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Autore: Yvaine0    09/02/2014    4 recensioni
Cosa succede quando Niall Horan ha una cotta per qualcuno, Liam Payne un piano – e non un piano qualunque, ma un piano geniale! - e Zayn Malik viene coinvolto senza possibilità di replica?
Succede che Dixie scambia Liam per un maniaco, Niall fugge in ogni dove nel disperato tentativo di svicolare e Ruth si guarda attorno cercando di capire cosa diavolo stia succedendo, mentre le vite di tutti loro si intrecciano irrimediabilmente.
Dixie è un'eccentrica fangirl tendente al nerd («Ti ho già spiegato che i nerd non esistono!»), Ruth una Welma di Scooby Doo in versione atletica («Giù dalle brande, si va a correre!»).
Liam è un ragazzo caparbio – forse appena un po' tonto – («Il problema è un altro: non hai capito cosa intendo»), Zayn indiscutibilmente un buon amico («Cosa c'è che non va in te?»).
Il denominatore comune di queste due coppie è senz'altro il povero Niall («Offro io!»), che non ha nessuna colpa se non quella di essere innamorato e un po' confuso.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Payne, Niall Horan, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ringrazio tantissimo la cara Rigmarole (e l'ho scritto giusto al primo colpo!) per aver betato il capitolo,
salvandovi così dai miei lollosi errori di distrazione (e di qualunque altro tipo). ♥



 

Capitolo 11
Allarme rosso: invasione in corso!

 
 
Era giovedì diciannove dicembre e, come tutti i giovedì che si rispettassero, era giorno da pub. O meglio: come tutti i giovedì meritevoli di questo nome avrebbe dovuto essere giorno da pub, ma non quella volta. Un po' perché dall'appuntamento “Norall” le abitudini del gruppo erano leggermente cambiate e un po' perché quella data era segnata in rosso sulle agende di tutti gli studenti di Storia dell'Arte del secondo anno – sì, anche su quella scassata ma dalle pagine praticamente immacolate abbandonata non si sa bene dove nella camera da letto di Niall Horan – come quella della “fine delle lezioni”.
Una giornata fuori dal comune, insomma, ma forse non così tanto da cambiare l'oziosa routine dei nostri beniamini.
Un grido di giubilo esplose nel salotto dell’appartamento, subito seguito da un sonoro sbuffo e una chiassosa risata di scherno: «Ti sei fatto fregare!» latrò Niall, mentre annaspava e si contorceva sul divano in preda ad un attacco di ridarella in grande stile.
«Chiudi il becco, Horan».
«Fatto fregare? Stai insinuando che io abbia barato, forse?»
«Certo che no! Solo che Louis ha perso!»
«Non ho perso, l'ho lasciata vincere».
Dixie ridacchiò compiaciuta e per niente colpita dall'ultimo commento di Louis Tomlinson. Si stiracchiò, dunque e «Quindi non ti dispiacerebbe giocare un'altra partita e vedere come ti straccio di nuovo, immagino» osservò, per poi correggersi: «Scusa, volevo dire “come mi lascerai vincere”».
Il ragazzo strinse le labbra contrariato, poi però indossò il suo solito sorrisetto di scherno. «Una seconda chance non si nega a nessuno, madame» accettò.
Sul volto di Dixie balenò un'espressione entusiasta. «D'accordo!» trillò, per poi far scrocchiare le dita e riprendere in mano il gamepad dell'Xbox. «Fatti sotto, se hai coraggio».
«Coraggio? Io direi compassione» la corresse Louis con naturalezza mentre si rimboccava le maniche.
Era curioso come alla corte della fangirl – come l'aveva definita qualcuno, dando decisamente poca importanza agli altri abitanti della casa – la legge non fosse uguale per tutti: il solo chiamarsi “Babs” faceva di qualcuno uno stolto reietto della società, nonostante questo qualcuno avesse le migliori intenzioni del mondo e pagasse regolarmente la propria parte di affitto; era però più che lecito chiamarsi Louis Tomlinson, avere la puzza sotto il naso, presentarsi a casa altrui senza alcun invito e piazzarsi sul divano con la pretesa di essere servito, riverito e di poter giocare con l'Xbox che qualcun altro aveva portato da casa propria. Non solo era lecito, ma si otteneva con facilità la benedizione della padrona di casa, oltre che la sua simpatia.
Ruth giunse in quel momento dalla cucina, portando un sacchetto di biscotti. «Le patatine sono finite perché qualcuno ha pensato bene di fare uno spuntino, questa notte» si scusò, porgendolo poi a Niall, che non ci pensò due volte prima di rubarne uno e ficcarselo in bocca.
«Chi? Babs?» domandò mentre masticava, già pregustando la serie di acidi commenti di Dixie riguardo alla coinquilina cui, come da copione, non perdonava mai nemmeno il più piccolo errore.
Ruth ridacchiò e scosse il capo. «Non proprio».
Prima che Niall potesse avanzare qualche altra ipotesi, Dixie prese la parola: «Se è per questo ho finito anche la nostra scorta di caffè. Oggi Jean non andava a scuola, quindi abbiamo fatto una maratona notturna di Doctor Who» dichiarò.
«Ora, ditemi, secondo voi cosa dovrei fare io con lei?»
Una risatina irriverente. «Se il mio parere conta, fossi in te comprerei dell'altro caffè».
«No, non conta» la freddò Ruth. «Non dovevi uscire con Liam, oggi?» le ricordò invece, mentre si sedeva sul bracciolo del divano, proprio accanto a Niall.
Inutile dire che da quando era uscito con Norah, la sua presenza al solito pub era stata molto saltuaria, cosa che aveva notevolmente tirato su il morale di Ruth. Tra loro non doveva essere andata molto bene se lui si vergognava a incontrarla, no? («Non trovi sia meschino remare contro la mia OTP?», «Non trovi sia meschino che la tua OTP coinvolga il ragazzo per cui ho una cotta e un'altra ragazza?», «Touché!») Di fatto, tutti i suoi propositi di tagliare i conti con Niall erano ben presto svaniti, mentre i loro soliti incontri si erano spostati al Beard, dove Dixie passava ore a chiacchierare con Ed e a fangirlare su Harry Styles e Ruth doveva dividere le attenzioni dell'irlandese solo con la birra e la musica.
«Certo che no» s’intromise Louis, senza nemmeno staccare gli occhi dallo schermo. «Oggi Liam è con noi. Giornata tra uomini».
«Che cosa
Perché la quattrocchi sembrava così sconvolta da quella notizia? Probabilmente aveva frainteso. «No, non vi sto dando degli uomini, se te lo stai chiedendo».
Ruth inarcò le sopracciglia. «Anche perché dubito tu abbia voce in capitolo. – Sorrise, compiaciuta dalla risata sguaiata di Niall, poi riprese: – Quello che voglio dire è: Liam ha dato buca a Dixie per... voi
«Prima gli amici, poi le ragazze» decretò il più grande della compagnia con aria solenne.
Niall annuì e, masticando rumorosamente i biscotti, rincarò: «È la regola».
Dixie invece rise, sorprendendo tutti. «Non dovevamo uscire» corresse l'amica con tranquillità. «Volevo fargli vedere Doctor Who – ed è il motivo per cui ho fatto la maratona con Jean: all'inizio stavamo solo scegliendo quale episodio fosse migliore, ma ci siamo fatte prendere la mano. Questa mattina si è ricordato di una partita di calcio che devono guardare tutti insieme e abbiamo rimandato a domani».
«Domani? Quindi non torni a casa?» La sorpresa di Ruth a quella rivelazione era piuttosto palese. Lei aveva già le valigie pronte, sarebbe partita il giorno seguente e di certo nei suoi piani non c'era quello di lasciare la sua amica a casa da sola con Babs – per il bene di Babs e dell'appartamento, per lo meno.
«No, grazie a Dio sembra che i miei abbiano degli impegni per il weekend, quindi me ne vado la prossima settimana». D'altro canto, alla sua amica non sembrava affatto dispiacere. Era più concentrata sulla partita che sulla conversazione. Probabilmente, indovinò Ruth, non aveva minimamente preso in considerazione l'ipotesi di rimanere lì da sola con la loro coinquilina; lasciandosi guidare dall'istinto di conservazione, comunque, pensò bene di non rivelarle quel piccolo dettaglio, che tanto avrebbe scoperto ben presto.
Fu nel momento stesso in cui Dixie segnò il primo goal della nuova partita che Louis mise il gioco in pausa e si stiracchiò pigramente. «A proposito di andarsene, che ore sono?» domandò. Non attese che qualcuno gli rispondesse, però: controllò il proprio costoso orologio da polso e schioccò la lingua. «Credo proprio sia ora di andare, Nialler».
Dixie lo guardò con un sopracciglio inarcato. «Te la dai a gambe, Mr. Tommo?» lo provocò con aria soddisfatta – stava vincendo di nuovo, come era ovvio: doveva ancora nascere l'imbellettato figlio di papà in grado di battere Dixie Dixon, cresciuta con tre fratelli maschi più uno acquisito, ad un qualunque videogioco.
Louis si alzò in piedi e si sistemò i pantaloni, prima di guardarla dall'alto con aria di superiorità. «No, madame. Come precedentemente annunciato, ho un impegno».
Niall ridacchiò; «Ti sta prendendo in giro» trovò opportuno farle notare, ma alla diretta interessata non sembrava interessare più di tanto quel tentativo di prendersi gioco di lei. Anzi, aveva voglia di rincarare la dose: «Paura, eh?»
La risatina sprezzante del ragazzo venne a sommarsi a quelle divertite di Ruth e Niall. «Noia, più che altro».
«Oh, perdere ti annoia?»
«Sinceramente? Da morire» rispose Louis e, una volta tanto, non c'era sarcasmo nella sua voce. «Forza, Horan! Alza il culo, il tuo amato Derby ci aspetta! Pronto a un'altra sconfitta?»
La risata del ragazzo si smorzò di colpo, udendo quelle parole. «Sei proprio un bastardo» lo apostrofò, obbedendo tuttavia; si alzò dal divano, tirò su i pantaloni troppo larghi con entrambe le mani, non senza un piccolo saltello, e recuperò il cellulare dal tavolino. «Torno domani per prendere la consolle» annunciò. «Ruthie, hai bisogno di uno strappo fino al centro commerciale?» aggiunse, mentre indossava in fretta la giacca.
La ragazza chiamata in causa sgranò gli occhi e batté diverse volte le palpebre, disorientata. «Cosa?» Centro commerciale?
Niall sistemò la giacca e poi si passò una mano tra i capelli, guardandola confuso. «Credevo che volessi andare a far spesa».
Lei impiegò qualche istante per realizzare che lui si stava riferendo all'invito di Dixie a far rifornimento di caffè, quindi sorrise e scrollò le spalle. «Ma sì, dai, dammi un minuto per mettermi le scarpe e sono pronta» annunciò. Dopotutto si trattava di un po' di tempo in più trascorso con Niall, come avrebbe potuto rifiutare una simile offerta? Specie considerato che nessuno sarebbe stato in grado di scollare la sua amica dalla consolle per le prossime ore.
Così, mentre Ruth correva in camera a prendere le proprie Converse, Louis alzò gli occhi al cielo e sbuffò spazientito; «Fammi capire, mi hai preso per un taxi? Quella è la mia macchina».
Niall si limitò a stringersi nelle spalle e con tutta la noncuranza del mondo gli rivolse un sorriso smagliante: «Chiudi il becco, Tommo» lo zittì, per poi ridere della sua espressione colpita – ma pur sempre accuratamente distaccata.
 
Main Street era ingombra di gente ad ogni ora del giorno e della notte, non era una novità per tutti gli abitanti della città; si trattava di una regola mai decretata di cui tutti erano però a conoscenza – non era un caso, a conti fatti, che quella strada si chiamasse “Main Street”, no?
Per qualche strana ragione, però, quel sovraffollamento di gente sembrava particolarmente interessante agli occhi di un piccolo gruppetto di persone proveniente dalla periferia di Sheffield, una zona in cui, quando c'era traffico, le macchine sulla strada erano cinque.
«Quanta gente! Secondo voi c'è qualcosa di interessante da vedere nei paraggi?» In particolare agli occhi di un ragazzo, tra loro, che sembrava sinceramente entusiasmato dalla concentrazione di persone. Per quanto la camicia bianca, le bretelle e la peluria facciale gli dessero un'aria matura, il suo comportamento aveva dell'infantile: trotterellava, praticamente, tra la gente, guardandosi attorno con l'aria sognante e curiosa di chi non aveva mai visto una grande città come quella prima di allora. E, in effetti, le cose stavano esattamente così.
«Oliver, per l'amor del cielo, smettila di comportarti come un bambino».
«Mi dispiace, signora!» Nella maniera più educata possibile, Oliver si scusò con la signora Dixon, di cui era ospite – indirettamente – quel giorno, ma il suo entusiasmo non sembrò affatto smorzarsi.
L'attenzione della donna fu richiamata dalla risata sguaiata di un altro membro della ristretta compagnia. «Ma', Olly non è tuo figlio, non puoi dargli ordini» trovò difatti conveniente osservare il ragazzo seduto sulla sedia a rotelle, armandosi di un sorrisetto impertinente.
«Non è stata una sua idea far venire con noi il ritardato» intervenne in sua difesa un altro dei ragazzi, scrollando le spalle con noncuranza. Non che gli importasse difendere le opinioni della madre, che sia chiaro: ad Adam bastava lamentarsi di quella sorta di gita cui era stato costretto a partecipare.
L'ultimo dei Dixon diede una rapida e non troppo indolore sberla sulla nuca del minore dei propri fratelli come punizione per la frase appena pronunciata. «E chi ha voluto lasciare a casa la tua buona educazione?»
«Ben detto, Noah!» approvò Gordon, ridendo subito dopo assieme al migliore amico di una vita. «Ti ha chiamato ritardato, sai?» aggiunse poi, rivolto al migliore amico.
Olly aggrottò le sopracciglia e sorrise sornione. «L'ho notato, sai?»
«Davvero? Non l'avrei mai detto. Significa che hai portato con te il cervello?»
«Sono abbastanza sicuro che mi sarebbero bastate le orecchie per accorgermene, ma sì, per fortuna ho messo in valigia anche quell-»
«Ragazzi, per l'amor del cielo, smettetela di fare i bambini! Dobbiamo trovare questa benedetta casa!» L'esclamazione esasperata della signora Dixon, riportò la quiete nella ristretta compagnia, interrompendo in un colpo solo lo scherzoso battibecco in atto tra Gordon e Olly e anche le indignate lamentele di Adam. Presa dall'urgenza del momento, la donna affrettò il passo e distanziò tutti gli altri, decisa a trovare per prima il luogo che stavano cercando.
A seguire il – relativo – silenzio fu un pesante e stanco sospiro proveniente da niente meno che il capofamiglia. «Sì, vi prego, ragazzo» sussurrò implorante, rivolto ai figli e ben attento a non farsi sentire dalla moglie. «Siamo già al settimo “per l'amor del cielo” da quando siamo scesi dal treno, non sono sicuro di essere pronto a sentirlo dire un'altra volt-»
«Per l'amor del cielo, siamo arrivati! La strada è quella!»
Il seguente sospiro del signor Dixon suonò terribilmente simile a una richiesta di essere riportato subito a casa.
 
Erano le quattro del pomeriggio e dall'interno dell'appartamento provenivano solo le risate sommesse di Dixie, che sterminava gioiosamente soldati nazisti a Metal Slug, e i rumori del videogioco quando l'inno irlandese prese a suonare, con la propria inconfondibile maestosità, nel bel mezzo salotto – da sopra al tavolino, a voler essere precisi.
Niall aveva sempre trovato estremamente divertente cambiarle la suoneria del cellulare mentre lei era impegnata con qualche consolle, questo Dixie lo sapeva bene, e sapeva altrettanto bene che l'unica persona a poter aver bisogno di lei, avendo dimenticato le chiavi di casa, era Babs, motivo per cui non si prese il disturbo di rispondere alla chiamata, certa che si trattasse proprio di quest'ultima. D'altra parte, rimanere chiusi fuori era un'ottima punizione per la sua impareggiabile stupidità, a modesto parere di Dixie.
Quando, dopo essersi fermato, l'inno ricominciò a suonare, la ragazza pensò bene di alzare il volume del televisore per non sentirlo, poiché poteva essere bello quanto Niall voleva, ma era un po' angosciante sentire quella voce bassa e gracchiante cantare in gaelico senza sosta quando si era a casa da soli. E, sì, forse avrebbe fatto meglio a rispondere (quanto meno per evitare di sentire quella voce agghiacciante), ma non in quel momento: era impegnata della distruzione del mostro di fine livello e non poteva proprio permettersi di fermarsi – non ora che stava per battere un record, per l'amor del cielo!
Rabbrividì, rendendosi conto di aver appena utilizzato l'esclamazione preferita di sua madre. Non poteva credere di averlo fatto. Per rimediare, sussurrò a mezza voce una serie di colorite imprecazioni che aveva sentito Niall gridare al televisore l'ultima volta che al Beard avevano visto il suo amato Derby perdere miseramente (“Musica, maestro!” aveva esclamato Ed, per poi offrire una birra di consolazione all'amico compatriota). Un ottimo modo per sciacquarsi la bocca, non c'era alcun dubbio.
La faccenda sembrò diventare più impegnativa nel momento in cui sentì bussare alla porta. Prima una volta sola – che pensò bene d’ignorare–, poi una seconda, finché gli insistenti colpi non iniziarono a diventare irritanti e Dixie decise di gettare la spugna. Mise in pausa la partita, dunque, e si alzò lentamente in piedi, non senza lamentarsi: «Si può sapere perché non prendi le chiavi? Se io non fossi in casa, cretina, potresti sbuffare anche due anni e...»
Quando aprì, però, le parole le morirono in gola. Quel gruppo di persone non era affatto Babs – anche se forse avrebbe addirittura preferito la sua compagna a quell'invasione.
«Per l'amor del cielo, Dixie, che cosa stavi facendo? Non si usa più aprire la porta agli ospiti?»
«Guarda la sua faccia!»
«La sua? Guarda quella di papà».
«Ehi, Vi!»
«Non chiedere come abbiamo fatto a farmi salire le scale: è imbarazzante».
«Ecco perché io suggerirei di chiederlo».
«Per l'amor del cielo, ragazzi, che confusione!»
«Ciao, tesoro».
Dixie, immobile con ancora una mano sulla maniglia, fu tentata di richiudere la porta finché erano ancora tutti fuori. Doveva essere un incubo. Lo era? Stava sognando?
Chiuse gli occhi, sperando con tutta se stessa che una volta riaperti l'allegra compagnia sarebbe sparita.
Ma non fu così, motivo per cui tentò l'impresa una seconda volta, cercando di ignorare i commenti idioti dei suoi fratelli.
«Si può sapere che cosa stai facendo?»
Prima che potesse aprire gli occhi, un colpo alle caviglie la fece cadere in avanti, praticamente tra le braccia di suo fratello.
«Gordon! Le fai male! Violet non è un animale come voi altri!» sbottò indignata la signora Dixon, bellamente ignorata da tutti al di fuori di Oliver, che «No, lei è un animale leggermente diverso» osservò – commento che gli valse un'occhiataccia dalla donna.
«Vi, se non ti sposti non ci passo!» si lamentò Gordon, il solito sorriso irriverente stampato in volto mentre, dopo aver aiutato la sorella a rialzarsi, la investiva di nuovo con la sedia a rotelle.
«Vuoi smetterla?» lo rimproverò lei, saltando da un lato per evitare di essere colpita una terza volta sulle caviglie dai sostegni per i piedi.
Il ragazzo rise. «Oh, siamo permalosi oggi!» disse, mentre sfilava all'interno senza che la padrona gli avesse mai dato il permesso di farlo.
«Disturbiamo?» domandò Noah, seguito da Adam e Oliver, mentre avanzavano verso il salotto.
«Per l'amor del cielo, ragazzi, vi siete già impossessati dei videogiochi?»
«Ciao, tesoro».
Quando anche i genitori ebbero fatto il loro ingresso, Dixie li seguì con lo sguardo. Gli bastò un attimo per analizzare la scena: i suoi genitori, fratelli e Olly avevano appena invaso il salotto di casa sua. Non sembrava un sogno, avrebbe potuto tenere gli occhi chiusi tutto il pomeriggio, ma loro non sarebbero spariti nel nulla. Come diavolo era saltato loro in mente di arrivare e invaderle casa senza il minimo preavviso? Si trattava di una sorpresa? Be', ai suoi occhi era più simile a un trauma.
Dixie e Violet stavano per entrare in collisione e lei di certo non aveva alcuna voglia di assistere alla scena. Se solo avesse potuto Smaterializzarsi altrove...
«Ehilà? Disturbiaaaaaamooooo?» ripeté Noah, rivolgendosi a chissà chi – ma sicuramente non a lei.
«Non c'è nessun altro in casa» mise subito in chiaro. Le stava già venendo mal di testa. Perché capitavano tutte a lei? Babs sarebbe tornata presto ed era un miracolo che Ruth non fosse già di ritorno, visto che era solo uscita a far spesa. Sarebbe stato un enorme casino. Continuava a far balzare da un suo familiare all'altro, mentre tutti parlavano contemporaneamente tra loro e con lei. In quella casa regnava il caos, ma non la solita confusione concreta, bensì una nuova – acustica, psicologica: un sovraffollamento inatteso e inappropriato di persone.
«Che cosa ci fate qui?» domandò a suo padre, l'unico che non sembrava impegnato in tre conversazioni in una volta sola.
Il signor Dixon, armandosi d’innata pazienza, sorrise. «Volevamo farti una sorpresa. L'idea è stata di mamma».
«Ah, ma certo» sussurrò Dixie con stizza, ma l'uomo la ignorò.
«Non ci hai mai invitati a vedere l'appartamento da quando stai qui e non conosciamo nemmeno uno dei suoi amici. I ragazzi erano curiosi e volevano vederti».
Un'idea davvero molto gentile, ma del tutto inappropriata.
«Perché non mi avete avvisato? Avrei potuto essere a lezione!»
«Oggi non era l'ultimo giorno?»
«Sì, ma...» Avrebbe potuto essere in qualunque altro luogo. Avrebbe dovuto essere con Liam, ecco dove. Non avrebbe dovuto permettergli di annullare l'appuntamento. Avrebbero potuto anticiparlo o posporlo.
«Ehi, Vi, possiamo giocare?» domandò Gordon. Dixie si voltò: Adam aveva già riavviato la partita e stava mandando al diavolo il suo tentativo di battere il proprio record personale. Quella visione bastò a farla tornare in sé: «Ma sei un cretino! Che cosa hai fatto?»
«Cosa? Che c'è?» L'imputato sobbalzò, preso alla sprovvista da quella reazione.
«Avevo quasi stabilito un nuovo record!»
Gordon rise forte, coprendo così le stizzite proteste del fratello minore. «Questo vuol dire che lo stabiliremo in doppio! Addie, molla il gamepad, è roba per persone grandi questa!»
Okay. Forse – ma solo forse – quell'incursione non sarebbe stata così disastrosa. Almeno finché in casa non c'era nessuno. Se i ragazzi erano tutti insieme, nella peggiore delle ipotesi sarebbe stata Ruth a incontrare la sua famiglia e lei era proprio il genere di persona che avrebbe compreso senza infierire. Niente era perduto – super punteggio a parte.
 
Nel salotto spoglio dell'appartamento Payne-Malik, tanto per cambiare, troppe persone erano stipate sullo stesso divano troppo piccolo per tutti, mentre Niall Horan urlava il proprio disappunto ai giocatori dentro al televisore e Louis si premurava di infierire con acidi commenti a mezza voce. Zayn, stranamente di buon umore, rideva assieme a Harry della scena, non perdendo una sola occasione per scoccare qualche frecciatina a Louis, giusto per ricordargli di non tirare troppo la corda.
L'unico che non partecipava al tifo era Liam. Continuava a contorcersi sul divano in preda a quelli che avevano tutta l'aria di essere sensi di colpa. L'idea di aver dato buca a Dixie lo tormentava – come aveva potuto dimenticarsi della partita e dei ragazzi? Non avrebbe dovuto prendere un impegno con lei e poi annullarlo. Che razza di...
«Se non smetti di muoverti, ti butto giù dal divano» gli comunicò candidamente Zayn, accompagnando quelle parole con uno sguardo truce. Erano già abbastanza stretti tutti e cinque su un divano da due posti senza che lui si girasse e rigirasse senza sosta. Non che non capisse il suo tormento – Zayn lo aveva intuito dal momento stesso in cui gli aveva ricordato la partita –, ma, davvero, quell'irrequietudine fisica era troppo. «Se vuoi andare da Dixie, vai» gli disse a voce bassa, per non coinvolgere tutti in quella conversazione che fondamentalmente riguardava solo il suo amico.
A quelle parole Liam sussultò, toccato sul vivo, e balbettò qualcosa d’incomprensibile, che fu poi costretto a ripetere con più chiarezza. Non sarebbe stato corretto abbandonare gli amici per una ragazza; era ormai una tradizione trovarsi insieme appena potevano per guardare lo sport in tv: chi era lui per interromperla?
«Non è una tradizione» soffiò Zayn contrariato: «Loro si auto-invitano a casa nostra quando non hanno nulla da fare!» sottolineò. Solo in quel momento distolse lo sguardo da Liam e si rese conto di avere tutti gli occhi puntati addosso.
Niall ridacchiò, mentre lui scrollava le spalle con costruita noncuranza, volendo celare l'imbarazzo. «Be', sei un bell'ingrato, amico».
«Già» lo appoggiò Harry, sorridendo sornione. «Noi ti trattiamo come un fratello e tu... tu ci consideri degli scrocconi» aggiunse nel tono eccessivamente strascicato di quando scherzava.
«Se non ci vuoi qui, basta dirlo» rincarò Louis, impassibile. «Anche se tanto non mi muoverei di qui solo per farti un dispetto».
«Sei così melodrammatico, Tommo».
«E tu uno stronzo» intervenne in sua difesa – incredibilmente – Niall.
Zayn sospirò, messo alle strette dalla serrata alleanza dei suoi amici. Alzò dunque le mani in segno di resa e «Okay, ma qui non si parla di me» svicolò, posando lo sguardo su Liam. E, al di là di ogni logica, tutti i presenti sembrarono trovarsi d'accordo con lui.
«Bene, Liam, facciamo un discorsetto» decretò Louis, facendo scrocchiare le dita con un'aria tanto minacciosa che il povero interpellato non riuscì a non deglutire sonoramente, spaventato.
 
Nell'appartamento regnava il caos. L'invasione dei Dixon era ancora in corso alle cinque e quaranta, quando il campanello suonò allegramente rischiando di far venire un colpo a Dixie tramite la consapevolezza che Ruth, di ritorno, avrebbe di lì a poco incontrato tutta la sua famiglia in una volta sola. Sopportare i genitori, tre fratelli e un migliore amico svitati era troppo per chiunque.
Da quando aveva fatto il loro ingresso in casa, l'allegra compagnia non aveva smesso un istante di ciarlare: Gordon e Olly si punzecchiavano, Noah li rimproverava, la signora Dixon raccontava aneddoti e commentava i suoi stessi discorsi dando prova della propria impareggiabile logorrea, mentre il marito sembrava l'unico ad ascoltarla e Adam lamentava petulante l'indecenza della propria famiglia di invasati.
Dixie sentiva le tempie pulsare e la testa dolorante, mentre si alzava in piedi per andare ad aprire la porta. Se doveva essere del tutto sincera con se stessa – e le costava ogni volta un grossissimo sforzo esserlo –, le ultime due ore non erano state poi così terribili; la presenza dei fratelli e di Olly l'aveva fatta sentire a casa, alleggerendo in fretta la tensione dovuta allo sconvolgimento dei suoi equilibri, le chiacchiere della madre non erano risultate poi così invadenti e fastidiose, mentre la presenza del padre aveva semplicemente fatto da contorno e chiusura il tutto. Insomma, non che fosse particolarmente piacevole (fingere di) ascoltare le avventure della signora Peterson e del suo cagnolino smarrito, ma non era nemmeno tragico come aveva immaginato.
Quando aprì la porta dell'appartamento – e perché diamine tutti si presentavano direttamente alla porta senza citofonare? Chi aveva lasciato il portone del palazzo aperto? – e si trovò davanti la figura alta e ciondolante di Liam, sentì il cuore fare una capriola e poi capitombolare goffamente giù fino ai piedi. Porca miseria, e adesso?
«Ciao!» lo salutò in un soffio, incredula. Cosa ci faceva lui lì? Non doveva essere con i ragazzi? Perché tra tutte le persone esistenti era arrivato proprio Liam?
«Ciao» ripeté lui. Si portò una mano sulla nuca con fare imbarazzato, prima di inclinare la testa da un lato e sorriderle timidamente. «Disturbo? Io, ehm... Ho pensato che... Sì, insomma... Visto che dovevamo vederci...»
Quell'eccessivo numero di tentennamenti in una sola frase lasciata per giunta in sospeso mosse una quantità indefinibile di quelli che, se solo quel ragazzo non fosse stato lì di fronte a lei, avrebbe chiamato feelings nel petto di Dixie, che si ritrovò a mordersi il labbro inferiore per trattenere un sorriso intenerito.
L'aveva detto giusto quella mattina a Ruth: «Liam è così infinitamente sfigato, senza nemmeno rendersene conto, che potrei davvero essermi innamorata di lui». La sua amica aveva riso a quelle parole, perché loro erano così: non si capivano mai, ma in fondo si comprendevano sempre.
In quel momento Dixie ripensò quella stessa frase e, senza nemmeno pensarci su, si ritrovò a dire: «Vuoi entrare?». Vedendo Liam indugiare, aggiunse: «Salvami da questo delirio».
E a quel punto lo spirito cavalleresco del ragazzo ebbe la meglio su qualunque suo timore, quindi entrò sorridendo con cortesia alla padrona di casa. Ciò che non si aspettava era la calorosa accoglienza – né il sovraffollamento di persone – che ricevette una volta giunto in sala.
«Ehilà!» esclamò Gordon, sfrecciando (per quanto possibile) sulla sua sedia a rotelle in loro direzione. «E tu chi sei?» domandò con fare amichevole.
Liam indugiò solo un istante durante il quale, in preda a un sorprendente lampo di lucidità, capì che quelle persone non erano altri che la famiglia di Dixie – quella stessa famiglia che Niall aveva detto di non aver mai conosciuto. Non si lasciò però travolgere dall'imbarazzo (non più di tanto) o dall'emozione, ma sfoderò la propria impareggiabile cortesia e strinse la mano a tutti i presenti, eccetto quelli impegnati nella partita all'Xbox, presentandosi solo come “Liam”.
«Liam?» ripeté la signora Dixon quando fu il proprio turno; rivolse una lunga occhiata densa di sottintesi alla figlia, poi tornò a rivolgersi al ragazzo: «Gran bel nome! Da dove vieni, caro?»
«Wolverhampton».
«E cosa studi?»
«Mamma...» Dixie alzò gli occhi al soffitto, lasciandosi cadere stancamente sul divano tra lui e Oliver. Perché sua madre doveva proprio fargli il terzo grado?
«Logopedia. Qui in città. Be', ovviamente studio in città, altrimenti cosa ci farei qui?» Liam ridacchiò imbarazzato, dopo aver sciorinato quelle parole così velocemente che quasi fu difficile captarle. Continuava a ridere; era evidente che si sentisse a disagio, eppure non sembrava aver intenzione di fuggire a gambe levate da un momento all'altro – e Dixie lo avrebbe capito, se lui lo avesse fatto.
Mentre lei analizzava i comportamenti di Liam commentandoli mentalmente, Olly osservava i suoi. Ecco perché dopo aver dato di gomito a Gordon, sogghignò e «È il tuo ragazzo?» le domandò ammiccante, senza la minima delicatezza.
A Dixie si mozzò il fiato in gola, presa alla sprovvista, ma si riprese in fretta; fulminò con lo sguardo entrambi, mentre se la ridevano, e strinse le labbra in una smorfia di disappunto – perché quei due impiccioni dovevano sempre ficcare il naso? Non era nemmeno sicura di come avrebbe dovuto rispondere a quella domanda. Lei e Liam non stavano insieme, non si erano nemmeno mai baciati, ma era evidente che tra loro ci fosse del tenero. Si frequentavano ormai da diverso tempo, ma non era ancora successo nulla di concreto. Così optò per rispondere con una mezza verità: «È un amico di Niall, usciamo spesso tutti insieme». Poi fu colta da un'illuminazione, che oltretutto l'avrebbe con facilità trascinata fuori da quella scomoda conversazione: «Ehi, Liam! Olly non somiglia da morire a Niall?»
Glielo si leggeva in faccia che a Liam no, non sembrava che Olly somigliasse a Niall, ma era altrettanto evidente che non avesse alcuna intenzione di contraddire la ragazza. Per cui si limitò ad alternare occhiate confuse tra Oliver e Dixie, cercando qualcosa da dire.
«Allora?» insistette lei, saltellando entusiasta sul posto.
Poi, proprio quando Liam non sapeva più che pesci prendere, Olly levò un solo sopracciglio stringendo le labbra in un'espressione scettica e lui vide la luce: «Oh mio Dio, hai ragione!» esclamò sconvolto da quell'improvvisa somiglianza. Non si trattava, di fatto, di un'affinità estetica, ma comportamentale e caratteriale, come avrebbe capito nel corso di quella breve convivenza.
Dixie rise forte, battendo le mani con aria infantile e allegra. «L'avevo detto io!» esultò, per poi fare una linguaccia a Gordon. «E tu che non ci credevi!»
Gordon roteò gli occhi con aria di sufficienza. «Non ho mai detto di non crederci, semplicemente ne dubitavo!» la corresse.
La sorella gli rise in faccia. «Il che è la stessa cosa!»
«No, invece!»
«Sì, invece!»
«Oh, ragazzi, vi prego, non ricominciate...»
«No!»
«Sì!»
«No, punto e basta».
«Ti dico di no».
«Sìì!»
«A-ha, ti ho fregato!» Così, mentre Dixie esultava per la piccola vittoria, Olly distrasse Liam dalla sua trance contemplativa – era così strano vederla ridere e scherzare come una bambina, senza che si parlasse di, ehm, come si chiama? Ah, già: fandom.
«Ho appena perso la mia unicità. È un colpo al cuore». Ridacchiò, poi gli fece l'occhiolino: «Tu ne sai qualcosa, di affari di cuore?» domandò in tono confidenziale.
Liam preso in contropiede, arrossì e farfugliò una risposta sconnessa che suonò tanto simile a «N-sì. Cioè no. Cioè sì. Ehm, forse?», che fece tanto ridere quel bizzarro ragazzo con le bretelle e la camicia bianca.
Fu più o meno a quel punto che Noah fu sconfitto a PES da Adam, concludendo così il loro turno alla consolle. A dare loro il cambio furono Gordon e Dixie, che giocando continuarono a portare avanti la conversazione con gli altri. Non solo, perché contemporaneamente discutevano tra loro e inveivano contro i calciatori nel videogioco, con un'abilità che Liam aveva creduto di poter riconoscere in vita sua solo a Dixie – a quanto pare, però, suo fratello non era da meno. Parlarono di Niall, della sua presunta ma ormai confermata somiglianza con Olly, di Norah, della loro ship che era tristemente passata da “praticamente canon” a “crack” durante un solo appuntamento.
Noah, sconvolto dal fatto che anche Liam fosse a conoscenza del delirante linguaggio usato da sua sorella, cercò di scusarsi e di sapere con quale strana tortura lo aveva convinto a entrare nel fandom; lui, con estrema sincerità e un pizzico d’imbarazzo, rispose che non credeva nemmeno si potesse entrare e uscire in una cosa del genere. E sì, quella risposta era del tutto insensata, ecco perché Dixie rise fino alle lacrime permettendo così a Gordon di segnare il goal della vittoria.
Quando Violet pretese una rivincita, lui patteggiò: «Te la concedo solo se ci dici qualcosa di quel ragazzo con cui stai uscendo».
Dixie trattenne il fiato, Liam si strozzò con la saliva, Olly sogghignò tra sé.
«Perché avevi detto che c'era un ragazzo. Un ragazzo vero. Non l'hai fatto scappare, vero?» rincarò la dose Adam, un sorrisetto di scherno a incurvargli le labbra.
Lei boccheggiò qualcosa, ma non rispose. Si alzò in piedi di scatto, esterrefatta, e fulminò i suoi fratelli con lo sguardo uno per uno. «Perché non vi fate gli affari vostri?»
«Oh sì, Violet, perché non ci racconti di quel giovanotto?» chiese la signora Dixon, improvvisamente non più così impegnata a commentare l'arredamento come faceva da ormai venti minuti.
Liam aggrottò le sopracciglia. Violet? Chi era Violet? E da quando Dixie usciva con qualcuno?
«Eddai!» la intimò Noah con un sorriso gentile. «L'ultima richiesta di amicizia che hai inviato su facebook è di Harry Styles. Sarà mica lui? L'ultima volta che abbiamo controllato, non l'aveva accettata».
«Avete spiato il mio profilo facebook?! Ma che cosa vi salta in mente? Come... come cavolo sapete la mia password?»
«Oh, avanti, tu non ci racconti mai niente» si giustificò Gordon, imbronciandosi. «Allora, è questo Harry?»
«Dove avete trovato la password?!»
«Abbiamo le nostre fonti. Quindi, è questo Harry? Per questo ti scaldi tanto?»
«Lo sapevo, ci abbiamo visto giusto!»
«Dalle foto sembra frocio» commentò Adam per manifestare il suo completo disinteresse, ma dimostrando così di aver partecipato alla ricerca.
La ragazza si passò le dita tra i capelli biondi, portandoli all'indietro. «Voi siete pazzi!» proclamò, spalancando le braccia. Non riusciva a credere che i suoi fratelli non rispettassero la sua privacy. Non che le cose scritte su facebook fossero segrete o che la richiesta di amicizia a Harry fosse qualcosa di così eclatante, ma il solo pensiero che avessero letto i messaggi privati che si era scambiata con Jean le metteva i brividi. Come avevano ottenuto la parola d'accesso? Com’era anche solo saltato loro in mente di fare una cosa del genere?
Era esterrefatta. E delusa. E spaventata al pensiero che qualcuno avesse sbirciato tra i suoi dati personali. Non che avesse molti segreti, ma c'erano comunque cose che aveva preferito tenere per sé e sarebbero state difficili da ammettere di fronte ad altri.
«Punto primo: non azzardatevi mai più a fare una cosa del genere» scandì rivolta a Gordon, che sapeva essere la mente di quella bravata. Cercava di mantenere la calma, ma con scarsi risultati: il suo tono tradiva tutta la rabbia. «Punto secondo: non sono affari vostri con chi esco. Punto terzo: Harry non è frocio». Purtroppo, avrebbe aggiunto, se solo non fosse stata così furiosa.
«Violet, cosa sono queste parole?»
«Oh, andiamo, non te la sarai presa!»
«Io, ehm, devo andare».
Quando sentì la voce di Liam pronunciare quelle parole, Dixie dimenticò in un attimo i suoi fratelli. «Cosa? Perché?» chiese, smarrita. Non poteva andarsene, lei aveva bisogno di lui. La sua presenza al proprio fianco l'aveva aiutata a cacciare l'insicurezza che l'aveva attanagliata prima del suo arrivo, così come la paura che qualcuno dei suoi amici potesse arrivare da un momento all'altro.
Liam si alzò dal divano e si lisciò la camicia a quadri – un po' meno abbottonata del solito, cosa che lei notava solo ora – mentre i ragazzi continuavano a discutere, questa volta tra loro, incolpandosi a vicenda dell'accaduto. «Devo, ehm... Devo andare in un posto» rispose, senza guardarla negli occhi.
Dixie non seppe cosa dire, colpita dall'elusività di Liam, per cui si limitò ad annuire e ad accompagnarlo alla porta. «Va tutto bene?» gli domandò comunque, sulla soglia.
Lui, la testa basta e la mente assente, annuì distrattamente e uscì sul pianerottolo. «Sì, io... devo andare» ripeté, guardando ovunque fuorché nella sua direzione.
«Va bene. Ci sentiamo presto, giusto?» Frase decisamente poco nel suo stile, ma era davvero preoccupata – non solo le importava, ma si stava addirittura preoccupando! – da quello strano comportamento.
Liam annuì e le fece un cenno di saluto con la mano, mentre imboccava le scale. A quel punto lei chiuse la porta e sospirò, corrucciata.
 
Non riusciva a crederci, pensava scendendo le scale a una lentezza snervante; aveva frainteso tutto. Louis gli aveva fatto una ramanzina di venti minuti per convincerlo che, se lei gli piaceva davvero, loro avrebbero fatto lo sforzo di non offendersi se lui se ne fosse andato. Aveva anche aggiunto che “Sareste a casa da soli, oltre tutto, perché Welma è a fare shopping con Riccioli d'Oro” (anche se, a dirla tutta, Liam non aveva capito a chi si riferisse); “quindi vai, forse è la buona volta che succede qualcosa!”.
Be', sì, qualcosa era successo: aveva avuto la conferma della cotta di Dixie per Harry. Come se le insinuazioni dei fratelli Dixon non fossero state abbastanza chiare, lei si era addirittura indispettita, correndo a prendere le difese del suo amico.
Se solo fosse stato un altro ragazzo, Liam probabilmente sarebbe stato furioso con entrambi, ma, trattandosi di lui, era ovvio che se la prendesse solo con se stesso: come aveva potuto fraintendere tutto dall'inizio alla fine? I suoi amici erano stati gentili a cercare di smentire, quando lui aveva avanzato il proprio dubbio, ma avrebbero fatto meglio a dirgli la verità senza troppi giri di parole. Probabilmente sarebbe stato un po' meno doloroso di quanto lo era in quel momento, no? Si sarebbe illuso un po' di meno, avrebbe lasciato perdere tutto molto prima.
Il danno ormai era fatto, comunque. Tutto ciò che poteva fare era tornare a casa a leccarsi le ferite e a metabolizzare la sconfitta. Riusciva già a sentire il “Friendzoned!” che Louis gli avrebbe molto probabilmente urlato in faccia, una volta sentito il racconto di com’erano andate le cose, bruciargli sulla pelle. “È un amico di Niall, giriamo spesso tutti insieme”. Era stato davvero friendzonato. Perché queste cose succedevano sempre a lui?
A turbarlo più di ogni altra cosa rimaneva la consapevolezza di aver fatto tutto da solo: lui l'aveva cercata, lui aveva cercato il suo aiuto, lui le aveva chiesto di uscire, lui aveva cercato di entrare nel suo mondo, lui aveva organizzato tutte le uscite, lui l'aveva trascinata fuori di casa praticamente ogni giorno, lui le aveva fatto conoscere Harry, lui si era intestardito e sempre lui si era innamorato.
 
Un paio di minuti più tardi, Dixie era ancora nascosta in cucina, lontano dai propri chiassosi familiari, intenta a riflettere su cosa fosse appena accaduto. Aveva la fortissima sensazione di aver combinato un guaio, ma non riusciva a capire di che cosa si trattasse. La fuga improvvisa di Liam era di certo stata causata da una sua qualche gaffe, ma anche analizzando diverse volte la conversazione non era stata capace di riconoscerla.
Al momento non le importava più molto della violazione della privacy subita dai propri fratelli, dei commenti delusi di sua madre nello scoprire che Liam non era il suo ragazzo – purtroppo – ed era arrivato all'appartamento solo perché le aveva promesso che avrebbero guardato Doctor Who insieme.
Se ne stava quindi seduta sul mobile della cucina, tra i fornelli e il lavabo, un bicchiere di succo di mela mezzo vuoto stretto tra le mani e quasi del tutto dimenticato. Faceva dondolare i piedi avanti e indietro, colpendo ritmicamente coi talloni lo sportello della credenza sottostante, e rifletteva sull'indefinito guaio combinato.
Quando Gordon entrò lentamente nella stanza e la chiamò, Violet sussultò per lo spavento. «Ehi» rispose alla chiamata, l'espressione attonita di chi era appena stato strappato ai propri pensieri.
«Posso farti una domanda in confidenza?» si sentì chiedere, mentre le ruote della sedia a rotelle percorrevano silenziose lo spazio che separava i due fratelli.
Quando si trovava solo con Gordon, diventava un'altra persona. Non una terza persona, differente da Violet e Dixie, ma un insieme delle due. La stessa persona che anche Liam aveva imparato a conoscere – ed era il solo, oltre a Gordon e, in parte, Ruth.
«Io... Dimmi». La sua incertezza era stata subito soppiantata dalla consapevolezza di non saper negare nulla al fratello.
Lui sorrise sornione, alzò il mento e assottigliò lo sguardo. «Il ragazzo con cui uscivi... è lui?» Dal suo atteggiamento era chiaro che sapesse già la risposta, ma questo non le impedì di arrossire e annuire in conferma.
Allora Gordon schioccò la lingua contro il palato e strinse il labbro inferiore tra i denti in un'espressione sofferente. «Ahia» commentò; «mi sa che abbiamo fatto un guaio».
Dixie sospirò, non sapendo bene cosa rispondere: poteva essere colpa loro, come poteva essere solo sua. Non era nemmeno sicura di cosa fosse preso a Liam, ma il fatto che persino qualcuno che l'aveva appena incontrato per la prima volta si fosse reso conto che nel suo comportamento qualcosa non andava le metteva un po' d'ansia. «Forse» farfugliò, lo sguardo basso. Cosa avrebbe dovuto fare ora?
«Be', meglio ripararlo in fretta, no?» propose dunque Gordon, abbandonando il tono pacato con cui aveva parlato fino a quel momento per rimpiazzarlo con uno più allegro e cospiratorio.
«Come?»
Il ragazzo rise, poi le strizzò l'occhio. «Facciamo come ai vecchi tempi, okay? Solo al contrario: tu agisci e io li distraggo».
 
Liam camminava lungo il marciapiede diretto verso casa, il cellulare all'orecchio che squillava pigramente mentre attendeva che Zayn, dall'altra parte, prendesse la linea. Era rimasto davanti al portone del palazzo in cui abitavano Dixie e Ruth per quasi dieci minuti, combattuto tra l'idea di tornare su e non sprecare l'opportunità di passare del tempo con la ragazza nonostante avesse capito di non interessarle e quella di fuggire a gambe levate il più lontano possibile da lì. Alla fine si era incamminato verso casa e aveva digitato sul telefono il numero del migliore amico sperando che lui sapesse in qualche modo incoraggiarlo.
«Pronto
«Zayn, sono io. Ascolta...»
«Liam!» Il ragazzo interruppe la marcia assieme alla frase, sentendosi chiamare, e si voltò a controllare chi lo stesse cercando.
«Liam? Che c'è?»
Aggrottò le sopracciglia per la sorpresa quando riconobbe la figura snella di Dixie correre – correre! – nella sua direzione, i capelli che le ricadevano scompostamente sul viso e gli occhiali stretti nel pugno per evitare che cadessero durante la corsa.
«Ehi, cosa... Cosa ci fai qui?» domandò nel momento stesso in cui lei lo raggiunse, lanciando involontariamente un'occhiata al condominio a una ventina di metri di distanza.
La ragazza passò le dita tra i capelli, portandoli all'indietro e respirò a fondo un paio di volte per riprendere fiato. «Io...» annaspò, in cerca d'aria; alzò una mano in una muta richiesta di attesa, per poi inspirare aria sufficiente e dire: «Dobbiamo mettere in chiaro le cose».
Gli cadde la mascella udendo quelle parole. Era scesa di corsa e l'aveva seguito, per di più di corsa, solo per dirgli che aveva una cotta per Harry? Be', non era necessario, davvero; preferiva metabolizzare la cosa da solo senza che la verità gli venisse ulteriormente spiattellata in faccia.
«Liam? Con chi stai parlando?»
«Riguardo a cosa?»
«A...» La ragazza inspirò ed espirò profondamente un'ultima volta, riuscendo così a calmare il proprio respiro. «A noi due». Abbassò il capo e, incerta, fece qualche passo avanti per avvicinarsi di più a lui.
«Dixie, davvero, non credo ce ne sia bisogno, insomma...», ma Liam non fece in tempo a concludere la frase, perché l'istante seguente lei gli aveva messo le mani sulle spalle e, rossa in volto, aveva sorriso. «Anche secondo me» confermò, per poi baciarlo.
La scena di per sé sarebbe anche stata romantica, forse, se non fosse stato per la voce di Zayn che fece loro fa colonna sonora dal momento stesso in cui Liam, accortosi di cosa stava succedendo, aveva ficcato in fretta il cellulare in tasca per poter stringere Dixie a sé, premendo per errore il tasto del vivavoce.
Per cui, mentre Dixie e Liam si beavano dei loro primi baci, il loro sottofondo era più o meno questo: «Amico, che diavolo stai facendo? Ti sembra uno scherzo divertente? Se non rispondi entro due secondi, io riaggancio. Mi hai sentito, Payne? Ora riaggancio. Sei un idiota, lo sai? Un grandissimo idiota. Non sei divertente. Vaffanculo, Liam».
Quando il “tu-tu” della chiamata terminata prese il posto della voce di Zayn, Dixie si discostò appena dalle labbra del ragazzo per ridere. «Credo si sia arrabbiato» osservò, sorridendo felice.
Liam strofinò il naso a patata contro quello all'insù di lei. «Credo che ora siamo canon».
E a quelle parole Dixie non poté che baciarlo di nuovo con slancio, in preda a un moto di orgoglio, consapevolezza ed emozione. Una volta tanto, Liam era giunto alla conclusione giusta.




Trombino le squillo!  Squillino le trombe! 
Signore e signori, ebbene sì, Dixie e Liam sono finalmente canon! Delusi? All'inizio abbiamo tutti (sì, anche io) avuto un po' di dubbi su quali sarebbero state le coppie alla fine della fiera, spero solo che nessuno ci sia rimasto troppo male vedendo come è finita. C'è ancora la questione Niall, comunque, quindi magari l'ultimo capitolo vi darà qualche informazione a riguardo. 
Come ho accennato distrattamente su facebook, quello che avete appena letto è l'ultimo capitolo della storia vera e propria. Il prossimo sarà una specie di epilogo, un - uhm - esempio di come andranno le cose d'ora in avanti. 
Tra l'altro, spero di tornare presto con questo nuovo e ultimo - definitivamente - capitolo. :)
Che dire, spero che il capitolo vi sia piaciuto!
In linea generale, per avvisi, spoiler e qualunque cosa riguardo alle mie storie (LC compresa), tenete d'occhio la mia pagina Facebook: Yvaine0.
Se invece avete - per qualche assurdo motivo - voglia di parlare con me (o di farvi gli affari miei XD), potete trovarmi su facebook, twitter, Ask.fm e tumblr.
Okay, a questo punto vi saluto. Grazie a tutti quelli che sono arrivati fino a qui! Alla prossima. :D
  
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