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Autore: Mariam Kasinaga    24/02/2014    0 recensioni
“Mi dispiace di non averti potuto insegnare ad amare” commentò, mettendo le mani grembo. Lo spirito scoppiò a ridere, passandosi una mano tra i capelli: “Jean! La malattia ti sta facendo abbandonare questo mondo e il tuo unico pensiero è ciò che ci siamo detti più di mezzo secolo fa? Ah, voi umani non finirete mai di stupirmi”
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Genere: Malinconico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II

Sotterranei del palazzo degli Ospedalieri, Anno Domini 1109

Aveva compiuto il rituale come descritto nei testi antichi: aveva tracciato pentagoni e simboli alchemici sul pavimento, bruciato erbe e mirra, pronunciato parole dimenticate da secoli e, soprattutto, aveva aspettato. Aveva atteso interi minuti che l’ifrit si manifestasse, richiamato nel mondo degli uomini dall’arcana potenza di quell’oscura e misteriosa magia, ma non era accaduto nulla. Jean continuava a mordersi le labbra, sfogliando nervosamente le pagine dei pesanti volumi appoggiati sul tavolo, cercando qualsiasi dettaglio gli fosse sfuggito. Spazientito, scaraventò a terra un alambicco di vetro, frantumandolo in mille pezzi: “Dove ho sbagliato, dove?”urlò, guardando adirato i segni in gesso che aveva tracciato sul pavimento. La storia del Medio Oriente, così lontano e distante dall’Europa, era disseminato di eventi che, per chi aveva studiato quella strana scienza da molti definita “alchimia”, erano direttamente ricollegabili a geni, di cui gli ifrit rappresentavano la schiera più potente.

Fu all’improvviso che percepì una presenza nei sotterranei, ma si accorse con sgomento che non proveniva affatto dal cerchio alchemico. Alzò lo sguardo verso le travi di legno che sostenevano le enormi volte di pietra e la vide, appollaiata su una di esse: aveva la stessa fisionomia di quando l’aveva incontrata la prima volta, il medesimo corpo da donna alto e sinuoso fasciato da una tunica viola. L’ifrit indicò i simboli sul pavimento: “Vorresti contenere il mio potere lì dentro?” chiese sarcastica, abbandonando la trave e rimanendo pigramente sospesa a mezz’aria. “Devo ricredermi Jean. La tua genialità ti porterà alla morte, se sarai sempre così ambizioso. Lo sai cosa succede a chi evoca uno spirito, ma non crea un cerchio alchemico sufficientemente potente?” domandò nuovamente, guardandolo con un’espressione maliziosa. Il ragazzo strinse i pugni, cercando con lo sguardo la spada che giaceva a pochi passi da lui: “Lo spirito non è né libero né sotto padrone, quindi gli è consentito ucciderlo divorandogli l’anima” mormorò, maledicendosi per la sua incapacità. Kamila annuì lentamente, appoggiando i piedi a terra e camminando verso di lui, gettando sguardi incuriositi sui numerosi libri: “Per un secondo ho sospettato che ce la facessi, ma temo che tu sia destinato a non avere mai il mio potere. Oltre alla tua straordinaria capacità di non saper valutare i tuoi limiti, sai dove hai commesso un altro errore?” domandò, avvicinandosi talmente a lui da poter sentire il calore del suo corpo. L’altro scosse rigidamente la testa: “Per uccidermi avresti dovuto comparire nel cerchio e spezzarlo. Ciò significa che la mia evocazione è completamente fallita e tu sei qui per un altro motivo. Fatto a dir poco singolare, visto che spiriti senza padrone raramente compaiono in questo mondo” concluse, senza riuscire a staccare gli occhi da quegli ipnotici occhi viola. Gli ricordavano il colore dei fiori preferiti di sua madre e le distese dei campi di lavanda della Francia. Per un attimo gli sembrò che l’ifrit volesse annullare la distanza tra loro due, ma sembrò ripensarci immediatamente: “Un cristiano non può evocare geni troppo potenti. Non ci riusciresti neppure se ti scomunicassero” sussurrò lapidaria Kamila, avvicinandosi al cerchio alchemico. Jean deglutì rumorosamente, odiandosi per il suo atteggiamento: si era preparato anni per quel momento, eppure appariva ancora come un bambino spaventato.

“Io ci riuscirò!” esclamò, stupendosi egli stesso delle parole che erano uscite dalla sua bocca. Si accorse di aver pronunciato una frase alquanto stupido quando la sentì ridere: era un suono che non aveva mai sentito, cristallino e puro ma al contempo forte e potente. L’ifrit si voltò verso di lui facendo ondeggiare i capelli: “Jean! Osservo i tuoi progressi da quando hai scoperto questi sotterranei e le meraviglie che vi erano contenuti all’interno. Ti

ho spiato mentre tentavi di imparare l’Arabo, ti sono stata accanto nei tuoi primi tentativi di codificazione e non ti ho abbandonato nemmeno la sera in cui ho temuto ti arrendessi mandando tutto al diavolo. Fidati, sei riuscito a superare confini in cui pochi si sono spinti, ma prima capirai che non potrai evocare nulla di più potente di un jin, meno rischierai di morire. Oggi avresti potuto perdere la vita, nel tuo sciocco tentativo di seguire chissà quale sogno infantile!” esclamò, sedendosi su uno sgabello di legno. Il ragazzo le rivolse un’occhiata interrogativa: “Di che confini stai parlando?” domandò, pensando inutilmente ad una formula per congedare l’ifrit. Kamila giocherellò con una ciocca di capelli: “Sui tuoi libri avrai sicuramente trovato scritto che noi spiriti siamo superiori ai vostri concetti. Per noi non esistono Pace, Odio, Amore, Guerra...il nostro comportamento si discosta profondamente dall’etica umana e noi stessi troviamo difficoltà nello spiegarlo, dato che ognuno di noi risponde solo a se stesso e per se stesso. Eppure, sforzandomi di incanalare le mie emozioni nei vostri vocaboli così scarni e miseri, direi di provare una sorta di curiosità nei tuoi confronti” concluse, alzandosi dallo sgabello. Jean inarcò le sopracciglia: “C’è anche scritto che vi divertite a prendere in giro gli umani e siete maestri nell’arte dell’inganno e della menzogna” replicò, un attimo prima di vedere il corpo dell’ifrit troneggiare a mezz’aria su di lui. “Ed immagino che, in qualche nota a piè di pagina, qualcuno avrà descritto la nostra proverbiale volubilità. Dunque, Jean, non insultare chi ha appena dichiarato di apprezzarti” sibilò, appoggiando le proprie labbra a quelle del ragazzo.

Quando Jean sentì le labbra dell’ifrit sulle sue, provò un miscuglio contrastante di emozioni. Una parte di lui voleva urlare e scappare, un’altra desiderava ardentemente stringerla tra le braccia. Chiuse gli occhi d’istinto e la sentì ridere: “Sono pochi gli umani che hanno ricevuto le mie attenzioni, cerca di non dimenticarlo mai” gli sussurrò all’orecchio, lasciandosi dolcemente cadere tra le sue braccia. Kamila gli passò l’indice sulle labbra: “Hai fatto tutto questo perché vuoi diventare un grande alchimista non è così? Se vuoi spingerti dove nessuno ha mai osato addentrarsi, prova a farmi scoprire cosa intendete voi umani con la parola Amore” mormorò, baciandolo nuovamente. Le labbra del ragazzo si dischiusero completamente a quel nuovo contatto, assaporando lentamente quelle dell’ifrit. Sentiva il corpo di Kamila tremare leggermente tra le sue braccia, mentre con una mano si aggrappava ai suoi capelli biondi. Il ragazzo interruppe nuovamente il bacio, sfiorandole la bocca umida con le punte delle dita: “L’amore è più di questo, ma non credo di potertelo insegnare” bisbigliò, abbassando la mano fino a sfiorarle il seno. L’ifrit gli leccò il pomo d’Adamo, gli baciò dolcemente la clavicola ed appoggiò le mani sul suo petto: “Il problema di voi umani è che avete una vita più corta del respiro di un bambino” sospirò. 

   
 
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