Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: pocketsizedtitan    12/02/2014    6 recensioni
Levi/Eren | Coffee Shop AU
Eren Jaeger lavora come barista nel caffé di sua madre, ed è uno specialista di Latte Art. E poi c'è Levi, che non è esattamente il cliente tipico perchè è brusco e rozzo (il che in realtà, secondo Eren, non è poi così diverso dal cliente tipico), ma che soprattutto non fa altro che confondere il tenero cuoricino di Eren.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Rivaille, Un po' tutti
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tutti! Qui la traduttrice! Un grazie a tutti per i preferiti/da ricordare/seguiti che state lasciando, e ovviamente anche per i commenti (anche solo per leggere la storia eheh)! Mi scuso tantissimo per stare aggiornando meno spesso ma non credo che da ora in poi riuscirò ad aggiornare più di una volta a settimana perchè i capitoli stanno diventando sempre più lunghi quindi ci metto molto più tempo a tradurli. In ogni caso aggiornerò sempre il prima possibile e comunque non meno di una volta a settimana! :) Buona lettura!
SULLA TRADUZIONE: Il Chai latte è una bevanda a base di latte e tè chai (un tè cinese).


The Little Titan Café
CAPITOLO 5: Schizzi

Benvenuti al Little Titan Café
Speciale di oggi: Armin

“Eren…”

Le sue mani guizzarono frettolose sulla pagina del suo quaderno degli schizzi. Più si piegava su di esso, più la grinza tra le sue sopracciglia era visibile.

“Eren.”

Un gemito strozzato e nervoso risuonò nella sua gola mentre strappava la pagina del quaderno, abbandonandola sul tavolo insieme agli altri disegni. Si grattò la testa con la matita, furioso, prima di portarne la punta di nuovo sul foglio e ricominciare da capo per – Armin contò le bozze che giacevano sul tavolo – l’undicesima volta.

“Eren.”

“Cosa?” sbottò il suddetto, con gli occhi ancora sul foglio, arrabbiati e indomabili perché non riusciva a raggiungere l’obiettivo che si era posto, per quante volte provasse. Quelle dita erano troppo lunghe, troppo corte, troppo qualcosa.

“Dovresti davvero stare a fare queste cose?” Armin prese gli schizzi uno a uno, ordinandoli in una pila accurata. Non capiva bene perché Eren non era contento. Ognuno di essi era un disegno di un paio di mani, e in nessuno Armin avrebbe potuto puntualizzare una qualche imperfezione. Le mani erano grezze e adombrate, alcune messe come se pronte a suonare un pianoforte, altre mantenevano una penna, altre avevano le dita intrecciate tra loro, altre ancora erano strette in un pugno; alcune mantenevano una tazza e altre avevano un dito puntato; erano belle sotto ogni prospettiva, affascinanti nella loro rude delicatezza. Ma Armin non era un artista e non vedeva le cose sotto lo stesso punto di vista di Eren, che, di tanto in tanto era impossessato da qualcosa – un’idea, un soggetto, una scena – e, come ora, si ossessionava a ridisegnarlo ripetutamente fino a quando non gli veniva come voleva, e anche in quel caso il risultato non era abbastanza.

“Cosa?” Eren chiese di nuovo, chiaramente senza neanche realizzare di stare parlando.

Armin prese un sorso del suo Chai Latte al cioccolato. Non c’era nessun modo di far riprendere Eren quando si impuntava con un tale fervore. Ma non avrebbe potuto scegliere un posto meno ‘pubblico’ per farsi prendere dalla smania di disegnare? Armin posò la tazza sul tavolo e provò di nuovo con una domanda diversa. “Davvero vuoi passare la tua serata libera a lavoro?”

“Eh?” Eren alzò il volto, confuso, incrociando lo sguardo indagatorio del suo migliore amico. Armin notò che i suoi occhi guizzarono al bancone del locale, speranzosi e nervosi nello stesso momento, prima di tornare al quaderno degli schizzi. “Qui va bene.”

Non c’era nessuno seduto al bancone. Sasha e Connie avevano il turno di chiusura, quindi non era una cosa sorprendente vederli scherzare dietro la cassa. Avevano trovato le decorazioni natalizie nel ripostiglio e al posto di metterle dove sarebbero dovute andare, avevano ben pensato di mettersele addosso e improvvisare una sfilata. “Lo sai che c’è una festa da Jean, vero?”

Eren rispose con un tono derisorio. “Non credo che si chiami festa quando nessuno si presenta.”

“Non ti senti bene o è successo qualcosa? Normalmente fai i salti di gioia all’occasione di andare ad una festa, anche se a casa di Jean.”

“Be', sì, ma qualche volta voglio solo rilassarmi.”

Per favore. Eren e rilassarsi di certo non erano parole che appartenevano alla stessa frase. Armin non voleva curiosare troppo, ma… “Okay. Dimmi chi è lui.”

Sapeva di aver toccato il tasto dolente perché le guance di Eren si colorirono istantaneamente dello stesso rosso del finto naso da renna che stava indossando Connie. “D-di che st-stai parlando?”

Questo era proprio quello che Armin temeva. Eren stava balbettando. Mikasa non sarebbe stata contenta quando l’avrebbe scoperto. “Dimmi di questo ragazzo di cui non riesci a smettere di disegnare le mani.”

“Sto solo disegnando delle mani, Armin.”

“Mani molto specifiche, con una specifica persona in mente.”

“Come diavolo faresti a capire una cosa del genere dai miei schizzi? Come fai a capire che non sono semplicemente ossessionato dalle mani in generale?”

“E’ quello che avevo dedotto all’inizio, ma se continui a fissare il bancone dove non sta seduto nessuno e fai quella faccia…”

“Non sto facendo nessuna faccia” Eren negò, un po’ troppo veementemente.

“Ora ti sei messo sulla difensiva.”

Eren corrugò le labbra, maledicendo Armin per la sua sgradevole intelligenza. Quello era Armin, dopotutto. Armin che si stava laureando in Ingegneria Nucleare, che al momento stava prendendo parte a un tirocinio in laboratorio – ora, Eren non ne sapeva molto, ma aveva capito bene quanto fosse difficile avere un posto in quel programma, perlomeno -, che risolveva tutto con la logica, la ragione e le deduzioni, e che, per farla semplice, era un maledetto genio a cui Eren non poteva nascondere nulla.

“So cosa stai pensando e, credimi, non c’è bisogno di essere un genio per capire cosa c’è che non va. Sei troppo trasparente.”

Eren si accigliò di fronte allo sguardo accusatorio di Armin. “Non cambia il fatto che tu sia intelligente.”

Armin spostò una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio. Eren non aveva notato fino a quel momento che il taglio di capelli di Armin era diventato sempre più lungo nel corso degli anni – ormai li aveva sempre legati in una coda. Normalmente li portava semplicemente di una certa lunghezza, ma Eren capì che era troppo preso dall’università per preoccuparsene. “Chi è questo cliente per cui stai ossessionando?”

“Non sono ossessionato da nessuno.” brontolò Eren, fissando imbronciato il suo ultimo schizzo. Iniziò a disegnare anche le braccia questa volta, le maniche arrotolate sui i gomiti, i gomiti piegati a 110 gradi, gli avambracci distesi – e a lui piacevano davvero tanto quegli avambracci -, la curva dei polsi – erano troppo piegati? – e le mani – bellissime mani -, e il modo in cui le dita si muovevano, il modo in cui mantenevano la tazza, stringevano con sicurezza la penna, il modo in cui erano pulite e grezze allo stesso momento e il fatto che non ci fosse nessuno anello alle dita, ma forse c’era comunque qualcuno e Eren non lo sapeva perché non sapeva un sacco di cose su di lui ma avrebbe voluto saperle, solo non aveva idea di come –

“Eren!”

“Sì?”

“Stavi sognando ad occhi aperti.”

“Ah.” Eren si rabbuiò, cercando di capire quando si era perso nei suoi pensieri. Stava ancora guardando il suo schizzo di braccia-mani-dita, un disegno non specifico, né di una persona specifica, ma che era in realtà l’immagine nella sua testa di un certo cliente dall’aria indifferente a cui piaceva prenderlo in giro e guardarlo con quegli occhi che – dannazione, lo stava facendo di nuovo. Eren chiuse il quaderno degli schizzi, sbattendolo sul tavolo. “Forse dovrei venire alla festa. Ho bisogno di bere.”

Ma invece, per Gesù Cristo, o per Dio o per qualsiasi altra divinità che avesse deciso di farlo arrabbiare in quel momento, la porta del locale si aprì, seguita dal rintoccare del campanello e da una ventata di fredda aria invernale. E improvvisamente il caffè era troppo piccolo e troppo grande nello stesso momento, perché l’oggetto delle ossessioni di Eren era fermo in piedi all’entrata, la testa abbassata mentre premeva qualche tasto sul suo telefono. Armin iniziò ad alzarsi per andarsene, ma Eren lo fermò, afferrando il suo polso e facendolo sedere di nuovo, mentre cercava di rendersi invisibile.

Cazzocazzocazzocazzo.

Aspetta. Per quale motivo stava andando in panico? Come se non potesse stare nel posto dove lavorava a gustare una tazza di caffè, perché poteva, no? Aveva lo stesso diritto di essere lì che aveva Levi. Non c’era niente di strano a proposito. Okay, questa era una balla. Adesso era definitivamente un momento bizzarro perché gli unici momenti durante i quali Eren aveva interagito con Levi erano mentre stava lavorando ed era più facile in quella situazione. Mentre lavorava, era normale parlare con lui: era il suo lavoro intrattenere i clienti, per assicurarsi che avessero un’esperienza piacevole – come se a lui importasse di ciò, ma lasciamo stare. Mentre Levi si dirigeva al suo solito posto, Eren si chiese se sarebbero riusciti ad uscire silenziosamente dal negozio senza che Levi se ne accorgesse.

“Eren! Armin!”

Dannazione. Dannazione. Dannazione. Magari Levi era distratto. Magari avrebbe pensato che era un altro Eren quello di cui si stava parlando. Magari – no, Levi aveva alzato la testa e guardato Sasha e Connie che indossavano delle corna da renna mentre cercavano di attirare l’attenzione di Eren e Armin. Se fosse confuso o no, non si sarebbe potuto dire, dal momento che non si trovava dietro al bancone come di solito.

“Che ne dici, Eren?” Chiese Sasha, in posa con una mano sul fianco.

Eren cercò di sprofondare di più nella sua sedia, e ci riuscì. Sfortunatamente era anche rimasto immobilizzato quando Levi aveva guardato dietro le sue spalle, individuandolo.

“Non dovresti essere a lavoro?” Eren sbottò.

“Non dovresti esserci tu?” Chiese Levi.

“Oggi è il mio giorno libero.”

“E lo passi a lavoro?”

Eren si rilassò, ricomponendosi. Nello stesso momento Armin cercava di essere discreto, fallendo, mentre si girava per guardare l’oggetto delle ossessioni di Eren. “Volevo del caffè, e, come figlio della proprietaria, ho uno sconto.”

“Tutti i dipendenti hanno uno sconto.” Precisò Connie.

Mentre Levi si sedeva al bancone e Connie e Sasha prendevano la sua ordinazione, Armin si sporse sul tavolo e sussurrò: “E’ lui?”

“Cosa intendi dire?” Chiese Eren, offeso perché il suo tono faceva sembrare Levi una malattia ambulante, e se lui era una malattia di certo era la più affascinante malattia sulla faccia della terra.

“Non è… grande?”

“Non è così grande…” Eren biascicò con incertezza.

“Non sai nemmeno quanti anni ha?” Armin sospirò.

Eren sapeva dove la discussione sarebbe andata a parare, lo poteva leggere sulla faccia di Armin, e perciò, prima che ci arrivasse, lo interruppe: “E’ solo una cotta, ok? Non se ne farà nulla.”

Preoccupazione, era ciò che vi era ora dipinto sullo sguardo di Armin. Preoccupazione e nervosismo per il suo amico che non si innamorava mai e che, improvvisamente, aveva sviluppato un’infatuazione – ossessione, cotta, come la si vuole chiamare – per un uomo più grande di lui; il suo amico Eren, i cui sentimenti a volte straripavano e lo sopraffacevano perché lui non sapeva come contenerli. Poteva solo sperare che sarebbero rimasti sul quel livello: una cotta, un interesse fuggevole. “Va bene. Stiamo ancora andando alla festa?”

Eren lanciò un’occhiata furtiva alla schiena di Levi. “Credo che resterò qui. Tu puoi andare.”

“Eren…”

“Smettila di fare quella faccia, voglio finire di disegnare.”

Armin dovette mordersi la lingua per non precisare ad Eren che era prontissimo a venire alla festa prima che arrivasse quell’uomo, ma poi aveva cambiato idea. Se c’era una cosa che sapeva, essendo un amico di infanzia di Eren, era quanto fosse testardo. “Va bene. Ci vediamo domani.”

Non appena Armin uscì, Eren lasciò cadere la sua testa sul tavolo, battendocela contro un paio di volte, anche se piano. Sarebbe dovuto semplicemente andare. Quando era stata l’ultima volta che era andato a una festa? Uno, due mesi fa? Aveva lavorato così tanto da non preoccuparsi della sua vita sociale, ed eccolo ora, a passare la sua serata libera al caffè. La sua priorità era di seguire la retta via, ma, tecnicamente, era andato fuori rotta, tra curve e biforcazioni, per arrivare in un territorio dove finiva per innamorarsi di uomini. E, in realtà, non c’era mai stato un momento della sua vita in cui era stato eterosessuale.

Un’altra pressante priorità, quella di capire perché qualcosa fosse stata buttata sul suo tavolo, gli fece alzare gli occhi per vedere una borsa familiare. Le gambe di una sedia raschiarono contro il parquet, mentre questa veniva spostata e una persona molto familiare occupava il posto che Armin aveva lasciato deserto. Eren sbattè gli occhi.

“Non posso sopportare di stare vicino ai tuoi colleghi.” Si spiegò Levi. La sua espressione era quasi comica – un qualcosa tra incredulità e orrore –, non che Eren potesse biasimarlo. Prima che potesse rispondergli, lo sguardo di Levi si posò sulla pila di schizzi. “Disegni?”

“Eh? Ah...” Eren si alzò e li tolse velocemente dalla sua vista, inserendo i fogli nel suo quaderno degli schizzi, mentre l’imbarazzo colorava le sue guance. “No. Cioè… sì.”

“Non male.” Disse Levi.

Normalmente quando le persone si complimentavano per i suoi disegni, tendevano a tessere le sue lodi a gran voce. Qualche volta i loro complimenti lo facevano sentire orgoglioso, lo mettevano di buon umore, ma non gli facevano saltare il cuore fuori dal petto come quelle due semplici parole. Scrollò le spalle nel tentativo di sembrare calmo e impassibile. “Grazie, credo…”

Eren fu sorpreso dal fatto che Levi non cacciò il suo portatile dalla borsa, ma un libro. Era scritto in francese quindi Eren non riusciva a comprendere il titolo. Comunque decise di non infastidire Levi con domande sul motivo per il quale aveva un libro in francese, perché voleva continuare a disegnare, dal momento che le sue frustrazioni sembravano essere scomparse improvvisamente e il suo stomaco liberato da un peso.

Passarono quindi il resto della serata così, consci solo del rumore di pagine voltate e di una matita che scribacchiava.

  
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