APRI
IL CUORE ALL’AMORE
A volte l’orgoglio
ci impedisce di affrontare delle situazioni, di abbassarci a chiedere
perdono per qualcosa che troppo tardi ci siamo accorti di aver
sbagliato. A volte esso può rovinarci l’esistenza,
facendoci
rimpiangere fino all’ultimo giorno della nostra vita, le
scelte
fatte o quelle non fatte.
Ma la vita, il destino, ci riserva
sempre delle piccole sorprese.
Un giorno senza accorgercene,
qualcosa o qualcuno, viene in nostro soccorso aprendoci gli occhi ed
aiutandoci a sconfiggere la barriera, a volte troppo spessa,
dell’orgoglio. A volte basta
anche solo una canzone per
sconfiggere tale barriera ed essere felici.
Era
iniziato tutto per una stupida litigata.
Sembrava una litigata
come tutte le altre, invece si era trasformata in qualcosa di
disastroso. Lo avevo capito dai suoi occhi colmi di lacrime appena
avevo pronunciato quelle stupide parole “ sei solo
una stupida
ragazzina insignificante”.
Si era rotto qualcosa tra noi
due, qualcosa a cui non riuscivo ancora a dare nemmeno un nome.
Mi
ero pentito all’istante di aver pronunciato quella frase, a
volte,
anzi molto spesso, non rifletto prima di pensare, e queste sono le
conseguenze.
Nami a quelle parole si era ammutolita di colpo, non
ribattendo come suo solito, ed io per un breve istante ero felice di
aver vinto, per la prima volta, un nostro battibecco. Di solito,
quella mocciosa, riusciva ad avere sempre l’ultima parola e
ne
andava molto fiera, ma questa volta no, se ne era andata nella sua
cabina saltando anche il pranzo, ne era uscita solo nel tardo
pomeriggio quando il suo incarico da navigatrice di bordo la
obbligava a darci le giuste indicazioni per sbarcare al meglio sulla
nuova isola.
Ho sempre avuto la capacità di capire con un solo
sguardo lo stato d’animo delle persone, con lei mi risultava
anche
abbastanza facile. Mentre buttavo l’ancora in mare incrociai
il suo
sguardo vacuo e sentii subito una morsa al cuore. Sapevo di aver
sbagliato, di doverle chiedere scusa, ma il mio maledetto orgoglio me
lo impediva. Mai dalla mia bocca sarebbero uscite le parole “scusa”
o “ mi dispiace” ero stato
educato così, non si era mai
visto un samurai chiedere scusa e di certo io non sarei stato il
primo.
Dopo cena il capitano decise di andare a fare un giro
sulla nuova isola promettendo di non combinare casini, anche se
nessuno in realtà gli credeva.
Così ci avviammo tutti per la
stradina sterrata del paese. Quel luogo sembrava molto tranquillo,
c’erano bambini che correvano per le vie del villaggio con in
mano
dei bastoncini con lo zucchero filato di ogni colore immaginabile,
cosa che fece letteralmente impazzire di gioia il capitano e il
piccolo medico che si fermarono alla piccola bancarella circa
un’ora
buona, svaligiandola di ogni golosità.
Mentre continuavamo a
percorrere le vie poco affollate del villaggio, i nostri compagni,
molto discretamente, continuavano a fissare prima me e poi Nami. La
cosa mi dava letteralmente sui nervi, sentivo perfettamente le loro
voci bisbigliare alle nostre spalle, facendomi pulsare freneticamente
una vena sulla fronte.
-Ma cos’è successo a Nami?- chiese
il piccolo medico affondando il nasino blu nello zucchero filato,
aggrottando le sopracciglia preoccupato per la nakama.
-Credo
che abbia litigato di nuovo con Zoro- disse Usop, il solito
ficcanaso.
-Quei due non fanno altro che discutere dalla
mattina alla sera, tutti i giorni, ma cosa gli succede?- intervenne
il cyborg.
-Io voglio che facciano pace- sussurrò la piccola
renna con gli occhioni tristi.
-Tranquillo piccolo medico, ho
l’impressione che presto uno di loro due farà il
primo passo per
riappacificarsi- disse Robin accarezzando il capo del medico e
puntando il suo sguardo indagatore su di me. Odiavo quando faceva
quello sguardo, sembrava che sapesse sempre tutto, come una
sottospecie di indovina, ma chissà se aveva anche capito
ciò che il
capitano provava per lei, credo che almeno questo le sfuggisse.
Dopo
alcuni metri Rufy si mise a correre come un matto verso
l’insegna
di un locale che proponeva buona musica dal vivo e soprattutto, uno
speciale menù di carne. A me non importava molto della
musica o del
cibo, l’essenziale era che possedessero una buona scorta di
alcolici per scacciare questo stupido senso di colpa che mi
attanagliava l’animo da dopo la litigata.
Entrammo così nel
locale chiamato “Dreamer”.
L’ambiente era molto accogliente:
il locale aveva uno stile molto rustico con pareti rivestite da
pregiate assi di legno scuro alternate a lastre di pietre, ma
risultava allo stesso tempo elegante con un’atmosfera molto
piacevole grazie alle luci soffuse che rendevano il tutto un
po’
“magico”.
Rufy senza preamboli si catapultò all’unico
tavolo libero davanti al palco, e subito due camerieri si
apprestarono ad apparecchiare e a portarci da bere, quel posto
già
mi piaceva!
Nami e Robin erano rimaste un po’ indietro rispetto
a noi, parlottando tra di loro. Appena giunsero al tavolo gli unici
posti liberi erano uno accanto a me ed uno accanto a quella fogna di
Rufy. Robin con un sorrisino in volto si accomodò accanto a
Rufy,
lasciando a Nami il posto vicino al mio. La rossa contemplò
la sedia
per qualche secondo e poi, con una smorfia di irritazione, si
sedette.
Osservai la mocciosa per qualche istante, senza farmi
scoprire. Teneva la testa bassa e stringeva nervosamente il labbro
inferiore tra i denti, come se si stesse trattenendo da fare o dire
qualcosa.
Più la osservavo e più capivo che quella piccola
testa rossa stava soffrendo, ma perché? Perché se
l’era presa
tanto questa volta? E perché io mi sentivo così
male a vederla in
quello stato?
Arrivarono cibo e alcool a volontà e, come se
non bevessi da giorni, mi avventai sul boccale di birra che la
cameriera mi aveva appena appoggiato davanti.
La freschezza della
bibita dorata sembrò risanarmi l’animo, ma questa
sensazione durò
solo qualche breve secondo prima che lo sguardo triste della
navigatrice fece capolino, di nuovo, nella mia mente.
Con un
rumore secco al microfono, il cantante annunciò
l’inizio della
prima canzone.
Spostai il mio sguardo svogliato verso il ragazzo
dai capelli neri raccolti in un’alta cresta e il corpo
segnato da
una miriade di tatuaggi che si intravedevano dalla maglietta nera che
indossava. Il giovane era seduto su uno sgabello al centro del palco,
sulla gamba destra teneva appoggiata una chitarra acustica. Con
agilità fece scivolare la mano sinistra verso il manico per
poi
allungare le dita verso la tastiera e sistemarle su un primo accordo,
seguito rapidamente da un altro ed un altro ancora.
La calda e
profonda voce del ragazzo iniziò a risuonare in tutto il
locale,
seguito dal coro di due ragazze affianco a lui.
Tutti i clienti
del locale ammutolirono, alcuni intenti ad ascoltare la canzone, ed
altri, come il mio capitano e il cecchino, a mangiare senza
sosta.
Osservai per qualche secondo quel pozzo senza fine di Rufy,
chiedendomi per quanto avrebbe ancora mangiato, ma conoscendolo
sarebbe andato avanti anche per tutta la sera. Sorrisi vedendo
l’archeologa pulire dolcemente il viso pieno di sugo del
capitano,
per poi posare di nuovo il mio sguardo su di lei, su Nami.
I
nostri occhi si incontrarono per una frazione di secondo prima che
lei distogliesse lo sguardo di colpo e, i miei sensi di colpa
ritornarono prepotenti ad attanagliarmi le viscere.
E’ da
tanto che ti osservo
e non so il perché,
il mio sguardo ricade
sempre su di te.
Le tue labbra, i tuoi occhi, ogni parte di te, è
una droga per me.
Le parole di quella canzone mi
arrivarono come un richiamo. Il mio occhio scuro si
concentrò per la
seconda volta su quel ragazzo, ma soprattutto su quelle parole che
sentivo così vicine.
Litighiamo, litighiamo, senza un
perché.
Ho un sussulto a quella frase. Com’è
possibile, sembra che quel ragazzino stia parlando della mia
situazione con la mocciosa, ma questo è impossibile. Eppure,
ultimamente non facciamo altro che litigare e in realtà non
abbiamo
mai un vero e proprio motivo scatenante.
L’amicizia
tra di noi sta diventando un ostacolo, ma perché?
Tu mi guardi,
io ti guardo, vorrei dirti mille cose, ma sai che non lo
farò.
Non
so cosa mi stia succedendo, mi sento strano.
Non è rabbia, non è
dolore, e allora che cos’è?
Sarà amore?
Il mio
occhio si spalanca, come se mi fossi reso conto solo ora di una
verità che ho sempre saputo dentro di me.
Le parole di questa
canzone mi fanno pensare, per la prima volta, al rapporto che ho con
Nami.
Non so se possiamo considerarci veramente amici, sento che
tra di noi c’è qualcosa di diverso
dall’amicizia, ma non posso
credere che sia… No!
Eppure, guardandola, mi sento strano, i
battiti del cuore accelerano e la voglia di starle accanto sale come
la voglia di assaporare le sue labbra…
Sono uno stupido, uno
stupido buzzurro senza cervello, come mi chiama lei. Non ho mai
capito, non ho mai realizzato che in realtà sono innamorato,
sono
innamorato di lei.
Non capisco come ho fatto a non
comprenderlo prima.
Le litigate erano solo un modo masochista per
starti vicino, adesso lo so,
ti amo dal primo giorno che ti ho
incontrata…
Mi giro, ti guardo.
I tuoi occhi piangono
e questo è una vera tortura per me.
Il cantante
si gira verso una delle coriste, una ragazza bionda con una treccia
che le ricade morbida sulla spalla destra.
Le sorride e lei
ricambia arrossendo, che loro due… che la canzone in
realtà fosse
la storia del loro amore?
Mi giro per l’ennesima volta verso
Nami, chissà se anche lei ha letto tra le righe di quella
canzone,
trovandoci qualcosa di reale e personale. Non credo. Sta fissando con
aria rabbiosa l’altra corista, una mora con un fisico molto
prosperoso. Spostò lo sguardo da lei alla cantante e la vedo
fissarmi e ammiccare, distolgo lo sguardo e vedo Nami stringere i
pugni collerica. Sorrido a quella scena, che la mocciosa sia gelosa?
Non ne ha motivo, quella corista non a chance contro la sua
bellezza.
Con un ben calcolato assolo di chitarra il cantante si
gira di nuovo verso il pubblico, cantando le parole che mi servono da
spinta per abbattere l’orgoglio e farmi avanti.
Ma
adesso ho capito,
adesso lo so,
ti amo e rimedierò.
Sì,
devo rimediare. Non posso più restare qui ad aspettare, a
far finta
di niente, di non provare niente.
Mi alzo con uno scatto lasciando
i miei compagni, e qualche cliente, un po’ perplessi, ma non
mi
interessa, io ho occhi solo per lei.
Mi paro davanti a Nami e lei
mi guarda rabbiosa.
-Levati idiota!- mi ringhia contro.
-Devo
parlarti, subito!- dico convinto sempre più di
ciò che sto per dire
e, per fare.
Vedo la sua aria sbigottita ed alterata allo
stesso tempo. Robin dal canto suo cerca, in silenzio, di dare un
suggerimento alla compagna, spingendola lievemente dalle spalle per
alzarsi.
Nami anche se ancora poco convinta, si alza guardandomi
in cagnesco.
D’istinto la prendo per la mano e la conduco fuori
dal locale.
Ora siamo solo io e lei. Ci siamo lasciati alle spalle
tutto e tutti, la musica, i nostri compagni, siamo soli.
I suoi
dolci occhi caramello mi guardano speranzosi, che abbia intuito
qualcosa? Di certo è sempre stata più sveglia di
me.
-Allora
cosa vuoi buzzurro?- mi chiede, non ritirando la mano ancora
prigioniera della mia stretta.
Con il pollice le accarezzo il
palmo della sua piccola mano e, inizio a parlare –Scusa,
scusa per
prima, per quelle parole!-
Chi l’ha mai detto che un samurai
non può scusarsi, e se così fosse allora io
sarò il primo, perché
di certo non voglio perderla per colpa del mio orgoglio. Certamente
questa sarà la prima e ultima volta che le dirò
queste parole, ma
lei sa quanto sia difficile per me.
Leggo lo stupore nei suoi
occhi, non se lo aspettava.
-tu non sei insignificante, anzi
significhi molto per me…- dico sentendo
l’imbarazzo crescere
dentro di me.
-Buzzurro…- dice con tono dolce.
Le sue
labbra si aprono in un fantastico sorriso e i suoi occhi splendono
come il sole nel cielo di mezzogiorno.
Non sono bravo con le
parole, vorrei dirle tante cose, e forse un giorno lo farò,
ma per
adesso preferisco agire, d’altronde è quello che
so fare
meglio.
Avvolgo la sua vita con un braccio e l’attiro verso di
me. La vedo arrossire leggermente e sorrido prima che le mie labbra
si poggino sulle sue, morbide e carnose.
Il bacio è dolce,
profondo e pian piano si fa sempre più passionale.
Nami inserisce
le sue affusolate dita nei miei capelli, stringendoli appena, ed
avvicinandosi così di più al mio viso.
Non so come descrivere
questo momento. Mi sento in pace, in pace come non mai. Sento di aver
realizzato un sogno che ho sempre custodito nel cuore senza saperlo.
Adesso il senso di colpa è come sparito, dileguato, ha
lasciato il
posto ad una sensazione di pace, di amore.
Un cliente
un po’ alticcio esce dal locale barcollando, lasciando per
qualche
istante la porta del locale semi aperta. La musica per un breve
istante ci avvolge, con le ultime parole di quella canzone che mi ha
aperto il cuore.
Ti amerò sempre, ti proteggerò
sempre,
sei l’unica per me, amore mio.
ANGOLO
AUTRICE:
Se vi state chiedendo cos’è questa roba qua sopra,
bè vi rispondo subito, è una schifezza di shot!
Come alcuni di voi
sapranno non sono affatto brava a scrivere one shot, e si
può capire
da quei due schifii pubblicati tempo or sono! Lo so, avevo detto che
non ne avrei più scritta una, e soprattutto una song fic, ma
io
stessa mi contraddico sempre quindi, abbiate pazienza!
Che dire
non so se definirla una song fic perché in realtà
la canzone
all’interno non è una canzone famosa, ma uno
obrobrio uscito dal
mio cervellino!
Spero che Zoro non risulti troppo Ooc fatemi
sapere il vostro giudizio così da cambiare, in caso,
l’avvertimento
nella pagina iniziale.
Bè questa è comunque il mio tentativo per
augurare un buon Zonami day a tutte le Zonamiste! Spero che il
tentativo vi sia piaciuto almeno un pochino!
Fatemi sapere cosa ne
pensate se vi va!
Un bacione Kiko