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Autore: Cass_Pepper    17/02/2014    4 recensioni
-Kadar!- il suo urlo era straziante –Kadar! Perché? Kadar! KADAR!-.
Si aggrappava spasmodicamente alle mie spalle, come se cercasse di non scivolare in un burrone.
Infilò la testa all'incavo del mio collo, con la faccia rivolta verso l’esterno, le ciocche rosse mi solleticavano la pelle del collo e le sue lacrime, scivolavano dalla spalliera per finire poi a bagnarmi la tunica.
-Perché, Altaïr? Perché lui...?- Non riuscì a finire la frase. Pianse ancora, singhiozzando, strinse più forte la presa, come se avesse bisogno di una prova che fossi lì, che non fosse sola.
Nella mia mente, la frase poteva avere un solo esito:
"Perché lui... e non tu?"
Genere: Avventura, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad, Desmond Miles, Kadar Al-Sayf, Malik Al-Sayf, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Assassin's Creed: I'm With You'
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Spin-off nr 3/4
Lo so, lo so... sono una persona orribile.
Da quant'è che non aggiorno? Due settimane? Tre? Non lo so. Ma mi sento in colpa in ogni caso.
Per cui vi ringrazio enormemente per la vostra stoica pazienza e per non avermi ancora abbandonato.
Ringrazio i miei recensitori: Illiana, O n i c e, Werepapers e Yukiko_Kitamura per la loro dedizione instancabile, le persone che silenziosamente ricordano, seguono e preferiscono la storia. Oh, e i tre gentilissimi lettori che mi hanno aggiunto agli scrittori preferiti: Mi riempite di gioia!
Che dirvi?
Ah,giusto due cose: Ho aperto una piccola sfida che trovate nella nota 1, rispondete se vi va! E' un modo carino per rendere interattiva la storia!
E sempre a questo proposito, pensavo di aprire un gruppo chiuso su Facebook sulla storia, per condividere con voi anticipazioni, tempi di aggiornamenti, disegni che faccio sulla fic (zan zan zaaaan) e chiacchiere varie... che ne pensate? Mi potete cercare direttamente e io vi aggiungerò al gruppo: Sono Cass Pepper!!!
Buona Lettura!

Cass





14. Nothing But Time


In qualche modo, ogni cosa, andrà bene...
Se solo trovassimo un modo per farle
andare bene tutte più velocemente ogni giorno.
Se solo il tempo volasse come una colomba
noi dovremmo far sì che voli più velocemente
di come io mi sto innamorando.

Quindi non abbiamo nient'altro.
Nient'altro che il tempo nelle nostre mani...
E anche se sto cercando di mantenere la calma,
la sto perdendo sempre di più.

Paramore - Hallelujia





-Ciao,
Waqi!-
Sentirlo parlare era quasi straziante. La sua voce era così diversa da quella gioiosa e scampanellante che avevo lasciato prima di partire per la Cina. Era così bassa, così profonda.
Sorrisi immediatamente, girandomi nella sua direzione.
Il mio nome in arabo suonava così dolce, detto da lui, con quella nota fraterna-non-fraterna, come amava definirla: "Non posso mica precludermi la possibilità di corteggiarti, un giorno!" rideva.
-Ciao Kadar- mormorai, con un groppo in gola.
Il suo volto, anche, era cambiato: Il viso era spigoloso, sempre terribilmente abbronzato, con il pizzetto nero a contornargli le labbre sottili. Nonostante il cappuccio, si intuiva la forma squadrata della mascella, anche se non lo sarebbe mai stata come quella di Altaïr.
Altaïr. Era strano pensare a lui in quel momento. Forse era stato un campanellino d'allarme per quel Waqi.
Non potevo negare che la prima volta che mi aveva chiamata così avessi sentito le gambe molli.
Perché mi aveva ricordato
    lui, ma allo stesso tempo, mi aveva sbattuto in faccia le loro differenze: il suo Waqi non era dolce e nemmeno fraterno-non-fraterno. 
Era sensuale.
Eccitante.
-Sei cresciuta- fu il suo commento malizioso. Incrociò le braccia dopo essersi abbassato il capuccio, mostrandomi il volto.
Gli zigomi erano appena sporgenti, i capelli scuri sparati in ogni direzione e gli occhi... gli occhi neri di Kadar erano come pozzi profondi in cui annegare.
Non mostravano solo le sue emozioni, la sua anima... mostravano di più. Mostravano tutto.
Riportai con forza l'attenzione al discorso, era facile perdermi se si parlava di Kadar, e rielaborai in fretta le sue parole e il suo tono, ma non avevo la forza né di imbarazzarmi né di arrabbiarmi per quella allusione, ero impetrita sul posto, troppo... troppo tutto, troppo sconvolta, troppo felice...

Troppo emozionata al pensiero di poterlo rivedere. Di poterlo sentire parlare. Di poterlo toccare.
Potevo? Non ne avevo idea, forse ne avevo la facoltà e non il coraggio, ma di certo non riuscivo a distogliere lo sguardo dai suoi occhi scuri e profondi.

Avevo quasi dimenticato quanto fossi bello.

-Grazie- ghignò lui. Non ebbi nemmeno il tempo di protestare per l'intrusione che lui mi riprese -Siamo nella tua testa, piccola. Che ti aspettavi? Non hai segreti per me!- fece un sorrisino tenero - Finalmente sono io a leggerti i pensieri e non il contrario-.
Ma quell'espressione di gioia non ebbe nemmeno il tempo di nascere che subito si incrinò.
Anche qualcosa in me si incrinò: non avrei potuto leggergli mai più la mente. Non avremmo potuto fare più niente.

Presi un bel respiro per scacciare quel pensiero -Sei davvero tu?- balbettai - Sei davvero qui? Sì, insomma, tu sei...- faticavo anche a pensare quella parola -...vivo?-.
 -No, dolcezza. Ma vorrei esserlo, davvero tanto...-
Cominciò a mancarmi l'aria nei polmoni, la forza negli arti e la vista mi si offuscò di lacrime... perché ci avevo sperato davvero, avevo sperato che fosse tornato, che non fossi pazza, che non fosse un sogno. Ma ero rimasta delusa. Credere non era bastato. 
Mi poggiai una mano sul cuore, cercando di tenerlo assieme dopo quell'ennesimo strappo.
-Non piangere, Vega- mormorò, alzandò un braccio verso di me.
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso:

-Perché non dovrei piangere?- urlai -Perché non dovrei piangere, Kadar? TU SEI
MORTO- ansimai, sconfitta, rendendomene finalmente conto.
-Non so se te ne sei accorto. Io ti ho perso due volte, senza saperlo. Senza volerlo. E ci hai visti? Hai visto la fine che abbiamo fatto tutti?- feci un passo in avanti per la foga, lui mi guardava petrificato.
-Samir è un
ribelle! E' così preso dai suoi piani contro Al Mualim che...- non riuscii a continuare la frase per il dolore -Sono sicura che Malik sia distrutto. Dicono che disegni mappe su mappe, che sia sempre indaffarato... Non si concede un minuto per pensare. Non capisci perché lo fanno?! Non ci arrivi proprio?- strinsi i pugni fino a far diventare bianche le nocche.
-E hai visto me, Kadar? Hai visto che fine ho fatto io?- dovetti riprendere fiato, la gola mi bruciava per il prolungato urlo. Ma non mi importava.
Non mi importava niente in quel momento - Io sono in missione con il tuo assassino. Ma non bastava, sai? Non mi bastava una cosa del genere. Sono diventata sua amica e mi piace esserlo...- mi fermai un secondo per ficcare quel concetto anche nella mia mente -E' lui a piacermi-.
Kadar emise un lamento e abbassò il capo con aria colpevole, dispiaciuta; ma in quel momento non riuscivo a tollerare che lui provasse quei sentimenti.
Non ne aveva il diritto. Perché era morto.

Feci altri passi in avanti, senza accorgermene -Non mostrarti addolorato, sai? Non permetterti nemmeno di essere dispiaciuto, perché non puoi. Mi hai capito?- il mio tono di voce esprimeva benissimo l'isterismo che mi aveva colta, così come i miei passi frenetici, che mi avvicinavano sempre più al suo corpo.
-E sai perché? Perché non ci sei più, Kadar, tu sei
morto. E quando muori, non te ne accorgi. Non si prova dolore- ormai gli ero praticamente addosso -Sono gli altri, quelli che rimangono, che soffrono- ansimai, poggiando la fronte sul suo petto.
-E tu sei morto!- conclusi amaramente, inspirando il suo odore fresco, di bosco.
Quello non era cambiato.

Le sue braccia mi circondarono immediatamente le spalle, accogliendomi, quasi conformandosi al mio corpo. Mi sentii morire e rinascere allo stesso tempo.
Restammo così per un tempo indefinito e cercai di prendere tutto. La mia mente mi stava offrendo un'occasione irrepitibile, una proiezione del mio Kadar...
Non sapevo se sarebbe mai più risuccesso: Così cercai di raccogliere tutto il calore della sua pelle, il suo odore, la tonicità della braccia, la durezza degli addominali, il lieve pizzicore nato dal suo pizzetto sulla mia fronte.

La morbidezza delle sue labbra quando mi sussurrò all'orecchio che mi aveva sempre amato.

Un singhiozzo più forte mi scappò a quelle parole. 
-Perché mi stai facendo questo? Mi stai offrendo una vita di rimpianti- mugolai, alzando il capo verso di lui, stringendo di più le braccia attorno alla sua vita.
Lui fece una risatina amara e, infilata una mano tra i miei capelli, cominciò a massaggiarmeli -Sono un egoista, piccola- confessò mestamente -Avevo bisogno di te. Di salutarti... E non ho fatto una cosa gentile, venendo a trovarti, lo so. Ma non potevo lasciarti andare così. Non potevo lasciarti ad Altaïr senza...- fece una risatina nervosa - senza spiegarti per bene i miei sentimenti-.
La mia risposta fu un rantolo. Di sorpresa. Di dolore. Di imbarazzo. Di irrazionale gioia per la sua confessione. Di rimpianto.
-Non piangere, piccola e dimmi una cosa- sussurrò, avvicinandosi ancora una volta al mio orecchio -Sei almeno un po' felice che io ti ami?- Che domanda sciocca.
Lo guardai torvo dal basso verso l'alto -Certo che lo sono. Come potrei non esserlo?-.
Lui accostò il suo naso al mio e in questo modo le nostre labbra si sfiorarono appena. Il mio cuore cominciò a fare le capriole.
- Perché la mia morte potrebbe farti erronemante credere di non dover concedere il tuo cuore- soffiò leggermente e sentii ogni fibra nel mio corpo tremare -Non essere arrabbiata con Altaïr- continuò -E digli che io non lo sono. Non lo sono mai stato-.
Si avvicinò ancora alle mie labbra. Non riuscivo a capire come potesse avvicinarsi tanto senza toccarmi davvero: forse era solo una incongruenza del mio sogno.
Mi venne nuovamente da piangere a quel pensiero.
-Anzi- continuò, carezzandomi la guancia arrossata col dorso della mano -Digli che una cosa gliela invidierò sempre- mi guardò profondamente -Questo-.
E le sue labbra furono sulle mie.


-Ehi Sayydah
? Sayydah sei sveglia?- Mi svegliai di soprassalto a quelle parole, con gli occhi spalacati e vigili e il cuore che si agitava frenetico.
Non c'era Kadar. Non c'era Altaïr. Non c'era nessuno, se non un bimbo dagli occhietti neri vispi e una finestrella lì dove c'era l'incisivo sinistro.
Lo riconobbi come 'Adel, il figlio di una delle cuoche.
-Marhaba
!- bofonchiai, la voce impastata e gracchiante per il sonno, cercando di non scaricare su di lui tutta l'agitazione che provavo.
-Marhaba!- rispose lui, squillante, sorridendo ancora -Abbas mi ha chiesto di svegliarti anche se non avevi il turno da senfinella- continuò, mentre io mi puntellavo sui gomiti prima di alzarmi del tutto dalla stuoia - Dice che ha una brutta sensazione. Di tenersi pronti-.
Annuii, cercando ancora di non far trasparire il mio turbamento -Ma certo. Grazie per avermi avvisato!- gli sorrisi, porgendogli uno dei tanti sacchettini di mandorle che Altaïr continuava a raccogliermi quando usciva dalla struttura.
Si mostrò entusiasta del regalo e, dopo avermi detto grazie almeno cinque volte, sgattaiolò via, saltellando.
Tirai un sospiro alzandomi definitivamente, abbandonando il torpore della coperta. Era l'alba e quasi mi sentii arrabbiata con Abbas per aver disturbato un bambino a quell'ora, oltre che per l'aver disturbato me.
Me e Kadar.
Scacciai quel pensiero dalla mia testa, c'era un forte rischio che mi mettessi ad urlare o, peggio, a piangere... decisi di raggiungere immediatamente il mio compagno sul tetto, dove sapevo era stanziato come senfinella, per dirla come 'Adel.
Sorrisi, guardando i sacchetti sistemati ordinatamente sul tavolo.
"Ho visto che ti piacciano davvero" aveva detto seraficamente senza guardarmi negli occhi quando, stupita, mi ero ritrovata il primo pacchetto tra le mani "E visto che molto spesso non riesci a mangiare, devo nutrirti in qualche modo. Non me ne faccio nulla di un'alleata deperita".
Che tradotto in Altaïrliese voleva dire "Ti ho pensato e mi fa piacere prendertele. E' un modo stupido di essere gentile."
Quel ragazzo mi stava facendo diventare pazza...
Di lui.



L'avevo perso di vista.

L'avevo perso di vista da due ore, ormai.
L'avevo perso di di vista da due ore e non ero riuscita a fermare tutti i templari che si muovevano verso il punto in cui lui era scomparso.
E non c'era traccia nemmeno di Abbas e Bashir, per giunta.
Era il momento giusto per farsi prendere dal panico. Cazzo.
Dovevo tenere la mente occupata, altrimenti sarei impazzita del tutto: Per questo benedissi in tutte le lingue che conoscevo la donna che mi chiese, dopo aver inistito per non farmi medicare subito, di andare a cercare qualche superstite ferito.
Decisi di andare verso sud, nel punto in cui la maggiorparte dei soldati si era diretta. La maggiorparte dei soldati e Altaïr.
Alzai gli occhi al cielo per me stessa e mi pulii con il dorso della mano un rivoletto di sangue che mi era sgorgato dalla ferita all'occhio per quel momvimento irruento... Un maledetto templare me l'aveva riaperta grazie ad una sprangata in piena faccia.
Non ero potuta rimanere sul tetto per tutta la durata della battaglia, perché a terra era servita una mano salda che guidasse gli attacchi; in precedenza noi arcieri con i combattenti migliori, avevamo cercato di allontanare il pericolo, ma una volta che i combattenti a terra allontanavano il pericolo, si allontanavano anche loro.
Così ero scesa in campo. Non ne ero uscita del tutto indenne, ma avreste dovuto vedere gli altri. Eh eh.
-Vega!- mi girai verso quella voce, riconoscendo la figura di Abbas in lontananza. Mi sentii subito più leggera e corsi verso di lui, che sembrava vagamente ammaccato e zoppicante.
Il sole cocente del pomeriggio aveva arroventato la sabbia e picchiava forte su tutto il mio corpo, ma nemmeno questo unito alla stanchezza avrebbe rallentato la mia corsa verso il ragazzo. Era il primo viso amico che vedevo dall'alba.
Lo abbracciai di scatto.

-Stai bene?-  chiese con voce fioca indicando la mia faccia, una volta terminata l'effusione - Non hai una bella cera- constatò, sfregando le mani sulle mie braccia.
Liquidai la questione facendo spallucce -Non è la ferita che mi fa più male. Tu come sei messo?-.
Mi risposi da sola guardando il suo braccio destro, penzolante e inerme.
-Non è grave- ansimò, ma il pallore della sua pelle e il sangue di cui erano impregnati i suoi vestiti raccontavano tutt'altra storia.
Lo feci appoggiare sulla mia spalla e lo trascinai, tra le sue lamentele e i continui " Non ne ho bisogno, cammino da solo" (dannazione all'orgoglio maschile), fino al punto in cui sapevo si trovava la squadra di "medici" della struttura. Lo feci accomodare accanto ad un muro e andai a comunicare a Fhara (una delle donne che avevo conosciuto in quei giorni) le condizioni di Abbas e che sarei andata a cercare altri superstiti.
Lei mi ringraziò, ma disse che si sarebbe dovuta occupare più tardi del giovane, perché le sue condizioni non erano critiche e c'erano persone decisamente più in pericolo di lui. Mi disse però di dargli un po' d'acqua... di darla a tutti i feriti che trovavo, per reidratarli.
Accettai di buon grado la bisaccia piena e il tozzo di pane che mi offrì. Aiutò a sentir meno la stanchezza.
Tornai subito da Abbas e lo rifocillai -Torno subito, va bene?- mormorai, accarezzandogli la spalla per rassicurarlo -Vado a cercare altri superstiti-.
Fece un cenno col capo e un sorriso tirato -Ho visto dei corpi amici ad est delle stalle, e ho sentito delle voci... Vai lì, magari sono ancora vivi- la sua voce era fioca e discontinua, provai subito una grande preoccupazione per lui: Abbas era un caro amico, non solo una brava persona.
Non mi andava per niente di lasciarlo lì, in quelle condizioni, sapendo che non avrebbe ricevuto cure tanto presto.
Sembrò leggermi nella mente - Vega!- mi lanciò un'occhiata torva -Sto bene. Non intendo rimetterci la pellaccia, vai tranquilla. Senti che trambusto stanno facendo quei guaritori. Se continuano così saranno da me prima che riesca a pensare "ahia". Lì, invece, c'è gente che ha bisogno di te-.
Annuì, rinvigorita di forza morale -Prometti di non morire?- chiesi ancora, già in piedi, prima di ripartire alla ricerca.
Rise - Croce sul cuore!-.


Abbass aveva ragione.
Sei uomini giacevano grevemente feriti nelle vicinanze delle stalle. Due avevano una delle gambe rotte, gli altri "solo" ferite che li avevano indeboliti fino a renderli quasi infermi. Diedi un pezzo di pane e un po' d'acqua a tutti: nessuno aveva riportato ferite ad organi interni, si trattava dolo di ferite profonde ad arti, spalle... e uno aveva un profondo taglio che partiva dallo zigomo sinistro, poi per la parte più alta del naso, fino terminare sullo zigomo destro.
Davanti a quella ferita rischiai veramente di vomitare l'anima, ma probabilmente anche la mia faccia offriva uno spettacolo del genere.
Alcuni compagni che passavano di lì per tornare alla struttura, richiamati dai lamenti, mi aiutarono a riportare i feriti a casa... prima però dovetti riaddrizzare le gambe ai due storpi, che altrimenti non sarebbero riusciti a compiere un solo passo.
Il rumore delle ossa che si riassestavano spaventò anche me, ma cercai di non darlo a vedere, mantenendo un'espressione calma e serena, per non agitarli ancora di più di quanto non fossero già.

Quando tornammo al campo medico improvvisato, visto che i nuovi arrivati erano pronti a farsi carico delle ricerche, mi chiesero di prestare aiuto al campo stesso: di certo, dissero, non potevo traportare in spalla i feriti o quanto meno trascinarli in salvo e sembrava proprio che ci sapessi fare con le ossa e le ferite.
Così tra una sutura e un braccio spezzato, tra mutilazioni di emergenza e fratture, passarono altre due ore.
Altre due ore senza sue notizie.
"E' morto" mi dissi "Fattene una ragione. Tutte le persone che ami muoiono."
No! Non poteva lasciarmi ora, non sarebbe morto proprio oggi; mi costrinsi ad elaborare solo pensieri di questo tipo e mi concentrai solo sui miei movimenti, per chiudere al meglio la ferita del ragazzo di cui mi stavo occupando, che poteva avere la mia età, se non ancora meno. Era bianco come un cencio, mingherlino e decisamente spaventato, eppure non si era lamentato nemmeno un po', solo una smorfia di tanto in tanto a contatto con l'ago.
-Complimenti... Sei il miglior paziente di oggi!- lo informai con tono entusiata, ma lui rispose con un sorriso tirato, sebbene sincero.
Dopo averlo fatto bere e dopo averlo rispedito in struttura per riposare, cominciai a racattare, ago, spago, acqua e garze per occuparmi di qualche altro paziente, ma Abbas mi piombò accanto tutto sorridente, impedendomi di andare avanti nel mio lavoro.
-Abbas, levati di torno. Devo lavorare!- non volevo essere così sgarbata, ma il pensiero che Altaïr fosse chissà dove e chissà cosa (disperso, ferito, morto?) mi stava completamente rivoltando; ero pronta a scusarmi, ma Abbas non sembrava aver notato il mio tono acido.
Sorrideva. Sorrideva imperturbabile.
Alzai un sopracciglio, perplessa, davanti quel ghigno smagliante, agli occhi lucidi come se fosse commosso e al rossore delle sue guance.
Sembrava un cretino.
Anzi no, peggio: sembrava un drogato.
-Ti hanno dato un oppiaceo, vero?- la cosa non mi stupii, la sua ferità era davvero mostruosa, sebbene non mortale -So che ti senti il padrone del mondo ma è un'allucinazione - scandii lentamente ogni lettera, con tono grave, cercando di riportarlo sulla Terra. Gli posai le mani sulle spalle, per aumentare la carica delle mie parole -Mi senti? Guardami negli occhi... Non fare stupidaggini!-.
Rimase nella sua espressione da ebete -Certo. Io ti guardo sempre negli occhi... sono bellissimi- e mi prese la faccia tra le mani, con delicatezza, attento a non premere sulla ferita. Aveva le dita infilate tra i capelli e i pollici sui miei zigomi.
Avvampai per quel gesto, di imbarazzo e rabbia -Abbas, che accidenti stai fac...- Mi stava baciando.
Ecco che stava facendo, quell'idiota.
Dovrebbe scrivere un codice, a caratteri cubitali, con il titolo "Come rovinare una amicizia davvero bella in un minuto", sarei stata una grande sostenitrice dell'efficacia dei suoi metodi. Certo, istigava violenza fisica, ma che vuoi che sia? A chi non piace rovinarsi le amicizie?!
E lui continuava a muovere le sue labbra umide sulle mie, non importandosene che invece io fossi immobile e pietrificata.

Non ci posso credere. Non può succedere sempre a me.


Lo spintonai con entrambe le mani, mantenendo un'espressione disgustata e al contempo incazzata. Incrociai le braccia sul petto e mi piantai saldamente sui piedi, come se dovessi fare una scazzottata. Sentivo un pizzicorio nelle mani, oltre che ad uno stupidissimo tremolio.
Ero al contempo arrabbiata e sentimentalmente agitata per quel bacio... Non riuscivo a capacitarmi di piacere a qualcuno come Abbas, che aveva sempre intorno donne bellissime e dall'elevatissimo spirito come Illiana, per esempio. Forse dovevo avere qualcosa di speciale, a parte i miei poteri, che non riuscivo a cogliere. Forse destavo interesse solo perché ero così pallida e rossa in un mare di scurissime bellezze orientali.
Ero in imbarazzo anche perché, in qualche modo, mi piaceva Abbas, non solo come persona, ma anche per il modo in cui poneva con tutti, con me.
Ma era un interesse diverso dall'interesse (Troppo riduttivo come termine)  che destava Kadar nel mio animo.
Mi piaceva in un modo totalmente diverso da quello in cui mi piaceva Altaïr.
Mi venne un groppo in gola al pensiero che, molto probabilmete, avevo perso entrambi
- Oh, andiamo, Vega! Abbiamo vinto... abbiamo vinto! Non sei nemmeno un po' entusiasta?- riprese lui, imperterrito, alzando le braccia al cielo, come se la mia reazione fosse incomprensibilmente piatta e inadeguata.
Mi chiesi se avessi potuto avere una reazione diversa, più diplomatica o magari più rilassata se non fossi stata così strapazzata dagli eventi, così piena di emozioni positive e negative allo stesso tempo. Insomma, se non fossi stata così stremata.
Sbuffai - E questa cosa che hai fatto ti sembra un modo di festeggiare?!-
Lui tornò a sorridere come un idiota, stringendosi nelle spalle con aria innocente -Ogni momento che passo con te è da festeggiare!- Stava per riavvicinarsi, ma io fui più svelta e lo colpii in piena faccia con un pugno.
Oh sì. Esattamente. CON UN PUGNO.
Il suo naso a contatto con le mie nocche fece un suono assordante, forse peggio di quello che avevano fatto le ossa dei due superstiti salvati.
-Accidenti, Vega! Adesso capisco perché fai l'Assassina...- rantolò, cercando di trattenere la fuoriuscita di sangue dal naso - Sei pericolosa, aggressiva....- inaspettatamente sorrise -Mi piaci sempre di più!-
Imbarazzata come non mai, girai sui tacchi e andai da qualche altro paziente, con lo stomaco in sobbuglio per le parole di quel idiota.
Scappò un sorriso anche a me.

Una manciata di minuti dopo, vidi Abbas correre incontro ad una figura all'orizzonte, con la tunica bianca sollevata per la corsa e la luce del sole che si rifletteva sui piccoli scudi metallici dell'avambraccio. Mi ci volle molto meno di un secondo per riconoscerlo.
-Altaïr! Altaïr- urlò l'amante-senza-paura, sventolando un braccio in segno di saluto e io sentii il mio cuore alleggerirsi. Alleggerirsi di tutto.
Del senso di colpa per il pugno dato ad Abbas. Dall'angoscia. Dalla paura di non rivederlo mai più. Dalla tristezza.
"Sei vivo
" fu tutto quello che riuscii a pensare lucidamente nella successione caotica dei pensieri che mi affollavano la testa: Stava bene? Che cosa aveva combinato? Era ferito, disidratato?
Cercai di rallentare il ritmo forsennato del mio cuore, ma i miei tentativi furono resi vani quando mi accorsi che prima ancora di guardare Abbas, cercò disperatamente tra la gente finché non fermò il suo sguardo su di me.
Il mio cuore perse un battito.




1) La canzone scelta per questo capitolo, che doveva essere uno spin-off, all'inizio, è Hallelujia dei Paramore. E' una canzone, lo ammetto, che non mi piace tanto come le precedenti che ho condiviso con voi. Ma penso che la Williams (cantante di questo gruppo) sia un'ottima paroliera. 
Prima di spiegare i motivi della mia scelta, voglio chiarire una cosa.
L'idea di far ricomparire Kadar in sogno non è frutto della mia vena romantica, né un modo per torturare Vega o per spronarla a gettarsi tra le braccia di Altaïr.
C'è un motivo ben specifico e non è del tutto sentimentale. Vi do un indizio e lancio UN SONDAGGIO per vedere se qualcuno indovina:
Vi ricordate cosa vede Altaïr quando guarda Vega con l'Occhio dell'Aquila per la prima volta? In che modo potrebbe essere collegato con il sogno?

Le parole di Hallelujia si legano bene sia alle emozioni del sogno sia a quelle della bruciante attesa del ritorno Altaïr, dopo la battaglia... insomma, che descrivino bene Vega in generale.
Ha ammesso che le piace Altaïr: L'aveva fatto anche nel primo spin-off a lei dedicato, eppure credo che il significato di quel piacere sia cambiato radicalmente. Ma arriva sempre un nuovo ostacolo per ogni passo in avanti che i nostri Assassini compiono.
Se avete imparato a conoscere Vega, avrete capito che è una che "pensa positivo" e crede sinceramente che Altaïr sia diverso dall'uomo che ha ucciso Kadar, che il suo perdono (anche se ancora Altair non lo sa) non sia stato sprecato, lei crede che tornerà vivo, anche se il tempo passa.
E questa sua positività crea strane combinazioni col suo essere pragmatica e impulsiva.
Come la "violenza" con cui rinfaccia a Kadar le conseguenze della sua morte, la testardaggine che dimostra non facendosi curare per tenersi impegnata, il pugno dato a Abbas...
Non mancheranno sorprese.

2) Sayydah: Signora.
Credo di aver già usato questo termine, ma lo ripeto per sicurezza! ^^

3) Marhaba: E' un saluto molto informale, come il nostro "ciao!". Non è usatissimo, si preferisce il saluto "Salam", più educato... per questo l'ho trovato più adatto ad un bambino.




  
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