Ai suoi piedi. Ancora col nastro rosso e la stagnola intorno.
Un rametto di mimosa.
Lo prende tra le dita nei guanti. I suoi piccoli fiori inconsistenti, grumi di polvere e profumo.
“E tu cosa fai qua?”
Nessuna risposta.
“Va bene. Andiamo a casa, ci prendiamo un bicchierino, e mi spieghi tutto”
 
E così fa, non ha scherzato mica.
Prepara un bicchiere per entrambe.
In uno ci mette l’acqua dal rubinetto.
Nella sua tazza ha messo solo il caffè, e nient’altro. Ed è un caffè così nero e torbido che non vede neanche il suo riflesso. O qualunque altra cosa che vorrebbe vedere.
“Dicono che sta tornando la primavera”
La tazza è così profonda che sembra un oceano buio, inesplorato, e tanto amaro. E lei lo beve in un sorso, perché l’oceano fa paura a tutti ma lei lo attraversa senza paura di cadere dall’altra parte dell’orizzonte.
 
E lei vuole pensare che ogni fiore caduto per strada sia un amante spaventato, una sposa arrabbiata, un bambino che corre.
La stanza è zitta, persino la luce si è spenta, e le tende chiuse hanno lasciato in un’intima segretezza. Parla a bassa voce, sussurrando ad ogni foglia, ogni fiore, respirando profumo e aria di caffè.
È un valzer di polvere. E lei non balla più, è rimasta ai margini della sala.
Ha lasciato cadere ogni fiore del suo prezioso bouquet, e alle spalle adesso ha un sentiero di terra bruciata coperta di fiori morti.
Ed era esattamente così come aveva voluto lei.
 
Porta nei capelli una corona di fiori finti, che puzzano di case sigillate, senza sole; ed è come una principessa bambina con una tiara di cartone.
 
Al telegiornale dicono che sta arrivando la primavera.
Ma lei l’ha sempre aspettata, l’ha sempre vista, in un raggio di luce e polvere tra le persiane serrate.