Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Segui la storia  |       
Autore: Laylath    09/02/2014    2 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 22. Iniziative.

 

La presenza di Janet rendeva impossibile parlare, ma Jean aveva chiaramente capito che quello che turbava Heymans non era svanito con il giorno in cui non si erano visti. Lo si capiva dalla sua espressione pensierosa e dalle distratte risposte che dava alla bambina quando veniva interpellato: era come se nella sua mente, in genere così acuta e pronta, ci fosse un problema di cui non era ancora riuscito a trovare la soluzione. E per Jean, vedere l’amico in una simile situazione era veramente inconcepibile.
La giornata scolastica non presentò occasioni per un dialogo aperto: avevano un compito in classe di scienze alle prime ore e interrogazione dopo la pausa. Proprio l’intervallo poteva essere un buon momento, ma la presenza di Janet e anche di Kain rese di nuovo impossibile qualsiasi avvicinamento.
Guardandolo sorridere ai due bambini, Jean si chiese come fosse possibile che non notassero quanto quell’allegria fosse solo di facciata: per lui era una cosa limpida e palese che quella persona non fosse il solito Heymans.
E così, dopo l’intervallo, considerato che in geografia era già stato interrogato, si preoccupò di osservare con attenzione il suo miglior amico che, come sempre, si faceva valere davanti alle domande dell’insegnante.
Non c’è esitazione nelle sue risposte, al solito… eppure è assente. Come se la sua mente fosse impegnata in ben altre faccende.
Non gli piacevano molto i cambiamenti d’atteggiamento nelle persone e quanto era successo con Rebecca ne era un esempio lampante. Tuttavia in questo caso era differente: c’era una problematica molto più pesante dietro quella disinvoltura, un muro che Heymans stava costruendo per difendersi da qualcosa.
Un qualcosa di cui non vuole parlare nemmeno al suo migliore amico.
“Stasera che devi fare?” chiese con noncuranza il biondo, quando le lezioni finirono ed iniziarono ad avviarsi verso il solito bivio.
“Niente di particolare, – rispose Heymans laconico – forse inizio a riordinare gli appunti di storia: credo che prima di natale ci sarà un compito sugli ultimi cinque capitoli.”
“Capisco. Senti, ti andrebbe di…”
“Jean! – chiamò una voce interrompendolo – Jean, aspetta!”
“Riza ti chiama.” fece il rosso, girandosi a guardare la loro amica che faceva ampi cenni.
“Vuole che vada da lei a quanto pare. Aspettatemi qui, faccio in fretta.”
Con agilità iniziò a ripercorrere in senso inverso il sentiero innevato, lasciando altre impronte sulla superficie bianca: aveva nevicato tutta la notte e certamente il candore sarebbe durato per diversi giorni.
“Dimmi, biondina.”
Riza sembrava profondamente imbarazzata e si torceva leggermente la tracolla, come se quanto stesse per dirgli la mettesse in difficoltà.
“Jean, senti, c’è Rebecca dietro quell’albero che vorrebbe parlarti.”
“Rebecca, eh? – sospirò Jean: si era completamente dimenticato di quel particolare. Nessuno a scuola aveva fatto commenti o risatine o, per lo meno, lui non se ne era reso conto. Ma se doveva essere sincero gli sembrava una cosa così stupida in confronto a quello che doveva preoccupare Heymans… perché ormai il biondo era arrivato alla conclusione che riguardava la sua famiglia, e dunque era grave. – E perché ha mandato avanti te?”
“Perché aveva paura che tu non le avresti nemmeno rivolto la parola. Sono stata io a convincerla a venire qui… ieri ha pianto tanto.”
“Pianto? E perché doveva farlo? Era così felice di stritolarmi al ballo.”
“Sì, ma si è resa conto che a te non ha fatto piacere ed è dispiaciuta. Te lo chiedo da amica, Jean, la potresti perdonare? Lei ci tiene tanto.”
“E se non lo facessi? Tu saresti sempre mia amica?” le chiese con serietà.
Riza lo guardò con perplessità e ci rifletté per qualche secondo, una cosa che il biondo approvò: non erano risposte da dare a cuor leggero.
“Sì, lo sarei ancora. Lei ha sbagliato, tutto sommato, e non posso prendere decisioni per te. Non te lo sto imponendo, te lo sto chiedendo perché è la mia migliore amica e mi dispiace vederla soffrire.”
“Non mi deludi, Riza Hawkeye, brava. – sorrise con sincerità il ragazzo, sistemandole una ciocca di capelli che le sfuggiva dal berretto di lana – Dai, chiamala pure. Vediamo di risolvere la questione.”
 Riza annuì e girandosi fece un segnale verso un paio di alberi dalle chiome innevate. Da dietro di essi spuntò fuori il cappotto giallo di Rebecca che, con passo esitante si avvicinò a loro. Teneva lo sguardo basso e, proprio come aveva fatto Riza poco prima, si tormentava la tracolla con le mani guantate.
“Mi si dice che volevi parlarmi.” fece Jean, vedendo che lei non prendeva l’iniziativa. Come poteva essere diversa senza il solito atteggiamento spavaldo.
“Ti… ti volevo chiedere scusa – balbettò la mora dopo qualche secondo – non… non volevo che ce l’avessi con me per il ballo.”
“Eppure le proteste le hai sentite da subito.”
“E’ che ci tenevo… a ballare con te.”
Era una dichiarazione ovviamente, ma Jean non la capì. Anzi, per essere corretti, non volle capirla perché non se la sentiva assolutamente di iniziare con una ragazza qualcosa che andasse oltre l’amicizia o il litigio occasionale. Per quella strana e semplice forma di maturità che chi lo conosceva apprezzava tantissimo, sentiva che sarebbe stato profondamente scorretto cominciare a pensare a qualcosa per cui lui non era pronto e, probabilmente, nemmeno lei.
“Senti, – dichiarò, mettendosi le mani nelle tasche – non sono arrabbiato, va bene? Solo, la prossima volta cerca di comportarti meglio.”
Gli occhi scuri di lei si rischiararono, come se un grande peso le fosse stato levato dal cuore. Un cambio repentino d’umore come solo una tredicenne caratterialmente decisa come Rebecca poteva fare.
“Davvero? Grazie! Grazie!”
Jean la fissò con aria leggermente dubbiosa, trovandola ancora una volta un essere di natura sconosciuta e pericolosa. Comunque riteneva la questione definitivamente chiusa e si girò per raggiungere Heymans e Janet, ma non mancò di fare un lieve sorriso a Riza, la quale contraccambiò con sincera gratitudine.
Come tornò da Heymans e da sua sorella, il rosso sorrise.
“Ti stava prenotando per i prossimi balli?”
“Spiritoso, davvero. No, a quanto pare voleva solo chiedermi scusa: altra conferma di quanto le ragazze siano complicate.”
“Io non lo sono!” disse Janet, con estrema convinzione.
“No che non lo sei – annuì Heymans, accarezzandole la guancia e prendendola per mano – tu sei una delle cose più chiare e semplici del mondo, Janet. E non sai quanto questo sia importante per me.”
Quelle parole lasciarono molto perplesso Jean.
Decisamente c’è qualcosa che non va.
 
“Una questione importante?” chiese Elisa.
“Sì, è quello che ha detto – annuì Roy – Oggi non sarebbe tornata a casa assieme a noi perché doveva risolvere una questione importante. Credo c’entri la sua amica Rebecca: oggi durante l’intervallo le ho viste e lei mi sembrava parecchio giù di morale.”
“Chissà, forse riguarda quel ballo un po’ forzato con Jean alla festa – propose la ragazza con notevole lungimiranza – si vedeva chiaramente che lui non era felice e forse lei c’è rimasta male.”
“Mah, secondo me Rebecca è un po’ strana – commentò Roy, scrollando le spalle – ma è anche vero che è una buona amica di Riza.”
“Certo che si è andata proprio a cercare un ragazzo difficile: – ammise Vato, intromettendosi nella discussione – Jean non mi pare molto propenso a queste cose.”
“Lui ed Heymans sono molto per le loro.”
“Dici, Roy? Eppure Riza e Kain non hanno molti problemi a relazionarsi con quei due.”
“Non pensare che abbia dimenticato il mio ambizioso progetto, Vato – sorrise il moro, guardando in tralice l’amico – La primavera inizia a marzo e ora siamo a dicembre. Devo solo capire la tattica giusta da adottare con loro, tutto qui.”
“Di che ambizioso progetto parli?” chiese Elisa con aria confusa.
“Della mia personalissima squadra o gruppo che dir si voglia. Bene, io sono arrivato… vi lascio tubare assieme per l’ultimo tratto di strada.”
“Roy!” arrossì malamente Vato che, tutto sommato, riteneva che i pettegolezzi a scuola fossero stati meno del previsto. Tuttavia non mancò di notare come Elisa ridacchiasse con aria smaliziata.
“E non dimenticare – esclamò il moro, aprendo la porta del locale di sua zia – se non fosse stato per i miei due balli con Elisa, sareste ancora allo stesso punto morto!”
Non si girò a vedere la reazione dell’amico: si limitò a ridacchiare tra se e se mentre percorreva la sala dal pavimento lucido e le sedie ancora sopra i tavoli. Tuttavia si accorse di non essere solo: al bancone c’era sua zia che parlava con Vincent Falman, il berretto della divisa posato sul piano di legno.
“Capitano.” salutò il ragazzo, avvicinandosi ai due adulti.
“Ciao, Roy.”
“Ehilà, Roy – boy. Tutto bene a scuola.”
“Certo, Madame.”
Sarebbe stato davvero curioso di conoscere l’argomento di cui stavano parlando prima che lui entrasse, ma sapeva bene che non era qualcosa che lo riguardava: la discrezione era la prima regola nel rapporto tra questi due personaggi. Di sicuro si trattava di qualche persona non proprio raccomandabile, ma Roy ritenne che non era il caso di prolungare la sua presenza lì.
“Io vado in cucina a mangiare qualcosa.” annunciò.
“Ah, tieni questa – gli disse la donna, prendendo una lettera dalla tasca del suo vestito – è arrivata stamattina per te.”
Il ragazzo prese la busta di carta ed un lieto sorriso gli apparve nei bei lineamenti: solo una persona gli spediva delle lettere e come lesse il mittente ed il luogo di provenienza non ebbe alcun dubbio. Del resto erano passati più di due mesi dall’ultima volta che Maes gli aveva fatto avere sue notizie.
Andò in cucina e posò la busta sul grande tavolo dove il cuoco si dava da fare ogni sera. Decise di prepararsi un paio di panini giusto per mettere a tacere lo stomaco e si prese tutta la calma possibile: voleva godersi la lettera del suo amico senza alcun impedimento, come qualche ingrediente da aggiungere all’ultimo.
Comunque nell’arco di cinque minuti era comodamente seduto e, con la bocca piena di companatico, apriva la busta, compiacendosi nel vedere che c’erano diversi fogli scritti con la grafia leggermente disordinata del suo amico. Leggere le lettere di Maes era sempre un vero piacere per Roy: era sempre stata la parte allegra della coppia, a volte troppo tanto da irritare l’altro, e le sue lettere rispecchiavano in pieno questa sua caratteristica. La descrizione delle sue giornate nella capitale con la scuola, la vita a casa e le novità di quel posto era vivida e carica di dettagli arguti e interessanti. Sembrava che vivesse in quel posto da sempre e non che si fosse trasferito solo qualche anno prima.
Roy, questa volta, notò un particolare che nelle altre lettere aveva sempre fatto passare in secondo piano: Maes parlava spesso dei suoi nuovi compagni di scuola e sembrava che avesse trovato un buon gruppo in cui inserirsi. Del resto era un ragazzo così aperto che era scontato che non avesse problemi a farsi degli amici.
Questo fece riflettere profondamente Roy: nello stesso arco di tempo lui aveva stretto i rapporti solo con Riza e, in misura minore, con Kain, Vato ed Elisa. Erano persone completamente diverse dal suo grande amico e si chiese se anche per Maes era stato naturale stringere amicizia con persone che erano differenti da lui. Non che fosse invidioso di questa differenza numerica di amicizie, era un fervido sostenitore del detto pochi ma buoni, tuttavia gli venne spontaneo chiedersi quanto la sua attitudine ad essere leader giocasse a suo favore in un simile posto. Forse a Central non avrebbe avuto problemi a trovare un gruppo in pochissimo tempo.
No, aspetta, che stai dicendo? Anche qui hai avuto la possibilità di essere il capo di una banda, te ne sei già dimenticato? Ma non hai voluto… e come potevi, considerati gli idioti che la componevano?
Lui aveva bisogno di stimoli, non di ragazzotti che pendevano dalle sue parole come ebeti. Riza, Vato, Kain avevano la capacità di farlo ragionare su se stesso: avevano delle personalità così differenti che erano in grado di volta in volta di fargli scoprire sempre nuove sfaccettature del suo ego. E lo stesso valeva anche per Heymans e Jean: per quanto avesse un pareggio in sospeso con Jean, Roy si rendeva perfettamente conto di desiderare la stima di quel ragazzo così grosso e biondo. Gli riconosceva oltre alla prestanza fisica una solidità di principi davvero formidabile che non riusciva a riscontrare negli altri.
Prima o poi riuscirò a guadagnarmi il tuo rispetto e la tua stima, Jean Havoc, te lo giuro.
In ogni caso era molto contento: quel pomeriggio avrebbe scritto una lettera di risposta al suo grande amico e certamente aveva tante cose da raccontare. Come spesso diceva Riza, quel piccolo angolo di mondo si poteva rivelare un posto davvero interessante.
 
“Ciao, mamma.” salutò Heymans rientrando a casa.
“Ciao, tesoro, tra qualche minuto è pronto in tavola.”
“Siamo solo in due?” si sorprese il ragazzo, vedendo il tavolo apparecchiato solo per loro.
“Sì, Henry ha detto che pranzava con dei suoi amici, tuo padre invece non si sente molto bene.”
Heymans annuì e non fece commenti in merito: era solo un modo gentile per dire che Gregor era a letto. Il rosso si preoccupò leggermente: era già il secondo giorno di fila che l’ubriacatura lo stendeva per così tante ore.
Anche se per andare a bere la forza di alzarsi la trova sempre.
“Heymans?”
“Sì?”
“Ti ho chiesto se è andato tutto bene a scuola.”
“Oh, sì. Sono stato interrogato in geografia e ho preso otto e mezza.”
“Davvero? Che bravo che sei, tesoro, sono veramente fiera del tuo rendimento a scuola.”
“Grazie…”
Ancora quel silenzio imbarazzante: Heymans sapeva di doverlo spezzare per non destare troppi sospetti, ma si sentiva completamente bloccato. Gli sembrava che la minima parola avrebbe irrimediabilmente portato a quella particolare resa dei conti che voleva evitare il più possibile.
I suoi pensieri furono interrotti da dei rumori provenienti dal piano di sopra.
Credette che Gregor stesse per scendere, ma ad un certo punto lo sentì chiamare sua madre.
“Mamma…” mormorò alzandosi in piedi, mentre un brivido gli percorreva la schiena. Non gli piaceva per niente la sfumatura di furiosa impazienza che aveva quella voce impastata che, nonostante fosse attutita dalla porta chiusa della camera, risuonava in tutta la casa.
“Heymans – sussurrò Laura, alzandosi a sua volta – fai il bravo e vai fuori…”
“Sei pazza! – fece lui andandole accanto e prendendola per il braccio – Mamma, non andare da lui… lo senti? E’ ubriaco, non è in sé.”
“Se non vado diventerà di pessimo umore.”
“Vado io allora!”
“Heymans – sibilò Laura, prendendolo per le spalle – ricordati quello che mi hai promesso. Non provocarlo mai! La posso gestire, non è la prima volta che succede.”
Laura!
La voce dal piano di sopra fece sussultare entrambi e Laura strinse d’impulso il figlio a sé. Heymans la sentì tremare e si rifiutò di lasciarla andare, ma le mani di lei furono estremamente decise nello sciogliersi dalla sua presa.
“Mamma, ti prego…” balbettò, paralizzato dalla paura primordiale che stava suscitando in lui quella situazione in cui non si era mai trovato. Evidentemente le altre volte che era successo lui non era in casa.
Scappavo… scappavo via e la lasciavo sola ad affrontare tutto questo!
“Ssssh, andrà tutto bene, amore mio. Tu fai il bravo – sussurrò Laura, baciandolo sulla fronte prima di avviarsi verso le scale – e stai tranquillo.”
Per quanto tempo sua madre rimase nella stanza da letto? Heymans non seppe quantificarlo: rimase lì in piedi a fissare le scale, incapace di distinguere le voci ed i rumori per il forte rombo che sentiva in entrambe le orecchie. Fu un tempo eternamente lungo durante il quale il suo stomaco era attorcigliato per l’angoscia e tutto il suo corpo voleva scappare via da lì. Ma nonostante tutto non ci riusciva: restava fermo come un cucciolo impaurito che attende la madre che nel frattempo lotta contro il predatore per difenderlo.
Più volte si disse che la cosa migliore era andare a cercare aiuto… chiamare Andrew Fury.
Ha detto che, se papà alza le mani, lui interverrà… ci aiuterà, deve farlo.
Inconsapevolmente si affidò a quell’uomo più di quanto sarebbe stato disposto a fare in condizioni di lucidità mentale. Arrivò addirittura a pregare che comparisse all’improvviso dalla porta e andasse a salvare sua madre, portandola via dal pericolo.
Alla fine, tuttavia, Laura scese dalla scale con aria stanca e sfinita, ma apparentemente illesa.
“Mamma!” la chiamò, riuscendo finalmente a muoversi e correndole incontro.
“Ssssh, fa piano – consigliò lei con voce esausta, arrancando fino al tavolo di cucina e sedendosi – si è calmato… è andato tutto bene.”
“Ti ha picchiato? Ti ha fatto qualcosa?” ansimò il ragazzo, prendendole le mani.
“No… no, amore mio – delle lacrime dovute alla tensione iniziarono a scendere dagli occhi grigi di lei – scusa… scusami tanto, non avrei mai voluto spaventarti così.”
Madre e figlio si abbracciarono: un contatto fisico brusco e forte ma necessario per far fronte alla paura e all’angoscia che attanagliava entrambi. Heymans sentiva il corpo della madre, così fragile eppure così forte, scosso da sommessi singhiozzi.
Era così che doveva sempre finire? Con lacrime che quella donna non avrebbe mai smesso di versare?
“Mamma, – mormorò – sto bene, te lo giuro. Non… non sono spaventato.”
“Non riesco più a proteggerti, Heymans – confessò Laura, alzando gli occhi su di lui e riuscendo a fare un pallido sorriso – più passano i giorni e più mi sento impotente. Amore, amore mio, sei così forte, così maturo… che prezzo ti sto facendo pagare?”
“Ma che dici? Mamma, non devi pensare niente di simile…”
“Avrei voluto dare a te e ad Henry una famiglia migliore… un padre…”
“… come Andrew Fury?” chiese il ragazzo senza pensarci.
Gli occhi di Laura si dilatarono per la sorpresa, ma Heymans tenne lo sguardo su di lei. La situazione era andata a rotoli a tal punto che tanto valeva tirare fuori quel nome.
“Perché dici così?”
Il ragazzo non disse nulla, ma era chiara la risposta. Il suo strano comportamento dal giorno prima, quell’esitazione a parlare ed ora questo riferimento ad Andrew, indicavano che aveva ascoltato quella conversazione avvenuta durante la festa del primo dicembre.
“Lo so, non avrei dovuto, – disse infine, dopo una lieve esitazione – ma come ti ho visto andare via con il padre di Kain non ho potuto fare a meno di seguirvi e di ascoltare…”
“Cielo, Heymans… - sussurrò Laura, prendendogli il viso tra le mani e posando la fronte sulla sua – piccolo mio… mi dispiace, mi dispiace tanto.”
“Mamma… tu… tu non hai più tentato il suicidio, vero?” chiese il ragazzo con la voce rotta.
“No, amore! – lo abbracciò lei, cullandolo appena – Come potrei lasciarvi soli? Come potrei separarmi da te e da tuo fratello?”
Heymans a quelle parole sentì qualcosa che si spezzava dentro di lui: una diga che aveva eretto a protezione sua e degli altri, dove arginare tutte le lacrime che potevano turbare sua madre. Le prime iniziarono a scendere sulle sue guance e si strinse ancora di più a Laura, scoprendo di avere un tremendo bisogno di lei e del suo amore.
“Dimmi solo… solo che non volevi che nascessi morto!” singhiozzò nella disperata consapevolezza di essere stato odiato dalle persone che avrebbero dovuto amarlo. Perché anche se erano fatti successi quattordici anni prima e avevano coinvolto gente che lui non aveva mai conosciuto, adesso Heymans capiva benissimo che non poteva fare niente per sua madre se prima non trovava la pace con se stesso e con quanto era accaduto.
 
“Oggi Heymans non viene a studiare a casa?” chiese Angela.
“No – scosse il capo Jean, seduto al tavolo di cucina intento a fare i compiti di geometria – non era dell’umore giusto.”
“Avete litigato?”
“No, fra noi va tutto bene.” rispose lui mettendosi la penna in bocca e rinunciando a concentrarsi su quell’ipotenusa che proprio non voleva tornare. A dire il vero doveva svolgere ben quattro problemi di quella materia, ma era fermo sul primo da almeno mezz’ora: non perché in geometria andasse male, ma aveva la testa decisamente altrove e la mancanza di concentrazione era la cosa che l’aveva sempre messo in difficoltà. Heymans l’aveva aiutato soprattutto in questo: stare attento e riflettere.
“Mamma, è normale che un’amica prenda un’iniziativa per aiutarne un’altra?”
“In che senso?”
“Ti è mai capitato di vedere una tua amica in difficoltà e convincerla a smuoversi? Addirittura andando tu a parlare con chi le interessa?”
“Ovvio – sorrise Angela, mettendo a posto l’ultimo piatto lavato e asciugandosi le mani – è molto comune tra le ragazze aiutarsi in questo senso, specie tra grandi amiche. Perché? E’ successa una cosa simile?”
“Sì, è andata così.”
“Però…? Oh, dai, si vede che vuoi chiedere altro?”
Jean abbassò lo sguardo sul libro dove i triangoli sembravano farsi beffe di lui. Perché oggi qualsiasi cosa gli pareva priva d’importanza? Aveva quasi voglia di mollare la geometria per sempre, tanto a che gli sarebbe servita? Quell’ipotenusa mancante non aiutava di certo Heymans.
“Mamma, io credo che Heymans abbia qualche problema con la sua famiglia, – disse preoccupato, alzando lo sguardo sulla donna che si era seduta accanto a lui – ed è qualcosa di nuovo e grave di cui non riesce nemmeno a parlare.”
Angela si fece seria e triste in volto e accarezzò la guancia del figlio.
“Ovviamente ti rendi conto che è una cosa ben diversa rispetto alla solidarietà tra ragazze di cui parlavamo prima, vero?”
“Abbiamo fatto un giuramento: – ammise Jean dopo qualche secondo – ci siamo promessi di essere sempre fratelli e che quando uno ne avrebbe avuto bisogno, l’altro ci sarebbe stato. Io sento che ha bisogno di me… ma lui non vuole dirmi niente. E’ giusto che io prenda l’iniziativa se lui non vuole?”
Angela rifletté qualche minuto prima di dare una risposta: Jean si accorse che era come se stesse soppesando su quanto dire.
“La storia di quella famiglia è abbastanza complessa, come ben sai. Ti voglio confessare una cosa, Jean – sorrise, nel prendergli le mani – quando in prima media i tuoi insegnanti decisero di affiancarti ad Heymans, ero leggermente preoccupata. Le circostanze della sua nascita hanno fatto in modo che molta gente in paese non veda di buon occhio lui e Laura… e avevo timore che questa situazione di disagio in qualche modo coinvolgesse anche te: e tu eri così impanicato perché ti stavi rendendo conto delle oggettive difficoltà che avevi nello studio.”
“Perché parli solo di Heymans e sua madre? Henry non lo metti in mezzo?”
“Vedi, bambino mio, a volte… ci si scontra con una parte delle persone molto sgradevole: l’ipocrisia. Henry è nato che Gregor e Laura erano già sposati da tre anni, capisci? E’ stato concepito all’interno del matrimonio, ma Heymans no: è una differenza che per la gente vuol dire tanto.”
“Trovo che sia una cosa molto stupida.” disse Jean senza alcuna esitazione.
“Questo perché io e tuo padre abbiamo dato a te e a Janet determinati principi. E sono stata davvero felice quando ho visto che non solo non ti creava problemi frequentare Heymans, ma anzi stringevi amicizia con lui… sai, Laura più di una volta mi ha ringraziato tantissimo perché permettevo a te e Janet di frequentarlo.”
“Ma Heymans non ha mai avuto problemi di socializzazione a scuola…” scosse il capo Jean con ostinazione.
“Hai mai visto Heymans andare a casa di altri vostri compagni? Anche alle elementari… pensaci bene. A te capitava abbastanza spesso che venissi invitato per merenda o qualche festa, no?”
“No – c’era una prima forma di tristezza negli occhi azzurri del ragazzo, ma Angela sapeva che era abbastanza grande per capire fino in fondo la situazione – non possono essere così bastardi, mamma. Non… non alle elementari…”
Per una volta tanto la donna non si arrabbiò per quel termine maleducato usato dal figlio.
“Io ammiro Laura per come è riuscita a proteggere suo figlio e a farlo crescere in un modo così bello e buono. E’ un ragazzo splendido che amo come se fosse fratello tuo e di Janet… e da madre ti dico che i sacrifici fatti da quella donna non sono una cosa che molti sarebbero in grado di fare.”
“Deve essere successo qualcosa con sua madre! – esclamò Jean, alzandosi in piedi – E’ così: tutto è iniziato alla festa nel capannone e c’era lei, l’ho vista! Quando gli ho chiesto cosa non andava e ho proposto di chiamarla lui me l’ha proibito… come sono stato idiota a non capirlo subito!”
“Jean, calmati! – lo ammonì Angela – L’abbiamo detto prima: è una questione complessa.”
“Proprio perché è complessa lui ha bisogno di me! – disse il ragazzo, chiudendo il libro ed il quaderno – I compiti li finisco dopo cena, adesso devo andare da lui, è molto più importante.”
Senza aspettare risposta dalla madre corse all’ingresso e afferrò il cappotto senza nemmeno preoccuparsi di indossarlo. Iniziò a correre per il sentiero a tutta la velocità che gli consentiva la neve ancora fresca: rischiò più volte di cadere o scivolare, specie mentre cercava di mettersi l’indumento addosso e alla fine lo fece con una malagrazia tale che era tutto storto.
Si sentiva un completo idiota, il peggior amico del mondo. Possibile che la sua lentezza mentale fosse tale da avergli impedito di cogliere da solo tutti quei dettagli che in quel momento gli apparivano così naturali? Perché per quanto Heymans fosse davvero una persona selettiva, come dimostrava il rispetto che gli altri ragazzi avevano nei suoi confronti senza che lui però concedesse l’amicizia, alle elementari doveva aver subito una tremenda ostracizzazione senza nemmeno rendersene conto pienamente.
E io che facevo? Perché non l’ho mai considerato? Dannazione a me!
Probabilmente mandò in frantumi tutti i record di velocità di corsa sulla neve: arrivò in paese che aveva le gambe doloranti per lo sforzo che aveva richiesto ai muscoli. I polmoni sembravano pronti ad esplodere e solo la sua forza di volontà lo obbligò a non stramazzare a terra, ma imboccare la strada laterale che aveva imparato a conoscere.
“Avanti apri! – esclamò bussando alla porta. Non gli importava assolutamente se gli apriva il padre: l’avrebbe preso a testate se osava dirgli qualcosa – Forza Heymans! Aprimi, dai!”
“Jean?” il rosso si sorprese aprendo. Era chiaro che aveva pianto da poco, il viso pallido e leggermente tirato.
“Di male in peggio, eh?”
“Perché hai il cappotto messo così male? E hai corso… sei rosso in viso ed hai il fiatone… senti, c’è mio padre che dorme e…”
“Finiscila! – disse rabbiosamente Jean, afferrandolo per il colletto del maglione e tirandolo fuori di casa – Vuoi smetterla di far finta di niente?”
“Cosa?”
Gli prese con rabbia la mano dove si era fatto il taglio del giuramento e la strinse nella sua dove aveva fatto altrettanto. Obbligò l’amico ad alzare il braccio in modo che quella stretta fosse all’altezza dei loro visi.
“Quando avrai bisogno di me io ci sarò! E’ questo che ci siamo giurati, Heymans Breda! E tu adesso hai bisogno di me, ma sei così stupido da non volermelo dire!”
“Jean…” iniziò Heymans, capendo a cosa fosse dovuta quella sfuriata.
“Non sarò una cima nello studio e probabilmente sono stato così idiota da non capire tante cose di te finché qualcun altro non me le ha sbattute in faccia… ma, cazzo, Heymans, sono il tuo migliore amico – la sua voce si ruppe dalla commozione – non puoi chiedermi di stare a guardare mentre tu soffri per qualcosa di grave. E’ a questo che servono i giuramenti… che senso… che senso ha se non ti fidi di me?”
“Stupido…”
“Lo so, sono uno…”
“No, lo sono io – mormorò Heymans, alzando gli occhi grigi su di lui – scusami… sono il miglior amico più stupido del mondo. Ultimamente mi sono accorto di essere particolarmente bravo a fare le scelte sbagliate… anche con te.”
“Che è successo con tua madre? Perché si tratta di lei, vero?”
“Resterà tra me e te? – chiese lui dopo qualche secondo – E’ importante, Jean.”
La stretta di mano del biondo si fece più salda.
“Sono qui per questo.”
“Va bene, aspetta che prendo il cappotto… meglio parlarne fuori.”
Mentre andava in stanza a prendere l’indumento per proteggersi dal freddo, Heymans si asciugò una singola lacrima che gli colava dalla guancia. Ma al contrario di quelle disperate che aveva versato nemmeno un paio di ore prima, questa era di sincera gratitudine nei confronti del suo miglior amico. Era giusto renderlo partecipe di quanto stava succedendo.
Il passato del quale avrebbe ricevuto delle spiegazioni il prima possibile non poteva cancellare quello che si era venuto a creare nel presente: Jean sarebbe sempre rimasto al suo fianco.
Ed è un grandissimo punto di riferimento…
 
“Papà, posso guardare uno dei tuoi libri di ingegneria edile?” chiese Kain che gironzolava da qualche minuto nello studio del genitore.
“Va bene, ma in silenzio, Kain. Devo finire questi progetti.”
“Mi prendi uno di quelli in alto nella libreria? – supplicò il bambino – Non ci arrivo mai da solo.”
Andrew si avvicinò al mobile e distrattamente prese uno dei grandi volumi, passandolo poi al figlio che si sdraiò con soddisfazione sul tappeto iniziando a sfogliarlo. Non era la prima volta che Kain passava un pomeriggio in questo modo: Andrew sapeva che adorava guardare le figure e le piante di quelle costruzioni e riteneva che fosse abbastanza sveglio per iniziare ad intuire e capire anche le descrizioni complicate che le accompagnavano. Senza rendersene conto la sua mente andava ad assorbire ed assimilare dei metodi di studio e applicazione che probabilmente gli sarebbero stati utili in futuro se davvero sarebbe andato all’università.
E come potrebbe non andarci? – rifletté l’uomo, mentre ricontrollava alcune misure – Questo bambino riesce già ad assemblare una radio da solo. Anzi, forse è il caso che gli procuri qualche libro specifico per quella materia…
Già, incredibilmente Kain era un completo autodidatta… una bella differenza rispetto a fare piccole costruzioni con i rami di legno e porsi domande sulla statica, come faceva lui alla sua età.
Per qualche secondo Andrew tornò con la mente al passato, quando tutto quello che desiderava era che quel neonato sopravvivesse anche il giorno successivo: università, intelligenza, genialità… cose da niente in confronto al miracolo che regalava ogni ora di vita di quell’esserino minuscolo e fragile che a malapena riusciva a stringere la manina sul dito di Ellie.
… non ci sarebbero stati né Kain né Henry.
Le parole di Laura non potevano essere più vere e guardando suo figlio col dito sulla pagina a tenere il segno della spiegazione, mentre gli occhi scuri andavano a controllare il disegno accanto, Andrew si disse per la milionesima volta che non sarebbe potuta andare altrimenti.
Non poteva immaginare un altro figlio al di fuori di Kain.
“Papà?”
“Dimmi.”
“Hai studiato parecchio da questo libro: è tutto sottolineato e pieno di appunti. Si vede che questo signore che ha costruito tante cose ti piaceva parecchio.”
“Probabile.”
“Che buffa coincidenza – sorrise il bambino –  si chiama Heymans, proprio come il mio amico. Hai presente, no? Quello con i capelli rossi.”
La matita professionale dell’uomo si fermò in mezzo alla cifra che stava scrivendo. L’innocenza nella voce infantile era quasi surreale e per qualche secondo Andrew fu paralizzato dall’idea che il bambino con quell’osservazione avesse tirato fuori parte di quella verità che presto avrebbe dovuto raccontare al figlio di Laura.
Heymans può davvero spezzare questo cerchio di dolore, ne sono certo. Deve solo scoprire come.
“Si, Kain, che coincidenza, vero?” si costrinse a dire.
Ma la cifra che aveva scritto nel foglio aveva un tratto molto insicuro e tremante e dovette respirare profondamente alcune volte prima di cancellarla e riscriverla con il solito modo preciso ed accurato.

 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: Laylath