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Autore: VandasGirls    19/02/2014    1 recensioni
«Ti ho tenuto nascoste molte cose, bambina mia», disse addolorata Lucia Marcelli, portandosi una mano al viso. «Ma ora è giusto che tu abbia una vita migliore. Questa è l’eredità di tuo padre.»
«Io sto bene qui.»
Violante guardò la chiave che sua madre le stava porgendo, senza far nulla per afferrarla. Tutto stava avvenendo troppo rapidamente, senza preavviso alcuno; si sentiva spaventata, stranita. Non voleva saperne nulla.
«Non andrò con Messer d’Alviano da nessuna parte.»

Cinque Assassini figli di Caino, cinque destini mescolati tra loro per raggiungere lo stesso obiettivo.
Genere: Azione, Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bartolomeo d'Alviano, Ezio Auditore, Niccolò Machiavelli, Nuovo personaggio, Volpe
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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polverenera

Il destino di Qayin

Capitolo sesto




Una leggera brezza mattutina filtrò dalla finestra socchiusa, accarezzando come una mano fredda la spalla nuda di Violante.
La ragazza si destò, tirando il lenzuolo sino al mento e ruotando il capo verso la fonte di quel fastidio, notando che il sole stava giusto facendo capolino oltre la linea dell’orizzonte, oltre il Colle Palatino.
Si trattenne dal mugolare infastidita, sentendo nel corridoio i passi veloci di Machiavelli che scendevano le scale ed, infine, la sua voce che chiamava i giovani apprendisti a rapporto.
Tornò ad appoggiare la guancia sul petto nudo di Ezio, ancora totalmente immerso nel mondo dei sogni, richiudendo gli occhi e godendosi quegli ultimi attimi di pace prima di un’ennesima giornata di fatiche.
Si ridestò qualche minuto più tardi, quando le dita del Mentore le pizzicarono con delicatezza la spalla nel tentativo di svegliarla.
«Buongiorno», la salutò lui con voce profonda, tirandosi appena sui gomiti per appoggiare la schiena al cuscino e poterla guardare in viso.
Piegò più volte il collo, facendolo scrocchiare con una smorfia. I suoi capelli castani, liberi dalla coda in cui erano solitamente legati, gli ricaddero sulle spalle con sinuosità.
Anche lei si sollevò, mettendosi seduta e lasciando le lenzuola scivolassero lungo il suo corpo, lasciandole scoperto il petto.
«Buongiorno a te», rispose, portando indietro i lunghi capelli mossi e guardandolo con un sorrisetto.
Ormai erano passate un paio di settimane da quella loro prima notte e, ormai ad intervalli regolari, si ritrovavano a tenersi compagnia.
«Dovremmo alzarci», decretò la bolognese, scendendo dal letto e sfilando davanti a lui, sino alla tinozza di acqua che teneva su un comò. Si lavò il viso sbrigativa, andando poi a recuperare la camicia a merletti della sua divisa. «Oggi cosa ci aspetta, Mentore? Basta furti, spero. Ormai sono passati quindici giorni.»
Ezio la seguì con lo sguardo lungo tutta la sua camminata, lasciando che un sorrisetto malizioso si dipingesse sul suo volto mentre la bolognese si rivestiva.
«Machiavelli ha voluto la sua vendetta», ridacchiò, strizzandole l’occhio. «Perciò oggi no, niente furti. L’ultima volta farfugliava di farvi fare una bella corsa in città.» Volse lo sguardo alla finestra, assottigliando gli occhi castani con fare ancora più divertito di quanto già non fosse. «E diluvia, per giunta! Sono sicuro che vi divertirete.»
Violante non parve della stessa opinione, visto che gli lanciò uno stivale, colpendolo al centro del petto.
«Ridi pure, Ezio, finche ti è concesso!»
Si infilò dentro ai calzoni marroni, prima di recuperare la casacca. Sperò sinceramente che quel bel cappuccio a becco d’aquila impedisse alla pioggia di entrarle negli occhi, ma non ci avrebbe giurato. Tornò verso il letto, sedendosi su di esso e infilando uno stivale, strappando poi alla presa del Mentore l’altro.
Come al solito, legò i capelli in una stretta treccia.
«Immagino che tu te ne starai qui a letto e lascerai che Niccolò ci accompagni, vero?»
Ezio sogghignò, sempre più divertito.
«Non esattamente», rispose, stiracchiandosi tra le coperte. «Alcune incombenze chiamano la mia presenza altrove. È per questo, che ho deciso di affidarvi a Machiavelli.» Fece una pausa, portandosi seduto sul materasso. «Niccolò sa essere un valido insegnante, quando vuole. Quando invece si impegna a mettervi i bastoni tra le ruote, bé, prendetela come esperienza!»
Assicurata la treccia con un laccetto di cuoio, la giovane si alzò dal letto, appoggiandosi con entrambe le mani alle spalle larghe del Mentore.
«Oggi piove così tanto …», disse pensierosa, guardando fuori dalla finestra. «Immagino che le tegole dei tetti siano davvero scivolose. In pochi sopravvivranno e sicuramente per Machiavelli sarà solo un’occasione di selezione tra i candidati.»
Con una mano, Viola spostò i capelli di Ezio dal suo viso, guardandolo negli occhi color nocciola, molto simili ai suoi.
«Se dovesse scivolare anche lui, in modo assolutamente accidentale, sarebbe una gran sciagura. Non credi, Auditore?»
«Confido che qualcuno di voi giovani abbia riflessi sufficientemente attenti per allungare una mano e afferrarlo prima che una tale tragedia colpisca il nostro Ordine», le rispose lui, ormai sull’orlo di una fragorosa risata.
Le prese il viso tra le mani e la baciò con fermezza, accompagnandola con delicatezza mentre la spingeva sotto di lui.
Lei si lasciò stendere sul materasso, ridacchiando.
«Mi farai fare tardi …», mormorò senza convinzione, passando una mano sul viso dell’uomo, crespo per via della barba.
Lasciò che tra loro vi fosse quel momento di intimità, in cui si scambiarono diversi baci e sospiri a fior di labbra, poi si tirò su, quasi di scatto.
«L’altro giorno Chiara stava per scoprirci. Se vogliamo tenerlo per noi, dobbiamo essere cauti e io devo scendere a mangiare.»
Gli concesse un ultimo bacio, prima di avviarsi alla porta.
Si bloccò su di essa.
«Vuoi dirmi qualcos’altro?»
Ezio le sorrise sornione.
«Se dovessi vedere l’arcobaleno, fermati a guardarlo anche da parte mia!», trillò, e detto questo si ributtò tra le coperte ficcando la testa sotto il cuscino.


*



Violante si pentì di non essersi detta indisposta nell’esatto istante in cui scese a fare colazione.
Seduta, come sempre, tra Cristiano e Augusto, aveva ascoltato i deliri senza senso di Machiavelli riguardo altre due importanti abilità che ogni buon Assassino doveva avere: la resistenza e la velocità.
Quella che di fatto era solo una staffetta che attraversava tutta l’Urbe, Niccolò la mascherò in modo da renderla un incarico a dir poco essenziale.
«Quindi dobbiamo correre da una parte all’altra di Roma, passandoci una lettera che dovrà tornare intatta e leggibile qui?», chiese Corella. «Ma là fuori diluvia! Non arriverà nemmeno la cera lacca, al Covo!»
Niccolò Machiavelli lo guardò con un ghigno colmo di perfidia dipinto sul volto.
«Come ha detto Ezio, il lavoro di Assassini non vi porrà come unico pericolo quello di scottarvi con un forno da panettiere. Un vero Assassino lavora giorno e notte, con la calura di luglio o la neve di dicembre. Il fatto che oggi il cielo vi abbia imposto un’ulteriore sfida, non mi tocca particolarmente. Sono certo che troverete il modo.» Fece una pausa, utilizzandola per sbuffare con un tono più che soddisfatto, dopodiché lasciò Corella per rivolgersi alla sala intera. «Andate, adesso! Se le missive saranno sulla mia scrivania entro mezzogiorno, potrete considerarvi liberi per l’intera giornata.»
E detto questo se ne andò, senza preoccuparsi che qualcuno non avesse afferrato gli ordini che aveva impartito prima che Corella lo interrompesse.
Cristiano si alzò per primo, guardando tutta la sua squadra.
«Io prendo un cavallo e corro alla porta Est della città per recuperare la lettera. Attraverserò tutto il Vaticano sino a Castel Sant’Angelo. Lì la passerò a Virgilio, che dovrà fare una bella corsa tra le guardie mentre io le tengo impegnate. Corella, attendilo alla fine del ponte e poi separatevi in due direzioni opposte. Una volta fatto questo, sarai tu a portare la lettera a Paola, che ti attenderà accanto alle colonne del Pantheon.»
Nominata, la rossa si fece avanti.
«Dove dovrò portarla, io?»
«Al Colosseo. Piazza Navona è troppo pericolosa, ci sono troppe possibilità di incappare in guardie. Lì ti attenderà Violante che poi passerà tra i Fori per potare la missiva a Machiavelli. Tutto chiaro?»
«Bel piano, Principe», disse Spallaci, passando accanto a loro assieme alla sua squadra. «Speriamo fili tutto liscio.»
«Speriamo che tu non scivoli di nuovo nel Tevere, Serpe.»
Si scambiarono una lunga occhiata, poi Augusto tornò dai suoi. Non prima, però, di essersi rivolto a Violante.
«Ci vediamo davanti all’Ara Caesaris allora.»
Si separarono, partendo ciascuno verso la propria direzione.
Gli altri gruppi avevano scelto più o meno un itinerario simile, nonostante vi fosse qualcuno intestardito a passare per Piazza Navona e qualche pazzo che invece si era deciso a varcare frontalmente le porte del Vaticano.
Come aveva detto Ezio, fuori diluviava.
Non solo la pioggia cadeva battente sulle strade rese fangose e interrotte da piccoli torrentelli, ma la vista era annebbiata dalla pesante umidità che c’era nell’aria e il vento soffiava impetuoso, quasi ogni fattore fosse stato sapientemente disposto da Machiavelli per rendere impossibile quell’impresa.
L’unica nota positiva era che, con quel maltempo, per le strade non c’era quasi nessuno. Poca folla significava pochi sorveglianti, di solito, il che rendeva un po’ meno ostica la prospettiva di quella corsa.
Cristiano riuscì a prendere la lettera con facilità, dovendo però cedere il cavallo in quanto si sarebbe rivelato contro le regole tenerlo anche solo per un breve percorso.
Fece a gara con Bengiamino sino ad un certo punto. Quando venne il momento di avvicinarsi a Castel Sant’Angelo, il milanese cambiò strada, deciso ad aggirare la fortezza scendendo verso un altro dei molti ponti sul Tevere.
Ponte Sisto era di certo più sicuro, ma allungava di parecchio la corsa.
Machiavelli era stato chiaro: dovevano essere anche veloci.
Lo scambio con Virgilio e Corella avvenne più liscio del previsto, visto che il veneziano si trovò contro solo quattro poveracci posti davanti alle porte dell’enorme castello.
Corella raggiunse quindi Paola, porgendole la lettera che si era solo leggermente inumidita.
La rossa corse il suo tragitto più veloce che poté, nonostante la rapidità non spiccasse certo tra le sue doti.
Chiara Filippi la superò con facilità, balzando leggiadra sui tetti più bassi e piani. Scattante, ma senza esagerare nella velocità che le avrebbe di certo fatto perdere l’equilibro, sparì nella lieve nebbia che era calata sulla città con un sorriso soddisfatto a illuminarle il viso incappucciato.
Affaticata, Paola arrivò nei pressi del foro romano che Spallaci era già partito da tempo. Passò la missiva a Violante e si scusò per il ritardo, ritirandosi poi al coperto del vecchio acquedotto.
«Lo posso battere», la rassicurò la bolognese, sollevando il cappuccio sul capo e mettendo la lettera al sicuro dentro alla casacca. Partì quindi di buona lena, non avendo tetti da scalare, lungo la pavimentazione scivolosa del lastricato romano.
Sfruttando il poco attrito, Violante recuperò un po’ di terreno, superando egregiamente Maria.
Solo per quello si sentì vittoriosa.
Saltò su un antico colonnato romano, scendendo di livello in livello ad ogni balzo. Quando intravide Spallaci erano arrivati ormai al Palatino.
Salirono quasi fianco a fianco la salita, arrivando sino alla villa di Domiziano.
«Abituata a scappare da quelli che derubi, Ladra?», la punzecchiò Spallaci, balzando in avanti e scartandola di qualche passo. «Attenta a non restare indietro! Se Maria ti prende, non torni a casa viva!»
Scoppiò in una delle sue grasse e odiose risate e saltò sul tetto vicino, atterrando con una capriola che per poco non gli costò una rovinosa caduta nel fango della strada. Riprese l’equilibrio in un lampo, però, prendendo a scalare un muro dinanzi a sé.
«Andiamo!», la sfidò, facendole cenno di seguirlo. «Vedo già quella strega con l’ascia sguainata!»
Viola represse a sua volta una risata, decisa a concentrarsi su ciò che stava facendo. Portò le mani su un muretto basso, saltandolo con entrambe le gambe e scendendo di un piano.
Quando fu di nuovo accanto all’altro Assassino, rispose seppur con un poco di fiatone: «Nonostante la tua descrizione di Madonna Frigida sia assai adeguata, non la temo affatto.» Si tuffò in avanti, passando sotto ad un arco prima di Augusto e rialzandosi con una capriola. Voltò il capo verso di lui, che era rimasto indietro, e sogghignando disse: «Avrà già tre decadi, non può di certo sperare di prendermi!»
Quella distrazione le fu quasi fatale.
Prese con la punta di piede un mattone e inciampò in avanti, con la faccia nel vuoto. Non era solo una casa, dalla quale poteva cadere rompendosi qualche osso.
Era arrivata al limitare del colle.
Cadde in avanti, ma non arrivò a staccare i piedi dal terreno, poiché le braccia forti di Spallaci la presero per il cappuccio, tirandola verso la discesa che l’aveva condotta fin lì con un mezzo grido allarmato.
Ruzzolarono entrambi giù per il colle, fermandosi quando le loro schiene si scontrarono con le mura in mattoni di una vecchia casa.
Spallaci imprecò tirando pugni all’aria, massaggiandosi poi il capo con il palmo della mano aperta.
«Stai bene?», chiese, un po’ preoccupato. «Se non ti prendevo io finivi a fare quella schifosa confettura che Madonna Auditore ci rifila per colazione!»
Violante, che rotolando si era ritrovata a testa in giù contro al muretto, si rimise diritta sulle ginocchia, massaggiandosi il collo dolorante.
«Sì, sto bene», rispose, levando il fango dal viso e rialzandosi in piedi. Le ginocchia le tremavano appena. «Dovremmo ripartire, non voglio che Maria mi superi davvero», azzardò poi con un mezzo sorriso.
Porse la mano al ragazzo, invitandolo ad alzarsi.
Spallaci balzò sulle ginocchia senza accettare alcun aiuto, scoppiando però in una lieve risata quando le indicò la via per tornare al Covo.
«Donne!», commentò, scuotendo il capo con aria divertita mentre insieme riprendevano a correre. «Ma non eri tu, quella che bisogna collaborare ad ogni costo?»
Alzò il braccio verso una scala di mattoni che scendeva verso il ponte, ultimo scatto prima dell’Isola Tiberina.
Se non fossero in qualche modo precipitati nel Tevere, sarebbero riusciti ad arrivare sani e salvi.
Chissà, forse erano addirittura i primi.
Violante lo seguì, tendendosi vicina ma senza provare in alcun modo a superarlo. La sfida con Augusto era finita nel momento in cui le aveva salvato la vita.
«Vero», confermò, rimettendo piede sull’Isola in mezzo al fiume e preparandosi a scalare fino alla cima in palazzo che ospitava il Covo. «Ma quella … ci guarda con superiorità perché conosce Ezio da più tempo. Se fosse così brava lui non le avrebbe fatto riprendere l’addestramento da capo, no?»
Salirono sulla torretta fianco a fianco e, quando furono in cima, lei lo bloccò.
Dopo una giornata passata sotto l’acqua battente e il freddo bramava solo una cosa, ma prima doveva dire qualcosa a Spallaci.
Appoggiò una mano sulla sua spalla e gli sorrise, prima di sussurrare un piccolo ‘Grazie’, seguito da pallido bacio sulla sua guancia ruvida.
Fatto questo, varcò per prima la porta.









Quando uscirono per il loro prima turno di guardia assieme, aveva smesso di piovere da tempo.
Avevano passato tutto il pomeriggio nella sala comune a leggere, mentre Corella e Spallaci si passavano una pallina di pelle facendola rimbalzare sul muro, e non c’era nulla che Chiara bramasse di più, quella sera, che passare qualche istante all’aria aperta.
Il fatto che con lei ci fosse anche Bengiamino Lorenzetti, poi, allietava ancor di più la prospettiva del turno di guardia introdotto da Machiavelli.
Si erano incontrati in piazza, decidendo di iniziare un giro dell’isola di tetto in tetto, approfittando della scomparsa della nebbia per dare un’occhiata ai dintorni.
Era tutto così silenzioso, così quieto … l’unico rumore che Chiara poteva sentire, nel momento in cui spiccava un balzo per raggiungere le tegole della casa accanto, era il respiro di Bengiamino farsi più lieve dell’aria stessa.
Non pareva esserci nessuno nei dintorni, ma la prudenza non era mai troppa.
Scesero in strada, camminando sul ponte fianco a fianco, mentre il freddo vento autunnale non dava loro tregua. Passeggiarono sino a tornare sulla via per il Lungo Tevere, lasciandosi alle spalle l’isola e addentrandosi di nuovo nei dintorni cittadini. De Ferris e Tonari pattugliavano la sponda orientale, quindi a loro toccò la zona più pericolosa della città e il ghetto ebraico.
Bengiamino non parlò quasi per nulla, mentre Chiara, come al solito, non gli risparmiava discorsi eccitati alternati a qualche piccolo allarmismo.
Quando si trovarono nei pressi del ghetto, onde evitare complicazioni, scelsero di salire di nuovo sui tetti. Anche lì le strade erano deserte, ma Bengiamino preferì tenere d’occhio la situazione dall’alto, senza rischiare di perdersi per quel groviglio di vicoli che era il quartiere in cui gli ebrei erano stati proscritti.
Seguirono quindi il perimetro del ghetto dall’esterno, saltando di comignolo in comignolo fino a che non si trovarono dinanzi a un complesso di case meno trasandate ma comunque destinate al ceto più basso. Dall’angolo della strada, provenivano degli schiamazzi.
Storcendo il naso, Chiara ne dedusse che dovevano trovarsi vicino alla locanda dove Spallaci di solito andava a bere con i suoi due amici, Pio e Geranio.
Bengiamino si affacciò giusto per dare un’occhiata anche a quella zona, ma si ritrovò a fissare confuso qualcuno.
Non era saggio uscire la notte senza avvisare nessuno e, a quanto ricordava, Alessandro Corella aveva detto di essere stanco e pronto a coricarsi subito dopo la cena.
Eppure eccolo là, con la sua divisa delle sfumature del grigio forlivese, mentre camminava rapido di angolo in angolo, senza farsi vedere.
Senza avvisare Chiara, Lorenzetti si lanciò, afferrandosi a una corda per il bucato e atterrando su un altro palazzo per poter seguire rapidamente l’amico.
Il comportamento sospetto di Corella non gliela raccontava giusta.
Chiara lo raggiunse balzando goffamente su un pergolato poco distante. Non fece il suo nome, afferrando al volo che quel cambiamento di itinerario improvviso doveva essere di certo dovuto a qualcosa in grado di attirare la sua attenzione.
Curiosa, si avvicinò a Bengiamino, aggrappandosi alle sue spalle per alzarsi e spiare oltre la sua stazza.
A vedere Corella, i suoi occhi color nocciola si sbarrarono di colpo.
«Ma quello non è … », mormorò, sbigottita.
Si accovacciarono contro la facciata del palazzo poco prima che lui si voltasse a controllare, prima di sparire in un vicolo.
Scalarono allora del tutto il palazzo e, quando furono in cima, il milanese la aiutò a tirarsi su del tutto. Camminarono lungo in tetto per poter vedere la fine del vicolo e ciò che si trovarono dinanzi bloccò loro il fiato in gola.
Insieme a Corella c’era un uomo, circa alto come lui.
I due si stavano abbracciando in modo molto fraterno e subito Bengiamino ne capì il motivo. Osservando quello sconosciuto dalla mantella rossa che teneva sulle spalle recante uno stemma con un toro, sino alla maschera nera di cuoio che gli celava metà il viso, indovinò subito di chi si trattava.
«Non va bene», sussurrò con un filo di voce, guardando un po’ allarmato Chiara.
Lei si lasciò scappare un gemito affranto.
«Chi è?», chiese, spaesata. «E perché Alessandro parla con un emissario dei Borgia?»
Spostava freneticamente lo sguardo da Bengiamino a Corella, in strada, ancora in compagnia dell’uomo.
Quando i due si allontanarono, Chiara riprese a parlare con voce più alta.
«Dimmelo, Bengiamino!»
Lui le coprì la bocca, spingendola al centro del tetto e guardandola duramente.
«Vuoi che ci scopra? Così che ci troveremo costretti a far rapporto al Mentore?» Non riuscì a distendere il viso, continuando a parlare come se si sentisse arrabbiato con lei anziché frustrato per la situazione. «Quello è Michelotto Corella, il braccio destro di Cesare Borgia», sputò, come se quel titolo fosse un insulto. «Il fratello di Alessandro.» Lasciò passare qualche secondo di vuoto, prima di scuotere il capo «Andiamo via, fingiamo di non aver visto.»
Chiara mugugnò qualche lamento sommesso, tirandosi in piedi sulle tegole addosso a cui Bengiamino l’aveva spinta.
«Non ci credo», disse, affondando le dita sottili nella stoffa del mantello del suo compagno. «È sempre stato così bendisposto verso tutti noi! Siete amici, tu e lui! Ci deve essere senz’altro un motivo per quello che abbiamo visto.»
«La vuoi smettere di urlare come un’ochetta, Chiara?», sbottò infastidito il milanese, mordendosi poi le labbra pentito. «Scusa. Ma fai troppo chiasso», disse sottomesso, prima di sospirare e portare le mani al viso.
Non potevano fare nulla per molti motivi e lui ora doveva spiegarlo a lei. Non sarebbe stato facile, ma doveva farlo.
Alessandro era suo amico e, senza sapere il vero motivo di quell’incontro, non avrebbe mai permesso che gli sarebbe successo qualcosa.
«Se ora ne parliamo con lui, potrebbe scappare. Machiavelli si domanderebbe perché, verrebbe a sapere qualcosa e lo farebbe uccidere. Se ne parliamo con Ezio, sarebbe comunque condannato. Ora come ora, possiamo solo fingere di non aver visto nulla.»
Al culmine della frustrazione, diede le spalle a Chiara, camminando verso il tetto davanti a loro.
Lei rimase a osservarlo allontanarsi, mentre per l’ennesima volte le lacrime premevano presuntuose per scorrerle sulle guance.
In uno sprizzo di determinazione, decise che non era il momento di abbandonarsi a certe infantilità. Non era più una bambina, lo aveva dimostrato quando aveva lasciato la bottega a Firenze per raggiungere gli Assassini. Doveva cominciare a comportarsi come una di loro.
Raggiunse Bengiamino con un paio di balzi, tirandolo per il mantello per attirare l’attenzione, dopodiché riprese a camminare al suo fianco.
Di quella serata, cominciata così bene ma finita a dir poco in tragedia, voleva al più presto dimenticare ogni memoria.


   
 
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