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Autore: Laylath    20/02/2014    2 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 27. Cose tra maschi: caccia al fantasma.


 
Le vacanze di natale arrivarono e passarono con tranquillità, con i ragazzi che approfittarono di quelle giornate così belle e serene per dedicarsi ai giochi sulla neve, a mangiare notevoli quantità di dolci, a scambiarsi regali, insomma a sfogare tutte le loro energie.
Le due menti migliori dell’universo erano riuscite nei loro intenti e sia Elisa che Laura avevano ricevuto i loro graditissimi regali. Da quell’insolita collaborazione era iniziato ad evolversi il rapporto tra Vato ed Heymans: sulle prime i due non si erano mai considerati molto, soprattutto per la presenza di Jean che impediva di fare discorsi abbastanza articolati come quelli di strategia. Tuttavia, la mente di Heymans era molto sveglia e attenta per determinate cose e potersi mettere a confronto con la grande memoria di Vato era stato molto stimolante.
Aveva iniziato pure lui a partecipare alle partite a Risiko o altri giochi di strategia a casa di Vato: Vincent e Rosie avevano accolto con piacere anche quel nuovo membro delle serate tra amici del loro figlio. Da parte sua, Heymans non aveva avuto problemi ad accettare la presenza di Roy: la vecchia storia delle pretese di leadership sembrava dimenticata e dunque poteva giocare con lui senza alcun problema.
Anche Roy era stato contento di questo nuovo rapporto: il rosso tendeva a stare maggiormente sulle sue e non gli aveva ancora dato la confidenza che invece aveva raggiunto con Vato, ma già il fatto che giocassero e ridessero assieme come se niente fosse successo un paio di mesi prima, gli faceva ben sperare che non tutto fosse perduto per quanto riguardava il suo grande progetto.
 
Fu in questo clima rilassato che, cinque giorni prima che riniziassero le scuole, Andrew ed Ellie si concessero la loro sospirata vacanza ad East City, affidando Kain alle cure dei Falman.
“Allora, pulcino, fai il bravo, mi raccomando.” disse Ellie dando un ultimo bacio sulla guancia al bambino.
 “Grazie ancora, capitano – salutò Andrew, dando la mano a Vincent – è stato davvero gentile.”
“Nessun problema – sorrise Vincent – sono sicuro che i ragazzi si divertiranno un mondo.”
Così, Kain, Vato, Vincent e Rosie restarono ad osservare il treno che si allontanava lentamente dalla piccola stazione ferroviaria. Il bambino, come l’ultimo vagone sparì, si sentì leggermente spaesato e percepì che qualcosa gli pizzicava fastidiosamente l’occhio destro: era felice di passare cinque giorni con Vato, certo, ma era anche la prima volta che stava per tanto tempo lontano dai suoi genitori e da casa sua.
“Fidati, Kain – sorrise Rosie, mettendogli una mano sulla spalla in un gesto di conforto – si divertiranno e ti porteranno un bel regalo. Sono cinque giorni: li riabbraccerai presto.”
“Oh dai, ci divertiremo un mondo – lo consolò Vato – ci sono un sacco di libri che ti piaceranno e poi verranno a trovarci anche Heymans e Roy. E possiamo anche uscire con Riza ed Elisa. Vedrai sarà grandioso: tu non ci sei mai in paese… e ora che abbiamo le giornate libere ce le possiamo godere appieno.”
 
La mattina successiva a quel primo giorno, quando Rosie entrò in camera per svegliare i ragazzi, trovò il letto che avevano sistemato per Kain vuoto. Guardandosi attorno perplessa si chiese che fine avesse potuto fare il bambino, ma poi notò uno strano rigonfiamento nelle coperte accanto al figlio.
“Vato, amore…” bisbigliò accarezzando la chioma bicolore.
“Che c’è, mamma? – sbadigliò lui, girandosi di lato e affondando il viso nel cuscino – Ho sonno…”
“Sai di avere un ospite nel letto?”
“Non riusciva a dormire e gli ho raccontato delle favole… ed è salito sul mio letto…” spiegò lui con voce assonnata.
Quasi a confermare la sua presenza, Kain con un mugugno riemerse dalle coperte e si appellicciò alla schiena di Vato, sorridendo lievemente nell’aver trovato quella nuova fonte di calore.
“Vi lascio dormire ancora per una mezz’oretta?” sorrise Rosie, accarezzando anche i capelli corvini del più piccolo.
“Sì, sì… a dopo.” disse per tutta risposta il figlio.
Ora, in genere Vato non era molto propenso ad avere contatto fisico con le persone, ma per tutte le notti che Kain rimase a casa sua non riuscì ad opporsi al fatto di ritrovarselo sempre nel suo letto. Sulle prime aveva pensato che non era molto dignitoso e aveva riflettuto sulla possibilità di prenderlo in braccio appena si addormentava e riportarlo nel giaciglio preparato per lui. Tuttavia Kain aveva la tendenza ad appellicciarsi alle persone, proprio come un bambino piccolo e dunque Vato trovava difficile sciogliere quell’abbraccio con il quale veniva circondato ogni notte.
Per lo meno non è uno che si agita nel sonno….
Era questa l’unica consolazione che si concedeva mentre si rassegnava a condividere il suo giaciglio con quell’improvvisato compagno. E poi come si faceva a rimproverarlo? Quando gli chiedeva di raccontargli qualcosa per addormentarsi lo faceva con una vocina tale che era difficile dirgli di no.
Almeno aveva il buonsenso di non dire niente agli altri.
Per il resto Kain si era dimostrato un ospite adorabile: Rosie si era innamorata di lui e anche Vincent lo trovava molto simpatico ed intelligente. Per Vato fu stranamente piacevole avere quella sorta di fratellino che girovagava per la casa: Kain non aveva per niente perso la sua dote di restare affascinato da qualsiasi cosa l’amico gli raccontasse e questo provocava un grande compiacimento nel sedicenne che, spesso, non trovava mai un pubblico disponibile per le sue dimostrazioni di saggezza.
Kain, dal canto suo, nonostante questa piccola debolezza notturna, si stava davvero divertendo un mondo a stare in compagnia dei suoi amici: gli avevano insegnato a giocare a Risiko e, anche se perdeva spesso, era così felice di stare assieme a loro che non gli importava niente. Si era inoltre affezionato tantissimo ai genitori di Vato, cosa abbastanza ovvia considerata la sua natura fiduciosa nei confronti degli adulti.
Insomma sembrava che quei cinque giorni di vacanza stessero procedendo alla grande.
Fino a quando arrivò l’ultimo giorno.
 
Roy non aveva minimamente abbandonato la sua idea di fare qualcosa “tra maschi” mentre Kain era ancora ospite a casa di Vato e aveva deciso di aspettare l’ultimo giorno, in un momento in cui non erano presenti né Riza né Elisa.
“Avete sentito di quella storia del fantasma?” chiese con noncuranza, mentre stava seduto su un muretto con i due amici vicino a lui.
“Storia del fantasma?” chiese Kain impaurito.
“Quella del fantasma al commissariato di polizia? Mio padre dice che sono solo sciocchezze.”
Roy scosse il capo, come se Vato non avesse pronunciato l’ultima frase, e continuò:
“Dicono che di notte si sentano dei rumori strani, alcuni vociferano dello spirito di un vecchio poliziotto assassinato lì un secolo fa: proprio in questi giorni ricorre il centenario della sua morte… per essere precisi stanotte.”
“E’ vero che oggi è il centenario della morte di quell’uomo, ma…”
“Chiediamolo anche a loro – fece Roy, vedendo Heymans e Jean che camminavano tranquillamente poco distante. Questa loro improvvisa comparsa capitava proprio a fagiolo: per queste cose più si era meglio era, senza contare che era un nuovo modo per avvicinarli – Ehi, voi due, venite un attimo qui.”
“Io ho paura dei fantasmi.” ammise Kain, per nulla felice dell’argomento che si stava affrontando.
“Dei fantasmi? – chiese Jean incuriosito: la novità era tale che era persino disposto a mettere da parte la sua ostilità per Roy – Ma di che state parlando?”
“Del fantasma del poliziotto alla stazione di polizia.”
“Ah, quello? Dicono che ormai da diverse notti si sentano degli strani rumori.” fece Heymans.
“Io continuo a propendere per una soluzione più razionale.”
“E se fosse un fantasma? Che ne dite di scoprirlo?” propose Roy, capendo che il pubblico era carico.
“Per me sei tutto matto.” sogghignò Jean, mettendosi a braccia conserte.
“O forse hai solo paura, Jean Havoc.”
“Ripetilo se hai il coraggio, Mustang.” sibilò il biondo.
“Allora perché stanotte non si organizza una caccia ai fantasmi? – disse Roy, cogliendo la palla al balzo e sapendo di aver praticamente in pugno Jean – Andiamo alla stazione di polizia e scopriamo chi ha paura.”
“Io ho paura – disse subito Kain, con espressione preoccupata – e non voglio venire.”
“Invece tu vieni: devi vincere queste tue paure.”
Roy gli mise una mano sull’esile spalla e Jean fece altrettanto.
“Prova di coraggio, mi piace…” annuì
E a Vato ed Heymans non rimase che scuotere la testa: a quanto sembrava quei due non avevano ancora sepolto l’ascia di guerra e Kain, con la sua paura dei fantasmi, era ancora una volta il pomo della discordia.
 
“Kain dai, svegliati… è ora.” il bisbiglio di Vato fece destare il bambino che, in cuor suo, aveva sperato fino all’ultimo che quella follia non si facesse.
Ma non aveva fatto i conti con la determinazione di Roy e con la sua grande capacità organizzativa. Nell’arco di un paio d’ore aveva fatto un piano incredibile: aveva deciso che Jean avrebbe dormito da lui, quella notte, in modo che potessero uscire senza alcun problema.
E’ arrivato persino a questo… non ci posso credere!
Il commento di Heymans risuonava ancora nella mente del bambino, nonostante l’annebbiamento dovuto al sonno: era mezzanotte e mezza. Avrebbe tanto voluto restare al calduccio sotto le coperte.
“Dobbiamo proprio andare? – mormorò, mentre Vato lo aiutava a vestirsi nonostante il buio della stanza – E se poi tuo papà si arrabbia? Secondo me ci stiamo mettendo nei guai…”
Sì, anche Vato aveva la medesima impressione, ma si era trovato intrappolato nella rete di carisma di Roy, come spesso succedeva. Senza contare che quello che stava per fare era davvero una prova di estremo coraggio: prendere la chiave del commissariato dalla divisa di suo padre, andare lì ed aprirlo. C’erano gli estremi per una denuncia bella e buona.
Questa è la volta buona che papà mi uccide…
Però c’era anche la storia di dover scoprire il misterioso fantasma: se avesse dimostrato che non c’era niente di sovrannaturale sarebbe stata una grandissima soddisfazione, alla faccia di tutte le loro assurde congetture. I fantasmi non esistevano.
“Adesso fai più piano che puoi.” sussurrò, prendendo il bambino per mano e aprendo la porta della camera. Gli fece cenno di attendere in salotto mentre lui andava a compiere la parte più pericolosa di quella missione. Camminò nel corridoio il più silenziosamente possibile e arrivò davanti alla stanza dei suoi genitori.
Tirò il fiato e premette la maniglia verso il basso, pregando con tutto il cuore che i cardini della porta non cigolassero: non era mai successo, ma a volte la sfortuna poteva essere davvero imprevista.
Ma questa volta andò liscia: la porta si aprì senza rumore e il ragazzo, con gli occhi ormai abituati al buio, vide che i suoi genitori dormivano profondamente, la madre con il capo posato sulla spalla di Vincent.
Le chiavi sono nella tasca della giacca della divisa…
Il ragazzo ripeté tutte le mosse da fare, mentre lentamente si voltava verso la sedia dove suo padre sistemava la divisa. Per prudenza non si era ancora infilato le scarpe, così i suoi piedi non fecero il minimo rumore: con tutta la cautela del mondo mise la mano dentro la tasca, sperando che le chiavi non tintinnassero.
Tlink!
Quel rumore parve rimbombare in tutta la stanza ed il cuore di Vato si fermò per tre orrendi secondi. Ma né suo padre né sua madre si mossero, i respiri sempre lenti e regolari.
Trattenendo il fiato, consolidò la presa su quel mazzo di chiavi e lo strinse nel palmo, onde evitare altri incidenti. Poi, sperando che la goccia di sudore che gli colava sul collo non facesse rumore, si diresse verso la porta e fu con estremo sollievo che la chiuse con delicatezza alle sue spalle.
Va bene… va bene, Vato, hai semplicemente rubato le chiavi di tuo padre e ora stai per uscire in piena notte senza dire niente ai tuoi. Stai praticamente commettendo un suicidio…
“Vato?” lo chiamò la vocina di Kain, come raggiunse il salotto.
“Andiamo.” sospirò lui, afferrando le scarpe che aveva affidato al bambino e aprendo la porta.
Non si poteva più tornare indietro.
 
“Cavolo di freddo – sospirò Jean, soffiandosi sulle mani – ma quanto ci impiegano?”
“Arriveranno, – disse Roy con convinzione – fidati.”
“L’atropol..ologo riuscirà a prendere le chiavi? Ho seri dubbi in merito…”
“Se hai paura puoi sempre tornare a casa, Jean.”
“Finiscila.”
Era tutta la sera che questo batti e ribatti andava avanti: dato che non potevano picchiarsi allora erano passati a schermaglie verbali con Roy che non perdeva occasione di stuzzicarlo. Era stato davvero inverosimile a partire da quando il moro era entrato al locale di Madame con Jean dietro, annunciando che stasera avrebbe dormito con lui.
Ovviamente le ragazze erano scoppiate a ridere e la cosa aveva fatto ulteriormente infuriare il biondo ospite che, non solo era dovuto correre a casa ad annunciare che avrebbe dormito da un amico, ma si era dovuto sorbire anche i commenti di Madame e compagnia.
Una volta in camera di Roy, la situazione non era di certo diventata più rilassata.
“Se vuoi puoi dormire qualche ora nel mio letto.”
“Scordatelo, piuttosto resto in piedi… fai pure la nanna, Roy.”
“Scordatelo…”
Insomma a mezzanotte e un quarto erano usciti dal retro senza aver messo testa sul cuscino, ma non sentivano per niente l’esigenza di dormire: la caccia al fantasma avrebbe regolato i conti tra di loro. Infatti ciascuno era convinto che l’altro si sarebbe spaventato per primo.
“La prossima volta che date la caccia ai fantasmi lo farete senza di me, – sospirò Heymans, arrivando e stropicciandosi gli occhi – o almeno fatelo in una sera meno fredda. Accidenti a voi.”
“Problemi ad uscire di casa?” chiese Jean.
“No, e spero nemmeno a tornare senza essere scoperto da mia madre…” disse Heymans, per nulla contento di quella storia. Era Henry quello che commetteva follie simili, non lui: più volte durante le ore di attesa si era ripetuto che era stato davvero uno sciocco a non insistere per evitare questa follia. Ma non poteva lasciare soli Jean e Kain, soprattutto il piccolo.
“Ed ecco Kain e Vato – sorrise Roy, vedendo i due che si avvicinavano a passo furtivo – Buonasera miei giovani detective del mistero, siamo pronti per la nostra eccitante caccia al fantasma?”
“Roy, io ho paura – si lamentò il bambino – e poi ho sonno e freddo… dobbiamo proprio?”
“Che c’è, nano, stiamo tornando ai vecchi piagnistei? – chiese Jean andandogli accanto – Ti serve una nuova scrollata da parte mia?”
“Finiscila, Jean – sospirò Heymans, mettendo la mano sulla spalla del bambino – non ha bisogno di nessuna scrollata: sta solo esprimendo il suo disappunto per questa storia… e non posso che dargli ragione.”
“Un obbiettivo di questa missione è fargli passare la paura dei fantasmi – dichiarò Roy – coraggio, gnomo, vedrai che sarà divertente!”
Ma questa rivelazione non fece per niente felice Kain.
Insomma, adorava passare il suo tempo con quelle persone, ma aveva la crescente sensazione di una catastrofe incombente.
 
La storia era la seguente: proprio un secolo prima un poliziotto che stava di stanza al commissariato era stato ucciso da un criminale tenuto in custodia in attesa che l’esercito venisse a prenderlo per trasferirlo a Central City. L’assassino scappò e non venne mai trovato…
“…per cui si dice che ogni tanto l’anima del poliziotto torni e si disperi per non aver ancora ricevuto giustizia.”
La voce di Roy si spense con soddisfazione, mentre il suo pubblico lo ascoltava attonito.
“E che cosa può fare un’anima disperata?” chiese Kain.
“Succhiarti l’anima…” gli sibilò Jean da dietro, con voce cattiva.
“Voglio tornare a casa! Vato, ti prego!”
“E no, gnomo! – Roy lo afferrò per una spalla – Tu ora vieni con noi: andiamo a guardare in faccia il nostro fantasma. Vato, apri la porta ed entriamo.”
Vato annuì e prese il mazzo di chiavi di suo padre: la cosa gli fece per un attimo pensare alla tragedia che sarebbe successa non appena il delitto sarebbe stato scoperto, ma come infilò la chiave nella serratura si sentì profondamente determinato ad andare avanti: a questo punto la prova di coraggio andava fatta.
“Allora, dopo l’ingresso c’è una sala per ricevere le persone, poi l’ufficio di mio padre e altri tre per il resto del personale… il tutto lungo un corridoio. In fondo c’è l’armeria e poi, scendendo alcuni scalini si accede al locale delle prigioni…”
“C’è qualcuno in prigione?” chiese Heymans.
“No, che io sappia no… spero…”
“Come… speri? – chiese Jean – Ma sei matto?”
“Paura, Jean?”
“Finiscila, non ho per niente paura! Vieni,nano, andiamo subito alle prigioni così ci leviamo il pensiero!”
Prese la torcia elettrica che Roy stava tenendo in mano e, afferrato Kain per il bavero della giacca, iniziò a trascinarlo nel corridoio.
“Che? No! No! Non voglio venire! E se c’è un assassino che ci uccide! Magari c’è proprio il fantasma dell’assassino… ho paura!” singhiozzò.
“Il fantasma è del poliziotto, cretino! – sbottò il biondo arrivando agli scalini che portavano ad una porta – Vato, lanciami quelle chiavi!”
“Pazzi…” sospirò Vato, avvicinandosi ed obbedendo.
“E adesso – mormorò Jean, prendendo la chiave giusta ed inserendola nella toppa – andiamo a fare i conti con questi idioti di fantasmi!”
E con un brusco spintone aprì la porta buttandoci dentro Kain senza troppe cerimonie.
Con uno strillo il bambino si trovò sdraiato sul pavimento freddo di quel corridoio buio dove stavano tre celle: non c’era nessuno, ma la paura fu tale che si immaginò tremendi criminali con altrettanti fantasmi che lo chiamavano e venivano a prenderlo, passando tra le sbarre.
“Ma sei cretino?” disse la voce di Heymans e due secondi dopo una mano lo prese e lo fece rialzare.
Fu un momento prossimo all’infarto perché Kain non si era assolutamente reso conto che fosse l’amico e lanciò un urlo da far rabbrividire tutti quanti.
“Smettila, Kain, sono io!” lo sgridò il rosso, stringendolo e portandolo fuori da quel corridoio.
“Mamma! Voglio la mia mamma!” pianse.
“Bravo, complimenti, l’hai fatto piangere – disse Roy – adesso chi lo calma?”
“Ti tiri indietro, Roy? Ti sfido a venire dentro quel cavolo di corridoio e a guardare in ogni singola cella!”
“Andiamo pure!”
Fu solo per fare estremo dispetto all’altro che i due riuscirono ad arrivare in fondo al corridoio, scrutando in ogni cella: effettivamente anche se non c’era nessuno era tutto molto inquietante ed il fascio di luce della torcia non contribuiva a rendere rassicurante l’ambiente.
Insomma era solo una prigione di un piccolo centro abitato, ma di notte faceva davvero paura a chi non ne aveva mai visto una da vicino.
Quindi, quando i due rivali tornarono al pianerottolo dove gli altri li attendevano avevano l’espressione leggermente sconvolta e tremavano leggermente, come dimostrava il fascio di luce della torcia non più fermo.
“V… visto Jean? Non ho avuto per niente paura.”
“Paura… uh, n… nemmeno io, se è per questo.”
“Comunque… nelle… nelle celle non c’è nulla: Vato, puoi chiudere questa porta.”
E fu con estremo sollievo di tutti che la chiave girò nella serratura.
 
Dopo una mezz’ora avevano controllato tutti gli uffici da cima a fondo, ma del fantasma nessuna traccia. L’unico ambiente che Vato si era rifiutato categoricamente di aprire era stato quello dell’armeria: c’erano limiti che non osava superare, nemmeno per una prova di coraggio.
“Beh, sembra proprio che questo fantasma abbia paura di noi…” mormorò Roy alla fine.
“O semplicemente non esiste.” propose Vato, caustico.
“Abbiamo davvero controllato tutti gli ambienti?” chiese Kain, intravedendo la fine di quella storia.
“Effettivamente manca l’archivio…”
“C’è un archivio e tu non ci dici niente?” chiese Jean.
“Siete partiti velocissimi verso le celle – protestò lui – forza venite, è dall’altra parte del corridoio.”
“Dobbiamo proprio?”
“Vieni Kain – sospirò Heymans, prendendolo per mano – è l’ultimo ambiente, te lo prometto.”
O il fantasma era lì oppure la caccia si poteva considerare fallita.
 
Non era un ambiente molto grande, ma era stipato fino all’inverosimile di fascicoli e cartelle: gli scaffali ormai avevano terminato il loro spazio e dunque molta documentazione era posata lungo le pareti, assieme ad alcune casse di legno.
“Pare che qui sia tutto in ordine – dichiarò Roy, facendosi avanti e illuminando l’ambiente con la torcia – non vedo niente di strano.”
Ma comunque tutti loro entrarono dentro e chiusero la porta alle loro spalle per vedere anche dietro di essa.
Kain stava già sospirando di sollievo, beandosi della prospettiva di tornare a casa, quando…
“Sei stato tu?” chiese ad Heymans.
“A far cosa?”
Intanto anche gli altri si erano girati, incuriositi da quelle parole.
“Non lo sentite?”
Si fece silenzio, mentre tutti aguzzavano le orecchie e all’improvviso il suono riprese… era uno strano raschiare a cui si aggiungevano dei lamenti.
“Oddio… oddio…” iniziò ad ansimare Kain.
“Ma no! Dai sono sicuro… sono sicuro che non…è niente!” fece Roy, mentre lui e Jean inconsapevolmente si afferravano per un braccio.
“Allora c’è davvero! – sbiancò Vato – E’… è proprio qui che l’hanno trovato morto!”
“E’ lo dici solo adesso?” protestò Jean.
“Andiamo via! Per favore!”
“Oh no… oh no! Ditemi che la porta l’avete solo appoggiata senza chiuderla!”
“Perché?” chiese Heymans con ansia.
“Le chiavi sono nella serratura di fuori e la porta si apre solo da fuori!”
“Che cosa?!” esclamò Roy, mentre la torcia gli cadeva e si spegneva.
I minuti di panico che seguirono furono tali che certamente se ci fosse stato un fantasma si sarebbe spaventato lo stesso.
“Prendi quella cazzo di torcia!”
“Non la trovo più!”
“Ma perché avete chiuso la porta!”
“Smettila di lamentarti e dacci una mano, cret…ahia! E non sbattere la testa sulla mia!”
“Scusa tanto se sto cercando la torcia…”
“Heymans voglio tornare a casa!”
“Sta… sta calmo. Niente pani…iiiih!”
“Che c’è?”
“Qualcosa mi ha… mi ha toccato la guancia… è bagnato e freddo…”
Il fantasma!
Il lamento riprese e si fece anche più forte: a questo si accompagnarono immediatamente le urla dei ragazzi. Fu solo dopo interminabili secondi di follia che Jean riuscì a trovare a tastoni la torcia e riattivare l’interruttore… perché nel panico a nessuno di loro era venuto in mente di accendere la luce della stanza.
“Dov’è?”
“Vicino a me! Fai qualcosa!”
La luce della torcia scivolò verso la voce tremante di Heymans.
Il rosso fissava davanti a sé, troppo impaurito per girarsi di lato dove stava il fantasma: Jean pregò con tutto il cuore che appena avesse visto la luce lo spettro sparisse. Non succedeva così nelle storie?
Come il fascio di luce gli si puntò addosso, Heymans fu costretto a girare lo sguardo e…
“Ca… ca…ca…”
“Oh, ma è un cagnolino!” esclamò Kain.
Il cucciolo bianco e nero stava sopra una pila di cassette, proprio all’altezza del viso di Heymans. Come il ragazzo si girò, abbaiò gioiosamente e gli leccò la guancia.
“AAAAAAAHHH!” gridò Heymans scaraventandosi all’indietro e travolgendo Kain, in preda all’attacco più pesante di cinofobia che avesse mai avuto in vita sua.
Questo bastò a far di nuovo a far scoppiare il panico con urla isteriche e quanto altro: nessuno si aspettava una reazione simile.
 “Prendete quel cane!”
“No, fermo Heymans! Mi fai cadere la torc… cazzo!”
“No,non di nuovo il buio!”
“Tenetelo lontano da me!!”
“Attenti agli scaff… troppo tardi!”
Il rumore di qualcosa che cadeva avvisò Vato che il danno era fatto.
“Voglio andare via da qui!” esclamò Kain.
E quasi a sentire la sua supplica, la porta si aprì e la luce venne accesa.
“Vato Falman! – esclamò Vincent – Spero che tu abbia una spiegazione per tutto questo.”
“E’ un cane!” esclamò Heymans impanicato, correndo dietro l’adulto.
 
Alla fine il tanto temuto fantasma si rivelò essere un cucciolo bianco e nero che era entrato da chissà dove ed era rimasto imprigionato nell’archivio.
Vato avrebbe anche potuto esultare, considerato che la spiegazione razionale aveva avuto il sopravvento…
Ma stare seduto con gli altri in una panca dell’ufficio di suo padre ad attendere l’arrivo del resto dei loro genitori non era molto confortante.
L’unico beatamente inconsapevole di quanto era successo era il cucciolo che stava tra le braccia di Kain.
“Violazione di ufficio pubblico, danni all’archivio, fuga di casa a notte fonda – iniziò Vincent, fissando a turno quei ragazzi – un bel risultato per questa fantomatica caccia agli spettri.”
“Scusa papà…”
“Con te facciamo i conti a casa, Vato – lo bloccò Vincent con un’occhiataccia che preannunciava guai – stanno per arrivare i vostri genitori… anche tuo padre, Kain: proprio una bella cosa scoprire tutto questo appena tornato a casa.”
Il bambino abbassò lo sguardo… che colpa ne aveva se era stato trascinato in quella follia?
“Non avrà avvisato anche mio padre, signore…” supplicò Heymans, al lato opposto rispetto a dove stava seduto Kain con il cane. Fortunatamente Vincent era riuscito a calmarlo il minimo indispensabile perché i battiti del suo cuore tornassero relativamente regolari.
“No – scosse il capo Vincent, perfettamente consapevole della situazione familiare del ragazzo – a te ci pensa Andrew Fury.”
“Fantastico…” sospirò. Bella figura che ci faceva: alla faccia della presunta maturità.
 
James, Andrew e Madame Christmas stavano fuori dall’ufficio ad ascoltare quanto Vincent diceva loro. Ma per tutto il tempo non poterono far a meno di sentire quanto stava accadendo all’interno.
“Prova di coraggio… ma che cazzo! Roy sei uno scemo!”
“Tu eri d’accordo quanto me, Jean! Che c’è hai paura?”
“Tanto la cintura di mio padre me la becco io… tu che avrai per punizione? Niente!”
“Oh, povera stella, la cintura di papà fa tanta paura.”
“E assaggiala tu, visto che sei tanto coraggioso!
“Pensi che mi tirerei indietro? Sei proprio un’idiota!”
“Ripetilo!”
“Idiota!”
“Finitela voi due… no! Che cavolo fate? Vato, ferma Roy! Andiamo, Jean, calmati!”
“E’ la volta buona che lo ammazzo!”
“Non litigate, vi prego!”
“Stai lontano con quel cane!”

Madame Christmas fu costretta a mettersi una mano in bocca per trattenere le risate, mentre Andrew e Vincent scuotevano il capo con rassegnazione. James dal canto suo si passava una mano tra i capelli biondi trattenendo a stento la rabbia: non credeva possibile che il figlio si fosse cacciato in un simile guaio e che, nonostante tutto, si comportasse in quel modo.
“Ovviamente è solo una ragazzata – disse Vincent riportando su di sé l’attenzione degli altri adulti – e non ci sono ripercussioni legali su di loro… il castigo di ciascuno sarà a discrezione dei rispettivi parenti.”
“Caccia al fantasma, non ci volevo credere quanto mi ha chiamato, capitano.” ridacchiò Madame Christmas.
“Quei due continuano a litigare, proprio non vanno d’accordo.” constatò James, sentendo dei nuovi rumori.
“Allora, se lei è d’accordo, diamogli qualcosa per accomunarli…” propose la donna.
 
Il battibecco tra i due contendenti terminò come gli adulti fecero il loro ingresso nella stanza: le loro espressioni, non proprio rassicuranti, fecero capire che era giunto il momento di fare i conti con le conseguenze di quanto avevano combinato.
“Papà!” fece Kain alzandosi dalla sedia col cucciolo in braccio: avrebbe voluto correre da lui, singhiozzare tutta la paura che aveva avuto quella notte, dirgli quanto era felice che finalmente fosse tornato a casa…
“Dopo, Kain…” disse Andrew facendogli cenno di tacere.
“Ecco i due focosi combattenti.” fece James prendendo per l’orecchio Jean e anche Roy.
“Ahu! Papà, mi fai male!”
“Capitano Falman, potrei chiedere la cortesia di usare il suo ufficio per i prossimi dieci minuti?”
“Certamente. Vato, tu vai a casa e racconta un po’ a tua madre quanto è successo… con me parli appena torno: prepara il tuo fondoschiena, figliolo, a quanto pare ci sarà una lezione da imparare.”
“Sì papà…” sospirò il ragazzo, incitato ad uscire da una lieve spinta che Vincent gli diede.
“Kain, Heymans, voi venite con me. Direi che non è il caso che assistiate.” fece Andrew, mettendo una mano sulla spalla di entrambi.
“Assistere a cosa?” chiese il bambino perplesso.
“A quanto stanno per ricevere questi due, piumino; – fece Madame Christmans, arruffando i capelli neri di Roy che ancora era tenuto fermo da James – allora, Roy-boy ho sentito che non avevi paura di affrontare la medesima punizione del biondino: il signor Havoc sarà così gentile da riservarti lo stesso trattamento.”
“Che?” sgranò gli occhi il moro.
“Ahah, beccati questa, Roy! Ahuuu! Papà, non tirare l’orecchio così!”
“Piegati sulla scrivania entrambi, – ordinò James, mollando la presa ed iniziando a sfilarsi la cintura – e calzoni e boxer scesi.”
“Che cosa? – protestò Roy, mentre Jean eseguiva l’ordine senza protestare – Ma zia… non puoi!”
“Paura, Roy?” sghignazzò Jean, chinandosi sulla scrivania e beandosi di quella piccola consolazione.
“Ma sta zitto!” fece lui in tono di sfida, iniziando a calarsi i calzoni.
“Intanto tu sei il primo a prenderle, Jean – lo ammoni James, piegando in due la cintura – quindi risparmia il fiato per strillare.”
 
“Con la cintura?” mormorò Kain, stringendo a sé il cucciolo, mentre con il padre ed Heymans proseguiva per le strade del paese. Solo l’idea gli fece dolere il sedere e pregò con tutto il cuore di non provare mai una simile esperienza.
“Il padre di Jean e la zia di Roy ritengono sia giusto così.” sentenziò Andrew.
“Mi dispiace – sospirò Heymans – l’ho delusa, signore. Ho fatto qualcosa di così stupido che… forse non sono migliore di mio fratello.”
“Ragazzo – lo consolò Andrew, cingendoli le spalle in un gesto di conforto e capendo che si trovava in uno stato mentale molto confuso, considerato anche l’attacco di cinofobia – adesso non dare giudizi troppo affrettati e cerca di vedere le cose dal giusto punto di vista: è stata una ragazzata senza alcuna intenzione cattiva. Andrà punita, tutto qui… non dimenticare quanti anni avete.”
Heymans annuì, ma ovviamente era difficile quell’altalena di atteggiamenti da adulto e da ragazzo. Ancora non riusciva a trovare il giusto compromesso: sperava solo che la fiducia che Andrew e sua madre riponevano in lui non venisse in qualche modo meno per colpa di quella storia
“Heymans, sei stato buono a consolarmi quando ho pianto per la paura.” fece Kain, vedendo l’espressione abbattuta dell’amico.
“Grazie, nano.” sorrise mestamente l’altro.
“Siamo arrivati… vieni Heymans, andiamo a parlare con Laura. Tanto non credo che tuo padre sia in condizioni di intervenire.”
“Va bene.” sospirò il rosso, sapendo benissimo che sua madre non sarebbe stata molto felice di sentire quanto era successo.
“Kain, tu inizia a liberare quel cucciolo: sai bene che non puoi tenere animali.”
“Ma papà!” protestò il bambino che si era già innamorato dell’animaletto.
“Niente ma: non peggiorare la tua situazione, altrimenti le sculacciate che riceverai saranno molte di più di quante abbia intenzione di dartene. Io torno tra dieci minuti.”
Il tono di suo padre era quello classico che preannunciava una punizione davvero severa e questo fece deglutire rumorosamente il bambino. Il cucciolo gli leccò il mento e lui abbassò lo sguardo su quegli occhietti scuri e curiosi.
“Che posso fare con te? Non posso abbandonarti per strada, sei ancora piccolo…”
Poi un’idea gli balenò in mente e senza perdere tempo iniziò a correre verso casa di Riza: la sua amica aveva un giardino e dunque non avrebbe avuto problemi a tenere il cagnolino. Fortuna volle che la trovasse mentre stava rientrando a casa con una piccola busta della spesa in mano.
“Ciao Kain, – salutò – allora come è andata l’ultima notte da Vato? Oh, ma quel cucciolo da dove viene?”
“E’ una storia lunga, te la racconterò domani a scuola… puoi tenerlo?” chiese lui con foga.
“Che?”
“Sei l’unica come me che abbia un cortile e ti ho già detto che i miei non vogliono animali. Ti prego… ti prego! Sto per ricevere la più brutta punizione che mio padre mi abbia mai dato in undici anni… vuoi esaudire il mio ultimo desiderio?”
“Punizione? Ma che è successo?”
“Dimmi solo che puoi!”
Riza sospirò e guardò l’espressione supplicante di Kain che le tendeva il cucciolo. Proprio questi la fissava con estrema simpatia, agitando le zampette e mostrando la linguetta rosa. Non aveva la minima idea se suo padre avrebbe gradito un cane in casa…
Ma sì… a tenerlo in cortile non succede niente. Gli preparo una cuccia ed è fatta.
“Va bene.”
“Grazie!” esclamò Kain, passandoglielo.
Almeno il fantomatico fantasma aveva trovato una casa confortevole: l’unica nota positiva di quella mattinata.
 
“Una caccia al fantasma… certo che i maschi sono strani.” commentò Elisa il giorno dopo, durante l’intervallo, mentre assieme a Riza divideva un pacchetto di caramelle alla frutta.
“Già. E a quanto pare è finita davvero male.”
“Non credo di aver visto Vato così imbarazzato in vita sua – ridacchiò Elisa, mentre una ciocca di capelli le sfuggiva da uno dei nastri che il fidanzato le aveva regalato – credo che non le prendesse più da almeno quattro anni.”
“Ma guardali, continuano ancora a litigare…”
“Ma almeno lo stanno facendo tutti assieme, no? Credi siano un gruppo?”
“Forse ancora no, ma si stanno avvicinando.”
 
“Accidenti a tuo padre, – sbottò Roy – ho il sedere a strisce!”
“Ed io no? E poi si sentiva chiaramente che le ha suonate più forti a me: con te ci è andato piano.”
“Piano? Vorrei proprio vedere! Se tu poi reggi meno il dolore e strilli al minimo colpo sono problemi tuoi!”
“Finiscila, tu eri una fontana di lacrime già dopo la prima cinghiata. Tua zia ti doveva tenere fermo!”
“Ma se eri tu che scalciavi come un ossesso!”
Kain scosse il capo davanti a quell’infinito battibecco e spostò la sua attenzione a Vato che sedeva depresso per terra.
“E a te come è andata?”
“Sedici anni buttati al vento, ecco come è andata. Le ho prese da mio padre come un bambinetto… che umiliazione!”
“Cintura come loro due?”
“Cucchiaio di legno e mi ero completamente dimenticato di quanto facesse male. Ed inoltre non posso comprare libri per i prossimi due mesi. La prossima caccia al fantasma la farete senza di me!” esclamò rivolto a Roy e Jean che non gli prestarono la minima attenzione.
“E tu Heymans?” chiese il bambino, sperando che al suo amico rosso fosse andata meglio: del resto la signora Laura sembrava tanto buona… ed effettivamente lui ed Heymans, assieme a Vato, non è che erano molto entusiasti di quanto era successo.
“Tua madre ha una spazzola in camera?” chiese il rosso guardandolo di sbieco.
“Sì, certo.”
“Bene, prega di non provarla mai sul tuo sedere.”
“Oh cavolo…” mormorò il bambino portandosi istintivamente le mani al fondoschiena ancora leggermente dolorante, ma niente a confronto con quello che dovevano passare gli altri.
E lui che pensava che le sculacciate ricevute da suo padre fossero state una punizione severissima.
“No, mai più caccia al fantasma. Sicuramente ci sono cose tra maschi meno pericolose.”




il bellissimo (e geniale) disegno è di Mary_
^_^
  
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