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Autore: Vella    22/02/2014    11 recensioni
Una famiglia. Una contea. Una residenza.
Jenkins. Buckinghamshire. Winslow Hall. Anno 1896.
Tre storie apparentemente scollegate fra loro. Tre mondi. Tre amori. Tre, il numero perfetto.
Daniel Shaw è un poeta profondamente enigmatico, strano, seducente, romantico. Cerca la sua musa ispiratrice, trovandola d'improvviso in Wendy, una ragazza benestante e solare, con un segreto. Così nasce un amore sconfinato, senza vie, dal sapore della proibizione e dello sbagliato. Un amore fatto di sguardi e di intensi contatti umani.
Viktor Mitchell, uomo di ventotto anni, rude, agognato, senza alcuna forma di desiderio. Veterano di guerra. Ed ora divenuto professore per l'istruzione di famiglie d'alto rango. Un uomo davvero, forse troppo, sbagliato e pieno di peccati. S'innamora perdutamente di Katherine, una ragazza di diciassette anni, giovane, ribelle, forte, eppure la sua unica alunna.
E infine Gerard Collins, ventiduenne, senza tetto, soldi o famiglia. Un gigolò in cerca di amore tra persone che non lo completano. Per questo quando incontra Henry il tumulto di sentimenti che si forma nel suo cuore, lo confonde.
Henry, Wendy e Katherine sono fratelli. Sono la famiglia Jenkins. Sono sbagliati perché non seguono le convenzionali etichette ma lo struggente filo conduttore dell'amore più remoto.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, L'Ottocento
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Mille violini suonati dal vento*

Le labbra tremarono; strinse più forte i libri al petto; inspirò. La prima cosa che le passò per la mente fu un semplice 'non è possibile', la seconda invece fu 'ha la barba'. Aveva visto pochi uomini con la barba. E quei pochi erano sempre stati dei vecchi rimbambiti e per niente affascinanti; il viso che ora le si prospettava davanti era decisamente giovane e non le sembrava affatto stupido. Quando gli occhi dell'uomo si posarono su di lei, trattenne il respiro, non perché avesse paura, ma per il semplice fatto che le parve davvero un'occhiata indisponente. Katherine non abbassò la guardia e in un attimo lampante, le parve di scorgere sul viso di Viktor del fastidio.
―Buon giorno Mss Jenkins― la voce strascicante dell'uomo fece sussultare la ragazza. Con un movimento istantaneo chiuse la porta dietro di lei.
Katherine si avvicinò al tavolo, il suo precettore stava osservando una pagina di un libro, sembrava del tutto disinteressato e questo, non sapete quanto, la irritava. Era lì, un po' scettica su cosa fare e come muoversi, non era abituata ad essere quasi evitata, non era abituata al disinteressamento. Seppur fosse una ragazza terribilmente forte e aggressiva, possedeva anche una certa dose di permalosità. Strinse forte le braccia al petto e senza volerlo stampò nella sua mente il viso dell'uomo. Era così singolare da intimarle sorpresa. Non aveva rughe ma la sua giovinezza doveva per forza esser racchiusa in qualche altra parte del corpo perché sul viso, ora che Katherine era più vicina, notava rudimento e dei lineamenti che non facevano parte di quel posto. Lineamenti che non aveva mai visto prima di all'ora.
Viktor smise di leggere ed alzò il capo, Katherine scorse ancora del fastidio. Tanti sentimenti sfavorevoli la portavano ad uno stato precario e di insolenza. Ingoiò saliva, schiuse le labbra e le parve che tutto stesse diventando più pesante e inconsueto. Aveva torto? Sapeva solo che i suoi occhi erano più chiari del ghiaccio e sembravano delle gemme incastrate perfettamente in pietre levigate; trattenne un sospiro e strinse ancor di più le braccia sui seni.
―Siete nervosa, Mss?― biascicò e la voce di Viktor rimbombò nelle sue orecchie.
Cosa diamine stava accadendo? Katherine rimase allibita e in un momento di lucidità cercò di riprendere le redini della situazione, di riportare sulla terra ferma l'animo perverso e cicatrizzato.
―Signore...― aria, ―no.― Composizione, ―suppongo di non esser affatto nervosa e non scorgo alcun motivo del perché dovrei esserlo―. Aria.
Viktor alzò un sopracciglio e lasciò andare del tutto il libro che lo aveva distratto nell'estenuante ora d'attesa, schioccò la lingua sotto al palato e l'unica parola che riuscì a pensare fu: touché.
―Io sono Viktor Mitchell― di nuovo schiocco, ―e questo, invece, suppongo che dobbiate saperlo―. Katherine abbassò leggermente il capo in segno di riverenza e poi si lasciò andare all'osservazione del soffitto di legno, riempiendo i polmoni di quell'aria che iniziava ad andarle un po' stretta.
―Signor Mitchell, io...― le mancò il fiato e sentiva la vena del collo pulsare costantemente, portò due dita su di essa e si impose di trovare le parole adatte, di non lasciar trasparire l'orrida irrequietezza che l'aveva pervasa sin dall'inizio, come una bomba senza fine.
Non ci riuscì, non continuò il pensiero, era quasi come andare contro la sua natura e lei non poteva permettersi un simile sgarro, non immediatamente almeno.
―Sedetevi―. Disse Viktor con un tono di voce che Katherine non riusciva affatto a collocare nella sua mente. Lo fece senza esitazione, portò le mani al grembo ed attese.
Suo padre s'era preso gioco di lei. E più guardava il viso di Mr Mitchell e più le forze mancavano. Suo padre aveva anticipato la sua vendetta. L'aveva spogliata della sua coerenza. Suo padre l'aveva affidato ad un uomo. E perché? Non lo capiva, non percepiva nulla di buono in quel gesto, eppure non sapeva darsi nessuna spiegazione. Sentirsi svuotata era un eufemismo e più l'orologio nella stanza rintoccava i secondi e più la vena del collo pulsava.
―Quale impegno improrogabile vi ha trattenuto fino ad adesso, signorina?― Viktor estrasse dei fogli bianchi, una boccetta di inchiostro e una piuma nera dalla sua valigetta marrone.
―Mi dispiace, signore. Sono stata trattenuta più del previsto e... ― rimase così. Sul suo viso era dipinto scetticismo, ―perché avete cacciato una piuma nera?―
―Per scrivere, signorina. Ed ora continuate. Cosa vi ha trattenuto?―
Ma Katherine non si fermò, ficcò le unghie nel velluto della poltrona e, necessitandosi di aria, continuò imperterrita: ―E perché scrivete ancora con la piuma, signore?― Viktor alzò lo sguardo dai fogli e posizionò l'attenzione sulle labbra della giovane, la sua insolenza lo schiacciava in pieno. Lui non si sentiva svuotato, ma demotivato.
―Cosa state cercando di fare?― sospirò. L'orologio rintoccò ancora, Katherine sussultò e scosse la testa.
―Nulla, signore.― Solo allora Viktor ritornò ad occuparsi dei fogli bianchi e l'aria divenne nuovamente scostante. La finestra era praticamente gelata e la ragazza avrebbe tanto voluto avvicinarsi al caminetto per trarne quel calore che non riusciva a scorgere in quella prima lezione.
―Ditemi, Mss. Conoscete i dieci comandamenti delle religioni ebraica e cristiana?―
―Perché dovrei, signore?― Il precettore continuava a scrivere, più velocemente, con più forza.
―Siete forse una ragazza stupida, Mss?― Katherine sorrise. Sorrise per la prima volta dopo essere entrata in quella stanza, sorrise con un'ingenuità tale da confondere chiunque, eccetto l'uomo che si ritrovava dinanzi. Il sorriso scomparve successivamente e le parole che uscirono dalle sue labbra furono il sintomo di un profondo capriccio che non poteva badare, in alcun modo. Aveva impiegato meno del previsto: Viktor Mitchell aveva già espresso la frase che avrebbe voluto che dicesse.
―È quello che dice mio padre, signore. Quindi suppongo di sì―. L'uomo aveva fermato la mano, ora. Sorrideva anche lui e Katherine notò che il suo volto era del tutto pacato, per nulla sorpreso. Per nulla inacidito.
―Voi supponete troppo, proprio per questo vostro padre mi ha convocato, per far sì che le vostre supposizioni spariscano senza far ritorno. Sarà un'impresa ardua? Cominciate col dirmi i dieci comandamenti delle due religioni, orsù―. Non avrebbe permesso a quell'uomo di confonderla. La mora si alzò dalla poltrona, così da evitare che quelle parole si instaurassero nella sua mente.
Aveva deciso di continuare il gioco e non avrebbe avuto importanza se si fosse bruciata l'intera mano, braccia, busto: la sua agonia aveva sempre avuto uno sbocco illuminato.
―Ma signore, perché dovrei conoscere i dieci comandamenti? Ed ora... mi permettete? Comincio a sentir freddo, ed il camino è così allettante! Non negatemelo―. Senza aspettare risposta alcuna fece ciò che aveva detto e riprese a guardare l'inespressività dell'uomo.
Anche quest'ultimo si alzò dalla sua poltrona e con grande scetticismo da parte di Katherine, le si avvicinò. Fu in quel momento che la giovane notò il suo portamento. Zoppicava. I suoi occhi si fermarono sulla gamba difettata coperta dal pantalone in velluto: non scorse niente se non un grave imbarazzo.
―Sapete il significato della parola “anticonformismo”, signorina?― poco più di un sussurro, le gote di lei si tinsero di rosso e la sua mente iniziò ad elaborare male.
―Forse―. La voce le si strozzò in gola e il sospiro di alleggerimento da parte dell'uomo, le trasmise un moto di riluttanza ed erroneità, ―è il comportamento di un individuo che non è conforme alla massa, no?― Katherine aveva il viso basso, guardava il fuoco scoppiettante e captava i movimenti del professore con un orecchio. Non aveva idea di dove volesse arrivare ma aspettava comunque una risposta che la ferisse. Ed ella non tardò ad arrivare: ―Dunque, ditemi adesso, voi cosa credete di essere con un tale comportamento? Anticonformista o solamente una ragazzina viziata che non ha fatto ancora il suo debutto in società?― Alzò la testa e con uno scatto troppo veloce piantò i suoi stessi occhi celesti in quelli cristallini dell'uomo imperscrutabile.
Ciò che disse fu un chiaro segno di puntigliosità:
―Ottavo comandamento, signore. Non dite falsa testimonianza―.



C'era profumo di gelsomino nell'aria. Erano stati riportati una miriade di fiori colorati nei vasi del grande salotto. Seppur non fosse la stagione adatta, quell'aggiunta di primavera recava conforto all'animo degli abitanti di Winslow Hall.
Il gelo impenetrabile che caratterizzava l'aria di quel giorno sembrava essere solamente di passaggio, uno sbaglio di dicembre che presto si sarebbe volatizzato e avrebbe lasciato crescere l'erba verdeggiante e gli uccellini avrebbero continuato i loro canti estenuanti insieme ai bruchi divenuti appena farfalle. Tutto ciò però non c'era, e il giorno dopo sarebbe stato identico a quello che stavano vivendo; e la cosa sconfortava in modo inesorabile il giovane Daniel Shaw. Aveva le ossa delle mani completamente congelate, a malapena riusciva a muoverle e la matita che stringeva era priva di sentimenti, quegli stessi che cercava di concretizzarli sui grossi fogli che aveva davanti. La mente era un turbinio di pensieri dispotici, gli occhi fuggivano da una parte all'altra della stanza e un groppo in gola gli vietava molte mansioni.
Cercò di trovare la concentrazione adatta chiudendo le palpebre ed inspirando profondamente quell'odore di gelsomini fresco, la sua mente aveva formato dinanzi a sé un'immagine ben precisa: era rossa come il fuoco, pallida come la luna con una bocca che assomigliava così tanto ad una rosa appena sbocciata e due smeraldi brillanti pieni di quella vitalità la quale rappresentava il fulcro della sua ispirazione.
Boccheggiò senza accorgersi che qualcuno era entrato. Boccheggiò di nuovo aprendo nuovamente e con lentezza gli occhi e, stupefatto, rimase abbagliato dalla stessa immagine che lo aveva portato al culmine delle speranze.
Wendy Jenkins era lì, davanti a lui, in tutta la sua bellezza più innocente. I lunghi capelli rossi erano raccolti in alto e due riccioli le cadevano sul viso arrossato ed incerto. Daniel socchiuse la bocca ma non sapeva cosa dire; in verità non sapeva neanche se quella Wendy fosse ancora l'immagine nella sua mente o la vera ragazza.
―Vi ho disturbato, Mr Shaw?― aveva una voce melodiosa, gli angoli della sua bocca erano piegati verso l'alto e le mani, che Daniel non aveva mai visto, erano nascoste dietro la schiena. Quando la mattina era entrato nella sala da pranzo la contemplazione di quel corpo, di quello stesso viso, di quell'atteggiamento nascosto da un'aura infantile, era durata davvero poco.
―No, signorina― s'irrigidì. Abbassò lo sguardo dal suo viso e ritornò ai fogli. Qualcosa premeva contro la sua anima e gli impediva di sorridere, di interloquire amabilmente, qualcosa lo fermava, bloccava, stoppava. Ma questo Wendy sembrò non notarlo. Si avvicinò a Daniel con passo spedito e leggiadro, gli occhi sprizzavano luce, finché non si posarono sui fogli completamente vuoti.
―Oh, sì che vi ho disturbato. Forse eravate proprio sul punto di capire cosa scrivere o dipingere ed io... mi dispiace, Mr Shaw― la voce di Wendy era davvero sensuale e dolce, e carismatica, e sbadata. Daniel ingoiò saliva e scosse leggermente il capo: se solo avesse saputo che fino a quel momento era stata proprio lei la sua musa ispiratrice...
―No, no, signorina!― ribadì. Sembrava aver dimenticato le buone maniere, ―perché... perché non vi sedete? Faccio portare del tè prima del pranzo. Orsù... non abbiate paura di farmi compagnia―. Quelle parole gli costarono caro, si fermarono più volte in gola e Daniel compì un gesto immane pronunciandole.
Wendy prese posto in una poltrona vicino al caminetto della stanza, lui invece era seduto fianco al tavolino e non aveva ancora lasciato andare la matita; il suo pensiero più astratto riprendeva entrambi che parlavano ma allo stesso tempo scappavano. Quei fotogrammi che gli apparivano ogni tanto non erano mai stati dei presagi buoni, ma non ci fece caso, non in quel momento.
―Siete Katherine, voi?―
Wendy rise.
―No, signore. Io sono Wendy, la secondogenita della famiglia. Strano che non conosciate il mio nome. In fondo siamo lontani parenti―. Quella frase irritò Daniel. Possibile che tanta timidezza potesse racchiudere un carattere diretto ed acido? No. Wendy non era acida, però gli piaceva pensarlo, forse era uno dei suoi tanti metodi per dissuadere da quel fascino inaudito.
―Oh, Wendy...― ci rimuginò su e quando scorse il viso di lei, notò tracce di arrossimento. Vide le grosse labbra rosse venir morse e lo stomaco gli si strinse.
―Faccio portare il tè―. E così fece. Presto comparve Sheila con una teiera e dei biscotti, Wendy si avvicinò al tavolo versando nelle tazze un po' di quella bevanda fumante, una la porse a Daniel che però non la prese. Aspettò che la posasse sul davanzale e che la giovane si allontanasse da lui. Non voleva toccarla. Questa era la verità più assurda da quando quel giorno alla stazione l'aveva vista. L'aveva sin da subito desiderata, voleva possederla, fare l'amore con lei, voleva immergere le dita nei suoi capelli infuocati e trarne del calore. E questo continuava a non negarlo, era un impulso malsano, perverso, sbagliato, alla fin fine lui non la conosceva. Eppure era così; per di più si rifiutava di toccare la sua pelle diafana. Era come un incantesimo, aveva paura di spezzarlo, di sminuirlo, di essere lui stesso l'artefice che avrebbe interrotto quel flusso di erroneità.
―Scrivete poesie, Mr Shaw?― domandò Wendy mentre sorseggiava.
―Sì. Il mio obiettivo è quello di pubblicare un libro che le racchiuda, ma nell'ultimo periodo il fulcro di tanta volontà si sta spegnendo―. Rispose pacato.
―E come mai? Se posso chiederlo ovviamente―.
“Nulla, mia cara. Sono solo nelle mani degli usurai”.
―La città. Credo che il baccano e la cappa della città abbia bloccato il mio spirito; per questo... sono qui.― sorseggiò, ―questa contea è magnificente―. Ed anche lontana dagli strozzini.
Wendy sorrise ed abbassando il capo, disse: ―Ho sempre trovato affascinante i poeti che si rifugiavano qui, da queste parti. Sembrate una specie così rara―.
Daniel posò la tazza e girò il capo verso la finestra e verso quello che si vedeva oltre: un grande prato ghiacciato e smorto. Affascinante era una parola che aleggiava ancora nell'aria.
―È proprio così― sussurrò un attimo prima di lasciare la stanza.

*Mille violini suonati dal vento*: titolo estratto dalla canzone di Carmen Consoli "L'ultimo bacio".


Spazio scrittrice:
Non credete che abbia aggiornato prima del previsto? Su, su! Fatemi i complimenti! Ed ammettetelo: è stato un capitolo che non vi aspettavate e.e.
FINALMENTE! Iniziamo a capirci qualcosa. Ma giusto quel poco, eh AHHAHA. Non sono adorabili queste coppiette? No. Non lo sono. Consiglio: siate sempre oggettivi se non volete soffrire! :P
Non ho altro da dire, fatemi sapere cosa ne pensate.
Grazie per le recensioni che avete lasciato allo scorso capitolo e come ho scritto nel ps, appena posso ricontrollo tutto! >< Quindi perdonate le distrazioni.

Ps: correggo tutti gli errori appena ho tempo, promesso.



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