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Autore: afterhour    16/02/2014    11 recensioni
Sakura Haruno aveva una meta precisa nella vita, diventare ricca, e per questo non intendeva perdere tempo frequentando poveracci e perdenti.
Non che avesse niente di personale contro di loro, o contro Sasuke Uchiha (a parte il fatto che assieme a tutti i ragazzi del quartiere era sospettato di avere messo incinta sua sorella, un crimine orrendo che non avrebbe perdonato mai), era solo che aveva tutto pianificato.
Ma il destino ha uno strano modo di prendersi gioco di noi, dei nostri piani e delle nostre certezze.
AU OOC, triangolo: SasuSakuSaso
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akasuna no Sasori, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Ecco qui il capitolo, avrei dovuto riguardare un paio di punti, per cui speriamo bene.

Invece grazie mille per avere recensito il capitolo precedente!




16.




Ero così felice di vederlo che gli corsi incontro e gli diedi un bacio sulle labbra, lì, di fronte all’intero quartiere impiccione, poi ci affiancammo e camminammo veloci verso casa sua, perché cadeva qualche sporadica goccia di pioggia.

 - Possibile che non rispondi mai al primo messaggio? – gli domandai, ma non ero veramente arrabbiata.

- Non so mai chi è, non ho il tuo numero –

 - Come scusa…ti ho inviato non so quanto messaggi e mi hai anche risposto! –

 - Li ho cancellati, mi stavano sul cazzo –

 Ma che…

- E non hai neanche salvato il numero, sei proprio stupido – borbottai, e subito dopo mi feci dare il suo cellulare per provvedere personalmente.
Non so come facciano a sopravvivere i maschi con la testa che si ritrovano, fortuna ci siamo noi.

 – Dopo ricordami che ho una cosa da dirti – gli feci mentre glielo restituivo.

Avevo deciso che era davvero meglio raccontargli che avevo visto sua madre, non perché mi sentissi in dovere di farlo (avevo imparato presto che certe cose è meglio tenerle per sé) ma perché volevo fargli alcune domande, e poi sapevo che sarebbe venuto a saperlo prima o poi e preferivo parlargliene prima io.
Non subito però, non avevo così tanta voglia di litigare.

 - Anch’io – rispose lui.

Anche lui?

 - Non puoi dirmela subito? – chiesi poco dopo, rosa da quell’insana curiosità che mi prendeva sempre con lui.

 - Perché sei sempre così curiosa? –

 - Non so, dev’essere la tua misteriosa vita che mi incuriosisce, dato che in ogni altra circostanza sono fredda e riservata – osservai, con l’inevitabile sorriso che mi ritrovavo in faccia quando ero in sua compagnia.

 - Fredda e riservata? Non direi a giudicare da come mi preghi di dartelo –

 - Pregarti! Io!? – esclamai indignata.

 - Chiedi ai vicini, non sei esattamente silenziosa –

Ovviamente scherzava, spero.

Mentre parlavamo aveva iniziato a piovere, e ridendo corremmo fino alla casa di lui, la pioggia che cadeva fitta, o almeno io ridevo, lui imprecava, e dal momento che quando entrammo in casa eravamo completamente fradici ci spogliammo in fretta e iniziammo ad asciugarci i capelli con l’asciugamano, fino a quando non cominciammo a baciarci e non finimmo a rotolarci sul letto, a fare l’amore.
Confesso che non riuscii per niente a trattenermi e che davvero lo pregai, e gridai il suo nome, vicini in ascolto o meno.
 
Dopo lo abbracciai e lo tenni stretto stretto, e lo baciai ancora, e ancora.

 - Sas’ke – mormorai, e mi sentivo leggera leggera, e spudoratamente felice, perché ero abbracciata a lui, ed eravamo insieme, io e lui, e nient’altro era importante.
 
  - Ti voglio bene, sai – ammisi scostandogli un ciuffo di capelli dal viso – tanto tanto tanto –

Gli baciai il naso, la cicatrice sopra l’occhio, le labbra, e lui mi strinse a sé e mi lasciò una scia di piccoli baci sul collo che mi riempivano di calore, e tenerezza.

- Ho fame, andiamo di là – mi fece poi, che non era esattamente il massimo del romanticismo, ma lo perdonavo in virtù del fatto che era vergognosamente carino, ed ero stupidamente abbagliata.

 - Prima dimmi quello di cui parlavi poco fa, quello che dovevi dirmi – replicai stringendomi ancora a lui, il volto sul suo collo.
Stavo troppo bene lì, non avevo proprio voglia di muovermi.

Mi strinse anche lui, con forza, e dal momento che non diceva niente sollevai il volto per guardarlo.
Era serio, e improvvisamente sapevo che mi avrebbe fatto del male, glielo leggevo negli occhi, occhi così intensi, che come sempre scrutavano dentro di me e mi facevano sentire improvvisamente fragile, piccola, e così vulnerabile.

Mi accorsi che stavo trattenendo il respiro.

 – Con i Dead Leaves andremo via per qualche mese, forse un anno –

Lo guardai senza parlare, senza capire.

 – Abbiamo firmato un contratto con Kakashi Hatake – spiegò meglio – un produttore piuttosto importante, iniziamo a registrare già la prossima settimana, qui a Konoha, e subito dopo partiamo per un lungo tour –

 - E’…bellissimo… – mormorai tentando di sorridere, ma non avevo sorrisi finti per lui, non ne avevo mai avuti.

Lo guardavo mentre cercavo di capire appieno tutte le implicazioni di quello che avevo sentito, e non mi pareva entusiasta neppure lui, ma non ero così ingenua da pensare che fosse per me.

 - Qual è il problema – domandai seppellendo di nuovo il volto sul suo petto – non è quello che vuoi? –

Tremavo un poco, avevo improvvisamente freddo, tanto freddo, e non volevo andasse via, non potevo sopportarlo.

 - L’università – rispose.

 - Puoi riprenderla più avanti no?! –

 - Avevo giurato a me stesso di finirla…non solo per me stesso –

Il mio amore, così orgoglioso, così responsabile.

Sollevai ancora una volta la testa e gli accarezzai il volto – E allora? Prenditi un anno sabbatico, la finirai più avanti, a meno che non abbia più importanza…si cresce, gli obiettivi cambiano – ne sapevo qualcosa.

 Mi guardò con quel sorriso che mi scioglieva, e mi faceva così male in quel momento.

 – Non mi dimenticherai, vero? – sussurrai con le lacrime agli occhi.

 - No –

  - Non voglio che tu vada via – ammisi stringendomi ancora a lui – …sono un’egoista, lo so – lo precedetti.
 
Un’egoista, e un’ingenua, perché è ingenuo pensare che dopo aver deciso di seguire il cuore tutto possa cambiare, perché ero stata ingenua ad illudermi che avrei potuto essere felice, almeno per un po’.

Lentamente ci sciogliemmo dall’abbraccio e mi sollevai seduta sul letto senza sapere bene se le gambe mi avrebbero retta, mentre le lacrime scendevano sulle guance, e sul collo.
Non riuscivo a fermarle e neppure mi importava, mi pareva che il cuore fosse stretto in una morsa e non faceva ancora così male solo perché una parte di me non riusciva del tutto a crederci.

- Non tornerai più in questo buco, vero? –

 - Non lo so –

Avrei preferito una piegosa bugia, qualcosa del tipo “tornerò da te”, non occorreva essere così brutalmente onesti. Davvero.

Lo guardai attraverso le lacrime mentre si alzava dal letto ed iniziava a vestirsi.

  - Non piangere…non parto domani –

Già, faceva presto a parlare lui, ma a me pareva che qualcuno mi stesse strappando via un pezzetto di cuore, e faceva troppo male.

 - …e non è così male per te, ti potrai dedicare al principe azzurro senza riserve –

A quelle parole mi sentii gelare.

Come poteva essere così crudele?
Come osava.
Possibile fosse così… così cieco?
Che…che bastardo.
Che bastardo.

In preda ad una rabbia incontenibile gli scagliai addosso il primo oggetto che mi capitò tra le mani, la scatola di preservativi vuota, ma ero così fuori di me che non era abbastanza, così presi una delle fotografie e gli lanciai anche quella, e fui contenta quando lo colpì sulla spalla, sapevo che gli aveva fatto male e gli stava bene, gli stava solo bene.
Ancora non mi bastava e stavo prendendo anche l’altra, quando me lo ritrovai di fronte che mi teneva ferme le braccia e mi fissava furioso.

  - Che cazzo ti prende! – mi sibilò, perché non capiva, non capiva niente.

- Sei uno stronzo, e un bastardo! –

Ma era come se all’improvviso non avessi più forze e finimmo sopra il letto che la rabbia era svaporata di colpo, lasciandomi solo amarezza.

 - …sei solo un bastardo – ripetei debolmente.

Rimanemmo a guardarci così, io ancora nuda, lui sopra di me con appena i pantaloni addosso, neppure allacciati, e sapevo che cercava di capire, che ci provava ma proprio non capiva.

 - Si può sapere che cazzo ti è preso? – chiese ancora.

 - Se non lo capisci da solo… –

 - Cazzo Sakura, dimmi cosa c’è da capire…hai questo cazzo ti tizio che mi sventoli sempre in faccia, cosa dovrei capire secondo te! Cosa! Come faccio a capire se un giorno mi mandi messaggi pieni di insulti e il giorno dopo vieni da me e fai l’amore con me…se prima sei tutta dolce e dopo mi tiri addosso roba, mi dici che cazzo dovrei capire se non so neanche cosa cazzo vuoi da me? –

Non risposi, che cosa avrei dovuto dirgli? Che proprio adesso che avevo deciso di rischiare lui se ne andava via e mi lasciava sola?
Che mi spezzava il cuore, che mi sentivo tradita?
Perché era così che mi sentivo, tradita e abbandonata.
E non sapevo neppure dove avevo sbagliato questa volta, pensavo che ci fosse qualcosa tra noi, che ci fosse un legame, credevo che lui fosse diverso dagli altri e che gli importasse veramente di me, ma mi sbagliavo, mi ero sbagliata.

Non riuscivo più a vederlo bene attraverso le lacrime e mi chiesi come avevo potuto essere così ingenua, così stupida, perché lo sapevo che non dovevo fidarmi di nessuno, neppure di lui, e invece ero lì, nuda, senza difese, ed era come se improvvisamente facesse troppo freddo lì dentro e che niente avesse più importanza.
Che ogni cosa, il mondo esterno e quello che era la mia vita, che ero io, tutto, stesse sbiadendo e perdendo il suo significato, il suo motivo d’esistere.

Lui aspettava ancora, ma il mio istinto di conservazione stava già tentando di correre ai ripari e lo guardai con sfida, tutte le mie barriere alzate, pronta a nascondere quel dolore che sentivo dentro e mi pareva intollerabile.

 - Dimmi tu cosa vuoi da me – feci uscire, perché non lo sapevo più e forse non lo avevo mai saputo.   

Non mi stringeva i polsi, ma era ancora sopra di me, e lasciai che mi baciasse le labbra senza protestare.

 - Sei stata tu a mettere dei confini precisi tra noi, io mi sono solo adeguato –

Già, e com’era allora che io ci avevo rimesso il cuore, mentre lui era riuscito a preservare il suo?

Mi baciò ancora le labbra, le mani sui lati del mio viso, e poi mi baciò il collo.

 - Sakura – sussurrò poi, e potevo sentire chiaramente la sua erezione che mi premeva addosso.

Era proprio stupido come tutti gli altri maschi, però lo avrei voluto lo stesso, e non volevo che se ne andasse, non potevo sopportarlo.

Feci uscire un’altra inutile lacrima e me l’asciugò con le labbra, e poi continuò a scrutarmi con quegli occhi in cui non riuscivo a leggere niente, in cui forse non ero mai riuscita a leggere niente, occhi che adesso non sopportavo, né ero in grado di sostenere…eppure… come potevo non vederli più?

 - Ascolta – mormorò, e suonava stanco, forse stanco di me, non so – mi piaci, mi piaci molto, o adesso non sarei qui con te…ma questo lo sai – con il pollice mi asciugò un’altra lacrima, l’ultima, giuro – per una volta mi vuoi dire che cosa c’è, e cosa vuoi tu esattamente? Perché non lo capisco –

C’era che stavo sanguinando dentro e probabilmente c’era anche un danno permanente da qualche parte, ma non aveva più importanza, no?! Niente aveva più importanza: lui se ne sarebbe andato via, i giochi erano chiusi, e a me era capitata la carta più bassa.
Doveva essere una costante della vita, dovevo proprio farli scappare via gli uomini che amavo, lontano da me.
Forse ero io.

Non aprii bocca, non ne avevo la forza, rimasi solo a guardarlo in silenzio mentre mi fissava a sua volta, e sembrava quasi deluso adesso, come se fossi io quella che se ne andava e lo lasciava solo.

 - Va bene, non importa – mi fece con freddezza.

E poi si staccò da me e si sollevò, e in quel momento, mentre si sedeva sul bordo del letto e mi dava le spalle, forse arrabbiato, non so, non capivo, non capivo niente, sentii che il mio sciocco sogno romantico si infrangeva qui, che era così che sarebbe finita.
Lui che se ne andava via, lontano da me, e non tornava mai più.

Per una frazione di secondo mi sentii disperata, ed era come se ci fosse qualcosa dentro di me, una specie di bestia, una bestia orribile che mi impediva di respirare e mi stava spappolando il cuore, perché stavo troppo male, non aveva senso stare così male, e mi veniva da vomitare.
Per un istante pensai assurdamente che se non riuscivo a sedare quella bestia, quella cosa, se non riuscivo a controllarla in fretta, forse sarei morta.
Che stupida stupida stupida.

 - Ho freddo, mi vesto – feci uscire con urgenza, tentando disperatamente di ritrovare il controllo.

Mentre mi alzavo lo scostai non molto gentilmente, senza guardarlo negli occhi, ed iniziai a cercare in fretta i miei vestiti.

 – Metto su qualcosa da mangiare – rispose quello stupido mentre raccoglieva la fotografia da terra.

Il vetro si era rotto, ma non mi sentivo per niente in colpa.

Replicai che non avevo fame e adesso mi sentivo stordita, come intorpidita, forse ero solo rassegnata, e dopo aver finito di vestirmi lo seguii in cucina e lo guardai mentre si preparava un toast, non era decisamente granché come cuoco, non che potessi criticare considerando la mia cena.

 - Quando partite? – gli chiesi il più tranquillamente possibile, come se solo l’idea non mi facesse così male.

Eravamo seduti a tavola, apparentemente calmi, ed allungò la mano per prendere la mia e giocherellare con le mie dita, un gesto così intimo.
Per un momento chiusi le dita sulle sue e le strinsi forte, quasi in questo modo potessi trattenerlo accanto a me, poi lo lasciai andare e scostai la mano.

 - Non so esattamente – rispose dopo aver dato un morso al toast – tra un mese credo –

 - Ma…ci sono le feste –

 - Non ci vuole molto per registrare, le canzoni sono già pronte, e Kakashi sta già programmando tutto –

Un mese era pochissimo e riuscii eroicamente a trattenere le lacrime, non volevo piangere più, non potevo piangere più, non potevo perdere il controllo, era troppo pericoloso, e per distrarmi mi dedicai a spezzettare un pezzo di pane e a sistemare le briciole in modo che formassero un disegno.
Sarei sopravvissuta anche a questo, mi dissi, si sopravvive a tutto.

 - Sakura… –

Mi accarezzò la guancia con le dita, ma non riuscivo ancora a guardarlo.

 - Dammi il tempo di digerirla – mormorai.

Ed era il massimo che potevo mostrargli di me senza sentirmi completamente persa.

Lo guardai di sottecchi e mi pareva che ci fosse ancora un’ombra di tristezza nel suo sguardo, quell’ombra che avevo visto altre volte nel suo volto ed era legata a me, ma in quel momento non capivo esattamente a cosa fosse dovuta.
Era lui quello che se ne andava e mi lasciava sola.
 
 - Torno a casa – mormorai alzandomi, non ce la facevo più a stare lì.

Quando rifiutai di rimanere mi accompagnò fin sotto casa e salii senza voltarmi indietro.
In borsa avevo ancora il regalino che gli avevo preso, il plettro rosa, e mi dissi che per il momento lo avrei sistemato in un angolino, dietro ad un libro magari, per non vederlo: forse glielo avrei dato, forse no, ma non avevo la forza di pensarci ora.

Che merda…tutto.
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