Serie TV > Once Upon a Time
Segui la storia  |       
Autore: martaparrilla    23/02/2014    6 recensioni
"Non voglio più che mi odi per quello che stai provando. Non voglio più che guardi i miei occhi senza sapere che mi sveglio presto solo per guardarti uscire di casa e prender il tuo cornetto al bar. Che mi piace l'odore dei tuoi capelli. Mi piace il calore della tua mano. E se devi impazzire, voglio che impazzisca con me, non per me".
Una Emma e Regina in una città senza nome, si scontrano come solo loro sanno fare. Ben presto capiscono che il loro odio cela qualcosa di più grande. Ma Regina questo già lo sapeva. Gli occhi di quella bionda erano terribilmente somiglianti a qualcuno che aveva perso e questo la incuriosiva. Emma dal canto suo non riusciva a spiegarsi i brividi che sentiva quando la vedeva.
Regina ed Emma racconteranno sensazioni e sentimenti in prima persona, alternandosi tra i vari capitoli. Non dubitate della mia sanità mentale quando leggerete le stesse frasi in capitoli diversi, il motivo è semplice: una volta sarà Emma a parlare (o ascoltare), una volta Regina.
Riusciranno insieme a superare i traumi passati?
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Un fastidioso formicolio al braccio mi fa aprire gli occhi. Bruciano da morire. Sposto piano il braccio da sotto il mio corpo, cercando di riattivare la circolazione e la sensibilità dopo che ci ho dormito sotto per qualche ora. Mi metto a sedere sul divano e...eccolo li.

La stretta allo stomaco e il peso sul petto. Non mi lasciano tregua da quando l'ho lasciata andare così, senza nemmeno spiegarle le mie paure, quello che mi blocca nonostante mi sia aperta con lei.

Tutti i giorni mi sono chiesta perché la sognassi, perché la volessi vedere, perché la volessi e basta, perché volessi accarezzarle la mano come quel giorno. E le risposte che mi davo non le capivo.

E tutti quei pensieri mi stavano letteralmente mangiando viva. Non riuscivo a mangiare o a dormire. Passavo le giornate al buio col mal di testa, nel divano o nel letto, senza alcun tipo di forza, fisica e mentale. Posizionavo la tazza che ha toccato e la palla con la neve sul tavolino di fronte al divano. Rimanevo ore intere a fissarle....fino a che sfinita dal pianto, non mi addormentavo.

Entravo in cucina solo per bere acqua, a volte per mangiare la sua marmellata. Non uscivo se non per necessità inderogabili. Per fare la doccia dovevo raccogliere tutte le mie forze.

Ma dopo due settimane in quello stato, ho i nervi a fior di pelle. Sono in piedi, con la tazza in mano. La fisso e la annuso, cercando il suo odore...difficile trovarlo in una tazza sporca di due settimane. La tristezza diventa rabbia, la mano mi trema mentre di nuovo, tutta la scena scorre di fronte ai miei occhi. Fino a che non lancio la tazza sul muro di fronte a me, sotto la finestra, mandandola in frantumi. Subito dopo, accompagnato da un urlo, la palla di neve fa la stessa fine.

Mi rendo conto solo in quel momento che ho mandato in frantumi l'unica cosa che mi tiene legata al suo ricordo.

Mi accascio accanto ai cocci e pezzi di vetro, mentre le lacrime tornano a bagnare i miei occhi. Ne prendo un pezzo in mano e lo stringo forte. In quel momento, mentre le prime gocce di sangue cadono sul pavimento, sento il campanello.

Una voce che mi chiama.

E' lei. Mi ha sentita.

Apro la mano facendo cadere il pezzo di ceramica. E inizio a camminare a passo svelto verso la porta, mentre lei minaccia di chiamare il portiere.

Spalanco la porta. Visibilmente spaventata, la fisso per qualche secondo.

«Sapevo che saresti venuta a salvarmi».

Da quel momento in poi è un continuo seguire i suoi movimenti e i suoi ordini. Mi prende con forza il braccio della mano che poco prima ho ferito. Il sangue mi cola sul braccio, sento qualcosa di bagnato.

E' li con me. Non riesco a crederci, non riesco a parlare.

Mi lascio tirare e pulire. Quando riesco a percepire qualche parola sposto la mano che ha infilato sotto l'acqua. Mi urla contro di non spostarla e io obbedisco.
Sento solo il cuore galoppare e la testa scoppiare. Sento il suo profumo aleggiare attorno a me. Ma non riesco a incrociare il suo sguardo. Sono troppo stanca.

Improvvisamente urla il mio nome e mi da uno schiaffo, facendomi sobbalzare. Di nuovo le lacrime. Rimango ferma nella mia posizione, sentendo per la prima volta la mano ferita pulsare e bruciare.
Mi avvolge tra le sue braccia e li ho sentito di potere crollare definitivamente.

Si sta prendendo cura di me. Mi consola, cerca di capire che cosa mi sia successo. Tremo per la paura, la stanchezza e il freddo. E lei l'ha capito. Cerca tra le mie cose un pantalone da farmi indossare.

Continua a chiedermi perché stia così e io sono totalmente priva di forze. Ce l'ho a fianco e non riesco nemmeno a toccarla senza sentirmi in colpa. Si è spostata per farmi una camomilla, o almeno questo mi sembra di aver capito. Le mie orecchie sono come fuori da quella stanza, sento tutto come ovattato, chiusa in una teca di cristallo, con il mio desiderio, irrealizzato, di sentire quello che succede fuori.

Le sue parole di consolazione, le sue braccia sulla mia schiena, la sua comprensione mi stanno però facendo impazzire, così, esplodo.

«Certo che importa. Tu...tu sei così...bella...e io non capisco cosa mi sta succedendo! So solo....so solo che mi sono lasciata andare e solo dopo ho elaborato che sei una donna! E a me non sono mai piaciute le donne! E questo mi confonde in modo assurdo!» Le ho accarezzato la guancia, per sentire sotto il mio palmo la sensazione della sua pelle liscia, perfetta.

«E sento il cuore scoppiare ora che ci sei. Ma stava scoppiando anche quando mi hai dato di nuovo del lei! E avevi maledettamente ragione. E che io...non lo so come è potuto accadere, ma sono due settimane che non riesco a mangiare, a dormire! Che mi fa male il petto, lo stomaco. Perché volevo tornare indietro ma tu non ci saresti stata, non mi avresti ascoltata. E ho passato le giornate dal letto al divano, dal divano al letto. E quando riuscivo a dormire, allora mi ricordavo quello che avevo detto e piangevo...e piangevo...e piangevo e...E li vedi questi cocci? C'è la tazza dove hai bevuto il tè, e la palla che hai toccato! Li mettevo sul tavolino e li fissavo. Pensando a quanto fossi stata cogliona a non ascoltare quello che provavo. E a farmi condizionare dal fatto che siamo due donne» mi alzodi scatto per andare a fargli vedere il motivo della mia ferita sulla mano.

«E ora io non so cosa fare. Tu sei qui e mi hai aiutato e io riesco solo a piangere e non riesco nemmeno a guardarti negli occhi perché mi vergogno! E perché non ha senso che tu sia qui dopo quello che ti ho fatto! Ti ho praticamente presa in giro e tu sei ancora qui». Prova ad avvicinarsi a me ma io la respingo, col senso di colpa che mi schiaccia.

«Non ci credo che non te ne sia ancora andata! Non ci credo che dopo le mie parole, dopo essermi confessata e poi rimangiata tutto tu sia ancora qui! Cosa c'è sotto? Sei una strega che vuole farmi qualche incantesimo? Sei una ladra? Che cosa sei tu!».

Nei suoi occhi compare una rabbia incontrollabile. Infuriata, so che nessun mio tentativo avrebbe potuto placarla. Ma quello che sento poco dopo non è ciò che pensavo vi avrebbe detto. E' lontana dalla mia più fervida immaginazione.

«Tu mi hai portato a stare qui! Tu mi costringi a stare qui! I tuoi maledetti occhi verdi! La tua bocca, le tue gambe e la tua voce! Il tuo aver bisogno di protezione! E mi dispiace tantissimo se nessuno ha mai fatto niente per dimostrarti qualcosa, sai, nemmeno con me è successo! Ma io rimarrò qui seduta su questo divano fino a che tu non capirai che non ho intenzione di lasciarti in mezzo alle tue paranoie. Io mi siedo qui e tu sarai costretta a guardarmi come SCELGO TE nonostante i pianti, i ripensamenti e tutto il resto, sono stata chiara? IO. SCELGO. TE.

La notte mi sono ritrovata a scrivere per te. Non potendoti parlare, avevo bisogno di comunicare con te in un altro modo. E poi forse un giorno te le avrei fatte leggere, per vederti sorridere della mia pazzia. Ecco, credevo che tu avessi bisogno di qualcuno che ti scrivesse un sacco di stronzate alle cinque del mattino. Credevo di poterti offrire un mondo popolato da persone divertenti. E un altro, più piccolo ma più grande, abitato solo da noi due. Per potere avere un po' di felicità. Felicità, Emma. La felicità è fare l’amore a ore strane oppure normali, purché con te. La felicità è crescere insieme, litigare a chi ha la testa più dura e poi, piene di bernoccoli, salire un altro gradino del nostro percorso. La felicità è un appuntamento nel tuo posto magico dove io credo di essermi vestita in modo inadeguato. Se hai un problema che ti assilla, lo risolviamo insieme. Ti volevo soltanto dire che non mi manca una donna. Mi manchi tu. Che sei anche una donna, e che donna. Ma sei qualcosa di più: sei quella che mi toglie il fiato solo perchè piange per le parole che le dico».

La guardo stringersi le braccia al petto, bellissima. Lei ha preso i cocci in cui ho ridotto il mio cuore e li ha rimessi insieme con le sue parole. Con la forza della sua sicurezza, con la decisione della sua rabbia. Non serve avere dubbi con lei. Lei è decisa. Al contrario di me. E mi sta dicendo che non sarebbe servito a niente disperarmi perché devo affrontare la situazione, le paure, i nostri baci, la mia attrazione verso di lei. Il mio desiderio di starle accanto, sempre.

Ho bisogno di qualche minuto per piangere senza averla accanto. Dieci minuti per capire tutto quello che ha appena detto, per ragionare sul fatto che anche lei ha passato notti in bianco a pensarmi, nonostante l'abbia ferita. Ha speso tempo per me.

Poi il desiderio di toccarla diventa doloroso. Così, passando dietro al divano, la raggiungo. Mi siedo e le prendo il mento con la mano, come ho fatto la prima volta. Nei suoi occhi forse posso trovare le risposte ai miei perché, ma in quel momento, cullata dal suo tentativo di farmi smettere di piangere, ho solo voglia di sancire quel momento con un bacio, diverso dal primo che le ho dato. Quello è stato un momento di impulsività, non volevo che andasse via ed era l'unico modo per farlo. Qui lei è rimasta a prescindere e io mi rivolgo a lei per la sicurezza delle sue parole. Voglio qualcos'altro. Il mio corpo desidera i suoi baci ma anche lei. Tutta.

La spingo sul divano spostando la mia bocca dalla sua all'incavo del mio corpo. Le sue mani sotto la mia maglia sono un tormento. Ma in qualche modo riesco a staccarmi dalla sua bocca per affondare il mio viso nella sua spalla e inebriarmi di lei. Forse non è il momento di andare oltre. Riprendo fiato e poggio il mio viso sulla sua spalla, senza forze. Mi arrendo.

Mentre le lacrime tornano a segnare il mio viso e le sue meravigliose labbra baciano la mia testa, tenta di staccarmi da lei. Guaisco come un cucciolo di cane e per una sua battuta mi scappa un sorriso. Scivolo così sul suo lato destro, per evitare di schiacciarla. Ha il viso rosso, i capelli non sono perfettamente in ordine e gli occhi..quelli brillano, come sempre. Caldi, scuri.

Rimaniamo così per un tempo indefinito. E non mi interessa se la posizione è scomoda, se ho gli occhi rossi e se sembro una zingara. I suoi occhi mi fanno capire che sono perfetta così. Mi sento perfetta, mi trasmette questo.

Alla fine ci alziamo e dopo essermi fatta promettere che sarebbe tornata da me di li a poco, inizio a sistemare l'enorme caos che in quelle settimane ho accumulato in casa. Riempio due enormi bustoni neri di spazzatura. Con la mano sana trascino la busta passando per salotto, bagno, cucina, e camera da letto. Non ho dato peso a nulla in quei giorni.

Raccolgo anche i cocci dal pavimento e passo veloce l'aspirapolvere. Non ho forze, sono stanca, ma sapere di rivederla mi ha fatto muovere velocissima: in mezz'ora ho per lo meno riordinato. Le stoviglie sporche sono finite nella lavastoviglie e ho preso tutta la biancheria sporca per accumularla nell'apposito cesto. E la lavatrice ha iniziato a girare. Mi sento rinata.

L'unica cosa che rimane da fare è togliere il sangue all'ingresso di casa! Bel dilemma. Mi devo trasformare in cenerentola. Secchio, acqua e detersivo, straccio. Pian piano tolgo tutte le gocce quasi incrostate. Ma non ho tempo di lavare i pavimenti. Per cui mi infilo una busta nella mano fasciata e tento di sigillarla con un elastico. Non voglioo bagnarla e sporcare tutto di sangue.

Lavarsi i capelli con una mano sola: cose da non rifare.

E' una cosa assolutamente impossibile. Strofino la spugna sul corpo tentando di non mettere sotto l'acqua la mano ferita. Avvolgo i capelli nell'asciugamano e mi infilo l'accappatoio. Senza la cinta. Quella è sulla mia mano.

Mi specchio. Ok, non ho il viso più riposato del mondo, ma non ho più quel triste colore grigio. Sono di nuovo bianca. Ce la potevo fare. Lei sarebbe tornata e sarebbe andato tutto bene.

Guardo l'orologio e mi accorgo di essere in tremendo ritardo così decido di avvisarla per telefono. Inutili i miei tentativi di rimandare di dieci minuti, mi liquida in tre secondi e un minuto dopo sento il campanello.

«Oddio» non può essere lei, devo ancora vestirmi! Tolgo la busta di plastica che mi sta stringendo troppo sulla mano, cerco di tenere chiuso l'accappatoio e mi avvio alla porta, scalza. Guardo dallo spioncino, è lei. Non posso farla aspettare o aprire la porta e richiuderla come ho già fatto. Per cui prendo coraggio e la apro.

«Ciao» di fronte alla perfezione che ho di fronte ai miei occhi quella è l'unica parola che riesco a pronunciare.

«Io...non ho fatto in tempo a cambiarmi, mi spiace, ma entra, mi vesto subito» mi guarda sorridente e stupita, mostrandomi le buste che ha in mano.

«Le poggio qui?» mi chiede sistemandole accanto al divano.

«No vieni, portale in cucina» mi dirigo nella cucina, con lei al mio seguito.

Sempre tenendo ben chiuso l'accappatoio mi siedo, mentre la guardo poggiare le buste sul tavolo.

«Non ho fatto in tempo a cambiarmi» dico imbarazzata, di nuovo.

La stanza ha preso un buon profumo. Lei ha un profumo buonissimo e mi arriva schiaffeggiante a ogni suo movimento. Sfila le varie bottiglie dalla busta, che piano, posa sulla cucina.

«Hai fatto una magia in questa casa in un'ora sola, come hai fatto?» la sua voce. Dio mio.

«Oh, nella magia non sono riuscita a infilarci qualcosa da mettermi addosso» faccio spallucce sorridendo.

Abbasso lo sguardo quando lei mi fissa. Mi fissa di nuovo nel suo modo, non può guardarmi di nuovo così. Inizio a sentire caldo.

La vedo avvicinarsi a me con una valigetta in mano e una croce rossa sopra. Si siede in una sedia accanto alla mia e mi tende la mano.

«Mi concede la sua mano?» alza le sopracciglia, divertita. «Quella ferita, please». Per un attimo penso di porgerle l'altra.

«Be,iniziamo» osservo mentre apre la cassettina bianca. Le sue mani, perfette, fanno scattare la chiusura. Delicatamente la apre e si infila dei guanti in lattice che stanno sopra tutto il resto.

«Tu dirai, che senso ha mettersi i guanti in lattice quando prima hai toccato direttamente il mio sangue?» la sua espressione mi dica che vuole una risposta affermativa.

«In effetti» dico io divertita.

«Al corso di pronto soccorso che ho fatto, la prima cosa che ci hanno insegnato era proteggere noi e l'assistito. Le mie mani sono pulite ma è pur sempre una ferita e non si sa mai» stende un telino bianco e inizia a togliere quello che fascia la mia mano. Busta, cinta dell'accappatoio, cotone.

«Ahi» ritraggo la mano ma lei mi stringe il polso.

«Occhi verdi, non fare la bambina, devo disinfettare» il suo sguardo mi trasmette sicurezza e rilasso il braccio.

«Che disastro ti sei fatta» la ferita è sporca di pelucchi di cotone, ma almeno h smesso di sanguinare. Con una garza pulita su cui aveva versa acqua ossigenata inizia a togliere sangue incrostato e residui di cotone.

«Brucia?».

«Un po'» in realtà non la guardo. Mi bruciano le guance a vederla così concentrata a prendersi cura della mia mano. E' così delicata, le sue mani sono leggere, forti allo stesso tempo. Nessuna esitazione. Traffica con dei cerottini che attacca sulla ferita, come per volere avvicinare i lembi. Infine, un'altra garza e il cerotto. Seguo i suoi gesti distratta dal movimento delle sue labbra. Ogni volta che finisce di fare qualcosa le schiude leggermente, come per prendere aria, per poi serrarle di nuovo.

«Ecco qui» dice togliendosi i guanti. Muovo le dita, finalmente libere mentre lei richiude il telino e lo butta nel cestino della spazzatura.

Mi alzo dalla sedia e le vado incontro. Quando si rialza me la ritrovo a due centimetri dal mio naso. Sorrido e rimango intrappolata di nuovo nei suoi occhi scuri. Prendo la sua mano, intrecciando le mie dita sulle sue. Con l'altra tengo chiuso l'accappatoio.

«Grazie» una parola sola. Non c'è altro da dire. Lei è li con me, bella come il sole. Fa un passo indietro.

«Io ti devo gentilmente chiedere di vestirti» deglutisce rumorosamente.

«Tu....ti prego vestiti» la guardo stupita. Non capisco il motivo della sua richiesta, sono vestita, cioè io non sono....oh. Sono nuda. Ho solo l'accappatoio addosso. Accorcio le distanze recuperando il passo che lei ha fatto. Non ha più spazio. E' spalle al muro.

«Vorrei fare l'amore con te in un modo che nemmeno immagini..ma io ti prego di allontanarti da me» dice seria.

Vuole.

Fare.

L'amore.

Con me.

«Non mi voglio vestire» dico quasi in un sussurro.

La sua mano mi cinge forte il fianco, facendo aderire il suo corpo al mio. Non ho più l'accappatoio a nascondermi, a coprirmi. Affonda le sue labbra sulle mie, quanto le desidero. Le sue labbra sono indescrivibili. Si sono spostate sul mio collo, facendo scivolare piano l'accappatoio e scoprendo una spalla.

Il campanello.

«La pizza» dice lei tornando sulla mia bocca.

«Dovresti andare tu, io sono ...nuda» dico mentre le mie mani scivolava sui suoi fianchi e il suo perfetto fondo schiena.

«Come pensi possa riuscirci se mi tocchi in questo modo?».

«In realtà non voglio che ti sposti da qui, ma credo che continuerà a suonare fino a che non apriamo» prima di spostarmi da lei, ha cura di chiudere l'accappatoio, per poi fuggire ad aprire la porta.

E' assolutamente irresistibile. La voglio tutta e la voglio subito. Sono in preda a un'eccitazione mai provata. E non ho nemmeno pensato a come potesse essere...fare l'amore con una donna. Io non ci ho pensato ma non mi importa in quel momento. La mancanza delle sue labbra sulle mie mi fa fisicamente male.

La raggiungo mentre chiude la porta e saluta il fattorino.

Mi siedo sul divano. L'odore della pizza si diffondeva nell'aria.

«Hai fame?» dico mentre si siede accanto a me.

«Meglio se non ti dico di cosa ho fame» mi accarezza il ginocchio scoperto. Faccio per avvicinarmi per baciarla e lei mi blocca il viso tra le sue mani.

«Ok ok, aspetta». Non vuole più? Non le piaccio, ecco.

«Tu sei....insomma guardati. Sei bellissima e io...» prende la mia mano e la poggia sul suo petto. Il suo cuore batte all'impazzata.

«Senti?».

«Si, lo sento» la imito e poggio la sua mano all'altezza del mio cuore, sulla pelle nuda.

«Tu lo senti?» batte tanto da farmi male il petto.

«Perché no se il cuore ci dice il contrario?» dico senza troppi giri di parole.

«Perché l'ultima volta che hai dato retta al cuore...o agli ormoni, sei...impazzita. E non voglio ok? Facciamo un passo alla volta?» la guardo un po' confusa ma in fondo ha ragione. Ora sono presa da lei e dalla situazione, non mi sarei fermata, ma dopo? Chi mi dice che dopo non sarei stata di nuovo male?

«Forse hai ragione...» ammetterlo non è facile.

«Mi vado a vestire e mangiamo?» tento di sorridere ma in un certo senso mi sento una sciocca, una ragazzina adolescente che viene messa in riga dal "grande" perché non sa controllarsi. Le lascio un lieve bacio sulle labbra prima di andare in camera. Come al solito lei è perfetta e io mi sarei messa una tuta da ginnastica. Mi odio profondamente per questo.
Prendo un jeans e una maglia pulita. Infilo un paio di ballerine e torno da lei, in salotto. Ha poggiato le pizze sul tavolo, aperto i cartoni e sistemati uno accanto all'altro.

«Vado a prendere dei fazzoletti e il vino».

«Ok» si volta di scatto facendo spostare i capelli davanti ai suoi occhi, che lei subito sistema dietro le orecchie. Prendo la bottiglia che ha portato, i fazzoletti e due bicchieri. Torno in salotto e poggio il tutto sul tavolo.

«Le avevo fatte tagliare a spicchi, ho pensato che preferissi mangiarla con le mani» dice lei sfiorandomi il braccio.

«Ma a te immagino piacciano metodi più, come dire...umani, sai, forchetta e coltello» scivolo sulla sedia arricciando il naso e poggiando la mia mano sul suo ginocchio.

«Oh, so mangiare anche con le mani sai? può essere divertente» prende uno spicchio di pizza e, inclinando la testa all'indietro, ne da' un piccolo morso, facendo attenzione a non sporcarsi col sugo. Mi sfugge una risatina. Nel suo tentativo di non sporcarsi, un po' di sugo è finito sul mento, e lei non se n'è nemmeno accorta.

«Abbiamo qualcosa in comune» prendo un fazzoletto e le pulisco il mento «Ci sporchiamo senza accorgercene». Le sfioro il naso e poi prendo anche io un trancio di pizza. E' buona. Ma non ho tanta fame per cui dopo due spicchi apro la bottiglia di vino, riempio i bicchieri e ne porgo uno a Regina. Lei sembra abbia fame invece.

«A cosa brindiamo?» mi dice, sorridendo.

«A te....che mi hai salvata>> d'un tratto sono diventata seria.

Con l'indice della mano sinistra fa cenno di avvicinarsi a lei. Incantata, seguo la sua mano, con cui afferra il mio mento per poi poggiare delicatamente le sue labbra sulle mie. E' il suo modo per rassicurarmi, in un certo senso l'ho capito.

«Sei la prima persona per cui sia valsa la pena rischiare» si raddrizza sulla sedia. Fa tintinnare il suo bicchiere sul mio e lo avvicina alle labbra, assaggiandone un sorso. La imito, cercando di non sembrare una goffa ragazzina anche bevendo un bicchiere di vino.

E' una serata piacevole. Diversa da tutte le altre. Lei è perfetta e h per me sempre un'attenzione particolare. Mi accarezza il viso, mi stringe la mano (quella sana), mi sorride. E' come stare su un letto pieno di cuscini: da qualunque parte mi volti, sbatto dolcemente su di lei.

Bevuto l'ultimo sorso di vino, la invito sul divano. Ci alziamo contemporaneamente e, ancora un po' impacciate, ci sediamo. siamo rigide. Spalla contro spalla.

«Posso abbracciarti?» chiedo senza esitazioni. Non voglio interrompere il contatto con lei solo per timidezza. Ma mi è venuta un'idea migliore.

«Anzi, vieni con me» mi alzo di nuovo e le prendo la mano. Con passo sicuro mi dirigo verso la mia camera da letto.

«Possiamo stare sotto una coperta a guardare la tv, che dici? Siamo vestite, faremo le brave...ok?» parlando mi avvicino al suo viso tanto da sfiorare i nostri nasi. Prende un respiro profondo e dopo aver chiuso gli occhi dice: «Ok, incantatrice di donne».

La tiro per un braccio. Sistemo i cuscini sulla spalliera del letto, aggiungendo anche quello prima adagiato sulla poltrona. Dall'armadio prendo il mio plaid rosso. Bellissimo. Mi sfilo le scarpe e mi infilo sotto la coperta, come una bambina pronta a giocare. Lei mi guarda e dopo essersi tolta le scarpe mi imita e si sdraia accanto a me. Una volta accomodata, la copro per bene e, infilando un braccio dietro al sua schiena, la stringo forte a me. La mia testa sul suo seno, sento il suo cuore palpitare. Non riesco a staccarmi da lei e mi chiedo come avrei fatto quando sarebbe rientrata a casa. Le sue braccia massaggiano dolcemente la mia schiena...la televisione è rimasta spenta ma non mi importa. Io e lei, li, sul letto, sono tranquilla e felice. La sento muoversi sul letto.

«Sei scomoda?» chiedo subito spostandomi per paura di infastidirla.

«No tranquilla, solo che...» scivola col corpo alla mia altezza, trovandoci finalmente occhi contro occhi.

«Volevo guardarti meglio....non posso perdermi i tuoi occhi» dice a voce bassa.

Mi avvicino a lei sorridendo. Mi perdo in tutto quello che mi sta dando solo stando sul letto con me. La mia mano sfiora il suo braccio, per poi scendere sui fianchi e sulla gamba. Lei mi accarezza il viso dandomi ogni tanto dei piccoli baci sul naso.

«Mi dispiace per prima. Mi dispiace per tutto» rotea gli occhi infastidita.

«Cosa devo fare per farti smettere di dire che ti dispiace? Cosa?».

«Una cosa in effetti potresti farla» le mie parole lasciano poche interpretazioni.

«Avevamo detto che era meglio...» la zittisco con un bacio. La stringo a me mentre lei intreccia le sue gambe con le mie. Con la lingua, percorro il contorno delle sue labbra tenendola lontana dal mio viso.

«Sei perfida lo sai?» mi dice sorridendo e tentando di raggiungere le mie labbra.

«A volte si» la lascio vincere. Le lingue si cercano, le mani non vogliono fermarsi, ma devono. La stringo in un abbraccio.

«Sto bene con te».

«Lo so, anche io». Poggia la testa sul mio petto. Le sfioro i capelli con le labbra. E chiudo gli occhi. I nostri respiri si fanno leggeri.

La stanchezza arriva. Troppe cose in un solo giorno...e così, esausta, mi addormento.

  
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: martaparrilla