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Autore: madelifje    19/02/2014    2 recensioni
A dodici anni ho avuto l’idea di salire sul tetto.
Lo spettacolo da lassù è bellissimo: si vedono le ultime luci ancora accese delle case, i lampioni che illuminano le strade deserte e, alla mia destra, i campi.
Mi sdraio sul plaid cercando di trovare la stella polare. Poi controllo di avere montato l’obbiettivo giusto sulla mia Canon, metto a fuoco e scatto la foto.
Giselle diceva che un giorno Alianna Crawford sarebbe diventata qualcuno.
Oggi è il 7 settembre 2012 e sono le ventitré e quindici minuti.
Alianna Crawford è ancora la ragazza invisibile.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ed Sheeran, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Hallucinations.


Look into my eyes, 
it's where my demons hide
-Imagine Dragons


-Buon Natale!
-Taci.
-Su bella bambina, dammi la tua letterina!
-TACI!
-Lloyd, stai distruggendo la magia del Natale.
-Tu stai distruggendo le mie palle, Vince.
Ed soffocauna risata  e per poco non gli esce la coca cola dal naso.
-Non faceva così ridere. –obiettano gli altri due.
Lui sbatte rapidamente le palpebre, toglie la cuffietta dall’orecchio sinistro e -Eh? Parlate con me? Dio, questo audiolibro fa scompisciare dal ridere!
Bridget sembra valutare l’idea di tirargli addosso qualcosa. Il suo vassoio del pranzo, ad esempio. Poi però ci ripensa e si rivolge a me. –Come fai a sopportarlo?
-Non lo so.
-Ah, andiamo bene. –la mia amica strappa il cappello da Babbo Natale dalla testa di Vincent il quale, dall’altra parte del tavolo, sta intonando Silent Night.
È l’ultimo giorno prima delle vacanze di Natale e tutti in teoria dovrebbero essere più buoni. In pratica, l’atmosfera pseudo-natalizia ha solo aumentato la follia di questo posto. Da bravi studenti dell’ultimo anno i miei compagni dovrebbero studiare giorno e notte, invece organizzano gare Renne vs. Pupazzi di neve nei corridoi (corse in cui i pupazzi di neve sono primini infilati a forza in costumi di gommapiuma).
A circa un mese dall’incidente, tutto sembra tornato alla normalità. Forse è addirittura troppo normale.
Tutti i miei amici si sono meravigliati dalla velocità con cui ho superato la Faccenda Andrew, ma la verità è che loro non conoscono tutta la storia. Se fosse così, capirebbero quanto si sbagliano.
Qualcuno però lo sa, penso. Ed Sheeran, che nell’ultimo mese è stato assolutamente fantastico. Lo è sempre, intendiamoci, ma non credo che senza di lui sarei uscita da… diciamo che non avrei mai superato quello che è successo.
La situazione tra di noi è molto strana. Ci sono stati alcuni baci, qualche (tre) uscita solo-noi-due e a volte capita che, camminando, mi prenda per mano. Eppure non abbiamo ufficializzato niente.
La sua situazione sentimentale su facebook è nascosta, ma tutta la scuola sa che Ed Sheeran non è disponibile.
Va bene così. Per adesso.
-Allora?
La voce di Vincent mi riporta sul pianeta Terra. –Cosa?
-Buongiorno. Ali, ti ho appena chiesto cosa farai a Natale.
-Pranzo con i parenti, come al solito. Cosa dovrei fare?
Lui scrolla le spalle. –Non lo so, magari una cenetta romantica con…
-Vincent. –lo ammonisce Bridget, prima che entri nel campo minato. Lui infilza un po’ di insalata con la forchetta, arrossendo.
-Tu, Ed? –si affretta a chiedere, lasciando in sospeso la frase di prima.
-Credo che starò a casa, -ostenta un tono indifferente, a cui però non crede nessuno –I miei zii tornano in Inghilterra ma… a me non piacciono i pranzi in casa Sheeran.
Nessuno indaga. Se i tuoi genitori non ci sono più, è abbastanza normale non morire dalla voglia di passare il Natale in famiglia. Vorrei dire qualcosa di carino ma, come al solito, non sono capace.
Anche Vincent si accorge dell’imbarazzo e si prenderebbe volentieri a sprangate per la sua domanda stupida.
-Ali, sai per caso se Willow andrà da qualche parte? –chiede, facendola sembrare una domanda casuale.
-Sì, da una zia nel Maine. Perché?
Lui arrossisce ancora di più e mette decisamente troppo aceto nel piatto.
-Perché muore dalla voglia di baciarla. E non solo... –risponde Bee al suo posto –Cavolo, hai intenzione di mangiarla?
-Perché? Cos’ha la mia insalata che non va? –ne mastica un po’, per confermare quello che sta dicendo.
-Comunque, Vinnie, la tua bella è fidanzata.
-Con Connor Morris. –precisa Ed.
-Sai, ti preferivo quando stavi zitto.
 
Le mie dita gelate litigano con il lucchetto della catena della biciletta. Aprirlo con i guanti è impossibile, ma sono sicura che se li togliessi poi dovrebbero amputarmi le mani. All’ennesimo tentativo finalmente il lucchetto scatta e io butto la catena nel cestino.
Sto per montare in sella, quando lo vedo. Un ragazzo che apre la portiera di una vecchia panda. Un ragazzo praticamente identico ad Andrew. Il mio respiro si fa affannoso. Non può essere lui. Drew è morto. Un mese fa. Quella panda è stata completamente distrutta. Eppure…
Si volta. Dio, è proprio lui. Non so cosa fare. Non riesco a muovermi. Stringo forte il manubrio.
-Crawford? Tutto bene? –la prof di letteratura, carica di borse come al solito, mi sta osservando. Annuisco. Quando mi volto di nuovo, Andrew è sparito. Al suo posto c’è un ragazzo della squadra di football che bacia una cheerleader e il panico che blocca il mio corpo.
 
 
Capisci di essere la peggiore fidanzata ufficiosa del millennio quando è il ventidue dicembre e tu non hai ancora comprato il regalo al tuo quasi-ragazzo, nonostante avresti dovuto averglielo già consegnato. Così finisce che ti ritrovi a passeggiare per il centro della città guardando sconsolata le vetrine, dato che, lo sai, non troverai nulla di adatto a Ed.
Che poi, cosa è adatto a uno come lui?
Stupida, se conoscessi la risposta a questa domanda non saresti nella merda, ti pare?
I piedi sono troppo freddi nelle vans che ormai è troppo tardi per indossare. Il tuo respiro si condensa in piccole nuvolette e tu ti diverti a vedere quanto grandi le riesci a fare. Poi decidi di smettere, perché non hai più sei anni da un pezzo e il centro tende ad essere affollato in questo periodo dell’anno. Hai lasciato i guanti a casa, non ti senti più le dita, preghi che le poche monete nella tua tasca bastino per comprare un biglietto dell’autobus (le banconote sono destinate unicamente al regalo), fantastichi su quanto ti piacerebbe suonare il pianoforte, ti chiedi perché mai ti sia venuto in mente proprio adesso e poi un volantino fucsia fluo svolazzante finisce sulla punta di una delle tue vans. Scrolli il piede. Poi però devi piegarti, perché non vuole venire via, il maledetto. Riesci a staccarlo e finalmente leggi quello che c’è scritto sopra, in un fastidioso inchiostro blu. Scoppi a ridere: finalmente hai trovato il regalo.
A quanto pare avrai i soldi per il pullman, anche se parte delle banconote verrà utilizzata per la stronzata che regalerai a Ed Sheeran per non destare sospetti.
Un giorno Ed ti ha detto delle cose che volevi sentire da secoli. Tu eri in ospedale. Nessuno si era preso la briga di dirti «Ehi, Drew è morto», così sei rimasta giusto un tantino sconvolta dalle parole di Ed. Così sconvolta che i dottori hanno dovuto somministrarti delle medicine in più. Ai tuoi genitori questo non è piaciuto granché, e Ed Sheeran è stato bandito dalla tua stanza. Almeno fino a quando non si è travestito da infermiere e, il pensiero ti fa ancora sorridere, si è appiccicato degli stupidi baffi finti. Doveva parlarti ed era urgente.
«Cazzo, tu sei scappato via» «Di solito è questo che fanno gli idioti» «La prima cosa giusta che hai detto» «Vorrei una macchina del tempo» «Anche io. Non lo lascerei salire su quella cazzo di macchina» «Non farei quella cazzata» «Quale?»
E lui non te lo poteva dire. Ti sei arrabbiata. Sei stata seriamente sul punto di cacciarlo via, ma poi ha aperto quella maledetta boccaccia.
«Mi hanno picchiato per una cosa stupida che ho fatto io. Perché avevo paura, quindi sono andato a bere, ho esagerato, c’era anche lui, ho detto delle stronzate e mi ha picchiato» «Perché avevi paura?» «Avevo appena capito una cosa» «Vuoi dirmelo o preferisci aspettare la venuta del messia?» «Cazzo Ali, avevo appena capito di essermi innamorato»
Era calato il silenzio a quel punto. Uno strano silenzio, perché ti sembrava che il tuo cuore facesse un rumore infernale.
«Innamorato di Alex Pettyfer?» «Ti sembro gay?» «Nah. Neanche troppo» «Di te, comunque» «Di me cosa?» «Cazzo, Ali»
Lui l’aveva ripetuto. Si era innamorato di te.
Adesso sei stranamente soddisfatta di te stessa, ti concedi ancora qualche vistosa nuvoletta di condensa e poi ti accorgi che le cose minuscole che ti si posano sui capelli color mogano sono fiocchi di neve.
 
 
Il bello del tetto di casa mia è che, a meno che non ci cada sopra un meteorite o una bomba, sarà sempre qui. Potrò sempre sedermi sulle tegole con la mia Canon in mano, indipendentemente da quanto la vita faccia schifo.
Adesso tra le mie mani non c’è la macchina fotografica, ma il vecchissimo Nokia che sostituisce il mio cellulare, dato che dopo l’incidente non sono più riuscita a trovarlo.
Sullo schermo c’è il numero di Ed. L’unica cosa che devo fare è premere il tasto verde. E chiamarlo. E parlargli. E proporgli quella cosa che mi ronza in testa da circa quattro ore.
Maledizione, non può essere così difficile!
Avvicino il cellulare all’orecchio e mi ritrovo a sperare che risponda la segreteria telefonica.
-Ali? –dice invece la voce di Ed.
-Ciao. Disturbo?
Lui ansima, come se stesse correndo. Attorciglio una ciocca di capelli intorno all’indice.
-No! Certo… Che no.
-Ed?
-Sto correndo… Scusa ma… Chad! Non… Così… Veloce!
E qui le cose iniziano davvero a diventare strane perché, tanto per cominciare, Ed Sheeran non corre. Scaccio dalla testa la vocetta che continua a ripetere riattacca come una sorta di mantra e decido di indagare.
-Stai correndo?
-Sì. A quanto pare… Tutta la gente… Figa… Corre. E Chad… Si sente… Figo.
Certo. Figo come può essere qualcuno che passa il suo tempo a imparare le battute di Frodo Baggins.
-Oh.
-Già. E vuole… Compagnia… Quindi… Cristo, sto… Parlando… Ma non… Vedi?
Ridacchio. –Tutto bene… All? –continua. Ma perché non si ferma un attimo?
È il momento giusto per raccontargli il piccolo incidente del parcheggio. Se solo ne avessi il coraggio, si intende.
-Sì. Ti volevo chiedere una cosa. Anzi, è più una proposta. Ma è comunque una sorta di domanda perché non te lo sto ordinando e…
-All.
-Okay –com’è il detto? “Via il dente via il dolore”? –Ti ricordi quello che stavamo dicendo in mensa?
-CHAD! Oh, fanculo. –pausa –ecco, mi sono fermato. Intendi la vita sentimentale di Vince?
-No. Il Natale.
-Ah.
Il quarto di dollaro con cui sto armeggiando dall’inizio della telefonata mi sfugge di mano, rimbalza sulle tegole e cade dal tetto.
 Fantastico. Non solo non ho più niente da usare come anti-stress, ma ci ho anche smenato un quarto di dollaro.
Inspiro profondamente. –Nonèchetiandrebbediveniredame?
-Eh?
-Oh, hai capito.
Ha capito sul serio. –Sei seria?
-No, Ed, ti sto prendendo per il culo! –poi cambio tono, perché in fondo non volevo essere così stronza. –Tranquillo, ci saranno solo i miei e qualche parente fuori di testa.
-E a loro non dispiace se vengo anche io?
-Scherzi? Sono ancora in piena fase “Non contraddiciamo Ali”.
Ed sembra pensarci seriamente. La fase NCA sarebbe già conclusa da tempo se non fosse per tutti i… problemi. Probabilmente lui si sente in colpa ad approfittarne, ma se lo merita. Che cavolo, lui è Ed.
-Ali?
-Mhm?
-Grazie.
-Lo prendo per un sì, Sheeran.
 
Tra le tante cose che lo psichiatra mi ha consigliato, non pensare a Giselle è in assoluto in cima alla lista. Ed e Willow pensano che, con tutto quello che è successo, io abbia smesso di indagare.
Si sbagliano. L’ultima conversazione con Andrew mi riecheggia ancora in testa. Gli incubi non se ne sono andati. Le foto sono ancora infilate in un vecchio blocco da disegno nel cassetto della mia scrivania. Le guardo quasi ogni giorno, chiedendomi cosa mi sfugga e a quale incidente alludesse Drew prima di morire. Morire. Il pensiero riusciva ancora a provocarmi la nausea e anche qualcos’altro. Qualcosa di cui non è a conoscenza quasi nessuno.
 
È notte. Ho sete, tanta sete. Il desiderio di un bel bicchiere di acqua frizzante mi sta facendo impazzire e, visto che di dormire non c’è verso, perché non fare una toccata e fuga alle macchinette? E così faccio. con le gambe deboli e qualche monetina in tasca esco dalla stanza C124 e mi avventuro nei corridoi del Memorial. Non ho più la flebo e i pochi medici di turno sono troppo assonnati per fare caso a me. Le macchinette sono nella sala d’aspetto, che ovviamente a quest’ora è deserta.
Probabilmente passerò dei guai, penso schiacciando l’interruttore della luce. La lampada a neon sfarfalla per qualche secondo poi si spegne del tutto, fulminata. Merda. Fingo che il buio non mi faccia nessun effetto. Ho quasi diciott’anni, maledizione, non dovrebbe darmi fastidio. Le dita indugiano sui tasti della macchinetta. L’ansia aumenta.
Va tutto bene va tutto bene va tutto bene va tutto…
Poi lo vedo. Una sagoma scura sospesa a mezz’aria. Un corpo.
Non ha nessun senso. Una corda non può spuntare dal soffitto, dovrebbe essere legata a qualcosa, giusto?
Ho già assistito a questa scena. Oddio, non può essere Giselle, lei è già morta, si è impiccata quasi due anni fa.
Non è Giselle.
È Andrew.
Si sentono delle urla. Capisco di essere io solo quando i dottori irrompono nella stanza.
C’è qualcosa che non va.
 
-Sono stanca di fingere di star bene, Gis. –dico a voce alta, sperando che lei in qualche modo riesca a sentirmi.
 
-Chi è che lavora alla pre-vigilia di Natale?
-Tu.
-Era una domanda retorica, Gale.
Il furgoncino si ferma davanti alla vecchia casa in stile vittoriano. Il mio capo sorride, borbottando per la milionesima volta che dovrei proprio prendere la patente e si accende una sigaretta. La festa di compleanno di un bambino è un incarico facile. Il genere di cose che il mio datore di lavoro reputa troppo noiose e così affibbia alla sua apprendista, perché “tu devi fare esperienza”. Il bambino in questione si chiama Timmy –No Ali, il cognome proprio non me lo ricordo –e ha appena compiuto dieci anni.
Però a me non serve sapere il cognome. Ho riconosciuto la casa e, nonostante speri ardentemente di sbagliarmi, conosco benissimo chi ci abita.
I padroni di casa impiegano un po’ a venire ad aprirmi, forse a causa della sigla di qualche cartone animato giapponese sparata a tutto volume. Yu gi oh, se non sbaglio.
Quando finalmente la porta si apre, apro la bocca per presentarmi, ma la richiudo subito. Sulla soglia c’è la madre di Nathan Morris e sembra intenzionata a lasciarmi fuori al freddo.
-A… Alianna? –articola infine.
-Sono la fotografa.
-Oh.
Direi che “oh” riassume bene tutto il caos che regna nella mia testa.
-Se vuole chiamo il mio capo e vedo di far venire lui…
Scuote in fretta la testa. Non vuole qualcun altro, sa che io con la macchina fotografica me la cavo bene. E poi suo figlio non è in casa. Entro, gettando un’ultima occhiata all’insegna spenta della farmacia, e guardo la porta chiudersi. Non ho più vie di scampo.
La festa di compleanno di rivela facile come mi aspettavo. Foto ai regali, foto a Timmy con i regali, Timmy che spegne le candeline, tutti i bambini radunati intorno alla torta, i bambini che mangiano la torta, qualche scatto durante i giochi organizzati e “No, l’obiettivo non si tocca”. Se i membri della famiglia Morris non mi guardassero così male forse potrei addirittura divertirmi.
Succede tutto intorno alle cinque di pomeriggio. La pioggia batte forte sui vetri e la ricezione del vecchio Nokia va e viene. Per cui quando Bridget mi telefona sull’orlo di una crisi di nervi dopo una lite con Tyson, la sua voce va a scatti. Girare per la casa con il telefono in mano aspettando che compaia un’altra tacca sembra una buona idea. O almeno, lo è fino a quando delle voci in corridoio non mi fanno realizzare di essere in un’ala proibita agli ospiti. Così me ne esco con la cosa più idiota che potrei fare: entro nella prima stanza che trovo e mi richiudo la porta alle spalle.
-No, mio figlio non tornerà in quel posto –mormora la signora Morris dal corridoio.
-Mayrise, neanche io vorrei. Però non abbiamo scelta. Nathan ha picchiato un altro ragazzo.
Un altro?
-Ma perché? Ha giurato di non… Sai… Di non fare più quella cosa.
Se fossi una persona giusto un po’ più coraggiosa, a quest’ora sarei già dall’altra parte della soglia e chissà cosa direi ai Morris. Purtroppo non lo sapremo mai.
-Stavolta la droga non c’entrava. Non mi ha detto il motivo, ma sinceramente non mi interessa. Nostro figlio è pericoloso.
-Non possiamo rimandarlo a Maple’s Hill.
-Ha ucciso un ragazzo!
 
«Alla festa non doveva andare così» «Ti riferisci al ragazzo che è stato picchiato?» «Era troppo strano per essere un incidente» «Lei voleva parlare» «Il ragazzo si chiamava Miguel. Era un cliente di Nathan, e un giorno gli ha richiesto più pillole del solito»



Sono imperdonabie, lo so.
In questo mese e mezzo la fortuna NON è stata a mio favore.
Mi sono iscritta ad un concorso, poi però l'originale che stavo scrivendo si è cancellata e adesso non so se ritirarmi direttamente o ricominciare da capo. C'è stato anche il concerto di S. Valentino e le prove, lo studio, qualcosa di simile alla vita sociale e infine la mancanza di ispirazione. Ho dovuto scrivere questo capitolo CINQUE volte e ancora non mi convince del tutto. Quindi scusatemi, scusatemi davvero.
Riguardo la trama: nel prossimo capitolo ci saranno altri flashback che chiariranno meglio le allucinazioni di Ali. 
Vi devo ringraziare per le 10 bellissime recensioni allo scorso capitolo (a cui giuro che risponderò) e per aver reso questa storia quinta nella classifica delle più popolari (per i preferiti, se contiamo le recensioni dovrebbe essere al terzo posto ♥). Davvero, non so cosa dire se non grazie :)
Visto che ci stiamo lentamente avvicinando alla fine, la mia mente malata ha già iniziato a pensare ad un'altra long. Ok, diciamo che ho già scritto quattro capitoli. Ci saranno nuovi personaggi e, per introdurli, ho deciso che scriverò delle brevi One-Shot.
Qui trovate quella di Ed, Plettri http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2420588&i=1

alla prossima,
Gaia
P.S. ho visto che preferite il testo non centrato ma, visto che sui computer fissi è davvero difficile da leggere in georgia 14, ho deciso di ingrandire un po' il carattere

 
  
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