Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: pocketsizedtitan    21/02/2014    9 recensioni
Levi/Eren | Coffee Shop AU
Eren Jaeger lavora come barista nel caffé di sua madre, ed è uno specialista di Latte Art. E poi c'è Levi, che non è esattamente il cliente tipico perchè è brusco e rozzo (il che in realtà, secondo Eren, non è poi così diverso dal cliente tipico), ma che soprattutto non fa altro che confondere il tenero cuoricino di Eren.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Rivaille, Un po' tutti
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tutti! Qui la traduttrice! Un sentitissimo grazie sia per i commenti che per tutti i 'preferiti', 'da ricordare' e 'seguito' che ci state lasciando e che crescono ad ogni capitolo, e anche per le visualizzazioni :) Un grazie anche a chi legge solo e si sta godendo questa storia. L'altra volta ho accidentalmente cambiato il nome del capitolo da 'Ossessione' a 'Schizzi' ma poi io e l'autrice ci siamo chiarite un attimo (lei non aveva inserito il titolo nel sito dove prendo il testo da tradurre) e mi ha dato l'ok per lasciarlo così. In ogni caso mi dispiace tanto. Buona lettura!
SULLA TRADUZIONE: Domani sera rileggo meglio perchè sto letteralmente dormendo con gli occhi aperti e sicuro ho scritto qualcosa male. Mi dispiace (odio l'universita!), ma un grazie a quelli che mi fanno notare gli errori, ho bisogno di voi eheh. Ho lasciato il sistema di voti estero anche in questo capitolo: F è una insufficienza.


The Little Titan Café
CAPITOLO 6: Una vita di merda

Benvenuti al Little Titan Café
Speciale di oggi: Un inusuale occhio nero

Stava diventando uno di quei giorni in cui l’unica cosa che Eren voleva fare era strozzare qualcuno, o prendere il registro di cassa e usarlo per picchiarlo. Entrambe le prospettive suonavano sempre più allettanti man mano che passava il tempo. Non che questo fosse un umore inusuale nelle sue giornate – rabbia, ecco cos’era – ma oggi questa rabbia era eccezionalmente forte, talmente forte che chiamarla rabbia era sminuente. Eren era incazzato nero, e con istinti omicidi. Non che avrebbe realmente ucciso qualcuno – si spera – dal momento che non voleva ancora andare in prigione, e tante grazie. Quel giorno c'era stata una cosa dopo l’altra che lo aveva portato a quel punto, oltre ogni limite di sopportazione, e, rimuginando sulla sua giornata, Eren realizzò che l’avrebbe dovuta spendere accoccolato nel suo letto, dandosi malato a lavoro (ma sfortunatamente questa non era una opzione quando sua madre era anche il suo capo).

Ma, in ogni caso, Eren sapeva che non avrebbe neanche dovuto alzarsi. Come? Be’, torniamo indietro a quella stessa mattina quando i lavori del cantiere di fronte lo avevano svegliato all’alba. Aveva cercato di tornare a dormire, ci aveva davvero provato, ma non c’era modo di tornare indietro una volta che veniva svegliato. Dopo un’ora a dimenarsi e rigirarsi e a seppellire la testa sotto uno strato di cuscini e coperte, si era alzato. Quello era stato il primo segno che lasciava presagire come la sua giornata sarebbe stata un inferno. Il secondo segno – che avrebbe dovuto essere il segnale per farlo filare a letto e nascondersi dal mondo – era che, alzandosi dal letto nel suo stato intontito, era inciampato e aveva sbattuto l’alluce contro l’angolo della sua scrivania (e il rumore dei lavori fuori era intanto salito così tanto, che aveva annichilito tutto il suo campionario di insulti per esprimere il suo dolore fisico).

Per colazione aveva avuto un toast bruciato. Avrebbe voluto dei cereali, ma una volta che li aveva messi in una ciotola, quando era andato a prendere il latte aveva realizzato che il cartone era vuoto. Il resto della sua mattinata era passato senza intoppi, fortunatamente, – e si era anche concesso un po’ di cartoni animati mattutini prima di farsi una doccia e dirigersi in facoltà – finché, fuori casa, si era ritrovato bloccato nel traffico a causa dei lavori. Oltre ad aver passato una mattina orribile, Eren era arrivato tardi a lezione, aveva ricevuto il voto del suo esame di matematica di una settimana prima – una F, maledizione! – e aveva realizzato di aver lasciato a casa lo zaino, per terminare la sua giornata universitaria odiando la sua vita.

Ma poi – poi! – quando se ne stava finalmente andando, aveva notato che qualche imbecille aveva distrutto il faro posteriore della sua auto! Come diavolo era riuscito a fare una cosa del genere? E comunque, solo un eccellente idiota poteva andarsene senza far sapere niente al proprietario della macchina che aveva danneggiato, e se lui avesse mai trovato chi aveva rotto la sua piccola l’avrebbe fatto nuovo nuovo (e, mentre Eren sbuffava e si lamentava rumorosamente, vari studenti che stavano passando gli lanciarono occhiate comprensive come a dirgli che era normale che fosse infuriato. Non che qualcuno potesse biasimarlo, si stava anche avvicinando la fine del semestre: chiunque impazziva in quel periodo).

Pertanto, Eren era di cattivissimo umore già prima di arrivare a lavoro. Non aiutò il fatto che ogni cliente che arrivava – e qui stava esagerando perché in realtà erano stati solo due – pensava che gli stesse dando il resto sbagliato. Il suo turno non poteva passare più lentamente e ogni volta che non stava guardando la porta i suoi occhi erano sull’orologio e quando mancavano solo dieci minuti alla chiusura si dovette rassegnare al fatto che Levi non sarebbe venuto. Non gliene importava.

Non gli importava nemmeno del fatto che l’ultima volta che aveva visto l’uomo era stato quattro sere prima, durante la sua serata libera. Non gliene importava niente. La cosa non lo innervosiva per niente. Assolutamente per nulla.

Da ciò, potete capire il nervosismo di Eren e il motivo per cui odiava la sua vita.

Avrebbe davvero, seriamente, dovuto spendere la giornata a letto. Infatti, in quel caso, oltre ad evitare una pessima giornata, avrebbe anche evitato di essere dietro al bancone nel momento in cui un cosiddetto ‘tipo losco’ gli puntava contro quella che sembrava una pistola. O, perlomeno, quella che lui voleva far passare per un pistola, nascosta dietro la sua giacca mentre chiedeva ad Eren di dargli tutti i soldi nella cassa.

“Dammi i soldi.”

Eren fissò lui, e poi la supposta pistola completamente coperta dal giaccone e per un attimo pensò che avrebbe dovuto stargli a sentire. Gli era sempre stato detto di essere cauto quando chiudeva il negozio di sera, ma in tutti gli anni in cui aveva lavorato al caffè, non era mai successo nulla di male. Il vicinato era tranquillo e c’era una stazione della polizia a due o tre isolati da lì, in fondo alla strada, quindi l’area non era di certo nota per la criminalità. Questo tipo doveva essere un totale idiota per pensare di poter fare una rapina in zona.

“Ehi, mi hai sentito?” L’uomo interruppe i suoi pensieri, muovendo la pistola sotto il giaccone. “A meno che tu non voglia essere sparato datti una mossa.”

Eren aveva due opzioni: poteva aprire il registro di cassa e dare al tipo quello che voleva, o poteva mandare a quel paese lui e tutto il resto del mondo. L’opzione due gli sembrava più allettante. Se fosse stato un qualsiasi altro giorno il rapinatore se ne sarebbe andato via illeso, ma quel giorno Eren se l’era vista con così tanti momenti schifosi che adesso era al limite. “Ma sei serio?”

Le sue parole sorpresero l’uomo. “Be’… sì?”

“No, perché se lo fossi stato avresti portato una pistola vera, imbecille.”

“Come diavolo faresti a sapere che non è vera?”

“Allora mostramela.” Lo esortò Eren. Quando passarono tre secondi senza avere nessuna reazione, il ragazzo fece un cenno col viso. “Proprio come avevo pensato.”

“Senti stronzetto, anche nel caso in cui non abbia una pistola ti picchierei fino a farti nero. Ora-” L'uomo si sporse oltre il bancone e afferrò Eren per la collottola, “apri quel dannato registro e dammi i soldi.”

“Dio. Sei davvero stupido.”

“Potresti muoverti a cooperare?”

Eren digrignò i denti quando l’uomo lo strattonò. “Per quale motivo dovrei cooperare con te? Non ho intenzione di darti nulla. Quindi puoi andartene o aspettare che arrivi la polizia.” L’uomo si raggelò all’ultima frase, e Eren sorrise beffardo.

“Stai mentendo.”

“C’è un bottone proprio qui sotto il bancone per avvisare la polizia.” Era solo uno stratagemma, ma l’uomo era abbastanza stupido da cascarci. Il barista poteva vedere il terrore nei suoi occhi.

“Dannato moccioso.” Il tipo tenne Eren fermo con una mano, mentre l’altra si alzava per sferrargli un pugno all’occhio destro. Eren imprecò non appena fu liberato dalla presa, mentre un dolore bruciante gli si diffondeva sul viso.

Okay, era abbastanza per quella serata. Eren scavalcò il bancone con un salto e iniziò a inseguire l’uomo.

“Torna qui, bastardo!”





“Non sei molto bravo a fare finta.”

La voce familiare dietro di lui fece balzare Eren dallo spavento. Era così distratto a fare finta di spazzare e a pensare che non aveva nemmeno sentito la porta che si apriva. Eren si girò, con le mani che stringevano il manico della scopa e cercò di non sorridere – non voleva che Levi pensasse di essergli mancato o cosa. Vederlo vestito impeccabilmente come sempre era come sentire una ventata di aria fresca in volto. “Ciao a te.”

Uno sguardo più accigliato del solito deturpò il volto di Levi non appena il suo sguardo cadde sull’occhio nero di Eren. “Sei orrendo.”

“Be’, grazie.”

“Lo voglio davvero sapere?”

Eren fece spallucce, poggiando la scopa contro il bancone. “E’ una brutta storia.”

Levi sbuffò, sedendosi in fondo al bancone. “Ne sono certo.”

“Cosa vuoi stasera?”

“Sorprendimi.”

Eren alzò un sopracciglio. “Sei sicuro?”

“Mh.”

“Va bene allora.” C’era una cosa nuova che stava morendo dalla voglia di provare a fare, dopotutto. Eren canticchiò la canzone in onda nel negozio - Gone, Gone, Gone dei Phillip Phillips – mentre si lavava le mani e iniziava a preparare l'ordine di Levi: versò il latte freddo in una brocca, macinò i chicchi di caffè per poi pressare la polvere nel filtro; inserì il braccio nella macchina del caffè e mise una tazza sotto. Mentre l’acqua filtrava lui mise il latte sotto il getto di vapore. Colpì e agitò la brocca fino a quando il liquido non si trasformò in una spuma leggera, facendo in modo che non si formassero bolle. Poteva sentire lo sguardo di Levi posato su di sé mentre versava la spuma nella tazza, tenendo la brocca vicina e centrata.

“Illuminami sull’adorabile livido sulla tua faccia.”

Eren distribuì la schiuma di latte sulla superfice della bevanda con un cucchiaino, fermandosi un momento. “Be’… non ho partecipato ad una rissa se è quello che stavi pensando. Più o meno.” Infilò un bastoncino di legno muovendolo attraverso la schiuma. “Un tipo ha cercato di rapinare il negozio l’altra sera e io gli ho detto che avrei chiamato la polizia e lui mi ha dato un pugno ed è scappato.” Una volta terminato, mise la tazza di fronte a Levi, quasi ridendo all’espressione scettica sul suo viso. “Non preoccuparti. L’ho inseguito e gliele ho suonate come si deve.”

Una venetta si gonfiò sulla tempia di Levi – aveva davvero bisogno di farsi controllare. Tutta colpa del ragazzo. “Almeno hai chiamato la polizia?”

“Sì. Tutto riportato e schedato.”

Quel che è fatto è fatto. Questo non significava che Levi lo trovasse meno stupido per aver inseguito un ladro. In ogni caso lasciò stare non appena vide il disegno che Eren aveva fatto sulla schiuma del suo Latte. Era un paio di ali spiegate: e non un convenzionale paio di ali, bensì particolare e un po’ stilizzato, ma comunque delle ali. “Non male.”

Eren sorrise. Sì, Levi era tremendo a fare i complimenti, ma questo non lo rendeva meno contento di averne ricevuto uno.

Levi fece qualche sorso, ignorando il fatto che Eren lo stava fissando, con il mento poggiato tra le mani. La tazza tintinnò mentre veniva posata sul piattino. “Hai intenzione di stare lì fermo e fissarmi per tutta la serata?”

“Ah, stavo solo pensando a dove potevi essere stato…” La voce di Eren si affievolì. Si era fermato e aveva incespicato nelle sue stesse parole, le guance rosse per l’imbarazzo e la voce un po’ rotta dall’incertezza. “Cioè, non che mi interessi è solo che avevo iniziato a considerarti come un cliente regolare e tu hai… smesso di venire improvvisamente.”

Eren si sentì solo peggio quando finì di spiegarsi, e, in tutta risposta, Levi continuò a guardarlo senza accennare nessun cambio di espressione. Poi un sorrisetto stirò le sue labbra e Eren non seppe più se sentirsi sollevato o preoccupato. “Ero via per un viaggio di lavoro. Grazie per esserti preoccupato per me.”

“Non mi hai ancora detto che lavoro fai.” Precisò Eren.

“Un moccioso ficcanaso, eh?”

“Ehi ehi, guarda che anche tu sei un ficcanaso.”

Eren notò che Levi non aveva negato la sua affermazione. Si era appoggiato alla testiera dello sgabello, gli occhi fissi nel vuoto come in contemplazione, mentre mescolava la sua bevanda con un cucchiaino. “L’ultima volta che sono venuto… eri con un tuo amico?”

Eren aggrottò le sopracciglia in confusione, non capendo a chi si stava riferendo Levi fino a quando non gli tornò in mente. “Armin? Sì. Ci conosciamo da quando eravamo bambini. Per me è come un fratello, sai?” Poi le sue labbra di piegarono in una smorfia irritata. “Ehi, smettila di eludere le mie domande.”

“Te lo dirò,” Levi inclinò la tazza portandola alla bocca. Eren si rallegrò per un secondo, solo per essere deluso quello dopo, “un giorno, forse.”

“E se tirassi ad indovinare? E tu mi dici se ci ho preso?”

“No.”

“Giornalista?”

“No.”

“Scrittore?”

“No.”

“Insegnante?”

“No.”

“Commercialista?”

“No.”

“Agente segreto?”

“…”

“Che c’è? Potrebbe essere.”

Levi si salvò da un ulteriore interrogatorio quando entrò un cliente.





“Uhm…” Eren lanciò un’occhiata a Levi, che non si era mosso dalla sua sedia nemmeno quando lui aveva preso la sua tazza, l’aveva lavata, aveva controllato e chiuso il registro di cassa. “Non dovresti avviarti? Starei chiudendo il negozio.”

Levi girò un’altra pagina del suo libro.

“Non prendere niente.” Disse Eren, scomparendo nel retro per posare i soldi e prendere le sue cose. Ritornò con la sua felpa addosso, sorpreso e diffidente nel trovare Levi in piedi ad aspettare paziente, con i guanti di pelle sulle mani che stringevano il manico della sua borsa. Eren decise che era meglio non fare domande e si diresse fuori, mantenendo la porta aperta mentre Levi usciva dietro di lui. A quel punto si aspettava di vedere l’uomo andare via, ma questi continuò a indugiare mentre Eren chiudeva il negozio. In totale agitazione, Eren si girò puntandogli le chiavi contro. “Okay, cosa stai facendo?”

“Mi sto congelando il sedere mentre tu chiudi il negozio con tutta calma.” Rispose Levi, impassivo.

“Perché non te ne vai, scusa?”

“Non posso.”

“Perché no?”

“Perché,” La sua espressione era inalterata – neutrale, apatica, imperturbata. C’era qualcosa di semplicistico nel modo in cui parlava, e nel modo in cui guardò Eren come se il fatto che fosse rimasto lì fosse la cosa più ovvia del mondo “Ti sto accompagnando alla macchina.”

Eren era senza parole, capace solamente di spalancare la bocca come un pesce fuor d’acqua. Il suo cuore perse un battito. “Ma… perché?”

“Sei quasi stato rapinato. Quale adulto mi sento responsabile della tua sicurezza.”

“Ti sei accorto del fatto che sono un adulto anche io, vero? E che sono capace di difendermi. Se solo avessi visto come ho conciato quel tip—”

“Eren taci e andiamo. Fa freddo.”

Freddo? Sul serio? Perché Eren l’aveva difficilmente notato considerando quanto velocemente il suo cuore stava battendo e quanto caldo sentiva improvvisamente il suo corpo. Fece come gli era stato detto e si avviò verso il suo posto auto. C’erano solo due macchine parcheggiate, e una era la sua, messa nell’unico posto per gli impiegati. “Suppongo che quella lì sia la tua macchina.”

“Nh.”

“Allora ci vediamo in giro…” Disse Eren, il nome di Levi bloccato nella sua gola. Per qualche ragione non riusciva a pronunciarlo, probabilmente perché ogni volta che stava per dirlo le sue mani diventavano calde e appiccicose. Eppure Levi riusciva a dire il suo nome con una tale facilità da far palpitare il suo povero cuore.

Levi annuì e si diresse verso la sua auto. In realtà non c’era alcuna ragione per accompagnare Eren fino alla sua macchina quando poteva tranquillamente vederlo da lì. Eren si sedette al posto di guida, inserì le chiavi e mise in moto il motore. Non riusciva a pensare a nient’altro che a come il suo nome suonava pronunciato da Levi, non riusciva a pensare a nient’altro che al fatto che Levi l’aveva aspettato per accompagnarlo alla sua macchina, al fatto che anche se non doveva l’aveva fatto comunque, al fatto che avrebbe potuto trovare un sacco di scuse – del tipo ‘ho parcheggiato nello stesso posto, tanto vale andarci insieme’ – che avrebbero suonato meglio di scemenze come ‘sono un adulto’.

Eren poggiò la fronte contro il volante, mettendosi le mani sulle guance, che ormai gli facevano male tanto che stava sorridendo. Si sentiva come un quindicenne al primo amore. Solo a quel punto gli venne in mente quanto era completamente partito, e che la sua vita sarebbe diventata un po’ più incasinata d’ora in poi.

Ma non gli importava per il modo in cui il suo nome suonava sulle labbra di Levi.

  
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