Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
Segui la storia  |       
Autore: Japan_to_Peru    16/02/2014    7 recensioni
“Baciami!” gridò, avvicinandosi in fretta a me. “Vuoi farlo ingelosire o no?” tentò di convincermi.
Justin era lì, davanti a me, stava ballando con un'altra ragazza, ma continuava a fissarmi. In effetti, Ev aveva ragione, dovevo trovare un modo per mandarlo fuori di testa, non potevo continuare a soffrire per colpa sua, era il momento di fargli capire che la mia presenza non era scontata, non lo avrei aspettato per sempre.
“Ma lui sa che sei sposato!” strillai. Ero piena di dubbi, non ci riuscivo, non riuscivo a fargli del male.
“Non rompere, Jude.” Sbraitò Ev, appoggiando la sua mano sulla mia schiena ed appressandomi a lui. Stampò le sue labbra sulle mie e cominciò ad accarezzarmi il dorso.
Justin spalancò gli occhi e smise di ballare, il suo viso aveva acquisito un tono di tristezza, sembrava quasi che il mondo gli fosse caduto addosso. Cominciò a camminare verso di noi.
Evan avvicinò le sue labbra al mio collo e, fingendo di baciarlo, chiese “Che sta facendo?”
“Sta venendo qui.” Ribattei. Sicuramente mi avrebbe offesa, mi avrebbe odiata.
“Allora questa volta dobbiamo usare la lingua, ok?”
Genere: Erotico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber, Pattie Malette
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 19- Non andare via.
 
Justin si voltò in fretta e si accorse di me. Spalancò gli occhi e si mise la mano tra i capelli, quasi strappandoseli dalla rabbia. Non mi aveva vista fino a quel momento, non si era neanche reso conto che lo stessi ascoltando.
Mi guardò, restò immobile. Non sapeva cosa fare, non sapeva come muoversi, sapeva soltanto che quelle parole mi avevano ferita.
“Ti aiuto.” Propose Evan in fretta, quella condizione aveva sconvolto pure lui.
“No.” Negai, prima ancora che potesse afferrarmi ed aiutarmi a rialzarmi.
Megan comprese subito la situazione, capì che volevo restare con Justin, avevo bisogno di chiarire quella situazione, di chiedergli spiegazioni.
Prese Ev e Nick per le braccia e li portò indietro, lasciando me e Justin soli.
Continuavamo a guardarci, senza il coraggio di pronunciare una parola.
Fece qualche passo verso di me, lentamente, non sapeva come avrei reagito.
Rimasi immobile, in fondo, non potevo fare niente. Quello era il suo pensiero, io non potevo cambiarlo, nonostante non mi piacesse affatto. Quello era il suo pensiero, niente, neanche io, neanche il mio amore nei suoi confronti, sarebbe riuscito a tramutarlo in qualcosa  di positivo.
Passò un braccio sotto le mie ginocchia e con l’altro fasciò la mia schiena, per poi sollevarmi e dirigersi verso la camera.
Andava bene, andava tutto bene, o almeno cercavo di convincermi che fosse così. Tanto nessuno aveva mai creduto in me, nessuno era mai stato certo che ce l’avrei fatta, neanche Justin, neanche lui, neanche il ragazzo che amavo più della mia stessa vita. Lui non credeva più in me.
Perché mi ero svegliata?
Se avessi saputo che sarebbe successo tutto quello, se avessi previsto, in qualche modo, che mi sarei ritrovata da sola, a lottare contro il mio stesso corpo, sarei rimasta lì, ferma, non ci avrei neanche provato, sarei restata immobile in quel sonno profondo, non mi sarei svegliata.
Era orribile.
Avevo diciannove anni, avevo tutta la vita davanti e pensavo alla morte come soluzione. Era da idioti, da matti, da fuori di testa.
Io ero fuori di testa, io ero diventata, ero pazza.
Ero ritornata da così poco in quel mondo e già mi sentivo così fuori luogo, sembrava di essere ritornata al liceo, nel momento in cui percorrevo le scale e mi chiedevo se qualcuno mi avrebbe derisa o se qualche professore mi avrebbe presa di mira.
In quel momento, però, ero tra le braccia di Justin, mentre mi chiedevo se tutto sarebbe filato liscio come l’olio, o se mi avrebbe abbandonata, anche lui, come tutti.
Aveva tutte le ragioni per farlo, io non gli avevo mai offerto niente, avevo sempre provocato disagio nel suo animo e lui si era sempre trovato costretto a tenere tutto dentro, non si era mai sentito abbastanza per colpa mia.
Cercavo di convincermi che sarei riuscita ad andare avanti senza di lui, ma non era affatto vero. Ormai faceva parte delle mie giornate, dal mattino fino a sera, neanche mi ricordavo di cosa fosse la vita senza lui.
E, ammettiamolo, nessuno sarebbe mai riuscito a colmare quel vuoto, quello che avrebbe lasciato Justin.
Tutto ciò che era bello aveva un lato negativo, soprattutto l’amore.
L’amore ti faceva sentire così bene, ti faceva sentire la persona più felice del mondo, ti illudeva che i problemi potessero sparire, invece non era così. L’amore li raddoppiava, li triplicava, l’amore era una trappola, una trappola nella quale io ero rimasta incastrata.
Quegli occhi color nocciola e quel sorriso abbagliante mi ci avevano fatta cadere, imbrogliandomi. Quei gesti dolci mi avevano costretta a rimanere lì, fissa nelle sabbie mobili dell’amore.
E in quel  momento, solo dopo aver capito che neanche lui credeva in me, non c’era alcun modo per scappare, ero bloccata, triste, delusa.
Continuavo, però, ad amarlo. Neanche le emozioni negative riuscivano a nascondere tutto l’amore che provavo nei suoi confronti.
Lui non riusciva a rendersene conto, perché non gliel’avevo mai dimostrato, perché ero una persona apparentemente amichevole, ma in realtà ero chiusa, non sapevo mostrare i miei sentimenti, tenevo sempre tutto dentro, fino al punto di esplodere.
Ero sempre riuscita a controllarmi per diciannove anni, ma, in quel momento, sentivo che, tra non molto, sarei saltata in aria.
Era troppo, io non ero in grado di sopportare altro.
Io non ero mai stata apprezzata e non lo sarei mai stata.
Incredibile, vero? Là fuori, ovunque, c’erano ragazzi che fingevano di star male solo per guadagnare attenzioni tra i loro amici, quando, in realtà, la loro vita era fantastica.
Io, invece, mai e poi mai avrei confidato agli altri il mio dolore. Le uniche che sapevano tutto di me erano Evan e Justin, tutti gli altri mi avevano sempre vista come una ragazza allegra, una persona che viveva in una casa perfetta con una famiglia invidiabile.
Io mi sentivo così vuota.
Justin era a pochi centimetri da me, eppure mi sembrava così distante. Guardava me e pensava ad altro, lo vedevo dal suo sguardo, era cambiato.
Da quando mi ero svegliata, mi aveva osservata spesso, ma la sua occhiata esprimeva compassione, non più amore.
E io che potevo fare, oltre che piangermi addosso? Che potevo fare?
Non potevo neanche supplicarlo di restare, perché non volevo forzarlo.
A quel punto, avrei preferito dirgli di andar via, prima che potesse diventare troppo doloroso.
 
Mi adagiò sul letto e portò le lenzuola bianche fino alla mia vita.
“Jude.” Mi chiamò, pronto a formulare una delle sue frasi dolci.
“Va tutto bene.” Lo interruppi, prima ancora che potesse cominciare a fare domande. Accennai un sorriso, cercando essere felice. Non era mai stato così difficile.
“Mi dispiace, io non pensavo che fossi lì.”  Si scusò, per poi sospirare. Mi lasciò intendere che non aveva altro da dire. Eravamo senza parole entrambi.
Voglio dipingere.” Sviai il discorso, senza un motivo preciso.
Era orribile, avevo cominciato a fingere pure con lui, con la persona alla quale non avevo mai raccontato bugie, se non per aiutarlo.
Volevo fargli credere che non mi importasse, che fosse veramente tutto a posto.
“Jude, sai che con me puoi parlare.” Mormorò, afferrandomi la mano e sentendosi sempre peggio, proprio come me.
“Andiamo al mare q… quando esco da qui?” perseverai, mentre sentivo le lacrime che tentavano disperatamente di uscire.
Non potevo, non davanti a lui, dovevo risultare forte ai suoi occhi.
“Al mare?” domandò, afferrando il mio intento e cambiando discorso. “Fa freddo per andare al mare.” Borbottò, accarezzandomi dolcemente il viso.
“Ho una casa al mare, potremmo andare là.” Insistetti, non facendo caso alle sue parole.
“Ci andremo.” Mi promise, accennando un sorriso. 
Era tutto così diverso, una semplice frase detta per sbaglio aveva completamente cambiato il nostro rapporto e noi non potevamo fare altro che negarlo e fingere che niente si fosse  modificato tra noi due.
“Puoi coricarti qui?” domandai, spostandomi di poco in modo da lasciargli un po’ di spazio in cui potersi sdraiare.
Fece ciò che gli avevo chiesto, restando in silenzio. Non sapeva più che dire, forse era meglio così. Avevo paura di parlargli, non era mai successo prima, ma era così.
Appoggiai il capo al suo petto, così, improvvisamente, senza neanche pensarci.
“Piccola.” Bisbigliò sospirando, quasi malinconico. Anche lui si era accorto di quella distanza in mezzo a noi.
Io ho sentito tutto.” Affermai. Volevo spiegargli tutto, confessargli il mio vero stato d’animo.
“Lo so, ti ho vista.” Mormorò, infilando le mani tra i  miei capelli e cominciando a massaggiarli.
“No, quando ero in coma. Ho sentito tutto.” Replicai, lasciandolo senza parole. Non se l’era neanche immaginato, quelle parole lo avevano sconvolto, ma era così.
Io avevo sentito tutto, ogni singola parola, ogni volta che mi supplicava di rialzarmi, ogni suo pianto e, soprattutto, ogni volta in cui aveva perso la speranza, proprio come lo avevo fatto io.
“Tutto?” chiese conferma, ripensandoci.
“Tutto quello che mi dicevi tu.” Replicai, mantenendo il capo addossato al suo torace, per niente al mondo sarei riuscita a rinunciare a lui, neanche dopo tutta quella sofferenza che mi aveva procurato involontariamente.
Odoravo il suo profumo, era così buono, era così particolare che non riuscivo neanche a capire di cosa odorasse, sapevo solo che l’avrei riconosciuto, in mezzo ad altri milioni di aromi senza alcun problema, proprio come succedeva con la sua voce. Aveva un tono rilassante, ma anche emozionante. Il tono del cantante perfetto, ma lui non era un cantante, era un semplice ragazzo che cantava davanti al duomo, un ragazzo che usava la sua passione per racimolare qualche dollaro.
“Ti amo anche io.” Sussurrai, senza pensarci. Se mi fossi fermata, se ci avessi riflettuto a lungo, non sarei mai riuscita a dirglielo, perché la paura avrebbe invado la mia mente.
Gli avevo risposto, avevo replicato, forse un po’ tardi, a tutte le volte in cui aveva affermato di amarmi, ma non aveva ricevuto responso da parte mia, perché io non ero riuscita a svegliarmi in tempo e stingerlo come meritava.
Era tutto così triste, ero sicura che se ne sarebbe andato via, non c’era modo di farlo restare.
Andava bene così, prima o poi tutti se ne sarebbero andati, andava bene così. Mi sarei abituata alla sua assenza, mi sarei resa conto che si era allontanato solo per i miei errori ed era giusto così.
Sospirò, rimanendo in silenzio.
Ti amo da morire.” Ripetei, mentre le lacrime invasero il mio viso.
Quell’incidente mi aveva resa più fragile, ero vulnerabile come una bambina, ogni singola paura sembrava eterna, ogni dolore feriva il doppio, non potevo andare avanti così.
Cominciai a singhiozzare, com’era possibile? Era diventato tutto così difficile tra noi.
Mi ricordavo dei momenti in cui eravamo stati così in sintonia da capirci con uno sguardo, dei momenti in cui, per la prima volta in vita mia, avevo parlato senza paura di essere criticata.
Quelli erano solo ricordi, ricordi lontani, ricordi di tempi che non sarebbero tornati più, perché la tristezza non spariva mai, la felicità invece sì.
La felicità era difficile da mantenere, era decisamente più facile lasciarsi cadere e restare in un buio eterno.
Nonostante fosse quella la mia intenzione, io lo stavo facendo, mi stavo buttando nella tristezza, perché nessuno avrebbe mai rimpiazzato il suo posto, nessuno sarebbe mai riuscito a farmi sorridere in quel modo.
“Jude.” Mi chiamò con dolcezza, ma non lo ascoltai, non volevo ascoltarlo mi rifiutavo.
“Jude.” Insistette, prendendomi il viso tra le mani e costringendomi ad alzare lo sguardo. “Non piangere.” Mi supplicò, stampando le sue labbra sulla mia fronte.
Era diverso, era tutto diverso, non era più lui, quello era un bacio così freddo, era cambiato tutto.
“Non voglio perderti, i… io non voglio.” Balbettai, appoggiandomi di nuovo a lui. Era così bello stringerlo di nuovo.
Sospirò ancora. Non riuscivo a capirlo, perché si comportava in quel modo? Perché non mi spiegava niente?
Avevo bisogno di lui, era l’unico in grado di farmi uscire da quel momento di tristezza, l’unico in grado di salvarmi.
“Ti prego.” Aggiunsi, ormai senza speranza. Non c’era più niente da fare, se ne sarebbe andato via, perché non riusciva più a sopportare tutto quel dolore, perché lui poteva uscire da quell’ospedale e dimenticarsi di tutto. Io no. Io ero intrappolata tra quelle lenzuola, senza la possibilità di riuscire a muovermi come una persona normale.
Cosa avevo fatto di così brutto per meritarmelo?
Mi chiese di appoggiarmi al cuscino, in modo da riuscire ad alzarsi. Se ne stava andando, stava scappando da me, dall’angoscia che procuravo.
Faceva bene, lui poteva scappare, lui doveva andarsene.
“Torno tra poco.” Mentì, chiudendosi la porta alle spalle. Non sarebbe tornato.
Io ero lì, sola con me stessa, sola come sempre, sola perché non ero in grado di mantenere un rapporto, perché ero troppo stupida.
 
Chiusi gli occhi e tentai di non piangere, di non pensarci. In fondo, a nessuno importava, nessuno si preoccupava di me, tanto meno Justin.
Non riuscivo a crederci, se n’era andato, senza farsi problemi. Lasciarmi era stata, probabilmente, l’impresa più semplice della sua vita. Un gioco da ragazzi, insomma, non ci aveva neanche messo tanto. Era uscito fuori dalla porta, con un mezzo sorriso, senza chiedersi se mi stesse facendo del male.
Non era mai stato così, non si era mai comportato così, era sempre stato sensibile.
Perché era cambiato in così poco tempo?
Dovevo scordarmi di tutto, di lui, dei suoi occhi color nocciola, dei suoi capelli biondicci, dei suoi baci, la sua voce, le sue parole.
Dovevo dimenticarmi di ogni singolo particolare che ritraeva noi.
La porta si aprì di nuovo, probabilmente era Evan, aveva visto Justin  andar via e si era chiesto come mai, io, però, non volevo parlargli, non era il momento giusto, volevo stare sola.
“Vai via.” Borbottai, prima ancora che potessi vederlo.
 
-Ciao ragazze! Come state?
Eccomi qui, sono ancora viva.
Prima di tutto, vi chiedo scusa per eventuali errori, ma non sono riuscita a rileggere il capitolo con molta attenzione perché cominciavo a piangere ogni tre frasi e ancora non mi spiego come mai, sarà perché è un momento un po’ strano, ma tralasciamo.
Vi è piaciuto il capitolo? Spero di sì!
Secondo voi, il ragazzo dietro alla porta, è veramente Evan? E Justin se n’è andato per davvero?
Per qualsiasi cosa, mi trovate qui http://ask.fm/KejsiJ
Grazie mille per aver letto anche questa parte di storia, siete fantastiche! Vi amo!
 
  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber / Vai alla pagina dell'autore: Japan_to_Peru