“Stiamo parlando della stessa persona? Lily impazzisce per quello scemo di Malfoy e anche se lui dovrà un poco sforzarsi per il suo asp...” disse Roxanne, venendo interrotta da un guaito ferito di James, zittito prontamente da un calcio di Dom.
“Secondo me quello si attizza anche se Lils è conciata in quel modo” sghignazzò malefica la Francese, ignorando il tonfo che produsse il corpo del suo pseudo-fidanzato quando crollò a terra tutto d'un colpo.
Svenuto.
“Femminuccia” sbuffarono in coro le due cugine, calciando il corpo di Potter lontano dai loro piedi e tornando ai loro mormorii.
“Ora dobbiamo solamente trovare il modo di farli rimanere soli e avvisare Scorpius di questo piccolo cambiamento di programma” sussurrò Roxanne, strofinandosi le mani con la sua solita flemma.
Frank si fece il segno della croce... perché se un Weasley da solo era un tornado, in due si parlava invece di Satana in persona!


E a proposito di Satana, che quando si trattava di idiozia assumeva le sembianze di Blaise Zabini, quel giorno era più tranquillo del solito, rannicchiato nella Sala Riunioni Auror che, dopo tre giorni frenetici, era finalmente silenziosa; gli Auror stranieri avevano trovato accampamento nell'ufficio di qualcuno o erano stati ospitati da chi aveva possibilità e ora le uniche famiglie presenti erano proprio Potter, Malfoy e Zabini. Appunto.
Blaise, alla faccia del Ministro che entrava e usciva da lì, si stava fumando una bella canna con delle erbette che gli aveva inviato suo figlio mesi prima da Hogwarts, mentre sua moglie aveva abbandonato l'atteggiamento da moglie perfetta per accasciarsi al suo fianco con le gambe sul tavolo e una canna già fumata tra le labbra.
“E voi sareste gli adulti...” si schifò Draco, storcendo la bocca disgustato e beccandosi pure un bel dito medio da Asia – che, a pensarci bene, ci stava più che alla meraviglia con quel porco di Zabini.
“Senti, mio figlio è in coma grazie ad un incantesimo, dovrò pure rilassarmi o no?” sbuffò Blaise, con un'espressione da cucciolo che avrebbe ingannato chiunque tranne lui... il suo migliore amico.
Tranne lui, che aveva alzato il suo culo nero dai pavimenti quando era stato così ubriaco da non ricordarsi nemmeno il proprio nome; tranne lui, che lo aveva tirato fuori dai guai le stesse volte in cui ce lo aveva messo.
“Tu fumi sempre quella merda, Blaise e hai traviato anche tuo figlio!” sbraitò Draco, strappando un sorriso all'uomo seduto.
“Tutto suo padre” sospirò, beccandosi una tinozza d'acciaio dritto sulla fronte. Con dell'acqua all'interno che lo bagnò dalla testa ai piedi.
“Spero che la Granger continui a darla a quell'idiota di Weasley, lasciandoti a bocca asciutta!” lo maledì Zabini, massaggiandosi la fronte piagnucolando.
Scorpius ridacchiò: sì, Dalton era tutto suo padre!
“Mi chiedo se Joe reggerà questa famiglia di pazzi psicopatici” disse il piccolo Malfoy, catalizzando su di sé tutta l'attenzione dei due coniugi Zabini.
“Joe? Chi è Joe?” domandò Blaise, aguzzando lo sguardo verso di lui.
Scorpius fece spallucce, con un'espressione da angioletto innocente.
“Quella sotto incantesimo con lui... è la sua fidanzata” cinguettò, mentre i due facevano mente locale per ricordare il viso della ragazza.
“Mio figlio si è già messo la palla al piede?” s'indignò l'uomo, sfiorando di poco l'incazzatura del Malfoy.
“Sì, e ci va pure pazzo” sibilò Scorpius, trattenendosi dal farsi spuntare corna e forcone.
Blaise sbatté le palpebre un paio di volte prima di mettere a fuoco la ragazzina che aveva visto di fianco a suo figlio; piccola, bassa... dai capelli neri, se non ricordava male.
“Oh, ma quella con le tette enormi?” saltò su' tutto contento, beccandosi un calcio da parte di sua moglie.
“Porco!” soffiò questa a bassa voce, venendo ignorata per il troppo entusiasmo.
“Sì, lei” rispose Scorpius, guardingo.
“Quel ragazzo è di certo mio figlio. Cazzo, che gusti!” cinguettò Blaise tutto felice, rimanendo allibiti i presenti.
Ma Scorpius non aveva dubbi: quello era il padre di Dalton. La stupidità era quella.
“C'è un problema ad Hogwarts!” e Dominique Weasley spalancò le porte della Sala Riunioni con il volto arrossato e i capelli disastrati, mentre tutti si giravano di scatto verso di lei per capire cosa stesse succedendo.
Lily alzò gli occhi vuoti sul suo volto.
“Che problema?” domandò Harry, ansioso, alzandosi di scatto e fissandola in attesa di una risposta.
James, al suo fianco, era immobile e pallido.
“La scuola è stata attaccata e tutti i mezzi di comunicazione e trasporto interrotti” mormorò Jamie, maccheronico, strappando un sorriso folle a sua sorella.
Lei lo sapeva. Lei aveva capito che stava mentendo.
“Ma sei sicuro?” sussurrò Hermione, scivolando dalla sedia su cui era seduta e fissando il nipote con gli occhi bruni contratti.
La manica del vestito nero che indossava la Granger, sfiorava le dita lunghe e pallide.
“Sì, Roxanne è riuscita ad infilarsi nel camino dell'ufficio della Mcgranitt prima che interrompessero all'interno” confermò Dominique, mentre tutti si armavano di bacchetta ed espressione determinata per combattere.
James fece una smorfia disgustata.
“L'unico modo per arrivarci è in volo” s'intromise l'altra cugina, mentre Lily sogghignava – intente a guardarle.
Aveva capito. La pupilla completamente nera di Lily – insieme all'iride – era rivolta verso di loro ed era divertita. Sembrava aver letto nelle loro menti e aver scoperto che tutto quello era... una grande bugia.
Una grande bugia per lasciarla sola con Scorpius.
Dominique trattenne improvvisamente il fiato, arcuando la schiena per il peso eccessivo che le crollò improvvisamente sulle spalle: stava lasciando da solo Scorpius con Lily. Quella Lily.
Malfoy era un diciassettenne innamorato, non un mago esperto capace di respingere la magia oscura; era il metodo giusto? Cercare di lasciarli soli, per fare in modo che Lily riconoscesse e risentisse dentro di sé l'amore, era la soluzione giusta?
Dom guardò sua cugina e sentì il rimorso stringerla da dentro, divorarla. E lo capì ancora di più quando i cobra sulla testa di Lily sibilarono – come se avessero sentito il divertimento e l'eccitazione della loro padrona.
La Weasley ricordava di aver studiato Medusa, la rappresentazione della perversione umana... quel mostro – che con la sua bellezza attirava lo sguardo degli uomini – e poi li riduceva in pietra. E Lily ora le assomigliava, con quella bocca nera come l'onice bella carnosa e la sclera completamente abbagliata d'inchiostro.
“Cazzo, sbrighiamoci” sbottò Draco, afferrando la bacchetta dalla tasca posteriore dei pantaloni neri che indossava e girandosi, questa volta, verso suo figlio.
“Tu rimani qui con i ragazzi...ed esigo che rimaniate qui, al sicuro.
Ci siamo intesi?” sibilò, aspettando un cenno affermativo da parte dei ragazzi e afferrando Blaise per la collottola una volta accertatosi che tutti sarebbero rimasti lì.
Sparirono in una velocità impressionante, portandosi James dietro e Dominique rimase immobile sull'uscio della porta a fissare sia sua cugina che Malfoy, una seduta sul tavolo di cedro e l'altro intento ad accendersi una sigaretta alla menta.
Dom indietreggiò.
“Non avere paura, tesoro” soffiò Lily, spostando gli occhi su di lei e sorridendo perversa.
Con le unghia laccate di nero la vide solcare il legno e non risentirne, mentre accavallava le gambe nude e roteava il piede in senso antiorario; il maglione color panna che sua madre Ginny le aveva infilato a forza era quattro volte più grande di lei e le arrivava oltre le ginocchia. E Dominique intuì, con un brivido, che non indossava nulla sotto.
Era nuda dall'intimo e la paura, dalla coscienza e la bontà; oramai Lily non sapeva più cos'era il bene o il male... voleva solamente la vendetta e in un modo o nell'altro l'avrebbe avuta.
“Non gli farò del male” miagolò la più piccola di casa Potter, mostrando i denti in un lampo, quasi dando l'illusione alle cugine che avesse sorriso.
Scorpius li guardò, confuso e Roxanne indietreggiò – arrivando a toccare il petto di Frank con la schiena.
“Mi dite che state confabulando?” domandò guardingo il ragazzo dai capelli biondi, assottigliando gli occhi azzurri e fissandoli determinato.
Lily scoppiò a ridere, accarezzando le testoline dei cobra al posto dei suoi capelli e mostrando i canini sporgenti – simili a zanne.
Scorpius la guardò e lei ricambiò pienamente, deliziata.
“Il caro e vecchio Silente ci andava pazzo per queste cose” cinguettò la Potter, facendo attorcigliare le viscere del suo ragazzo.
Scorpius la guardò interrogativo.
“Non è vero l'attacco di Hogwarts, è una cosa che ho inventato io dopo aver parlato con il ritratto di Silente.
Lui dice che... molto probabilmente, visto che Lily ha subito questa trasformazione quando ha visto qualcuno di amato in pericolo, l'unico modo per tornare nel suo stato originale è l'amore” mormorò Rox, grattandosi il capo imbarazzata e mordendosi le labbra per l'espressione sbigottita che aveva assunto Scorpius.
“E credete che non ci abbia provato? L'unico modo per farla tornare normale è lasciarla uccidere quel bastardo!” sputò Malfoy, incredulo, mentre Dominique scuoteva il capo.
“Devi farle provare amore, non coccolarla” disse, dosando bene le parole.
Scorpius continuava a non capire.
“Mi dite di cosa diavolo state parlando?” urlò allora – spazientito – ignorando il sobbalzo violento di Frank, che proprio odiava chi strillava senza motivo.
“Ci devi fare sesso, cazzo!
Sesso, sesso, sesso... capisci?” sbraitò allora Paciock, zittendoli tutti quanti e arrossendo dalla radice dei capelli fino a quella dei piedi.
Scorpius annaspò e Lily sorrise, mentre Rox dava alcune pacche sulle spalle di Frank, affannato.
“Ah” mormorò Malfoy, sbiancando nel vederli indietreggiare verso la porta.
“Tesoro, è arrivato il tuo momento. Non sei felice?” rise Lily, inclinando il capo e chiudendo il portone di legno sulla faccia dei tre con uno sfavillio di ciglia.
Cazzo, pensò Scorpius.
Erano soli in quella Sala che sembrava guardarli, osservarli, asfissiarli con quelle pietre e gli spifferi gelidi che accarezzavano le tende di velluto pesante; i quadri sembravano essere spariti dalle loro cornici e le armature erano ferme, possenti, immobili.
La luce era bassa e tremolava, come se le candele sui candelabri di ferro battuto volessero spegnersi da un momento all'altro e lasciarli al buio.
“Non farlo” sussurrò Scorpius, accorgendosi che era opera sua.
Lily lo guardò da sotto le lunga ciglia e ricambiò lui questa volta – determinato.
“Non spegnere le candele” precisò con un tono basso, continuando a rimanere appoggiato sul tavolo di legno.
La sentì toccare leggera la pietra grezza del pavimento e alzò lo sguardo solamente per vederla muovere i fianchi delicatamente per raggiungerlo, come se stesse fluttuando. Come se una musica immaginaria la stesse accompagnando.
Ed era bella. Diavolo, se lo era.
“Tu ci credi?” bisbigliò Lily, avvolta da quella nube nera e tossica che oramai l'accompagnava da una settimana a quella parte.
Era troppo vicina e il suo profumo lo stava avvelenando.
Era troppo vicina e gli stava inquinando i polmoni, avvolgendolo con quell'odore di gigli e miele, male e vendetta – perversione.
“Tu mi ami?” soffiò a bruciapelo Scorpius, cercando di non guardarle le labbra per troppo tempo: rilasciavano uno strano odore di zolfo ed erano tese in un sorriso diabolico.
“Puoi fare sesso con me con la convinzione di potermi salvare, ma sappiamo entrambi che non aspetti altro da secoli” mormorò Lily soave, arrivando ad un solo metro di distanza da lui. Avrebbe potuto toccarla se solo si fosse sporto.
Ah, se solo avesse saputo a che ritmo batteva il suo cuore quando era così vicina.
Ah, se solo Lily Potter avesse saputo che pazzie aveva in mente per non lasciarla nelle mani di quei psicopatici – per salvarla. Per non lasciarla morire per far rivivere Lord Voldemort.
Perché Diamond era stato chiaro: serviva il cuore di Lily per la resurrezione finale e Scorpius non immaginava le altre porcherie che erano servite a quell'uomo per fare in modo che il suo Signore potesse ritornare.
Lui poteva salvarla. Scorpius doveva salvarla e non aveva intenzione di lasciare che diventasse carne da macello. Non aveva intenzione di guardare impassibile come si sarebbe fatta a pezzi da sola.
“Sei umana anche quando non lo sei, Potter” bisbigliò Scorpius, socchiudendo gli occhi e lasciando che le ciglia bionde creassero ghirigori scuri sulle guance scavate e pallide.
Ora poteva sentirla. Ora che era a quaranta centimetri dal suo corpo poteva sentire l'anima di Lily urlare, cercare di uscire, cercare di liberarsi; e intanto vedeva il suo petto ansimare sotto i suoi occhi – come se il cuore avesse accelerato di battito.
Come se ci fosse ancora un cuore, lì dentro.
“Mi odi, Scorpius?” mormorò Lily, annullando le distanze e arrivando a toccargli il naso con il proprio.
Scorpius inalò zolfo e rilasciò un sospiro ansioso che venne rotto dalle labbra di Lily – che accarezzarono dolcemente le sue. E Scorpius si sentì morire.
E Scorpius si sentì cadere.
“No. Non ti odio” rispose tremulo, lasciando che lei sorridesse sulla sua bocca e gli allacciasse le braccia esili al collo con una delicatezza che non si adduceva affatto al suo aspetto in quel momento.
Come poteva odiarla? Era come ammettere che aveva perso.
Era come ammettere di averla persa.
Il corpo di Lily era bollente e Scorpius poteva sentire le sue ossa sprofondare nella sua membra senza delicatezza. - Questa volta era lei che lasciava lividi sul suo corpo, mentre la sua carne si macchiava della forma delle ossa che lo schiacciavano.
E la baciò.
Scorpius le incavò le guance con i pollici e improvvisamente sentì qualcosa di soffice sfiorargli le mani: aprì gli occhi e – con un sorriso – intravide quei capelli rosso al tramonto accarezzarle le spalle fragili e scarne; con le dita affondò in quella chioma ribelle, lasciando che la lingua di Lily s'intrecciasse con la sua.
La sentì ansimare contro di lui e se con una mano continuava a tenerle il capo con forza, con l'altra scese lungo il collo – sulla vena orta che sentiva pulsare con una prepotenza che lo fece sorridere.
C'era ancora qualcosa che batteva, lì dentro.
“Verrai all'inferno con me, Scorpius?” domandò in un gemito Lily, staccandosi dalla sua bocca solamente per guardarlo negli occhi.
La sclera e le iridi erano ancora più nere e il ragazzo tremò, sopraffatto dal buio che le stava promettendo. Più Lily lo guardava e più Scorpius sentiva che non c'era altra scelta: se l'amore non sarebbe riuscito a cambiarla... lui avrebbe provato con il dolore.
Se l'amore non l'avrebbe cambiata, Scorpius avrebbe provato con il dolore. E lì, Lily, avrebbe capito che sì.
“Sì. Verrò all'inferno con te”
Anche se gli sarebbe costata la vita. Anche se avrebbe dovuto scatenare una seconda guerra.
Lily sogghignò e indietreggiò, afferrandolo per la maglia di cotone azzurra che indossava: con le gambe scivolò seduta sul tavolo di cedro e le allargò fino a poterlo accogliere e stringerlo con le caviglie allacciate dietro la schiena arcuata.
Scorpius, grazie a sua madre, aveva letto l'opera letteraria più famosa nel mondo Babbano: la divina commedia aveva creato nella sua mente una visione diversa della morte. Diversa dall'oblio che il mondo dei maghi credeva di dover affrontare una volta deceduti.
Scorpius si era sempre chiesto com'era l'inferno, che aspetto avesse o che condanna gli sarebbe toccata una volta finito lì. E ora sentiva di avere una risposta.
Ora, tra le braccia di Lily, sentiva di sapere cos'era l'inferno. Ora, tra le braccia di quell'angelo vendicatore, gli sembrava di poter toccare – sentire – l'inferno.
Scorpius si sfilò la maglia dalla testa e la lasciò cadere ai suoi piedi, rabbrividendo per le unghia che si conficcarono nelle sue spalle e non per gli spifferi gelidi che lo investirono una volta a torso nudo.
Lily gli morse le labbra e lasciò cadere il maglione color panna che indossava.
Oh sì, Scorpius stava toccando il suo inferno proprio in quell'esatto momento ed era completamente diverso da come lo aveva immaginato.
Il suo Lucifero aveva due sclere nere al posto degli occhi appannati dal desiderio e delle unghia simili a pugnali che gli stavano sfregiando la schiena; il suo Lucifero aveva dei lunghi capelli rossi che profumavano di gigli. Che sapevano di morte. Che sapevano di lussuria.
“E brucerai con me, Scorpius?” mormorò ancora Lily, sbottonandogli la cintura e i pantaloni neri che indossava, storcendo la bocca violacea nell'imitazione di un sorriso.
Il ragazzo dai capelli biondi respirò sulla sua bocca, mentre lei giocava con l'elastico dei boxer con un ingenuità che in quel momento non le apparteneva.
Quella non era la sua Lily. Quella era il suo Lucifero personale e gli stava mostrando un'anteprima di quello che gli spettava una volta... una volta aver fatto provare a Lily il vero dolore.
Ora erano nudi, carne contro carne, ossa contro ossa, membra contro membra e Scorpius afferrò il volto smunto di Lily con dolcezza – bloccandole qualsiasi via d'uscita. Bloccando i suoi movimenti smaniosi e maliziosi.
“Brucerò all'inferno per te, Potter” bisbigliò, prima di baciarla con violenza e penetrare in lei in un modo così secco – senza preliminari – da strapparle un urlo soffocato dalla sua bocca.
La sentì avvolgerlo pienamente, senza tralasciare nemmeno il più piccolo lembo di carne: Lily era lì, contro di lui, dentro di lui. Nella testa, nel cuore, nell'anima... in una profondità che invece di spaventarlo lo eccitò ancora di più.
Stava facendo l'amore con Lily Luna Potter sul tavolo nella Saletta Auror al Ministero e Scorpius si sentiva come se potesse morire da un momento all'altro. E solo per lei, sempre per lei.
Scivolò lentamente all'indietro, continuando a baciarla e con una spinta ponderosa dei fianchi ritornò in avanti; lei continuava a graffiargli la schiena, a respirare sulla sua bocca e a stringerlo come se non volesse lasciarlo andare.
Come se poi lasciarlo andare equivalesse a stare male.
“Lily...Lily” la chiamò, pregandola con la voce roca di guardarlo, di far battere il suo cuore al proprio ritmo.
La stava pregando di rovesciare quel sangue nelle vene e farlo tornare a scorrere normale... la stava pregando di amarlo come lui amava lei.
“Lily” ansimò ancora, aumentando il ritmo e stringendole le natiche con forza tra le dita.
Lei continuava a non fiatare, ma lo fissava con... con dolcezza. Lily lo stava fissando con una tenerezza che – per un attimo – lo rincuorò; ora poteva sentire la carne bruciare per i graffi, per il suo tocco, per il calore che sembrava voler scoppiare nel suo petto da un momento all'altro.
Ora poteva sentirla dentro, una forza tale da rafforzare le sue decisioni.
Già, Scorpius sarebbe andato all'inferno per Lily Potter e avrebbe bruciato tra le fiamme per lei.
Perché solo ora se ne rendeva conto... l'amava e non avrebbe permesso a nessuno di portargliela via. Nemmeno alla morte: piuttosto avrebbe preso il suo posto.

***

“Dici che sono sopravvissuti?” domandò preoccupata Roxanne a Frank, seduta sul pavimento di pietra gelida contro la stessa porta che sua cugina le aveva sbattuto in faccia.
Stavano aspettando che Dominique arrivasse con un bel caffè forte e amaro per i mal di testa che erano venuti a tutti e tre al pensiero del ritorno di quelli che – tranquillamente – avevano mandato ad Hogwarts in volo.
Cosa che Potter e co. non faceva dai famosi e lontani quindici anni.
“Se parli di Malfoy e tua cugina... dai gemiti che sento da qui, beh, direi che stanno meglio di noi due messi insieme. Se parli del signor Potter e tutta la ciurma che hai mandato a scuola per far accoppiare quei due come conigli... onesto, non so' in che condizioni siano” sbuffò Frank, facendo il solito monologo per dire due cazzate.
Roxie alzò gli occhi al cielo e – strafregandosene della gonna che indossava – si svaccò a gambe aperte sul pavimento, accendendosi una sigaretta alle rose e ignorando anche il cartellino vietato fumare appeso proprio sulla sua testa.
“Bastava dire che non lo sapevi, Paciock” sbuffò Roxanne, guardandolo in modo eloquente e facendolo arrossire dalla punta dei capelli fino a quella delle scarpe.
Sorrise intenerita: Frank era così dolce quando lo faceva! Gli ispirava quel tipo di sesso da film sentimentali. Naturalmente. Senza sentimenti dentro. Sempre naturalmente.
“Sembri mio figlio quando arrossisci così!” cinguettò tutta contenta, senza sapere di aver sgonfiato Frank come un palloncino.
Che cazzo! Nemmeno il suo migliore amico, ma suo figlio! Addirittura suo figlio!
“Non sembro proprio nessuno” sibilò offeso, gonfiando le guance come un bambino e fissandola con una smorfia sulla bocca.
Roxanne rise, sospingendolo delicatamente – almeno così le era sembrato – e facendolo crollare steso sul pavimento.
“Vedi? Hai la resistenza di una femminuccia” sospirò Rox, sconfitta, abbassandosi su di lui e fissandolo preoccupato.
Frank sbatté le palpebre, massaggiandosi il capo ancora schiattato sulla pietra fredda: chi aveva messo dei pennuti sulla sua testa? E perché c'era un angelo su di lui? E perché si sentiva il capo così leggero?
“Oh, quanto sei bella” cinguettò mezzo suonato, mentre Roxanne ridacchiava e si chiedeva che botta avesse preso per dire quelle cose senza arrossire.
“Anche tu non sei male, Frank” disse sorridendo, aiutandolo a mettersi a sedere. Lo issò con forza – forse troppa forza – tanto da strattonarselo addosso e cadere lei, questa volta, all'indietro.
E ora si trovava Frank a pochi centimetri dal volto.
“Quanto sei suonato?” rise Rox, cercando di scostarsi senza successo.
Ora lui la fissava seriamente e la Weasley si sentì soffocare; non la guardava con la solita malizia che di solito usavano gli uomini. Non la guardava con divertimento o ammirazione. No.
Frank la stava guardando come di solito si guarda il proprio cibo preferito dopo mesi di astinenza e cucinato dal miglior chef del mondo; lui la stava guardando come si guarda qualcosa di prezioso, unico, da tenere stretto al petto e custodito gelosamente.
E Rox ebbe paura.
Nessuno l'aveva mai guardata così o anche solo sfiorata con quello sguardo; nessuno aveva mai accarezzato la sua guancia con quel tocco lieve – simile allo sfavillio delle ali di una farfalla – come se avesse paura di graffiarla, romperla.
E Rox ebbe veramente, per la prima volta in vita sua, paura.
Perché fin quando la trattavano alla sua pari, come una persona forte e perfettamente in grado di difendersi, Roxanne ci riusciva ad essere così; Rox riusciva a mettere le mani avanti e avvolgersi nella sua corazza di ferro.
Ma quando la trattavano come qualcosa di prezioso, Roxanne diventava così.
La sua corazza spariva e lei – come se questa non fosse mai esistita – crollava come cristallo.
E Rox aveva paura.


 
   
 
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