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Autore: Laylath    17/02/2014    5 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 25. Senso di protezione.


 
Una delle prime conseguenze che ebbe quella discussione fu che Heymans iniziò a guardare Kain con un’attenzione del tutto nuova: era una cosa assolutamente involontaria, ma ogni volta si trovava a cercare qualche residuo delle malattie che l’avevano tormentato da piccolo. Non ne capiva nemmeno lui il motivo, ma era in qualche modo spaventato dall’idea che quel bambino in realtà non fosse guarito del tutto.
Probabilmente in parte dipendeva da uno strano senso di colpa che era cresciuto dentro di lui: se Kain fosse stato suo fratello non avrebbe mai permesso a Jean di comportarsi in maniera cattiva contro di lui per quasi due anni; invece aveva quasi sempre assecondato quel lato tormentatore del suo migliore amico, giustificando il tutto con la necessità di far vivere qualche emozione alla piccola vittima.
Ovviamente non aveva detto niente a Jean riguardo quella scoperta sul passato di Kain: all’amico aveva raccontato la storia per sommi capi, preferendo tenere per sé, sua madre ed Andrew Fury la maggior parte dei dettagli. Non per mancanza di fiducia, ma perché si era rivelato un quadro complicato e personale che coinvolgeva troppe persone.
In ogni caso mi sento davvero in colpa per Kain. Se solo avessi saputo… eppure lo conosco da quando ha iniziato le elementari e so benissimo che è sempre stato isolato e bistrattato dagli altri. Ma perché? Perché dovevo scoprirlo solo adesso?
Erano questi i pensieri che lo attanagliavano mentre faceva una passeggiata per i campi, approfittando di una giornata particolarmente bella di quel dicembre innevato. Aveva scoperto che l’aria frizzante lo aiutava a pensare con maggiore lucidità e stare all’aperto gli liberava la mente dall’inevitabile senso di oppressione che provava a casa sua.
Forse preferiva risolvere la questione “secondaria” di Kain, prima di sentirsi davvero pronto ad affrontare suo padre e la spinosa situazione familiare in cui viveva.
Senza ovviamente compiere gesti impulsivi, sia chiaro. E’ una promessa che voglio mantenere.
Aveva infatti scoperto che gli importava più del previsto di ciò che Andrew Fury pensava di lui. Nella sua mente era arrivato a considerarlo come una vera e propria figura paterna più in fretta del previsto. La cosa era risultata abbastanza strana: a conti fatti la figura a cui avrebbe dovuto fare riferimento sarebbe dovuta essere quella di James Havoc. Lo conosceva decisamente meglio e da molto più tempo, arrivando a provare per lui una sincera forma di affetto…
Tuttavia…
Tuttavia James non aveva alcun legame con sua madre, non l’aveva preso in braccio appena nato, non gli aveva dato il nome, non aveva cercato di proteggerlo in tutti i modi possibili, arrivando addirittura ad accettare una lontananza. Andrew Fury sì e questo bastava per porlo su un piedistallo del tutto particolare.
I suoi pensieri a ruota libera vennero interrotti da un lieve movimento sul campo accanto al quale stava passando.
Aguzzando la vista notò una figura accovacciata tra i cespugli innevati e con curiosità si avvicinò.
Per un naturale istinto i ragazzi sono portati ad avvertire quando è il caso di fare il maggior silenzio possibile: avendo visto Kain immobile e con lo sguardo puntato in avanti, Heymans non aveva avuto difficoltà a capire che ci doveva essere qualche animale lì vicino.
“Ehi, Kain – sussurrò quando gli fu accanto – che hai visto?”
“Accanto al tronco, vicino a quella radice – sussurrò l’altro di rimando – sta mangiando i pezzetti di biscotto che gli ho lasciato.”
Heymans guardò nella direzione che gli era stata indicata e vide un piccolo scoiattolo che banchettava con alcune briciole. Abbassando gli occhi sul bambino, il rosso notò che stava lavorando freneticamente con una penna per fare un disegno abbastanza preciso dell’animale su un quaderno.
Lo scoiattolo fu un modello diligente e rimase composto fino a quando l’improvvisato disegnatore non ebbe terminato. Con un sorriso soddisfatto Kain si alzò dalla posizione accovacciata e quel movimento bastò a far scappare la timida bestiola che, a onor del vero, aveva praticamente terminato l’inaspettato banchetto.
“Grazie per non averlo spaventato.”
“Figurati; – rispose il rosso, scrollando le spalle e recuperando pure lui la posizione eretta – sei bravo a disegnare. Posso vedere il tuo quaderno?”
“Va bene, ma non ci sono solo disegni – avvisò il bambino, passandoglielo – è il mio quaderno dei grandi progetti: me l’ha regalato il mio papà.”
“E cosa c’entra uno scoiattolo con i grandi progetti?”
“Non lo so, ma mi andava di disegnarlo: papà mi ha suggerito di scriverci o disegnarci qualsiasi cosa mi passi per la testa…e ho scoperto che è davvero bello farlo. Riguardando le pagine mi accorgo di tantissimi dettagli che magari mi sarebbero passati dalla mente.”
Il ragazzo più grande intanto sfogliava con sincera meraviglia quel quaderno, rendendosi conto per la prima volta di quanto fosse estremamente attiva la mente di Kain. Il bambino una volta gli aveva accennato che gli interessava l’elettronica, ma non pensava che i livelli fossero tali. Ma la cosa più affascinante era che accanto a quei progetti di indubbio valore tecnico, c’erano sprazzi di ingenuità infantile come disegni di animali, piante, frasi prese da qualche libro di favole.
E’ come poter accedere ad una piccola parte di lui…
“Poi tua mamma li ha rifatti i biscotti al cioccolato?” chiese il bambino quando Heymans gli restituì il quaderno.
“Non ancora, ma presto li farà – rispose, osservandolo sistemarlo dentro la tracolla che portava sopra il cappotto – adesso torni a casa?”
“Mh, ho promesso alla mamma di non fare troppo tardi: a volte si preoccupa… specie quando fa molto freddo. Ma oggi è una bella giornata.”
“Beh, è comprensibile che si preoccupi così, considerando quello che hai passato.”
Non fu una frase buttata lì per caso: Heymans fissò con attenzione la reazione del bambino a quella rivelazione. Vide gli occhi scuri continuare a fissare davanti, verso il sentiero, ma per un secondo l’espressione spensierata scomparve, diventando stranamente… matura? Sofferente? Heymans non era in grado di decifrarlo, ma capì una cosa importante.
Le malattie possono lasciare conseguenze non solo fisiche.
“Sai che sono stato male?” la voce del bambino pareva normale, eppure Heymans colse una strana sfumatura di… timore?
“Sì.”
Cadde uno strano silenzio mentre proseguivano lungo la strada.
Il rosso continuava a guardare Kain, temendo di aver fatto una mossa sbagliata: a ripensarci, se quel bambino non voleva parlare delle malattie che l’avevano tormentato da piccolo aveva tutte le ragioni del mondo.
“Te l’ha detto la tua mamma? Papà mi ha raccontato che sono molto amici.”
“In un certo senso sì, l’ho saputo grazie a lei…”
“Non ne ho mai parlato con nessuno – iniziò, ma poi si fermò con aria abbastanza sorpresa – beh, a dire il vero con chi ne potevo parlare? Sino a quando ho fatto amicizia con Vato e poi con voi non parlavo con nessuno eccetto che con la ma famiglia.”
“Scusami, – disse Heymans, allungano la mano per arruffargli i capelli: oramai era un gesto che gli veniva istintivo con Kain e sembrava che a lui piacesse parecchio – non avrei dovuto…”
“Oh, non ti preoccupare. Sai, a volte ci ripenso anche io, specie quando prendo l’influenza o mi raffreddo e mamma mi fa restare a letto per qualche giorno.”
“Presumo che sia una cosa molto differente.”
“Sì, direi di sì – si fermò come se stesse riflettendo su che parole dire – è un tipo di dolore diverso… non ti spaventa come l’altro. Sai che è normale e che passerà presto. E poi è decisamente molto meno forte.”
“Deve essere stata dura affrontare tutto questo a pochi anni d’età.”
“Mh – annuì lui, serio in volto – ricordo che la mamma stava sempre con me: non poteva fare molto per il dolore, quello andava via solo quando finiva la febbre, e così mi raccontava tante storie, mi cantava canzoncine per farmi addormentare ma non… non passava. Erano soprattutto le mani a farmi male.”
Quasi istintivamente se le fissò e poi le strinse al petto, quasi avesse paura che il dolore potesse tornare a ripresentarsi solo per averne parlato. Heymans fu rapido ad intuire che dare voce a quei ricordi non era facile e così tornò a mettergli la mano sulla chioma corvina, ma questa volta invece di arruffarla la accarezzò con dolcezza, proprio come aveva fatto con Henry per consolarlo dopo la brutta avventura che aveva avuto.
“Kain, non torna quel dolore, stai tranquillo.”
“Non torna…” balbettò lui, cercando di convincersene.
“Sei solo spaventato, è normale. A volte succede quando si parla per la prima volta di cose che si sono tenute dentro per tanto tempo: è successo anche a me, fidati. Fai un paio di respiri profondi, da bravo.”
Il bambino obbedì e parve calmarsi leggermente, così Heymans decise di continuare a parlare.
“Sai, i nostri genitori sono davvero grandi amici… vorrei che tu ti fidassi di me, davvero. Se ha bisogno di parlare di qualcosa io ci sono, va bene? Mi dispiace che per tutti questi anni io sia rimasto a guardare Jean che ti tormentava.”
Kain scosse il capo.
“Non fa niente. Adesso Jean è buono con me e anche tu… è come per il dolore, no? Non ritorna.”
“No, – lo rassicurò Heymans con un sorriso – non ritorna. Con me e Jean dalla tua parte nemmeno la più stupida febbre reumatica oserebbe darti fastidio.”
Fu una frase così assurda che Kain scoppiò a ridere, sfogando finalmente tutta l’ansia residua.
Anche Heymans non poté fare a meno di unirsi a quell’ilarità così liberatoria e i due rimasero per qualche minuto in quelle condizioni, prima che Kain, con un gesto del tutto inaspettato, gli cingesse le braccia attorno alla vita.
“Grazie, Heymans, sei stato fantastico. – esclamò – Mi hai fatto passare la paura.”
“E di che, ragazzino? E ricorda che puoi sempre far affidamento su di me, capito?”
“Come un fratello maggiore? Grandioso, Heymans: sai, considero Riza come una sorella maggiore, ma penso che un fratello sia una cosa differente… a volte ci sono cose da donne che non riesco a capire.”
“Sì, decisamente hai bisogno di un fratello maggiore – decise il grande: del resto tra maschi bisognava sempre darsi una mano – Adesso però vai, altrimenti tua madre si preoccupa.”
“Va bene, ci vediamo domani a scuola.”
Mentre osservava il bambino che si allontanava per riprendere la strada di casa, Heymans si sorprese a chiedersi se questa fosse l’ennesima fuga che faceva dalla sua situazione familiare. Ma poi scosse la testa: no, né Jean né Kain erano delle compensazioni al suo difficile rapporto con Henry. Erano delle cose completamente diverse.
E se anche la situazione a casa cambierà, li considererò per sempre come dei fratelli.
 
“Ellie, sei qui? Hai per caso visto…” Andrew bloccò la frase a metà quando, entrando nella stanza da letto, vide la moglie inginocchiata davanti alla cassapanca dei suoi vecchi vestiti. Lei si bloccò con aria colpevole e si strinse al petto un abito di lana grigio perla.
“Che cosa ti serve, Andrew?” chiese con innocenza.
“Niente, – scosse il capo, avvicinandosi e sedendosi accanto a lei – adesso credo sia più importante sapere cosa frulla nella testa di mia moglie.”
“Nulla, davvero – sorrise Ellie – solo stupidaggini femminili, tutto qui.”
Andrew inclinò il capo con curiosità: proprio come Kain, sua moglie era incapace di mentire, specie quando era turbata da qualcosa. Con gentilezza le prese il vestito dalle mani e disse.
“Vediamo un po’: ero veramente teso quella sera d’inverno. Aspettavo che la mia fidanzata uscisse di casa per fare una cosa molto importante: le avevo chiesto di sposarmi a giugno di quell’anno e ancora non le avevo dato un anello di fidanzamento. Avrei tanto voluto regalarglielo alla cerimonia di fine scuola, ma allora ancora non avevo iniziato a lavorare.”
“Andrew…” iniziò Ellie, sorridendo, ma anche arrossendo.
“Alla fine ero riuscito a comprarne uno e continuavo a rigirarmelo in tasca, sperando di aver scelto bene: stupidamente mi ero reso conto che la mia ragazza non portava gioielli, chissà se le sarebbe piaciuto…. Poi ho alzato lo sguardo e l’ho vista: l’avevo chiamata così all’improvviso che non si era nemmeno messa il cappotto… indossava un abito di lana grigio chiara che metteva in risalto i suoi bellissimi capelli neri e gli occhi scuri. Ed io come sempre mi sono perso a guardarla, dimenticandomi completamente del perché ero lì…”
“Solo per pochi secondi – lo prese in giro lei, abbracciandolo – non mi hai nemmeno salutato: ti sei messo in ginocchio e hai tirato fuori l’anello.”
“So che ti ho già chiesto di sposarmi, ma sono talmente innamorato di te che lo rifarei mille volte… vuoi sposarmi? Dissi una cosa del genere, vero?”
“Dicesti proprio così, Andrew Fury, e mi hai reso la donna più felice del mondo.”
“E che ha la mia donna più felice del mondo? – chiese lui con gentilezza cingendole le braccia alla vita e avvicinandola ancora di più – Sei triste, Ellie, e non da oggi…”
“Te l’ho detto sono solo sciocchezze.”
“No, non lo sono, altrimenti non ci staresti così male.”
Lei rimase per qualche secondo in silenzio, scrutando gli occhi castani del marito e mordendosi lievemente il labbro inferiore, indecisa su quanto dire.
“Heymans fa molto affidamento su di te, vero? Sono felice che finalmente gli abbiate raccontato tutto… è un così bravo ragazzo: spero davvero che riesca a risolvere la questione con suo padre.”
“Sì, sono sicuro che ce la farà, si tratta di procedere per gradi. Ma cosa c’entra con te?”
“Per te è come un figlio, vero? E non pensare che sia gelosa, sai benissimo che non è così.”
“E’ il figlio di Laura e sai che legame ho con lei… e non ne sei mai stata gelosa. Gli voglio bene, certamente e se Kain fa affidamento su di lui come un frat… oh, Ellie, allora è questo, mh?”
“Scusami, te l’ho detto che era solo una stupidaggine.”
Si alzò all’improvviso liberandosi dal suo abbraccio e si girò in tempo per asciugarsi una lacrima.
Era tutto iniziato da quando Andrew le aveva fatto il resoconto di quanto era accaduto in quella discussione a tre con Laura ed Heymans, ma a dire il vero un primo seme era stato piantato il giorno in cui Riza era venuta a casa disperata per il suo primo ciclo.
Succedeva sempre così: non ci pensava per molto tempo, magari per anni, ma poi ogni tanto la cosa rispuntava fuori e lei non poteva fare a meno di sentirsi profondamente triste. E questa volta era peggio delle altre.
“Non è una stupidaggine, amore mio.” sospirò Andrew, tornando ad abbracciarla. E questa volta lei non scappò.
“Sai… Kain qualche giorno fa mi ha detto che considera Riza come una sorella maggiore. Ne è così felice, la adora. E lei è davvero una ragazzina stupenda e… e quando l’ho aiutata col vestito per la festa mi sono sentita così eccitata per lei. Prima che ci sposassimo mi dicevo sempre che se avessi avuto una figlia le avrei…” un singhiozzò interruppe la frase.
Quella figlia non era mai arrivata, così come non era arrivato nessun altro fratello per Kain.
Lei segretamente ci aveva sperato: si era illusa che per un qualche miracolo il medico si fosse sbagliato e fosse ancora in grado di portare in grembo un nuovo figlio. Ma non era andata così.
Ringraziava il cielo ogni giorno che Kain fosse cresciuto, superando le malattie che l’avevano portato così vicino alla morte. Ogni sera, quando andava a controllare che dormisse, rimaneva ad osservarlo per qualche minuto, beandosi della sua presenza.
Eppure non era mai riuscita a superare quella delusione di non poter avere altri figli.
“Mi aspettavo che la presenza di Riza potesse suscitare simili pensieri in te: – sospirò Andrew – ti sei davvero affezionata a quella bambina… ed il fatto che lei non abbia più la madre e abbia iniziato a fare affidamento su di te rende tutto più difficile, vero?”
“Sono così stupida… invece di essere felice che Kain sia così bello e sano…”
“Amore, tu volevi tantissimi cuccioli, perché sei nata per essere mamma. Mi dispiace, mi dispiace tremendamente per quello che è successo: credimi Ellie, anche io avrei voluto avere degli altri bambini.”
“E’ che mi sento così in colpa: la madre di Riza non c’è più ed io la sto usando come compensazione per la sorellina che non ho mai potuto dare a Kain.”
Andrew la strinse maggiormente e la baciò in fronte.
“Adesso sì che ti stai comportando da sciocchina, Ellie, – sorrise – sei tale e quale a tuo figlio quando inizia a fare voli pindarici assurdi. Non stai usando nessuno: tu e Riza semplicemente vi siete trovate, tutto qui. Sai, mi sono affezionato anche io a lei e sono felice che abbiate instaurato un così bel rapporto: si vede lontano un miglio che assieme siete davvero contente.”
Ellie riuscì a rispondere a quel sorriso e si sentì estremamente sollevata. Non c’era niente di peggio che sentirsi in colpa per provare dei sentimenti nei confronti di qualcuno: Riza l’aveva fatta riflettere profondamente sotto questo punto di vista, ma non poteva fare a meno di volerle bene. Di iniziare a considerarla come una seconda figlia.
“Non è colpa tua se i bambini ti adorano, Ellie…” la prese in giro Andrew.
“Chiedimelo di nuovo – disse d’impulso lei, mentre le guance arrossivano vistosamente – chiedimi di nuovo di sposarti, ti prego.”
“Ellie Lyod, anche se condividiamo la vita da oltre dodici anni, ti andrebbe di risposarmi? Ora ed infinite volte… e dimmi di sì, ti prego: non posso resistere davanti ai tuoi bellissimi occhi, alle tue guance arrossate…”
E anche se la cosa era detta per scherzo, la passione nello sguardo di Andrew era reale.
“Sì, lo voglio, Andrew Fury… ora ed infinite volte.”
“E dato che un anello te l’ho già regalato, che ne dici se dopo natale ti porto ad East City per qualche giorno, mh? Ti voglio viziare come non ho mai fatto.”
Ad Ellie brillarono gli occhi: non era mai stata in una grande città come East City e l’idea di visitare quel posto meraviglioso la elettrizzava. Andrew le aveva sempre raccontato delle bellezze di quella città, così grande rispetto al loro paesino: quando era all’università lei passava ore ed ore a rileggere quelle lettere ed immaginandosi di essere con lui a passeggiare per quelle belle strade lastricate, a guardare gli imponenti edifici, il ponte sul fiume…
“Mamma, papà, sono tornato.” la voce di Kain la ridestò da quel sogno ad occhi aperti.
“Abbiamo un cucciolo a cui pensare…” mormorò con aria di scusa.
“Può stare dai nonni – sussurrò lui, sfiorandole le labbra con un bacio – ti prego, dimmi di sì…”
Ed Ellie non poté fare a meno di annuire e di mettersi a saltellare, deliziata come una quindicenne.
 
“Ottimo lavoro, Jean – si congratulò James, dando una pacca sulle spalle del figlio – vai a riposarti.”
Il ragazzo si limitò ad ansimare e a dirigersi verso l’uscita del magazzino: voleva sol buttarsi nel letto e morire seduta stante.
“Ehi, figliolo.” lo richiamò il padre, mentre metteva la mano sulla maniglia.
Ti prego non altre cose da spostare… non oggi…
“Sì, papà?”
“Chiedi ad Heymans se ci vuole dare una mano durante questo finesettimana: così finiamo prima con queste merci da sistemare.”
“Va bene, glielo chiedo domani a scuola.”
A passo lento salì le scale e si diresse in camera sua.
Gli seccava molto ammetterlo, ma a questo giro lavorare nel magazzino l’aveva letteralmente annientato: le nuove merci, arrivate prima del periodo natalizio, erano tantissime e lui e suo padre avevano passato tutto il pomeriggio e spostare casse, sacchi e quanto altro per fare dello spazio.
“Chiamatemi solo se la casa sta crollando…” sospirò buttandosi primo nel letto e affondando il viso sul cuscino. Avrebbe dovuto farsi un bagno e poi mettersi a studiare…
Dopo… adesso voglio solo morire qui.
Ma la calma durò solo per cinque minuti.
“Cavalluccio!” esclamò una ben nota voce e Jean ebbe solo il tempo di alzare la testa che i venti chili della sorella gli si catapultarono nella schiena dolorante dopo ore e ore di sollevamento pesi.
“Janet, no!” protestò.
“Dai, gioca con me – supplicò la bambina, afferrandogli i capelli e tirandoli indietro come se fossero la criniera di un cavallo – è da due giorni che non giochiamo perché aiuti papà.”
“Scendi dalla mia schiena, assassina – sbottò Jean, usando le forze residue per alzarsi il tanto che bastava a scrollarsela di dosso – sono stanco, capisci? Vai a giocare con la mamma.”
“Mamma sta preparando la cena.” spiegò Janet, sedendosi a gambe incrociate nel letto.
“Vai da papà.”
“Sta finendo di lavorare in magazzino.”
“Vai in camera tua.”
“Da sola mi annoio.”
“Smettila di rispondere ad ogni cosa che ti dico.”
“Posso restare assieme a te?”
“Ma che ho fatto di male? – sospirò il ragazzo, girandosi supino e mettendosi la mano sopra gli occhi – Janet, sono stanco morto, da brava. Abbi pietà di me.”
“Fratellone?” chiamò lei, dopo qualche minuto di quiete che aveva fatto illudere il giovane che la sorella fosse andata via.
“Che c’è?”
“Lo sai che oggi un bambino della mia classe voleva darmi un bacio?”
“Che cosa?!” Jean  si mise seduto con uno scatto che gli fece dolere tutta la schiena. Ma la notizia era così sconvolgente che le proteste dei suoi muscoli passarono immediatamente in secondo piano: afferrò la sorellina per le spalle e la fissò.
“Chi è stato? Chi? – le chiese – Chi è quel poco di buono che osa chiederti una cosa simile?”
“Un mio compagno di classe: si chiama Teddy – rispose lei con semplicità – Sai, lui ha già baciato tutte le mie compagnette.”
“Che? – inorridì Jean – A sei anni? A sei anni? E tu che hai detto? Non gli avrai mica permesso una simile cosa, spero!”
“Io gli ho detto che avevo già il fidanzatino.” scrollò le spalle lei.
“Oh – sospirò di sollievo il giovane – sia ringraziato Heymans.”
“Ma lui non mi ha creduto perché non mi ha mai visto con un altro bambino – ammise la piccola ad occhi bassi – però Heymans ha detto che la cosa deve restare segreta.”
“E quindi? Intendo, quel marmocchio ti vuole ancora baciare?”
“Sì: dice che solo se gli presento il mio fidanzatino non mi darà più fastidio. E non posso dirlo alla maestra altrimenti sarò una spiona…”
“Ma è naturale che domani Heymans si presenterà a quel bast… bambino, Janet. E ci sarò anche io: vedrai che non ti darà più fastidio.”
“Dici davvero, fratellone? – chiese lei con entusiasmo – Avevo paura di chiederlo ad Heymans, pensavo che non mi avrebbe mai detto di sì.”
“Fidati che questa volta lo dirà.”
Baciarsi a sei anni? Ma stava crollando il mondo? Decisamente quel marmocchio aveva bisogno di essere rimesso a posto: sua sorella non andava sfiorata.
 
Il giorno dopo Jean decise di utilizzare una tattica molto particolare: non disse nulla ad Heymans fino al momento fatidico, confidando nel classico effetto sorpresa. Tuttavia non andò tutto liscio come aveva sperato:
“Fammi capire: dovrei andare da un marmocchio di prima elementare e dirgli di lasciare in pace Janet perché è la mia fidanzata?”
L’espressione profondamente contrariata di Heymans fece capire a Jean che non sarebbe stato facile convincerlo: quando si metteva a braccia conserte in quel modo voleva dire che non era assolutamente d’accordo con quanto gli veniva proposto.
“Ma ti rendi conto che quel piccolo bastardo vuole baciare mia sorella?” sibilò
“Jean, a sei anni i baci si danno sulle guance… non sanno nemmeno cosa sono i baci da grandi.”
“Janet lo sa, non ti aveva detto che per quelli aspettava la quinta elementare?”
“Avrà visto i tuoi baciarsi decine di volte, suvvia. Sa benissimo che sono cose da grandi.”
“Non me ne frega niente: adesso e sulla guancia, ma poi? Se iniziano già in prima elementare che succederà alle medie? Senza contare che quel novello dongiovanni ha già baciato tutte le altre bambine di prepotenza… maledetto maniaco. Se non avesse solo sei anni lo farei nero.”
“Appunto: non ci sarà nessun pestaggio… - Heymans sospirò e cercò un modo alternativo di sistemare la questione. Effettivamente anche a lui non piaceva che qualcuno desse fastidio a Janet – Senti, perché non ci limitiamo ad andare da lui e dirgli di lasciarla in pace? E’ un marmocchietto di prima elementare: appena ci vede quello se la fa sotto, te lo dico io.”
“No, altrimenti mia sorella passa per bugiarda – scosse il capo Jean – e lei crede davvero che siete fidanzati: è tutta colpa tua che l’hai illusa.”
Illusa? Ma ti rendi conto che stai parlando di una bambina?”
“Le potevi dire di no.”
“Si sarebbe messa a piangere e… ma diamine, Jean, di che cavolo stiamo parlando? – il rosso fissò sconcertato l’amico: non l’aveva mai visto così serio in vita sua – E’ una situazione assurda, te ne rendi conto? Perché non mi lasci finire l’intervallo in pace?”
“Perché ho promesso a Janet che proprio durante l’intervallo avremo risolto la questione… lei ci sta aspettando. Vuoi davvero lasciarla da sola?”
“Infame, la metti sul ricatto emotivo. – sbuffò Heymans, alzandosi in piedi e finendo di mangiare il panino – Voi Havoc non fate altro che creare problemi. Andiamo a salvare la principessa in pericolo…”
 
Aveva i capelli castani e spettinati, lo sguardo prepotente ed un sorrisino che Janet aveva detestato sin dal primo giorno che l’aveva incontrato. Teddy proprio non le piaceva: passava il suo tempo a fare dispetti alle bambine e più di una volta aveva tormentato anche lei.
Adesso se ne stava lì, le mani contro i fianchi, a fissarla con un ghigno di soddisfazione.
“L’intervallo è quasi finito, Janet Havoc: tu non hai nessun fidanzatino… sei solo una bugiarda!”
“Non è vero! – esclamò la bambina con rabbia, supportata da alcune compagnette – Sei solo un prepotente Teddy, ma vedrai che il mio fidanzatino viene.”
“Bugiarda! Janet Havoc è una bugiarda, solo una bugiarda…”
Questa nuova canzoncina di scherno fece arrabbiare davvero la bambina che rimase a fissarlo mentre gli occhi azzurri le si riempivano di lacrime: era quasi la fine dell’intervallo, perché Jean non veniva come le aveva promesso?
“Oh, e adesso piange anche: sei una frignona, ecco cosa sei.”
“E tu sei un marmocchio che se la fa ancora addosso.” disse una voce minacciosa.
Ci furono effettivamente serie possibilità che Teddy se la facesse addosso quando vide Heymans e Jean che comparivano affianco a Janet e iniziavano a fissarlo con aria decisamente cattiva. Per un bambino di sei anni i ragazzi delle superiori sono davvero grandi e vedere due esemplari particolarmente robusti come i due amici fu un’esperienza terrificante.
“Senti un po’, microbo – disse Jean, facendo un passo verso di lui – sbaglio o stavi per far piangere mia sorella? Sappi che se succede una cosa del genere ti faccio fuori!”
“Jean…” iniziò Heymans, cercando di bloccare l’eccessivo ardore dell’amico.
“Bravo, fratellone, diglielo! – lo incitò invece Janet – Hai visto, stupido? Te l’avevo detto che mio fratello ed il mio fidanzatino sarebbero venuti: non sono una bugiarda!”
“Ti ha detto che sei una bugiarda?” chiese il fratello, divertendosi un mondo a fare la faccia cattiva: forse si doveva trovare una nuova vittima a cui fare i dispetti… quel lato di Kain cominciava a mancargli.
“Sì! – esclamò Janet – Mi ha detto che sono una bugiarda frignona… Heymans, diglielo che sei il mio fidanzatino!”
A quella richiesta il rosso si sentì svenire: doveva davvero dire una cosa simile davanti ad un gruppo di mocciosi di prima elementare? Diamine, aveva una dignità da difendere.
Janet si aggrappò al suo braccio e lo fissò con aspettativa… troppa. Come se dalla frase che stava per dire dipendesse tutta la sua felicità.
Trova una soluzione, Heymans… in fretta… in fretta!
“Come si chiama quel tipo?” chiese a Janet.
“Teddy.”
“Bene… stammi a sentire, Teddy – iniziò, facendosi avanti e portandosi a pochi centimetri dal bambino, arrivando addirittura a scostare Jean – se tu provi di nuovo a dire che Janet è una bugiarda ti anniento, chiaro? Lei non ha mai detto nessuna bugia, mi sono spiegato bene? Se lei dice che ha il fidanzatino allora ce l’ha!”
Sì, era un modo come un altro per evitare di dirlo esplicitamente, ma in fondo erano bambini delle elementari e poteva giocarsela con queste astuzie.
“Non lo farò più!” pianse il bambino, terrorizzato.
“E scordati questa storia di baciarla, anzi, dato che ci sei, smettila di dare fastidio alle bambine, capito?”
“Capito!” singhiozzò Teddy, non osando muoversi.
“E adesso sparisci, microbo!” concluse Jean, dandogli un colpetto sulla fronte.
Fu come se facesse scattare una molla: il bambino corse via ad una velocità impressionante, seguito da alcuni suoi amichetti.
“Pretendere di baciare a sei anni – sbottò il biondo – ma guarda questo…”
“Credimi che l’ha capita.” lo rassicurò Heymans e contemporaneamente si congratulò con se stesso: era riuscito a cavarsela egregiamente e…
“Ah, Janet che bello! – esclamò una bambina dietro di lui – Il tuo fidanzatino è davvero coraggioso, adesso Teddy smetterà di farci i dispetti!”
“Vero che è fantastico? Sai, ci teniamo per mano tutte le mattine. Però è timido e non vuole che gli altri lo sappiano… ma quando sono in difficoltà viene sempre.”
“Come ti invidio. Voglio anche io un fidanzatino come lui.” disse estasiata un’altra.
“Pensi che tuo fratello voglia diventare il mio fidanzatino? Anche lui è così bello e alto!”
“Non lo so – ammise Janet con semplicità – sai, forse lui ha già una fidanzatina: ha ballato con lei alla festa del primo dicembre. Ma credo che sia timido pure lui e non voglia che si sappia… e lei è una bambina grande, sicuramente è alle superiori.”
“Che fortunata! Non vedo l’ora di essere alle superiori!”
“E il tuo fidanzatino ti ha già dato un bacino?”
“No, per quello dobbiamo aspettare: ma la trovo una cosa molto romantica!”
E tutte scoppiarono a ridere in un modo incredibilmente complice e malizioso.
“Jean…” balbettò Heymans, mentre senza girarsi a guardare l’amico, paralizzato com’era davanti a quella scena.
“Si?” anche il biondo era sconvolto da quanto stava sentendo.
“Hanno… hanno sei anni, vero? Perché sono già così… tremendamente smaliziate?”
“Credo che dipenda dal fatto che siano femmine – sospirò Jean, ricordandosi le parole del padre – andiamo, fidanzatino, altrimenti queste ci sequestrano.”
“Inizio a provare simpatia per Teddy e gli altri maschietti della classe…”
 
Mentre Jean ed Heymans scoprivano che anche a sei anni le femmine possono essere incomprensibili, Kain raccontava a Vato ed Elisa le novità che gli avevano annunciato i suoi genitori la sera prima
“Ad East City?” chiese Vato estasiato.
“Sì – annuì il bambino – e papà ha detto che la prossima volta, se mi comporto bene, porterà anche me. Però mi hanno promesso di portarmi un bel regalo già questa volta.”
“Accidenti, mi piacerebbe tanto vedere quella città: ci devono essere biblioteche e librerie ovunque: scommetto che troverei un sacco di cose di cui ignoro l’esistenza.”
“Adesso non esagerare – lo prese in giro Elisa – librerie ovunque direi di no. E dimmi, Kain, tu con chi starai nel frattempo?”
“Probabilmente dai nonni.”
“Perché invece non vieni a stare da me?” propose Vato dopo qualche secondo
“Che? Oh, sarebbe meraviglioso! Non ho mai dormito a casa di un amico.”
“Posso chiedere ai miei genitori: mi farebbe piacere, davvero. E poi spesso viene a trovarmi Roy: possiamo passare dei bei pomeriggi assieme.”
Kain iniziò a saltellare felice, proprio come aveva fatto sua madre il giorno prima. L’idea di passare dei giorni a casa di Vato era qualcosa di incredibilmente bello. Col tempo aveva stretto amicizia con tante persone, certo, ma quel ragazzo di quarta superiore aveva sempre un posto speciale nel suo cuore: era il suo primo vero amico, il magico lettore dello stagno che aveva fatto una bellissima magia per lui; Kain aveva l’assoluta certezza che tutto era iniziato a muoversi nella direzione giusta dopo l’incontro con quel meraviglioso ragazzo.
“Che è questa allegria, gnomo? – chiese Roy avvicinandosi al gruppetto – Che cosa ti è successo?”
“Oh Roy, sapessi che bello! Forse starò a qualche giorno a casa di Vato: spero davvero che i miei genitori ed i suoi ci diano il permesso.”
“Davvero? Allora ti avremo in paese e non in quella casa così lontana.”
“Sono solo venti minuti, sempre che tu corra.”
“In ogni caso dovremmo cogliere l’occasione al volo: perché non organizziamo qualche cosa?” propose Roy.
“Tipo?”
“Che so… una festa, una serata passata a giocare tutti assieme.”
“Buona idea, direi che potremmo anche dirlo a Riza.” propose Elisa.
“Ovvio – annuì Roy, ma poi si rivolse agli altri due con aria cospiratoria – ma poi possiamo fare delle cose tra maschi, che ne dite?”
“Che cosa sono le cose da maschi?” chiese Kain perplesso.
“Ce le inventeremo, gnomo, fidati – sogghignò Roy, mettendogli le mani sulle spalle – ma vedrai che sarà divertente.”

 
  
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