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Autore: Aerith1992    20/02/2014    1 recensioni
Uniti in un matrimonio organizzato dalle loro famiglie, Arthur e Marie condividono la casa, la colazione e null'altro. Conoscono poco l'uno dell'altra, portandoli ad equivoci che stanno già rovinando il loro matrimonio poco a poco. È giunta l'ora che qualcuno faccia qualcosa.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belgio, Inghilterra/Arthur Kirkland, Portogallo, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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XI. Il primo segnale registrato dalla mente ancora mezza addormentata di Arthur è un colossale mal di testa, di quelli che si hanno solo dopo una sbornia, e la poca luce che filtra dalle finestre ferisce i suoi occhi anche attraverso le palpebre chiuse. L’esperienza insegna che è meglio che non si muova per un po’, per evitare sgraditi attacchi di nausea, per cui rimane steso e cerca di riportare alla memoria gli eventi della sera prima. Peggio ancora: viene investito da un’onda di vergogna quando ricorda di aver pomiciato con sua moglie in pubblico, ed è abbastanza certo che se controllasse il suo portafoglio noterebbe la mancanza di più o meno centro sterline, tra bar e taxi (almeno non ha guidato lui). Le sue memorie si fanno più inconsistenti da allora, con piccoli momenti di chiarezza che… oh, cielo.

Apre gli occhi immediatamente, pentendosene un attimo dopo quando il mal di testa si intensifica, per essere accolto dalla vista di Marie dormiente accanto a lui, con i capelli sparpagliati sul cuscino e gli ultimi resti del trucco di ieri sera sul volto, l’espressione serena e una mano vicina a quella di Arthur. Non gli serve dover alzare le lenzuola per sapere che entrambi sono completamente nudi. Ricorda la sensazione dei suoi seni caldi e morbidi nelle sue mani, i loro gemiti, il piacere mentre spingeva dentro di lei, ma soprattutto ricorda il suo bellissimo corpo nudo sotto di lui, i baci voraci e gli occhi lucidi di Marie, completamente ubriaca.

Arthur si sente ancora peggio. Crescendo, sua madre gli ha insegnato a rispettare le donne e ora si sente deluso di se stesso, per essere stato così stupido da fare sesso con una donna che da sobria lo rifiuterebbe. Solo gli animali, si dice, si comportano così e non merita di avere Marie accanto. Che uomo è se non riesce a esercitare un minimo controllo su se stesso, si chiede mettendosi una mano tra i capelli. Che penserà ora Marie di lui, lo eviterà ancora? Lo ignorerà? Riuscirà ancora a parlargli?

Lo sconforto lo paralizza, il buonsenso gli dice che non è il caso di piangere sul latte versato e gli suggerisce cosa fare: non sa come farsi perdonare (soprattutto perché non ci riesce lui per primo), ma può comunque fare un piccolo passo su questa strada. Con cautela, per non svegliarla, si alza dal letto cercando di non calpestare i vestiti in disordine sul pavimento e prova un moto di sollievo e disgusto insieme quando nota il preservativo usato, che subito raccoglie e butta. Si infila un paio di boxer puliti e una vestaglia e, ignorando nausea e fitte alla testa, sgattaiola in bagno. Prende un bicchiere d’acqua e un paio di aspirine per Marie e torna subito in camera, per quanto tema farlo. Non si deve fare sesso con una persona ubriaca, non si deve lasciarla da sola la mattina dopo. Almeno ad una cosa può rimediare.

Quando apre la porta, la vede subito voltarsi verso di lui e portarsi una mano alla testa sicuramente dolorante. Ha l’espressione sconvolta come lui pochi minuti fa. Guardando un punto imprecisato della camera, le passa il bicchiere.

 

                                                                                 

XII. È ora di parlare. Anche se Marie teme questo momento, sa che non può evitarlo ancora (e si chiede come ha fatto a evitarlo la mattina dell’Incidente, come ha soprannominato ciò che è successo), a meno che non voglia che la sua relazione con Arthur si incrini ancora di più. Sa che anche lui deve avere bisogno di un attimo da solo per pensare, sa dove va in questi casi, ed è esattamente lì che lo trova, seduto sotto il gazebo in giardino, circondato da delicati bucaneve, con una tazza di the in mano. Indossa una semplice maglietta e i pantaloni di una tuta sporchi di terra, il che significa che ha fatto giardinaggio fino a poco fa. Arthur la nota un attimo dopo che lei vede lui. Si irrigidisce e si strofina nervosamente le mani sui pantaloni e a Marie quasi verrebbe da ridere perché, ora che hanno condiviso anche lo stesso letto, di certo non saranno i pantaloni sporchi a peggiorare la situazione. Con un gesto goffo la invita a sedersi al tavolo e le versa con gesti precisi del the in una tazzina vuota. Marie non fa in tempo a dire come lo preferisce che Arthur ha già aggiunto un poco di latte e due zollette di zucchero con sicurezza.

“Lo so” le dice con  il suo solito sorriso sghembo. “Tartufini al cioccolato?” le chiede, indicando il vassoio sul quale sono accompagnati da scones con la marmellata. Degli ultimi, a giudicare dagli spazi vuoti, ne mancano almeno due o tre, mentre non ha toccato il dolce preferito di Marie, non essendo un grande fan del cioccolato.

“Certamente” risponde lei. Ne mangia uno e beve un sorso di the, aspettando che Arthur sia più a suo agio. Quando la sua postura sulla sedia non è più rigida, Marie prende fiato e dice “Allora, riguardo a ieri sera”

Arthur impallidisce immediatamente. Poggia la sua tazza sul tavolo, da bravo inglese, per timore di fare danni. “Mi dispiace” sussurra a denti stretti ma con un’espressione contrita, la prima vera scusa che Marie abbia mai sentito pronunciare da lui. “Eri ubriaca, non avrei dovuto”

Strano, perché Marie ha pensato la stessa cosa. Sollevata, risponde più calma di quanto si senta, “Dimentichi che lo stesso vale anche al contrario. Anche tu eri ubriaco e avrei potuto fermarmi. Facciamo che siamo pari?”

Gli angoli delle labbra di Arthur si sollevano, e l’atmosfera tra loro si distende un po’. La sua mano esita sul manico della tazza, incerta se sollevarla o no, prima di allontanarsi senza toccarla. “Tu che ricordi?” le chiede, rompendo il pacifico silenzio intervallato dal canto degli uccellini, spinto da una curiosità pericolosa ma insaziabile, guardando con insistenza gli scones.

“Poco” risponde Marie dopo un attimo di esitazione. Il corpo magro di Arthur, l’odore del suo dopobarba, il sapore delle sue labbra, le sue dita scorrerle sulla pelle come se lei fosse un libro antico, sfogliarla e studiarla. Sembra che sia stato bello, pensa, e si chiede, all’improvviso, senza neanche accorgersene, se mai riuscirà a convincerlo a farlo da sobri. Si sente in fiamme, si volta verso un angolo del giardino e cambia subito discorso. “I bucaneve sono bellissimi”

Non ci ha pensato su, ma sembra sia stata la cosa giusta da dire, perché Arthur le sorride da dietro la tazza, orgoglioso ma non arrogante. Un pensiero balena la mente di Marie, come un fulmine a ciel sereno, e tutto all’improvviso ha senso. Si è innamorata di lui.

 

 

XIII. È ora di pranzo e come al solito Arthur non è seduto a tavola. Da un po’ di tempo Marie ha tra le mani un lavoro parecchio stressante e ha esaurito tutta la sua pazienza, per questo ha deciso di richiamarlo lei stessa e di mettere fine a questa storia con un bel discorsetto che ha sulla punta della lingua.

Quando però bussa, irritata e decisa, alla porta dello studio di Arthur, non risponde nessuno e, non volendo aspettare ancora un minuto di più, entra. Non c’è traccia di Arthur; a giudicare dai documenti sparsi sulla scrivania di legno massiccio, deve aver lasciato la stanza in un momento di frustrazione per fare una pausa (Arthur non ama lasciare le cose in disordine, perché rischia di non trovarle più), e anche di fretta, se la sua preziosa agenda, quella dalla quale dipende più che da un segretario o da un cellulare, giace abbandonata sul pavimento. Marie vorrebbe lasciarla lì a terra, perché è di Arthur e la dovrebbe raccogliere lui, ma le dà fastidio vederla così. Sbuffando e borbottando, si piega per prenderla e, quando è tra le sue mani, delle fotografie cadono a terra. Ancora più irritata, Marie raccoglie pure queste e quasi le lascia cadere quando scopre cosa ritraggono: in una, lei e Arthur sorridono impacciati mentre ballano durante il loro ricevimento di nozze circondati da parenti, mentre nell’altra c’è lei sola, in abito da sposa, con il boquet in mano poco prima di entrare in chiesa. Così tanta considerazione dall’uomo che si è sempre mostrato disinteressato riguardo al loro matrimonio, tanta da riporre le loro foto nell’agenda che porta sempre con lui, la fa arrossire e dimenticare la rabbia per un attimo.

Guidata da questa scoperta, apre l’agenda nera con delicatezza. Gennaio e Febbraio riportano in una grafia ordinata vari appuntamenti di lavoro; il primo cambiamento è un cerchio attorno a un determinato giorno di Marzo. Ai vari impegni, seguono poi note varie e disordinate e fogli sparsi, per ognuno dei quali il cuore di Marie batte sempre più forte. Bucaneve, dice una nota e nel foglietto attaccato con una graffetta alla stessa pagina ci sono delle istruzioni per far crescere la pianta. Film gialli, due zollette e un goccio di latte nel the, waffles, Audrey Hepburn. Ora che ha l’agenda tra le sue mani, ora che sfoglia e legge le pagine scarabocchiate con note su cosa le piace, capisce finalmente chi è Arthur Kirkland: un uomo riservato, che ha qualche problema ad esprimersi, che pianta i suoi fiori preferiti e fa apparecchiare il tavolino da the con un’altra tazzina e i dolcetti che le piacciono in caso lei voglia raggiungerlo, senza dirle una parola. Un uomo che tiene a lei anche se non riesce a dimostrarlo. E che forse, si arrischia a pensare, e il suo cuore batte insistente, è innamorato di lei tanto quanto, se non di più, lei è innamorata di lui.

La rabbia inizia a tornare, perché l’idiota non le ha detto niente, perché le ha lasciato pensare di non essere abbastanza per lui, quando invece ci tiene, e perché è così stupido?

 

 

XIV. Dover lavorare nei weekend dovrebbe essere reso illegale, borbotta Arthur nel frattempo, da solo nel suo giardino, strappando con rabbia le erbacce. Un’altra firma su un altro documento di certo lo avrebbe fatto urlare e sarebbe apparso come un pazzo agli occhi di Marie e del personale, per cui ha lasciato lo studio in fretta e furia per dedicarsi al giardinaggio. A ogni erbaccia strappata si sente più rilassato e staccato dal mondo; nemmeno si accorge della forza con cui il sole di mezzogiorno batte sulla sua nuca, che presto sarà rossa come un pomodoro, perfetto obiettivo per scherzi per niente desiderabili.

“Arthur Kirkland” sente dire Marie all’improvviso. Si volta, contento di vederla, per scoprire che lei sta venendo verso di lui, rossa in volto e una strana emozione negli occhi, infuriata come non l’ha mai vista prima. Sono nei guai, pensa subito, senza nemmeno avere la minima idea di cosa può aver fatto per farla arrabbiare così tanto.“Sei un idiota”

Hanno già parlato dell’Incidente e risolto il problema, per cosa potrà essere arrabbiata? Niente. Mentre gli pare di sentire Gabriel che, divertito, gli dà il benvenuto nel mondo degli uomini sposati, si alza, offeso per l’appellativo. Aggrotta le sopracciglia e apre la bocca, ma Marie lo batte sul tempo.

“Perché non me ne hai parlato?” chiede lei, tirandogli con poca grazia la sua agenda.

La sua agenda. Quella su cui ha scritto tutto quello che piace a Marie, quella che rivela la sua debolezza, che rivela che è pazzamente innamorato di lei. L’idea che l’abbia letta fa montare la furia dentro di lui. “Che diamine ci facevi nel mio studio? Perché ficcanasi nella mia roba?”

“Se non volevi che entrassi nel tuo studio, non ti saresti dovuto dimenticare, di nuovo tra l’altro, che è ora di pranzo! È possibile che tu debba essere sempre avvisato come un bambino? E l’agenda, di certo non l’avrei presa se tu non l’avessi lasciata a terra!”

Arthur continua a guardarla con rabbia per non dargliela vinta, anche se si sente decisamente mortificato, a tal punto da non trovare una risposta.

“Pensavo di non piacerti”                               

Cosa? Arthur la guarda confuso. Marie non è una stupida, pensa, avrà capito tutto certamente, sarà bastata una sola nota, ma qualcosa nelle parole di lei però gli suona strano. “Mi pare che sia il contrario. Io non piaccio a te!”

“Che cosa te l’ha fatto pensare?!” chiede Marie, con le mani dei capelli.

“Mi evitavi!”

“Perché tu non mi volevi parlare!”

“Certo che ti volevo parlare!” Marie alza un sopracciglio. “Ero imbarazzato”

“Ma se siamo sposati!”

“Appunto” borbotta Arthur, guardando i suoi attrezzi da giardinaggio e desiderando intensamente di essere altrove, magari sotto terra a fare compagnia alle radici dei bucaneve che ha piantato apposta per farla felice.

Nessuno parla fin quando la risata di Marie gli fa alzare il volto. Lei si trattiene la pancia e non appena riesce a smettere gli sorride e lo guarda con un affetto tale che Arthur si sente immobilizzato.”Siamo degli stupidi”

E anche le labbra di Arthur si schiudono lentamente in un sorriso, perché Marie lo ricambia, e all’improvviso non importa più che abbia del lavoro ancora da fare, la tristezza del saperla (a torto) infelice è scomparsa, e all’improvviso Marie è tra le sue braccia, pelle liscia e morbida, il buon profumo di fiori. Lui è felice, lei è felice, e non c’è niente di meglio al mondo, niente può rovinare questo momento.

E poi, inaspettatamente, la pancia di Arthur brontola e Marie si allontana.

“Dobbiamo ancora parlare” dice, con un sorriso. “Ma prima, andiamo a mangiare”

 

 

XV. La sveglia suona, irritante, alle 7 di mattina, svegliando Arthur e Marie che riposano abbastanza vicini da percepire uno la presenza dell’altro, ma non abbastanza da essere troppo caldi. (Sono in piena estate, ma Marie prevede che ci vorrà molto di più di una sveglia per separarli durante le gelide mattine invernali) Uno dei due, solitamente Arthur, si allunga per spegnere la sveglia, approfittando del movimento per strusciarsi casualmente (non lo fa apposta, le assicura, ma il rossore del suo volto parla per lui) contro di lei. “Buongiorno” gli sussurra Marie ancora mezza addormentata, tirandolo di nuovo giù a letto. La tentazione di non alzarsi, specie quando lei si accoccola così accanto a lui, stampandogli un lieve bacio sulla guancia, è forte, ma eventualmente si alzano di malavoglia. Mentre si preparano per la giornata, ne approfittano per osservare l’altro di nascosto; la sottoveste di Marie esalta le sue curve in una maniera che dovrebbe essere illegale, mentre lei riesce a vedere la linea dei muscoli di Arthur attraverso la T-shirt che indossa per dormire. Si separano ognuno per il suo bagno, e si ritrovano a colazione. Arthur non si prende più nemmeno la briga di aprirlo, il giornale, e Marie non rinuncia a prenderlo in giro. A volte si sorridono per tutto il tempo, altre a malapena si guardano, irritati già da quando si sono alzati, ma non rinunciano mai a un bacio per salutarsi prima di andare a lavoro.

Ma il risveglio preferito di Marie avviene un sabato. Nessuno prova a svegliarli, semplicemente aprono gli occhi e rimangono distesi nel letto, vicini. Arthur le accarezza distrattamente i capelli, Marie poggia la testa sul suo petto, sente il suo cuore che batte, e richiude gli occhi, facendo le fusa come un gatto contento. Non ci sono altri suoni che quello dei loro respiri, altre sensazioni che quella delle lenzuola morbide e dei loro corpi, nessuna parola che debba essere detta quando sentono di comprendersi appieno. Arthur fa un lungo respiro, la stringe un poco più stretta lungo i fianchi e le tocca una spalla. Marie apre gli occhi, lo vede guardarla con amore e ammirazione, un sorriso che illumina il suo volto. La voce roca di Arthur, infine, rompe il silenzio. “Sposami” E il bello è che, se non fossero già marito e moglie, Marie risponderebbe di sì.

  
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