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Autore: DanzaNelFuoco    24/02/2014    4 recensioni
Questa storia ha partecipato al contest "Felice San Val-Faustino a te" di Robinki e si é classificata terza.-
- Intro:
L'amore è una motoslitta che corre all'impazzata nella tundra, poi improvvisamente fa una capriola e si ribalta bloccandoti sotto. Di notte arrivano i lupi.
Così si sentiva. Intrappolata, bloccata, ferita. E in pericolo.
Pericolo che il suo cuore si frantumasse in migliaia di pezzi.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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Broken clock
L'amore è una motoslitta che corre all'impazzata nella tundra, poi improvvisamente fa una capriola e si ribalta bloccandoti sotto. Di notte arrivano i lupi.
Così si sentiva. Intrappolata, bloccata, ferita. E in pericolo.
Pericolo che il suo cuore si frantumasse in migliaia di pezzi.
Lui non era lì. Era il quattordici di febbraio e lui non era lì.
Non era questo a ferirla. Era il fatto che non fosse la prima volta.
Lui non era lì il giorno del suo compleanno.
Lui non era lì il giorno del loro anniversario.
Lui non era il giorno del loro matrimonio, in ritardo come al solito. Avevano dovuto aspettarlo un'ora perché era al lavoro.
Lui non era lì nemmeno il giorno in cui era nato James, arrivato giusto in tempo per dargli quell'orribile nome.
Ginny aveva a lungo meditato se far sì che lui non fosse lì il giorno del concepimento, ma tradirlo non avrebbe avuto senso, lei lo amava ancora, nonostante si sentisse ferita, tradita e abbandonata.
Di nuovo Ginny guardò l'orologio. Undici e venti.
Harry doveva passare a prenderla alle nove e mezza e quella doveva essere la loro serata.
"Ho una sorpresa per te." le aveva detto e lei alle otto aveva portato James, Albus e Lily da nonna Molly.
Si trovò a fissare il percorso che la lancetta dei secondi percorreva sul quadrante.
Tic. Tac. Tic. Tac.
La lancetta dei minuti scattò.
Undici e ventuno.
Ginny si alzò dalla sedia e salì al piano di sopra.
Tic. Tac. Tic. Tac.
La lancetta dei secondi avanzava.
Tic. Tac. Tic. Tac.
I suoi passi lungo le scale.
Un ritmo lugubre, senza fretta, automatico, che le serviva per controllarsi. Se non avesse seguito quei movimenti meccanici, tipici di un automa, e avesse mostrato i suoi veri sentimenti sarebbe esplosa.
Avrebbe salito le scale di corsa, senza guardare dove poggiare i piedi, sarebbe caduta, si sarebbe procurata qualche livido, magari sbattendo il ginocchio o il gomito negli spigoli, si sarebbe rialzata, gli occhi ciechi per le lacrime che le avrebbero rigato il volto con il mascara. Si sarebbe sciolta come una statua di cera a cui avessero dato fuoco e che cercasse in tutti i modi di sopravvivere.
Invece Ginny era impassibile. Lo sguardo fisso davanti a sé, la mano destra a seguire il corrimano, la linea delle labbra fissata in un' espressione neutra.
Con gli stessi movimenti che avevano caratterizzato la salita entrò in bagno.
Tic. Tac. Tic. Tac.
Undici e ventiquattro.
Prese del cotone e lo imbevve di latte detergente.
Cominciò a levarsi intere strisce di trucco dal viso, partendo dalla fronte e finendo sotto il mento.
Tic. Tac. Tic. Tac.
Undici e ventinove.
Si tolse l'orologio e lo appoggiò sul lavandino, il quadrante rivolto verso di lei.
Tic. Tac. Tic. Tac.
Undici e trenta.
Ginny si tolse gli orecchini
Tic. Tac. Tic. Tac.
Ginny si tolse la collana.
Tic. Tac. Tic. Tac.
Ginny si tolse l'anello di fidanzamento.
Tic. Tac. Tic. Tac.
Ginny si tolse la fede.
Tic. Tac. Tic. Tac.
Undici e trentuno.
Il vestito scivolò lungo i suoi fianchi fino a lasciarla in biancheria.
Tic. Tac. Tic. Tac.
Gli altri indumenti seguirono il vestito nero sul pavimento.
Tic. Tac. Tic. Tac.
Il rumore dello scorrere dell'acqua della doccia coprì il ticchettio dell'orologio.
Undici e trentatré.
La donna si insaponò facendo passare la spugna sul ventre, ornato da piccole chiare smagliature, che aveva ospitato i loro figli, sulle braccia che li avevano cullati, lungo le gambe a cui si erano aggrappati.
Lasciò che l'acqua portasse via la schiuma saponosa dal suo corpo lasciandolo pulito.
Le ciglia intrappolarono una goccia salata tra le tante dolci. Una singola lacrima sfuggita ad una crepa della diga che aveva costruito dietro i suoi occhi.
Si stupì di poter piangere e improvvisamente la diga cedette. Calde lacrime copiose cominciarono a scivolare lungo le sue gote. Singhiozzando si appoggiò alla parete della doccia, scivolando verso il basso, accovacciandosi, chiudendosi su se stessa, le mani a proteggere il volto.
Pianse come se non dovesse finire mai. Pensava che i suoi figli si sarebbero diplomati e lei sarebbe stata ancora in quella doccia a piangere.
Poi come era venuta la crisi passò.
Chiuse l'acqua e uscì dalla doccia.
Tic. Tac. Tic. Tac.
Undici e quarantasei.
Si asciugò i capelli con un colpo di bacchetta e si chiuse nell'accappatoio.
Era svuotata, di nuovo una macchina. Gli occhi arrossati erano l'unica testimonianza dei suoi sentimenti.
Si diresse nella loro camera.
Tic. Tac. Tic. Tac.
Undici e quarantotto.
Aprì l'armadio e cominciò a svuotarlo dai vestiti di Harry.
Tic. Tac. Tic. Tac.
Undici e quarantanove.
Prese i vestiti e li gettò nel baule del marito, quello sotto la scrivania in cui teneva le cianfrusaglie.
Tic. Tac. Tic. Tac.
Undici e cinquanta.
Si vestì e trascinò il baule giù dalle scale.
Tic. Tac. Tic. Tac.
Undici e cinquantatré.
Lasciò il baule accanto alla porta d'ingresso.
Si accorse di aver lasciato l'orologio al piano di sopra e, con la stessa calma con cui aveva salito le scale mezz'ora prima, andò a recuperarlo.
Tic. Tac. Tic. Tac.
Undici e cinquantaquattro.
Sentì la chiave di casa infilarsi nella toppa e ruotare, poi l'uscio aprirsi.
"Ginny! Scusa il ritardo! Ti giuro che era improrogabile la riunione. Ti è arrivato il gufo?"
Ginny scosse la testa, tenendo l'orologio in mano. Aveva ricevuto il suo gufo, sì, quello che la informava che sarebbe arrivato per le dieci e mezza, massimo dieci e tre quarti.
Scese le scale con lentezza e lo raggiunse in cucina.
Tic. Tac. Tic. Tac.
Undici e cinquantasei.
"Perché c'è un baule nell'ingresso, tesoro?" chiese Harry con nonchalance.
"Hai un'altra?" chiese a bruciapelo, ma tranquillamente, Ginny.
Lo sconcerto passò sul viso dell'uomo, mescolato ad imbarazzo, vergogna e... colpa?
Tic. Tac. Tic. Tac.
Undici e cinquantasette.
"Rispondimi, Harry."
"No. Non ti ho tradito..."
"Ma?"
Tic. Tac. Tic. Tac.
Undici e cinquantotto.
"C'è un'altra persona."
Ginny trattenne il fiato.
"Chi?"
Tic. Tac. Tic. Tac.
Undici e cinquantanove.
"Non conosci questa persona..."
"Di quale donna ti sei innamorato?" gli gridò contro, indicandolo con la mano che teneva stretto l'orologio.
Tic. Tac. Tic. Tac.
"Non è una donna."
Tic.
Mezzanotte.
L'orologio giaceva sul pavimento.
Il vetro rotto, il meccanismo fermo.
Infranto, come lei.
"Il baule è tuo." rispose istupidita. "Prendilo e vattene."
Harry si diresse verso l'ingresso, fissandosi la punta delle scarpe. Si sentiva tornato quindicenne.
Sapeva di aver ferito Ginny e non voleva, non voleva lasciarla, ma non stava bene con lei. Così con il suo stupido comportamento stavano male entrambi.
Afferrò un manico del baule e aprì la porta.
Prima di uscire si voltò verso di lei.
"Potrai perdonarmi?"
Ginny lo fissò. "Non lo so."
Chiuse gli occhi e non gli riaprì finché non sentì il rumore della porta che si chiudeva.
Tornò in cucina e si appoggiò al muro accanto alla porta. Non pensava di riuscire a sopportare oltre, senza appoggiarsi a qualcosa.
"Reparo.
I frammenti di vetro si ricomposero.
Tic.
La lancetta dei secondi tentò con uno spasmo di ripartire, ma il meccanismo era irrimediabilmente danneggiato.
Come lei.
Ormai svuotata dalle lacrime, sembrava perfettamente normale dall'esterno.
Dentro, invece, era morta, fissa, statica in quel momento.
Mezzanotte e uno del quindici febbraio.
 
 
  
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