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Autore: Parabates    23/02/2014    3 recensioni
Era una ragazza di circa diciassette anni. La vide un giorno della scorsa estate, in un prato, stava leggendo un libro, era d'incredibile bellezza. Era così strano di quei tempi vedere una ragazza così giovane sola e con gli occhi calamitati su quel tomo. Incuriosito, le si avvicinò abbastanza per cogliere meglio i suoi tratti. [...] Ricordava questo, questo e nient'altro nonostante l'avesse vista qualche ora prima.
In questo racconto è presente una malattia terminale, il cancro. Non verrà trattata in modo specifico, verrà tenuta piuttosto in disparte e in modo fittizio.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Dodicesimo.
 
 
A Fede,
Che crede sempre in me, e questo non guasta mai; perché legge questa storia e perché dobbiamo parlare
grazie di cuore, ti voglio bene.



Era il lunedì della settimana successiva e David era davanti al cancello della scuola pubblica, la stessa che frequentava Dylan, la stessa che aveva lasciato quasi un anno prima. Era così emozionato all'idea di ritornare lì dentro, ma anche spaventato, come se non ci fosse mai stato.
Erano passati un anno e mezzo da quando Helen, sua madre, si era sentita dire: "Signora, è un tumore"
"Cosa?" aveva risposto lei incredula
"Si è ripresentato, pensavamo di averlo eliminato.."
"Ma lo aveva sconfitto, David ce l'aveva fatta. Questa storia era finita" disse scoppiando in lacrime
"Mi dispiace signora"
Helen ebbe un mancamento, David, che era presente, la vide cadere nelle forti braccia del padre, che furono colte di sorpresa, ma riuscirono comunque a sostenere il peso della donna, la vide inginocchiarsi a terra e piangere tutte le lacrime che aveva.
"Signora, le prometto che faremo tutto il possibile per farlo guarire, non si preoccupi, ci riusciremo un'altra volta" ma quella non rispondeva, pensava di cosa se ne sarebbe fatta delle promesse di quel dottore, perché sapeva che David non avrebbe potuto sopportarne un altro, altre cure, altre medicine, sarebbe stato troppo forte per lui, per quel ragazzo dai capelli e gli occhi scuri, così magro e pallidino, ma con tanta voglia di vivere e di scoprire il mondo.
"David, porta fuori tua madre, sbrigati, rimango io con il dottore" gli disse il padre.
"Mamma, mamma, sto bene, guardami, sono sempre io, vedi? -si sforzava di sorridere, per lei- ce la faremo, insieme ce la faremo di nuovo, ma io ho bisogno di te"
Anche la donna si sforzò di sorridere, guardando il suo unico figlio, che era cresciuto dall'ultima volta che si era sentita dire quelle parole. Si asciugò le lacrime e gli accarezzò il visto, sorridendo, con gli occhi gonfi. Abbracciò il figlio, che la condusse lentamente fuori dalla stanza e la fece accomodare su una di quelle poltrone che si trovano per i corridoi, lontano dalla sala d'attesa principale. David la guardava, aveva il visto rosso e troppi pensieri che le giravano per la testa, come del resto anche lui. Poi si sedette affianco a lei, le prese la mano e la guardò in viso, sorridendole, un'altra volta. "Ti ricordi, mamma, quando venivamo qui e contavamo le infermiere e i dottori che passavano e chi ne contava di più, vinceva?"
"Certo che mi ricordo" disse lei sorridendo, ma quello era un sorriso amareggiato, di chi ricorda il passato, così triste e bello allo stesso tempo.
" Ti va di giocarci di nuovo?" le chiese, ma lei non rispose.
"Uno" disse subito quando passò una dottoressa, che si girò con aria interrogativa.
"Ventitré!" disse David indicando un'infermiera mentre James uscì dalla porta.
"Oh David, non è giusto, io sto ancora a cinque! Sei sempre il solito..." mentre stava per finire la frase, vide il marito e subito il sorriso si tramutò in un'espressione cupa.
"David, mi vai a prendere un caffè alla macchinetta, per cortesia?"
"Sì, certo"
"Con tanto zucchero, per favore. Tieni il resto, magari prenditi qualcosa anche per te"
David sapeva che era solo un pretesto per farlo allontanare, per poter parlare senza di lui, senza che lui sentisse, in fondo aveva poco meno di sedici anni. Di solito il padre prendeva il caffè amaro, ma evidentemente gli serviva un po' di zucchero per mandare già quella notizia dal sapore così acre. Così si avviò per il corridoio, che conosceva bene, e ci mise più di quanto ci avesse messo normalmente, per lasciar parlare i genitori, ma non troppo, per non farli preoccupare, che probabilmente avevano iniziato ad essere più iperprotettivi di quanto non fossero già prima.
Quando tornò, dal fondo del corridoio, riuscì ad intravedere sua madre avvolta nelle braccia del padre. James era un uomo severo e piuttosto duro, ma non con Helen, con lei era sempre stato diverso: dolce, gentile e molto disponibile. La amava da morire, chiunque  avrebbe potuto dirlo con certezza, si vedeva lontano un miglio. David sapeva che suo padre gli voleva bene, ma sapeva anche che non era molto bravo con queste cose, seppur con la moglie gli risultasse così naturale.
Si avvicinò e subito i due si distaccarono e i loro volti si aprirono in grandi e falsi sorrisi.
"Ecco, papà, tieni"
"Grazie, Dav" gli scompigliò un po' i capelli, un gesto che non faceva da anni ormai.
Tornarono a casa, il viaggio in macchina fu uno dei più silenziosi a cui David partecipò. Quando furono soli, il ragazzo chiese al padre: "Papà, quanto mi resta?" senza se o senza ma, glielo chiese e basta, perché non credeva che ci fosse un modo delicato per chiederlo, in fondo era lui quello che sarebbe dovuto andarsene.
"Un anno e mezzo, massimo due" gli aveva risposto il padre, mentre gli si avvicinava per abbracciarlo. Ma David scappò in camera e si buttò sul suo letto.
Un anno e mezzo, massimo due. Un anno e mezzo, massimo due. Un anno e mezzo, massimo due. Un anno e mezzo, massimo due. Un anno e mezzo, massimo due. Un anno e mezzo, massimo due. Un anno e mezzo, massimo due. Un anno e mezzo, massimo due. Un anno e mezzo, massimo due. Quelle parole gli rimbombavano nella testa e si dovette tappare le orecchie per non sentire. Ma sentiva ancora e ancora e scoppiò a piangere.
Smettila David, smettila! Non devi piangere. Sei per caso una ragazzina? Smettila o farai preoccupare tutti! prendi un libro ed inizia a leggere, smetti di piangere!  si continuava a ripetere, ma sembrava non servire a niente, poi si alzò, prese un bel respiro e iniziò a leggere, come se nulla fosse.
Poi David si ricordò di quando lo disse a Dylan.
"Non sarebbe dovuto accadere. Non è giusto, non di nuovo, non a te"
"Dylan, non fa niente" aveva mentito David.
"David, cazzo. David, ce l'avevi fatta"
"E me lo devi dire tu, Dylan? Pensi che io non lo sappia? Pensi che non sappia cosa succederà dopo? Pensi che io l'abbia presa meglio di te solo perché non lo faccio vedere?"
"Scusami Dav, mi dispiace. Io ti prometto che da oggi in poi ogni giorno sarà speciale, faremo tutto quello che vuoi, quanto è vero che sei il mio migliore amico"
"Quanto è vero che sei gay" scherzò David
"Shhh! Sta' zitto, non lo dire"
"Dire cosa? Che sei gay?" disse alzando la voce.
"Stai zitto, smettila!" lo rimproverò.
David rise "Okay, va bene. Ma non faremo come dici tu. Non voglio passare il resto dei miei giorni a pensare a quando morirò, perché succederà e non voglio pensarci e dire uh oggi facciamo questo perché mancano solo cinquantasette giorni alla mia morte. Non lo farò, tanto vale che facciamo una specie di calendario dell'Avvento."
"Ti prego, Dav, non scherzare"
Anche a quei tempi a David piaceva scherzare sulla sua malattia, non prenderla sul serio, prendersene quasi gioco; sapeva che avrebbe dovuto prenderla più seriamente, perché, di fatto, era una cosa seria, reale e pericolosa, ma c'era una frase, che gli ripeteva sempre il nonno, che gli rimbombava nella testa Non prendere la vita troppo seriamente o non ne uscirai mai vivo. Era sempre cresciuto con questa "filosofia di vita", perciò pensava che qualsiasi cosa gli sarebbe successa, avrebbe dovuto divertirsi in ogni momento, perché la cosa peggiore che gli poteva accadere era la morte e lui non ne aveva paura, perché sin da piccolo aveva imparato che, come diceva Silente, per una mente ben organizzata, la morte non è che una nuova, grande avventura.




ANGOLO AUTRICE
Buona sera a tutti, cari lettori. Ho tante tante cose da dirvi.
1. SCUSATE IL RITARDO TREMENDO (ringraziate una ragazza che mi ha chiesto se avrei mai aggiornato e io le ho pure detto che avrei aggiornato le week-end e guardate a che ora mi ritrovo);
2. Non l'ho riletto -l'ho scritto un mesetto fa- quindi se ci sono errori TUTTO A REGOLA;
3. E' straziante, lo so, ma prima o poi David avrebbe dovuto iniziare ad essere un malato, la cosa stava passando troppo in secondo piano;
4. Spero di aver reso l'idea, di aver trasmesso emozioni, perché questo è un momento davvero delicato della storia;
5. Spero di non avervi delusi e che vi piaccia, perché quando l'ho scritto, ne ero entusiasta.
6. Vi voglio ringraziare, perché siete sempre qui a dirmi cosa ne pensate
Ditemi cosa ne pensate!
See you soon (spero)
Grazie a tutti
Esse


Se vi va, fate un salto sull'altra mia long: P.S. I love you
   
 
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