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Autore: hanaemi_    14/02/2014    1 recensioni
[Crossover: Hetalia x Supernatural
Personaggi: Dean Winchester (2° stagione) / Elizaveta Héderváry]
N.B. Non intendo modificare la storia originale, ma hey, talvolta "crossover è bello"!
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dean Winchester, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
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A Dean, però, la faccenda del ginecologo non era andata giù. Quella notte non fece altro che pensarci, riuscendo ad addormentarsi solo verso le tre di notte. Perché aveva avuto un bisogno così urgente di una visita, Eliza? Cosa le era accaduto? Più si lambiccava il cervello, più gli sfuggiva il vero motivo. Alla fine preferì rinchiudere quei pensieri in un angolo della mente e sdraiarsi sul materasso, osservando la figura piccola e slanciata della ragazza raggomitolata nell’altro letto, per poi chiudere gli occhi e crollare in un sonno profondo. Il giorno dopo, di buon mattino, Dean si alzò e andò a comprare un caffè lungo per sé e un cappuccino per Eliza. Poi glielo lasciò sul tavolo della stanza del motel assieme a un post-it, dove le spiegava che era andato in biblioteca alla ricerca di altre informazioni riguardo il demone che stava mietendo vittime in città. In questo modo aveva la copertura assicurata e la ragazza non avrebbe sospettato di nulla. Prese la Chevrolet e guidò fino al Mainland Medical Center, parcheggiando nello stesso posto in cui si era fermato il giorno precedente. Perché era di nuovo lì? Perché voleva sapere cosa c’era davvero sotto, ovvio! E lui, da testadura qual era, non si era accontentato del breve e lapidario “Tutto bene” della ragazza. Da un ginecologo ci si va solo quando c’è davvero qualcosa che non quadra, non lo si va a trovare per ogni minima cosa. Sospirò, spegnendo il motore e infilandosi le chiavi nella tasca del giubbotto di pelle, per poi scendere dalla vettura e dirigersi alla reception dell’ospedale.
“Buongiorno, sono il dottor Henry Carter, sono appena stato trasferito nel reparto ginecologia.” disse con nonchalance, mostrando il cartellino medico. L’infermiera al banco annuì e gli indicò un corridoio sulla destra.

“Prosegua sempre dritto e poi prenda la seconda a sinistra.”
“Grazie.”
 biascicò Dean con un cenno del capo, avviandosi verso il suddetto corridoio.
 
Alla fine riuscì a raggiungere il reparto e quasi subito localizzò l’ambulatorio visite: nessuno era nei paraggi. Vi si infilò dentro di soppiatto, sperando che non arrivasse qualcuno all’improvviso, e si chiuse dentro a chiave, in modo da stare più sicuro. Si sedette dietro la scrivania e cominciò a frugare in ogni cassetto: matite, fogli, ricette varie…nulla di ciò che cercava. Ma poi, sotto un fascio di fogli, ecco comparire la cartella con su scritto in stampatello minuscolo “Sophie Thompson”. Il ragazzo sospirò di sollievo, felice di non dover mettere sottosopra altrove per trovare quel file. Lo posò dinanzi a sé e sollevò la copertina, prendendo il referto medico al suo interno. Lesse velocemente il contenuto, restando spiazzato: gravidanza, aborto, quarta settimana….Si morse il labbro inferiore, scrollando la testa, e sbatté il fascio di carte sul tavolo, rinfilando il tutto all’interno della scheda e mettendola nuovamente al suo posto. Poi si alzò e a passo di marcia uscì dal centro medico, ritornando alla macchina. E qui, una volta chiusosi dentro, rimase a riflettere, braccia incrociate sopra il volante e sguardo perso nel vuoto. Non avrebbe dovuto farlo, non avrebbe dovuto approfittarsi di lei, quella sera. Ma lei era tanto bella, e quella sera erano tanto soli entrambi…Scosse il capo, sospirando, e mise in moto, facendo retromarcia e uscendo dal parcheggio: ora ci sarebbe stata la resa dei conti.

Tornando verso casa, Dean ripensò a quando si conobbero: mai aveva visto una donna così forte e coraggiosa da andare in giro a combattere demoni e spettri da sola, l’unica persona che viaggiava senza nessuno, almeno a conoscenza del ragazzo, era suo padre, John Winchester. E all’inizio l’aveva pure mal sopportata! Si lamentava della musica che ascoltava, del suo modo di guidare, ogni cosa era un pretesto per litigare. Alla fine, però, erano riusciti a trovare un’intesa: entrambi adoravano i Queen, passione comune scoperta per puro caso, durante uno di quegli interminabili viaggi notturni per giungere da un capo all’altro del Paese.

“Mama, just kill the man…”
“Bohemian rhapsody?”


“Non dirmi che la conosci-!”
“Ragazzo mio, io sono una fan sfegatata dei Queen.”

“Oh, almeno in qualcosa siamo uguali, evviva!”
rispose lui con sarcasmo, inclinando il capo all’indietro e lasciandosi andare a una leggera risata e sistemandosi meglio sul sedile passeggero, mentre la giovane gli lanciò una fugace occhiata bieca per poi riportare lo sguardo a guardare la strada dinanzi a sé.
 
Un piccolo sorriso malinconico fece capolino sulle labbra di Dean, frattanto che si passava una mano tra i capelli. Quella stessa notte rimasero fermi nel bel mezzo del nulla causa gomme bucate da delle pietre appuntite e furono costretti a dormire in macchina, dato che avrebbero potuto cercare soccorsi solo il mattino successivo.
 
“Dean, ti fa ancora male la ferita sulla guancia?”
“Naah. E poi, ha il suo fascino. Ho sentito dire che a voi donne piacciono gli uomini vissuti, con cicatrici. O sbaglio?”

Eliza scosse la testa, andando a carezzargli la gota con una mano, delicatamente, quasi fosse un soffio di vento il suo tocco. Il giovane socchiuse gli occhi, un sorriso appena accennato.
“Sei uno sciocco, avresti potuto rimetterci metà viso col tuo comportamento da eroe, sai?”
Le afferrò il polso della mano e riaprì gli occhi di scatto, fissandoli in quelli di lei.
“Lo rifarei ancora, se servisse a salvarti.” sussurrò, attirandola con un brusco strattone a sé e baciandole le labbra con inaspettata delicatezza, mentre con l’altro braccio si allungava a cingerle i fianchi, carezzandoglieli piano. La fanciulla rimase sorpresa da quel gesto tanto bello quanto inatteso, ma non si tirò indietro, anzi: chiuse gli occhi, intenzionata a godersi ogni attimo di quel bacio. E alla fine, un po’ per l’atmosfera creatasi, un po’ perché entrambi lo volevano, finirono per fare sesso. O forse era amore? Sì, forse era amore, decisamente. Anche se non si dissero esplicitamente ciò che pensavano in mente, il loro corpo, i loro sguardi, tutto di loro comunicava il forte sentimento che nutrivano l’un l’altro: e non era solo semplice affetto. Ecco perché, quella stessa sera, Dean, per celare la verità a lei e, soprattutto, a se stesso, le disse che non erano adatti per formare una coppia di fidanzati e che non voleva affezionarsi a lei, per evitare di perdere una valida compagna di battaglia. Era la contraddizione in persona, insomma. E dunque quella stessa sera doveva averla messa incinta, pensò. Eppure il giorno seguente avevano raggiunto una cittadina dove la ragazza aveva comprato la pillola del giorno dopo…

Posteggiò l’auto dinanzi al motel e scese, stiracchiandosi. Dopodiché prese un bel respiro e si avviò verso la loro camera, pensando a come arrivare all’argomento: solitamente era un tipo diretto, sbatteva le cose in faccia alle persone senza troppi complimenti. Ma ora…aveva paura di essere troppo duro, ecco. Era un tema delicato, non c’era da scherzare. Bussò alla porta e dopo qualche minuto la giovane gli aprì, capo inclinato di lato e mani sui fianchi.

“Complimenti, sei sparito dalla circolazione! Ho letto il post-it e ho provato a chiamarti e a mandarti sms, ma sembra che tu ti sia isolato.”

“Ero in biblioteca e avevo spento il cellulare, non prendertela. Mi attengo alle regole, io.”


Stava mentendo. Aveva letto ogni messaggio e sentito ogni squillo del telefonino, ma non aveva voluto rispondere. Non avrebbe saputo rispondere subito dopo aver appreso quella notizia, per questo aveva preferito evitare di parlarle.

Eliza scrollò la testa, lasciandosi scappare una risatina mentre tornava a sedersi al tavolo al centro della stanza. Il portatile era aperto su varie pagine di Google e Wikipedia, e al suo fianco campeggiavano il bicchiere di cappuccino ormai vuoto e alcuni fogli con sopra appuntate delle frasi.

“Mentre tu facevi il secchione in biblioteca, io e il pc abbiamo scoperto tante cose interessanti!” ammise la ragazza, raccogliendo le carte e porgendogliele, con fare soddisfatto. Dean diede loro una rapida scorsa, annuendo di tanto in tanto, per poi ridargliele e andare alla finestra. La ragazza lo fissò per qualche secondo, un punto interrogativo stampato sul viso. Si spostò una ciocca dal viso e si alzò, dirigendosi verso di lui.
 
“Dean…qualcosa non va?”
“Liz, perché non mi hai detto che aspettavi un figlio da me.”
disse semplicemente, senza neanche guardarla. Non voleva essere indelicato? Missione fallita miseramente.
La fanciulla incrociò le braccia, guardando la sporca moquette verde sul pavimento.
“Perché non ti fidi mai di me? Te l’avrei detto, al momento giusto.”
“No, conoscendoti non mi avresti mai raccontato nulla.”
“Ma ormai lavoriamo insieme da un anno e mezzo! E poi, perché sei voluto andare a controllare di persona? Non ti bastava domandare alla sottoscritta?”

Si voltò verso di lei, sguardo serio se non quasi arrabbiato.
“No. E anche se ti avessi domandato cosa non andava, tu avresti risposto che stavi bene e non c’erano problemi. So che sono un uomo e non è facile per te confidarti con me, lo capisco, ma diamine!”
“Vorresti dire che, nel caso non avessi avuto l’aborto spontaneo e te l’avessi detto, tu saresti stato felice? Sii sincero, Dean. Guarda in faccia alla realtà. Tu mi avresti detto qualcosa tipo “Questo bambino non puoi tenerlo, è troppo pericoloso, viaggiando con noi rischia grosso, e bla bla bla.” Come se non ti conoscessi.”
ribatté tagliente lei, gli occhi ridotti a due fessure. Il ragazzo sospirò pesantemente, trattenendo un leggero ringhio e chiudendo gli occhi per un secondo. Aveva ragione, dopotutto.

“Io pensavo di parlartene oggi, quando saresti tornato dalla “biblioteca”. Ma vedo che sai tutto. Sì, ho perso nostro figlio, sei contento? Perché io no, non lo sono, e mi sento terribilmente in colpa.” bisbigliò, con la voce rotta dal pianto.
Ecco, ora sì che non sapeva come comportarsi. Non l’aveva mai vista piangere, o almeno, Eliza non era mai crollata di fronte a lui. Si grattò la nuca, poi, un po’ incerto, le si avvicinò e la strinse a sé, facendole posare il capo sul suo petto e lasciandola sfogarsi sulla sua camicia, mentre le carezzava lentamente i capelli castani. Quando la sentì rasserenarsi, la prese per le spalle e la distaccò di qualche centimetro dal suo corpo, in modo da poterla guardare in viso e dirle:

“Eliza,  l’hai detto tu stessa, lo sappiamo entrambi: un bambino sarebbe un problema enorme. Innanzitutto tu non potresti continuare ad essere cacciatrice, altrimenti avresti complicazioni. Poi, quando nascerebbe, a chi dovremmo lasciarlo? Dovremmo portarcelo dietro, rischiando ogni giorno di vederlo morire sotto i nostri occhi, per colpa di qualche figlio di puttana che vuole ricattarci?”


Negò col capo, dandole una carezza sul morbido viso.

“Non possiamo, Eliza. Non possiamo essere una famiglia. Anche a me…anche a me, alle volte, piacerebbe vivere una vita normale. Sposarmi, avere dei bambini, possedere una casa in una cittadina tranquilla…Mi piacerebbe, sì. Ma il male alberga ovunque, ed è mio compito andarne alla ricerca ed eliminarlo. Questa è la maledizione dei Winchester, purtroppo, non avere un posto stabile in cui tornare.” concluse, passandosi una mano sugli occhi, illuminatisi, mentre parlava, di una luce a metà tra il rammarico e l’amarezza.

La giovane sospirò e tirò su col naso, per poi annuire e distaccarsi dalla sua presa. Dopodiché si voltò e fece per andare nell’altra stanza, ma la voce di Dean la fermò.


“Eliza…mi dispiace.”
   
 
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