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Autore: TuttaColpaDelCielo    23/02/2014    3 recensioni
«Ho sbagliato qualcosa?» chiedesti, tremando nel fuoco.
«No. Non hai sbagliato nulla.» ti risposero «Non è colpa tua.»
Ti condannarono ugualmente.

Nata dalle proprie ceneri come l'araba fenice, si chiede Chi sono? e impazzisce lentamente, senza memoria di ciò che fu prima.
Senza passato non c'è futuro; se non eri, non sarai. Allora che senso ha essere?
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 32 – Aenor





Il Paradiso gridò.
Gridò nelle loro menti, nei loro corpi – uno stridio che si levava dalla terra stessa, dall’aria attorno a loro. Qualcuno cadde in ginocchio, altri si aggrapparono ai compagni per darsi forza. E ancora si udì l’orrore, lo strazio di un’altra ferita; l’essenza del Paradiso si squarciò attorno allo Specchio, lontano, e si ritrasse come corrosa.
Allo Specchio.
Allo Specchio.
«Sachiel.» mormorò Amitiel. Scorse nubi nere e dense, lì dove l’altopiano si volgeva alla pianura e brillava il nastro candido di un fiume. Lì dove i Cherubini divenivano adulti, o perivano consumati dalla loro stessa essenza, o...
Anane se n’era andata così, tra urla e terrore e i fremiti di una sacralità violata, mentre essenza nera come pece le si addensava attorno e lacerava il Paradiso per esiliarla, per strapparla a quel luogo e farla cadere giù, giù, giù verso l’orrore degli Sconsacrati.
«Sachiel.» mormorò ancora. Anane se n’era andata così, ma Sachiel... Sachiel... forse era solo un errore della sua mente, una delle troppe visioni che la assalivano nel sonno.
C’era un peso contro le sue gambe – Ramiel accasciata a terra, tremante. Il grido ancora la assordava, riecheggiava nella sua testa sempre più acuto. Faceva male. Faceva paura.
Oh, Sachiel, Sachiel, Sachiel...
Il peso contro le gambe si spostò. Qualcuno aveva sollevato Ramiel e la stava abbracciando. Raphael? Sì, Raphael, riconobbe al margine del campo visivo. Le sarebbe piaciuto che qualcuno abbracciasse anche lei. Magari Sachiel, che era sempre così tiepida e morbida e sapeva tenerla lontana dai deliri.
Ma Sachiel era al Confine, dove l’aria era oscura e densa. Nessuno tornava più per un abbraccio, dopo essere stato inghiottito dalla pece.
«Sachiel.»
Nessuno tornava più per sorridere e chiedere resta qui e pettinarle i capelli, e neanche per singhiozzare e sibilare commenti feroci e parlarle di cose incredibili, e neanche per farsi sfiorare le labbra in un bacio sbagliato. Nessuno tornava più per niente, mai, neppure in un milione di cicli, neppure dopo un miliardo di Fuochi. Non c’era ammenda per l’esilio.
«Sachiel.»
E Sachiel se n’era andata, andata, perché? Non aveva senso, non poteva essere, Sachiel era sempre stata pura, mai corrotta da pensieri immondi, mai sfiorata dalla minaccia della Caduta, mai sfregiata dall’orrore...
Mai?
Ricordi le oscuravano la vista e le opprimevano la mente, voci già udite nel sonno, sprazzi di colore, il cielo, tramonto, il vento sulla pelle, occhi, occhi azzurri occhi grigi occhi che la facevano tremare. Ishild, Ishild ripeteva qualcosa, ed era un sussurro familiare, era il richiamo di un corpo proibito. Ishild, Aenor, nomi che si intrecciavano in urla confuse, fuoco e litanie e dolore, dolore dentro, dolore dolore dolore, l’assenza che si spalancava dentro come fauci di mostro pronte a inghiottirla, no, non di nuovo, per favore non di nuovo, gelo dolore solitudine, Ishild, Ishild...
Si fece strada tra la folla, annaspando, singhiozzando, stordita dalle urla e dalle essenze impazzite, con un unico obiettivo in mente. Via. Via da qui.
Le ali dolevano per gli urti, ripiegate troppo contro la schiena, ma lei continuò a scansare e spingere e arrancare fino a giungere al limite del piazzale.
«Amitiel?»
Ridwan la chiamò, la trattenne per un braccio. Si aggrappò a lui, esausta, mentre il pianto le squassava il petto e l’angelo le cingeva la vita per sorreggerla.
«Voglio andare via.» singhiozzò «Ti prego.»
«Stai... stai tranquilla. Ti porto a riposare.»
Il cherubino sollevò lo sguardo implorante. Le dita si strinsero ancora contro la sua maglia.
«No. No, no, io... voglio andare via. Via di qui.»
Ridwan ricambiò lo sguardo, turbato.
«Non... Amitiel...»
«Ti prego

* * *

Faceva male.
Faceva freddo.
Affondò le unghie nel terreno, costringendo le braccia a sostenerla per inginocchiarsi, e scoprì che anche quel semplice gesto era dolore. Distese le ali e scoprì l’agonia. Nell’urlare scoprì l’orrore di una voce raschiante, uno sfregio all’udito; nell’aprire gli occhi, l’ustione di un pianto gelido. Scoprì le ombre e il freddo, il tocco della pioggia, la furia del tuoni. Il cielo piangeva e lei lo accompagnava. Assaporò i ricordi uno ad uno, carezze e tramonti e parole, assaporò un dolore incredulo e ingiusto, mentre il temporale si quietava e si affacciava il crepuscolo.
Cos’altro le avevano nascosto?
Volle quasi zittire quella domanda, perché non era lecita; ma poi ricordò di non avere più divieti e si cullò nei dubbi. Ormai era marcia, in fondo, e nessuno avrebbe potuto punirla per questo – era già successo. Era già caduta. Non c’era più niente che potessero fare.
Sorrise, sofferente e feroce; ma poi ripensò al Censore che le sussurrava cose incredibili, un passato che non ricordava, le labbra di Amitiel sulle sue e lo sguardo gelido di Leliel e non sorrise più. Ora ricordava, e ricordare faceva solo più male.
Forse, si disse, un Guardiano avrebbe avvertito la sua presenza corrotta e lei sarebbe morta, sfuggita a millenni di tenebra. Millenni – una parola strana, che non avrebbe mai dovuto riguardarla, ma vi scoprì un senso tutto nuovo.
Il tempo esisteva. Il tempo importava.
Il suo sarebbe finito presto.
Le dispiaceva solo di doversene andare da corrotta – no, non era vero. Le dispiaceva per Amitiel. Per sé stessa. Per Aenor e Ishild e tutto il dolore che l’aveva investita con ricordi confusi, il futuro che non c’era stato, i suoi rimpianti – aveva un sacco di rimpianti, lei. Una fascia viola attorno ai fianchi e un gruppo di Cherubini da guidare e Amitiel accanto, forse, Amitiel presente e viva senza più ombre incomprensibili. Quelle ombre ora avevano forma e nome, ma ormai era inutile saperlo, perché le cose incredibili sussurrate dal Censore si erano rivelate vere e l’avevano trascinata giù.
Giunse la notte, e con essa altra pioggia, e con essa altri rimpianti.
Sperò che quel Guardiano giungesse presto a porre fine all’agonia.
Ma giunsero ali nere, occhi grigi a fissarla dall’alto.
Scoprì il terrore.

* * *

Il bosco grondava ombre e pioggia sotto il cielo scuro di nubi, e il portale sembrava volerla richiamare in Paradiso con la sua luce tiepida; ma mentre le ultime fiamme si estinguevano, chiudendo il passaggio, lei già estendeva le Percezioni in una ricerca febbrile. Ignorò lo stridio dell’essenza di Ridwan e le flebili vite tra gli alberi e sospiri lontani di anime, perché lei voleva altro, lei voleva Sachiel. Sachiel, oh, Sachiel...
Ora che aveva compreso, che finalmente quelle voci nel sonno assumevano un senso. Ora che avrebbe potuto spiegarle. Ora Sachiel cadeva, senza preavviso, senza motivo. E se non fosse più riuscita a riconoscerla? Non sapeva neppure cosa cercare, perché la Caduta forse aveva mutato l’essenza di Sachiel, l’aveva corrotta sino a renderla irriconoscibile. Ma doveva trovarla, non importavano la Caduta e Ridwan che le urgeva di raggiungere i Guardiani e le ombre spaventose del Mediano, non importava nemmeno che tornata in Paradiso sarebbe stata punita, perché senza Sachiel non sarebbe importato più niente. Non lo poteva immaginare, un mondo senza Sachiel.
«Perché piangi, bambina?»
Sussultò per la voce improvvisa. Ridwan la spinse dietro di lui, protettivo, ma nessuno si mostrò davanti a loro. Le Percezioni non avvertivano nulla; lo sguardo si volse tutt’attorno per incontrare solo alberi e ombre.
Ma lei già sapeva, già immaginava i sussurri crudeli di quella voce conosciuta, il ghigno dolcissimo teso su zanne di mostro.
«Mostrati.» ordinò Ridwan, con voce tremante.
Quanto tempo sarebbe servito all’angelo per riaprire il passaggio verso il Paradiso? Troppo, si rese conto Amitiel, troppo per la rapidità con cui tutt’attorno si delineava una nuova presenza acida e dita immateriali si allungavano a sfiorarle l’essenza – ogni carezza una stilettata bruciante. Troppo per la minaccia che si faceva sempre più incombente. Eisheth era lì, la stava toccando, ma non riusciva a trovarla.
E all’improvviso urlò, mentre le sue ali premevano contro un petto bollente e braccia crudeli le cingevano i fianchi. Chiuse gli occhi e urlò e urlò e urlò mentre la sua schiena-no, il suo intero corpo ardeva, la sua intera essenza si dibatteva nel fuoco, la voce di Ridwan si unì alla sua e poi si zittì e allora lei urlò ancora, divincolandosi per sfuggire a quell’agonia, singhiozzando, implorando. Crollò a terra, ma il fuoco che la divorava non si spense e lei si accasciò, tremando, mordendosi le braccia per non urlare ancora. Neppure il tocco feroce di Michael era stato tanto intollerabile, neppure l’Espiazione.
La pioggia scivolava sul suo corpo, sciacquando il dolore con carezze fresche. Respiro dopo respiro, lentamente, l’agonia si acquietò fino a spegnersi. Lei strinse le ginocchia al petto e vi nasconde il viso per zittire i singhiozzi.
«Su, su, bambina. Va tutto bene.»
Dita bollenti le accarezzarono il capo, quasi materne. Un calore sopportabile, non un’agonia com’era stato quell’abbraccio – il demone stava contenendo il proprio potere. Non riuscì a sentirsene rassicurata.
«Sssh.» ripeté quella voce dolce «È passato.»
«Perché?» singhiozzò, ritraendosi. Eisheth le strinse i capelli e la forzò ad alzare il viso. Lei non aprì gli occhi, come in un’ultima flebile protesta, prima che il terrore ruggisse ancora per le labbra del demone accostate al suo orecchio.
«Perché sono molto scontenta, Aenor

* * *

«Sei tornata.»
La voce del caduto vibrava di gioia folle. Lei tentò di ritrarsi, ma si trovò bloccata sotto quello sguardo vittorioso, stretta da mani estranee. Agghiacciata dal terrore, non ebbe neppure la forza di implorare lasciami. Forse era per quello che sentiva così freddo, o forse per i Caduti tutt’attorno, per l’uomo chino su di lei.
«Sei tornata.»
Dita gelide salirono dalle spalle ad accarezzarle il volto, scostandole dalle guance ciocche bagnate e sporche di fango. La assalì il bisogno di piangere, perché quelle carezze la disgustavano, ma ricordava che invece in un altro tempo le aveva cercate come il sole. Quanto marcia doveva essere stata, per agognare una corruzione simile?
«Tranquilla.» le sussurrò. Aveva un tono così dolce da essere ridicolo, e allora lei rise appena, debolmente. Il caduto sembrò ignorarla. «Non temere. Andrà tutto bene, ora.»
Rise ancora – quasi un singhiozzo. Nel prima era andato tutto bene. Desiderò non aver mai udito le parole del Censore, non essersi mai interrogata su quelle cose incredibili, aver confessato tutto a Leliel quando ancora poteva. Ora sarebbe andato tutto male – era già andato tutto male.
Si lasciò scivolare di nuovo nel fango, con le ali premute sotto di sé e le palpebre serrate per non vedere.
Come sempre, aveva sbagliato tutto.
«Ti ricordi di me, Ishild?» bisbigliò Michael, senza smettere di accarezzarle il viso.
Lei pianse.

* * *

Spalancò le palpebre.
«Non...» gorgogliò a fatica. Ingoiò il sangue che le sporcava la bocca – si era morsa le braccia troppo a fondo. La pioggia le pulì le labbra. «Io non sono Aenor.»
«Lo sei stata.»
«So-» un singhiozzo le incrinò la voce «sono Ishild.»
«Sei stata anche lei.»
Eisheth rise e si inginocchiò accanto a lei. La morsa tra i suoi capelli si allentò in una carezza.
«Sempre così ingenua, bambina.»
Non capiva, non combaciava con i suoi ricordi, le stringeva il ventre in una morsa di dubbi e incertezze. Avrebbe voluto urlare. Domandare. Preoccuparsi di Ridwan.
Avrebbe voluto, davvero; ma Sachiel, ricordò, era più importante.
«Devo... devo trovare...»
«Più tardi, sì? Resta a farmi compagnia, bambina. Ho tanto da raccontarti.»
«Ma io devo...»
«Ho detto» il demone le strattonò i capelli per farla avvicinare, sino a posarle ancora le labbra all’orecchio «di restare. La tua puttana è caduta ad un soffio dai Guardiani e non è il luogo, ti assicuro, per riunioni familiari. Quando si sarà spostata, sarò più che felice di assistere al vostro lacrimevole incontro e alla reazione folle di mio figlio. Non ora.»
Michael era con Sachiel?
L’angoscia le strinse lo stomaco.
«Ti prego, io...»
«Oh, cara, cara Aenor. Sei adorabile quando supplichi.»
Si morse le labbra e ingoiò le lacrime. Non poteva sfuggire al demone, a quel potere bruciante che l’aveva fatta urlare e piangere – non osava sfuggire al demone. Si odiò per quella debolezza patetica.
«Non sono Aenor.» ripeté in un sussurro. Eisheth le sorrise, qualsiasi traccia d’irritazione già scomparsa dal suo viso, e le guidò il capo contro il proprio seno, stringendola al petto come avrebbe fatto una madre.
«Lo sei stata, bambina.» bisbigliò.
E iniziò a raccontare.

Amitiel avrebbe voluto negarsi e fuggire, ma c’era la voce di Eisheth a cullarla e guidarla verso un altro tempo, e lei scivolò indietro, indietro, indietro sino a quando il suo nome era un altro e socchiudeva gli occhi per guardare il sole. Si guardava allo specchio e aveva il cielo nello sguardo, grano nei capelli; si guardava al fianco e trovava un’altra sé.
«Ti chiamavi Aenor.»
Si chiamava Aenor, ma Aenor era doppia, Aenor era solo una metà.
Aenor mangiava, respirava, dormiva; ma certe notti, nei sogni, si affacciava la certezza di essere destinata ad altro. Glielo sussurrava una donna con lo sguardo quieto e due ali alla schiena, e l’appellativo di madre a riecheggiare tra le pieghe morbide del sonno. Le piaceva l’idea di avere una madre, almeno nei sogni, perché quella vera l’avevano uccisa lei e Ishild dibattendosi tra le sue cosce. Era una cosa piuttosto comune, le aveva spiegato madre – le spiegava molte cose. E così Aenor sapeva che una donna aveva pagato con la morte l’onore di aver nutrito lei e Ishild nel suo ventre, le avevano succhiato la vita l’energia fino a sfibrarla, perché non era semplice portarle dentro, no, non loro che erano destinate ad altro. A morire per rinascere diverse, senza né sogni né respiro né fame.
«Nata da una figlia degli uomini, come figlia degli uomini. Nata doppia, in un sistema creato per evitare i legami scomodi. Adorabile ironia, mia cara, sì?»
A morire per rinascere sole, senza né padre né madre né ricordi. Sorelle di tutti, figlie di nessuno – perché i Cherubini venivano creati.
I Cherubini nascevano, invece. L’essenza germogliava in un ventre di donna e si sviluppava lentamente, ancora troppo immatura per controllare un corpo inumano, incatenata alla debolezza di un involucro imperfetto. Maturava in spoglie mortali per abbandonarle, poi, nel momento di massimo vigore; per rinascere con un corpo simile e due squarci alla schiena, e nessuna memoria del prima. La Venuta cancellava la vergogna di sapersi quasi umani.
A Aenor non piaceva, l’idea di dimenticare tutto. Di dimenticare Ishild.
A Ishild l’idea di non essere umana piaceva troppo, invece, e contava i tramonti a quel giorno. Ma Ishild nascondeva passioni sporche, impure; rincorreva ombre e accarezzava piume nere.
«Oh, bambina, avresti dovuto abbandonare quell’umanità quand’eri in tempo; e invece guardarti ora. Bambina, bambina cara.»
E Aenor era gelosa.
Gelosa di Ishild, della sua compagnia sempre più rara, dei pensieri che non confidava. Gelosa delle notti trascorse altrove, mentre lei restava sola, sola, sola, e guardandosi al fianco non trovava più nessuno.
Gelosa di attenzione e baci e carezze e del piacere che riservava ad un altro, perché – che la perdonessaro, per favore, che la perdonassero – la voleva. Come un uomo avrebbe voluto una donna.
Ma erano due donne ed erano sorelle e presto non avrebbero ricordato più nulla.
Aenor non voleva dimenticare Ishild.
Aenor voleva restare umana, perché non riusciva a immaginare, davvero, un mondo senza sogni e senza sole e senza Ishild.
«Orgogliosa della tua umanità. Forse fu per questo che il Fuoco ti rifiutò, bambina.»
Ishild che si dissolveva tra le fiamme, accompagnata da una litania ipnotica.
E lei, con l’essenza protesa verso un altro luogo e la volontà a negarle un corpo immortale.
Lei ferita dentro, squarciata da quel conflitto.
Lei, incatenata a quelle spoglie.
Le fiamme non smisero di ardere.

«E poi?»
«Poi sei diventata Ishild.»
   
 
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