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Autore: Laylath    26/02/2014    4 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 30. I fantasmi che esistono.

 

Senza che se ne rendesse conto, la discussione con Vato aveva rievocato un fantasma che Roy credeva sepolto ormai da tanti anni: arrivò discretamente durante la notte, infilandosi nei suoi sogni già inquieti e lo costrinse a rigirarsi nel letto più volte, senza riuscire a svegliarsi del tutto.
Erano immagini fugaci del passato che andavano a mischiarsi con quelle del presente e dei suoi amici: in particolare andavano a sovrapporsi a quelle di Vincent Falman per via della divisa… ma questa volta non era quella scura della polizia, ma una blu. E non c’erano gli occhi dal taglio sottile del capitano Falman ad osservarlo con rimprovero, ma quelli scuri uguali ai suoi.
Ti è costata cara questa caccia al fantasma… un incidente ferroviario.
Finisci la frase: tu non hai la minima idea di cosa voglia dire avere un…?
Il signor Havoc, sarà così gentile da riservarti lo stesso trattamento.
Fu quindi normale che si svegliasse più stanco che riposato, con un fastidioso sudore che gli aveva impregnato tutto il pigiama.
Con un sospiro si alzò dal letto per andare in bagno a lavarsi e decise che quel giorno non sarebbe andato a scuola, tanto sua zia non faceva molti problemi se ogni tanto si prendeva queste pause. Probabilmente capiva che non lo faceva mai per vera e propria pigrizia, ma perché aveva bisogno di riflettere su qualcosa.
Non fece nemmeno colazione, preferì prendere alcune fette di pane imburrato, chiuderle a panino, avvolgerle in un fazzoletto e mettersele nella tasca del cappotto: il suo stomaco non era pronto ad accettare il cibo.
“Ci vediamo dopo, zia. Io oggi non vado a scuola.”
“Il tuo fantomatico mal di testa ancora ti tormenta?”
“Più o meno: torno per pranzo.”
“Va bene, cerca di schiarirti le idee: quel broncio non è molto affascinante, lo sai.”
Questa volta non riuscì a rispondere con il solito ghigno di scherno, ma si limitò a fare un distratto cenno di saluto quando ormai aveva la mano sulla maniglia.
L’aria fresca del mattino presto lo fece rabbrividire e gli mosse i capelli neri: senza rendersene conto era proprio l’ora di andare a scuola, certo le abitudini erano dure a morire anche in questi momenti. Ma questa volta non sarebbe andato all’appuntamento con Riza: non era la prima volta che lo faceva e la sua amica sapeva bene che dopo un dieci minuti d’attesa doveva andare a scuola senza di lui.
“Ciao, Roy.”
“Ciao, Elisa – salutò con lieve esitazione vedendo che la ragazza si stava alzando dai gradini del locale, chiaramente in attesa di lui – che cosa ci fai qui?”
“Ti aspettavo. Oggi non vieni a scuola? Non hai la tracolla…”
“No, oggi no. Anzi, se andando avanti vedi Riza avvisala pure, così evita di attendermi.”
“Perché non vieni?”
Roy la squadrò attentamente: il viso grazioso era triste e preoccupato e gli occhi verdi non avevano la solita espressione gaia. Chissà perché l’aveva sempre considerata la ragazza perfetta per Vato: spensierata al punto giusto, eppure così premurosa, disposta ad accettare tutte le stranezze del fidanzato…
“Oggi non ti sei messa uno dei nastri che ti ha regalato.”
“Già – ammise lei ad occhi bassi – me ne sono dimenticata ed ormai ero già fuori di casa, pazienza.”
“Peccato, ti stanno davvero bene…”
Ci fu un imbarazzato silenzio perché era chiaro che entrambi sapevano benissimo cosa non andava. Roy non aveva nessun dubbio che Elisa fosse venuta a sapere del litigio di ieri sera.
“E’ fatto così – disse infine lei – a volte si comporta in modo drastico, credendo di aver trovato la soluzione migliore. Ma non lo fa apposta e non è quello che lui pensa davvero.”
“Suo padre si è davvero arrabbiato così tanto con lui?”
Fu una domanda a bruciapelo ed il fatto che Elisa esitasse confermò quanto aveva sospettato. Era vero, lui non sapeva molto del rapporto padre – figlio e forse, se Vato era così preoccupato, quello con il capitano Falman doveva aver subito una brusca incrinatura.
Forse per i militari ed i poliziotti è diverso…
“Vato ci tiene molto che suo padre sia fiero di lui… e il capitano Falman a volte è un po’ rigido, è vero.” mormorò Elisa infine.
“Capisco…” senza attendere risposta scese gli ultimi scalini.
“Stasera vieni alla festa, te ne prego – disse Elisa alle sue spalle – lui ci tiene a te, Roy. Se non venissi ci resterebbe molto male, ne sono sicura: è stato un brutto litigio, non fatelo pesare più del dovuto.”
“Verrò, promesso – annuì lui – adesso vai, si sta facendo tardi.”
 
Il rifugio personale suo e di Riza era sempre lo stesso, sebbene ci fossero ancora alcune tracce di neve qua e là; certo, le betulle ora erano come degli scheletri che si stagliavano verso il cielo pulito e non c’era la morbida erbetta di primavera.
Era tanto che non veniva in quel posto: da quando lui e Riza avevano iniziato a stringere amicizia con gli altri non avevano più sentito la necessità di quel luogo così appartato. Ma sembrava che fosse sempre pronto ad accoglierli, specie quando il passato triste si ripresentava così all’improvviso.
Si frugò nella tasca del cappotto, ma al posto del temperino tirò fuori una cosa che aveva preso da un cassetto poco prima di uscire. Non sapeva nemmeno lui perché l’aveva fatto, forse in alcuni momenti si sentiva particolarmente propenso all’autolesionismo.
La stoffa azzurra era ancora morbida e nonostante ai bordi ci fosse qualche filo pendente non c’era rischio di cuciture. Le decorazioni delle spalline della divisa di suo padre: chissà quante volte le aveva prese in mano nei primi mesi che si era trasferito in questo posto.
Il suo pollice corse ad una delle due stelline di metallo dorato e premette al centro fino a sentire un piccolo fastidio: tenente colonnello dell’esercito Christopher Mustang. Quando era morto in seguito ad un incidente ferroviario, lui aveva circa sette anni: ricordava ancora quando la sua governante gli aveva dato la notizia fra le lacrime. Non era rimasto molto impressionato, era come se gli avesse annunciato che per l’ennesima volta suo padre non sarebbe tornato a casa… solo che questa volta era per sempre.
Del resto che legame aveva lui con quel soldato? Nessuno.
Non aveva mai indagato sulla vita familiare dei suoi, non aveva senso, ma non si sarebbe sorpreso di scoprire che la sua nascita non era stata programmata: sapeva che sua madre aveva una vita sociale molto intensa, mentre suo padre era assistente di un generale molto importante. Un figlio per quella coppia così affaccendata non era proprio il massimo. Se si sforzava riusciva a ricordare qualche volta che sua madre aveva giocato con lui, ne era certo. C’era anche una foto, nascosta dentro un libro, dove lo teneva in braccio e sorrideva felice…
Ma è ovvio che per una madre è diverso… una madre ti porta in grembo per nove mesi, ha un legame più forte con te.
Ma suo padre? Quante volte l’aveva chiamato per stare con lui quando tornava a casa?
Qualche volta, quando per caso si incrociavano nei corridoi, lui gli dava una carezza distratta sulla guancia, ma era qualcosa di assolutamente impersonale. Come se sentisse l’essere padre un dovere al pari dell’essere soldato e dunque dovesse per forza fare simili gesti.
Gli stavo indifferente, tutto qui… nemmeno mi odiava, era proprio indifferenza.
E lui c’era rimasto male, certamente: a sette anni il suo mondo si riduceva alla casa, alla governante, al suo insegnante privato… a quella figura che tornava e lo affascinava così tanto in quella divisa blu.
Vorrei che si accorgesse di me…
I suoi pensieri di bambino piccolo tornarono di prepotenza e scosse il capo.
Ma era difficile, tremendamente difficile: si era appena accorto di capire il turbamento di Vato meglio del previsto. Perché anche lui avrebbe voluto rendere suo padre fiero di lui, in modo che si accorgesse della sua presenza, lo rendesse partecipe della sua vita. Forse avrebbe fatto molto più male sapere della sua improvvisa morte, ma il vuoto non sarebbe stato così fastidioso. Perché per sua madre non provava un buco allo stomaco simile.
“E se per Vato è così importante avere la fiducia di suo padre, che sia! Andiamo a ricucire questo maledetto rapporto spezzato.”
 
“Mi raccomando porti gli auguri di tutti noi a suo figlio, capitano.” esclamò uno degli uomini della squadra, affacciandosi all’ufficio.
“Va bene, Steve, buona ronda. Ci vediamo direttamente domani.”
Vincent tornò a dedicare la sua attenzione alla pistola che stava rimontando dopo averla pulita accuratamente: anche quella mattina stava filando tutto liscio come al solito e aveva deciso di restare in ufficio per dare la possibilità agli uomini della sua squadra di fare un giro. In genere era una cosa che preferiva fare lui, ma ogni tanto era giusto restare di guardia e lasciare l’azione agli altri.
Tanto quel pomeriggio era previsto parecchio movimento considerato che come sarebbe tornato a casa avrebbe trovato quel branco di scalmanati: sperava solo che questo aiutasse Vato a riprendersi un pochino da quello sfogo che aveva avuto la sera prima. Da quello che aveva capito c’era stato un litigio con Roy e sembrava che la cosa fosse abbastanza drastica, senza possibilità di risoluzione. Tuttavia Vincent sospettava che, come spesso accadeva, il figlio avesse esagerato una cosa normale e…
“Capitano Falman.”
“In questo momento dovresti essere in classe, Roy Mustang, – disse con voce ferma, alzandosi in piedi, mentre il ragazzo entrava nell’ufficio – tua zia sa che hai marinato la scuola?”
“Può darsi.”
Era un atteggiamento abbastanza strafottente e Roy lo sapeva bene, ma certe volte non poteva fare a meno di sfidare gli adulti, specie quando assumevano con lui dei toni di rimprovero. Oppure quando erano particolarmente protettivi come la madre di Kain… quella sì che era da stuzzicare.
Ma non era quello il momento di pensare a determinate cose.
Dall’altra parte della scrivania, Vincent osservava quel ragazzo, vedendo per la prima volta il lato ribelle di lui: finché era venuto a casa sua si era sempre comportato in maniera rispettosa, a volte persino timida.
Ed invece adesso si presentava con tutta la sua sfrontatezza per la quale era famoso.
Eccolo qua il leader… il motore della bravata.
Adesso capiva perché a volte la personalità più quieta di Vato stridesse con la sua.
“Lo sai? Il mio dovere di poliziotto mi imporrebbe di prenderti per l’orecchio e portarti immediatamente a scuola. Dammi una motivazione valida per non farlo.”
“Vato non vuole più essere mio amico, è un motivo valido?”
Il tono aveva perso la nota di sfida ed una sincera preoccupazione era comparsa nei lineamenti adolescenziali. Era chiaro che ci teneva particolarmente a questa amicizia se arrivava ad un simile gesto.
Vincent annuì e si rimise a sedere facendogli cenno di fare altrettanto nella sedia davanti alla scrivania.
“Dimmi tutto.”
Roy fece un sospiro e iniziò.
“A quanto pare quello che abbiamo combinato ha messo Vato in difficoltà con lei. Mi assumo tutta la responsabilità di quella storia, sono disposto anche a subire la punizione che ha avuto da lei e da sua moglie, ma non levi la fiducia a suo figlio. Ha tentato più volte di farmi desistere dall’impresa ed io l’ho volutamente ignorato.”
Vincent si posò allo schienale, incrociando le braccia al petto.
“Quante cinghiate hai preso da James Havoc?”
“Venti, signore.”
“Hai idea di quante ne abbia date io a mio figlio? Non con la cinta, ma col cucchiaio di legno, e ti assicuro che può essere parecchio doloroso anche quello.”
“Sono disposto anche a quel castigo, non importa.”
“Gesto dimostrativo, insomma.”
“Sì, proprio così.”
“Perché lo fai?”
“Perché è mio amico e ci tengo che risolva le cose con lei, signore. Forse non so molto del rapporto padre e figlio, ma capisco che per Vato è importante avere la sua fiducia.”
“Capisco, – Vincent abbandonò la sedia ed oltrepassò la scrivania per portarsi davanti a Roy che istintivamente si alzò in piedi – Vato mi ha raccontato della vostra discussione di ieri e anche di quella frase che si sarebbe voluto immediatamente rimangiare, quella riguardo al rapporto padre e figlio.”
“Beh, in fondo ha detto solo la verità – scrollò le spalle Roy – non ho la minima idea di cosa voglia dire la fiducia di un genitore: era già tanto se vedevo mio padre un paio di volte al mese.”
Non c’era vittimismo in quella frase, solo un briciolo di rimpianto. Per il resto il tono rimase neutrale, come se la conversazione non avesse mai preso quella piega. Fu per questo motivo che Vincent decise di essere delicato e non proseguire con qualcosa che il ragazzo preferiva tenere privato.
“Diciamo semplicemente che la situazione vi è sfuggita di mano come spesso succede litigando tra ragazzi. Sia ben chiaro, Roy, quella che avete commesso è stata la peggiore ragazzata che poteste mai fare e spero che le prossime siano di minore portata; sarò sincero, Vato ha ingigantito molto la faccenda, ma c’erano alcune incomprensioni di fondo che andavano chiarite.”
“Ha detto che la mia amicizia lo fa star male…”
“Quella è una questione che dovete regolare tra di voi: è chiaro che avete caratteri molto diversi e dovete trovare un equilibrio, ma spetta solo a voi due farlo. Da parte mia ti posso garantire che mio figlio non pensa davvero le cose che ti ha detto ed è sinceramente pentito da come è finita la cosa. Penso che se non avesse gli ultimi residui della febbre ti avrebbe già cercato per fare pace.”
“Lui che prende l’iniziativa? – sorrise Roy – Non ce lo vedo proprio…”
“Ti potrebbe sorprendere, fidati di me, Roy.”
“Grazie, signore – tese la mano verso il capitano – sul serio, lei non sa quanto sia importante quest’amicizia per me.”
“Figurati, ragazzino. Siete un bel gruppo di furfanti, ma dovete ancora trovare un equilibrio interno.”
“Sono ottimista.”
“Perfetto. Adesso, per la seconda volta in una giornata, verrò meno al mio dovere di poliziotto e ti lascerò andare senza alcuna ramanzina… ma che non si ripeta più nulla di simile.”
“La prossima volta eviterò accuratamente il commissariato, stia tranquillo.”
Spavaldo, il ragazzo, non c’era che dire.
Ma Vincent non poté far a meno di arruffargli i capelli con aria divertita.
 
Roy attendeva con ansia che la campanella di fine scuola suonasse: sembrava che il tempo non dovesse scorrere mai ed era stressante dover restare tra quella macchia di cespugli. Adesso che aveva risolto la questione con il capitano Falman non gli restava che recuperare l’amicizia con Vato.
Quello che gli era venuto in mente non era molto dignitoso, a dire il vero, ma forse la cosa migliore in quel momento era evitare la serietà, ce n’era stata anche troppa ieri pomeriggio. Uno dei problemi di Vato era che prendeva tutto troppo sul serio e dunque era necessario fargli fare un po’ di sano divertimento.
Non ci posso credere… io, Roy Mustang, che sto per chiedere agli altri di fare tutta questa follia.
Era davvero incredibile a cosa potesse spingere l’amicizia.
Sperava solo che gli altri, specie Jean ed Heymans, non facessero troppe opposizioni.
Era così preoccupato che non si rendeva nemmeno conto che stavano per agire come un gruppo compatto per aiutare uno di loro.
Finalmente la campana di fine lezione suonò ed il ragazzo si acquattò maggiormente tra i cespugli, per evitare di essere visto da qualche insegnante. Allo stesso tempo il suo piano richiedeva davvero grande sincrono e prontezza perché le persone con cui doveva parlare prendevano direzioni diametralmente opposte appena uscite dal cortile.
Ma questa volta la fortuna fu dalla sua parte, perché tutti e quattro uscirono contemporaneamente.
“E ringrazia ancora tuo padre da parte mia – disse Riza rivolta a Kain – quell’otto e mezza in trigonometria è tutto merito suo.”
“Va bene, Riza, ne sarà molto felice.”
“Io in trigonometria mi accontento anche di un sei, fidati.”
“La tua ultima interrogazione è stata uno spettacolo. Il professore stava per ammazzarti quando hai sbagliato la formula.”
“Certo che tu potevi anche suggerire…”
“Non avrei potuto, anche perché mi teneva d’occhio: sa bene che sono il tuo suggeritore. Comunque ci vediamo stasera alle tre e mezza? Così scegliamo il regalo e poi andiamo da Vato.”
“Va bene, davanti a casa di Riza…”
“Ehi – esclamò Roy, uscendo dal suo nascondiglio approfittando di quel momento d’insieme – fermi tutti quanti ho bisogno di voi.”
“Roy! Ma che ti salta in mente? – esclamò Riza andandogli incontro – Se ti vedono i tuoi insegnanti sei nei guai.”
“Appunto… venite tutti e quattro con me, dietro i cespugli, vi devo parlare.”
“E di cosa?” chiese Heymans.
“A proposito di Vato e della sua festa di compleanno.”
“Ah, allora vieni – disse felice Riza – hai fatto pace con Vato? Elisa mi ha raccontato del litigio.”
“Diciamo che mi servite proprio per fare pace con lui. Forza, venite.”
“E io che faccio?” chiese Janet, capendo di non essere stata inclusa.
Roy la fissò: non si era minimamente accorto che c’era anche lei, ma un’idea gli venne in mente.
“Vieni anche tu, mi servi.”
 
“Ti prego, mamma, non potevi pretendere che restassi in pigiama.”
“Al minimo segno di stanchezza però avvisami, va bene?” disse Rosie, sistemandogli il colletto che usciva dal maglione.
“E’ da due giorni ormai che non ho febbre, tranquilla.”
“Va bene, va bene… scusa tanto se mi preoccupo. Piccolo diciassettenne.”
Vato arrossì a quell’ultima canzonatura e sperò che non venisse ritirata fuori troppo spesso durante la festa: era tutta la mattina che sua madre lo coccolava in questo modo.
“Fiocco di neve, non mi sembra vero che la mattina di diciassette anni fa ti prendevo tra le braccia… eri così piccolo e dolce. E guardati adesso…”
 Per levarsi questi pensieri imbarazzanti, andò al tavolo del salotto e guardò con curiosità il rinfresco per i suoi amici e si sorprese a pensare che era la prima volta che invitava altri ragazzi a casa per il suo compleanno. Scoprì di essere parecchio emozionato e ansioso di vederli arrivare, anche se una piccola parte di lui aveva paura che non venissero: sicuramente avevano saputo del suo litigio con Roy e forse, per solidarietà nei suoi confronti, avevano deciso di dargli una simile lezione.
Oh dai, no… per lo meno non Kain. Dannazione a me, perché sono stato così rigido?
Quella mattina sarebbe addirittura voluto andare a scuola per chiarire con Roy, ma sua madre era stata categorica nel proibirgli l’uscita.
Come bussarono alla porta guardò l’orologio sulla pendola: le quattro meno un quarto.
Oh beh, almeno lei è venuta. Per un attimo ho pensato che fosse arrabbiata a tal punto…
“Questa è Elisa, mamma, vado io.”
Sì, doveva andare per forza lui: voleva chiarire immediatamente quel litigio che avevano avuto la sera prima. Aprì la porta e la vide con il cappotto semiaperto che faceva intravedere l’abito verde chiaro che indossava, in perfetto tono con uno dei nastri che le aveva regalato.
“Ehi, festeggiato – sorrise lei, tenendo tra le mani un grosso pacco – qui c’è una torta salata fatta da me e mia madre, mi aiuti?”
“Dammi pure – annuì prendendo l’ingombro – entra, dai… aspetta qui che lo porto in cucina, così ci pensa mia mamma.”
Come tornò, vide che la ragazza si era levata il cappotto e si stava sistemando meglio i morbidi capelli castani.
“Ho posato il tuo regalo sul tavolo, è in quella bus…mh!”
La frase fu interrotta dal bacio che Vato le diede, mentre l’abbracciava con foga.
“Ehi, festeggiato – mormorò, dopo qualche secondo – che hai?”
“Ieri ti ho fatta piangere, vero?”
“Non era nulla, suvvia.” sorrise lei, ma si capiva che era felice di quel chiarimento.
“Avevi ragione nel dire che sono il più grande idiota dell’universo…”
“Ti amo, idiota, lo sai?”
Oh, se lo sapeva. Ed era così meraviglioso baciarla e sentire che si abbandonava a lui, ricambiando l’abbraccio. Le sue mani erano fantastiche nell’accarezzargli i capelli ed il suo profumo così inebriante che…
“Ragazzi, capisco che finché stava male Vato avete evitato simili effusioni, ma suvvia…”
“Mamma!” arrossì lui, staccandosi.
“Buonasera, signora.” salutò Elisa, con una risatina imbarazzata.
“Ciao, Elisa. Che dici, mi dai una mano con le ultime cose in cucina?”
“Molto volentieri. E tu, festeggiato, apri il tuo regalo e poi dimmi se ti piace.”
Con un sospiro, mentre vedeva la sua ragazza scomparire in cucina, intrappolata da sua madre, Vato prese il pacco e lo scartò con curiosità; almeno con Elisa la pace era fatta: che dolce, gli aveva fatto anche un regalo, anche se per il suo comportamento degli ultimi giorni non se lo sarebbe meritato e…
Quando capì che cos’era gli si mozzò il fiato:
“Eli! – corse in cucina tenendo quella meraviglia tra le mani – l’edizione completa della storia di Amestris… quella con le appendici!”
“E’ arrivata proprio ieri con il treno: avevo timore che non ce l’avrebbe fatta nonostante avessi chiesto a mio nonno di ordinarla più di due settimane fa. Eh, hai visto la tua ragazza che si ricorda di quanto ci sospiravi per quelle appendici mancanti?”
“Eli, sei meravigliosa – esclamò posando quei due grossi volumi sul tavolo e prendendo la ragazza tra le braccia – sei la ragazza migliore che potessi mai desiderare e… scusa mamma, noi torniamo in salone, eh?”
“Va bene, tanto qui abbiamo praticamente fatto.” rise Rosie, vedendo l’entusiasmo del figlio e lieta di vederlo finalmente sorridere di nuovo.
Però il proposito di ringraziamento che Vato aveva intenzione di proseguire fu interrotto dal campanello che suonava. Si scambiò un’occhiata con Elisa e si mosse verso la porta.
Allora qualcuno di loro è venuto.
Come l’uscio si aprì fu sorpreso nel trovarsi davanti Roy.
“Roy! Ecco io…”
“Zitto! – esclamò il ragazzo spintonandolo all’indietro – adesso tu ti siedi e mi ascolti per bene.”
E con un ultima spinta lo fece cadere sopra il divano, mettendosi poi davanti a lui a braccia conserte.
“Il mio amico Vato Falman – iniziò – crede che io non lo ascolti mai e non gli dia importanza, ma in questa sede io, Roy Mustang, intendo dimostrare che non è assolutamente vero: lo conosco meglio di quanto pensi. Si accomodi pure, signorina Elisa, lei sarà gradita testimone di tutto questo.”
“Ma che hai in mente?” rise la ragazza, capendo che Roy aveva tutta l’intenzione di dare spettacolo.
“Sai di che parla?” le chiese Vato.
“Assolutamente no.”
“La prima volta che Vato Falman mi ha concesso l’onore della parola è stato per illuminare me ed altri poveri sventurati su come formare un gruppo… la prima testimonianza può entrare.”
E dopo qualche secondo arrivò Jean che, senza salutare nemmeno, si mise seduto al tavolo e guardando Elisa e Vato iniziò.
“Beh, sapete, per fare un gruppo è necessario un progetto a lungo termine… come dice il grande antropallogo TaldeiTali, è ovvio che grazie alla mia grande sapienza tutti voi scoprirete la bellezza delle materie sconosciute, non sia mai… oh, Jean Havoc, ma perché non vuoi capire? Eppure è tutto scritto nei libri!”
“Ma non è vero! – scoppiò a ridere Vato – Non ho mai fatto quella faccia! E si dice antropologo.”
“Chi sei tu? Orrida copia di me stesso! Cosa credi che non mi accorga che sei solo un falso? Lasciami parlare delle mie grandi materie… bla bla bla!”
“Dopo questo primo illuminante incontro – continuò Roy, recuperando l’attenzione dei due fidanzati, mentre anche Rosie entrava in salotto e si fermava ad osservare quello strano spettacolo – il mio grande uomo di pensiero mi ha fatto l’onore di invitarmi nel suo regno a farmi scoprire le meraviglie dei giochi di strategia… e credetemi, signori, conosce tutte le regole a memoria.”
Strizzò l’occhio ad Elisa e proprio in quel momento entrò Heymans con un grosso foglio di carta arrotolato sotto il braccio. Si portò davanti al divano e lo svolse nel pavimento, mostrando una mappa del Risiko disegnata frettolosamente con le matite colorate.
“Devo spiegare a tutti voi, poveri ignoranti, la regola scritta in piccolo piccolo piccolo nell’ultima pagina delle istruzioni… capite bene, è chiaro che non si può mettere il segnalino in un posto dove c’è già un altro avversario.”
“No, non è vero! – protestò ancora Vato – Abbiamo visto che quella regola non vale perché contraddice le altre… ma come fate a ricordarvi una cosa simile! E’ successo più di un mese fa!”
“Tu, eretico, come osi sostenere che le regole non valgono? Pensi che io, Vato Falman, non abbia passato tutta la notte a leggere le istruzioni del gioco?”
“L’ha fatto davvero: l’ha confessato.” fece Roy, rivolto ad Elisa.
“Sì è vero, ma non ho detto così… Heymans, sei uno scemo. E smettila di imitarmi in quel modo.”
“Ah, questa copia di me stesso. Come può ridere così!”
“Rideresti anche tu se ti vedessi.”
Ad Elisa uscivano le lacrime dagli occhi per le risate.
“Ma aspetta, mia dolce Elisa – fece Roy – sappiamo tutti che desideri ballare con lui… e sappiamo che nonostante la timidezza è un provetto ballerino… è che noi non ce ne siamo accorti, ma al ballo del primo dicembre avete fatto faville tu e lui.”
“Oh, Vato, guarda che bello: tutte queste persone che danzano! – fece Riza, entrando con aria emozionata – ti prego, balliamo pure noi!”
“Arrivo Riza! – esclamò Kain, seguendola – Cioè, Elisa! Ehm, mi concedi l’onore di questo ballo?”
E nonostante il cavaliere avesse le guance rosse e se la ridesse della grossa, cinse le braccia attorno alla vita della sua dama, a dire il vero più alta di lui e insieme iniziarono a girare attorno al tavolo.
“Ah, Ri…Elisa, sei la più bella. Ballerò sempre con te, guarda quanto sono bravo!”
“Oh sì, Vato, sei fantastico… altro che quell’idiota di Roy Mustang. Sempre a voler fare di testa sua.”
“Roy…” mormorò Vato sentendo quell’ultima frase.
“Aspetta – fece lui, mettendogli la mano sulla spalla – c’è un ultima cosa che dobbiamo scoprire di Vato Falman. Però miei signori, e qui vorrei la vostra attenzione, per una volta tanto il nostro eroe si sbagliava. La sua razionalità, la sua scienza, la sua grande mente geniale si dovettero arrendere ad una grande evidenza… e lo scoprì un nefasto giorno, quando venne chiamato ad investigare con i suoi fedeli amici alla stazione di polizia dove uno spettro malefico tormentava la gente.”
“Oh no, cavolo! Il fantasma ci divorerà tutti!” esclamò Kain, spaventato correndo affianco a Roy.
“Recitate le vostre preghiere, è la fine, lo so!” disse Jean in tono melodrammatico mettendosi in ginocchio, mentre Riza gli correva accanto e lo abbracciava con aria terrorizzata.
“E non è un cane! Questa volta è il fantasma!” fece Heymans.
“I fantasmi non esistono!” esclamò Vato, alzandosi in piedi.
“Ah no? – fece Roy con aria cospiratoria – E allora perché siamo tutti qui, comprese le ragazze, e tremiamo di paura? E la porta è ancora aperta…. Ehi, fantasma! Ti prego, mostrati a noi, non tenerci sulle spine!”
Uhhhh uuhhh!
Con quel verso, un fantasma con tanto di sudario bianco entrò nella stanza.
Era effettivamente strano per essere uno spettro: in primis era davvero piccolo di statura e poi sembrava sbandare ed inciampare sul suo stesso lenzuolo.
“Vedi che esiste? E si presenta anche alle quattro di pomeriggio! E’ proprio potente se può fare anche questo… e poi, eh… aspetta fantasma, stai per sbattere contro la poltr…”
“Ahia! Fratellone! Fratellone non ci vedo niente con questa cosa addosso… e poi soffoco!”
Il fantasma era caduto a terra e ora il suo terribile lenzuolo bianco si agitava furiosamente.
“L’avevo detto che non era affidabile come fantasma…” sospirò Jean, andando ad aiutare il particolarissimo spettro, liberandolo dal lenzuolo.
“Non ci vedevo niente!” protestò Janet, scollando la testa come un cucciolo.
“Beh, tralasciando questo piccolo imprevisto – fece Roy con imbarazzo – sappiate tutti che Vato Falman, ma qui mi riferisco a quello vero, è uno dei migliori amici che abbia e anche se i nostri caratteri sono così diversi, e a volte lui è estremamente rigido e compassato, a me importa tantissimo della nostra amicizia. Non è vero che non ti ascolto, Vato, è che ogni tanto non mi rendo conto che dovrei essere meno… stupido ed impulsivo. Allora, amici?”
Tese la mano e Vato la guardò con esitazione, accorgendosi che tutti aspettavano con ansia.
“E dai, Vato! – sospirò Roy con esasperazione – Mi sono reso ridicolo con tutta questa storia, coinvolgendo anche questi poveretti pur di farti tornare il buonumore… dammi almeno la giusta conclusione.”
“Roy Mustang, sei proprio folle.” esclamò Vato alzandosi in piedi e stringendo la mano con calore.
“Dimenticata quella storia?”
“No, è comunque una lezione. E’stata per la maggior parte colpa mia: ti ho caricato di colpe che nemmeno esistevano. Hai ragione nel dire che a volte sono troppo rigido…”
“Oh beh – arrossì lievemente Roy – direi che abbiamo dato abbastanza spettacolo, non credi?”
“Direi proprio di sì – sbuffò Jean – Allora, finita la fase idiota, adesso che ne pensate di festeggiare davvero? Altrimenti giuro che me ne vado per salvare la mia dignità residua.”
“Ma quale dignità – sogghignò Heymans – non ne hai mai avuta.”
“Ah, già – sospirò Roy – scusami ma mi sono permesso di invitare un fantasmino alla festa, ma non credo mangi troppo. Ehi, Janet, ti ricordi di Vato?”
“Auguri di buon compleanno!” sorrise la bambina andando vicino al festeggiato con un pacco in mano.
“Grazie, Janet.” sorrise Vato prendendo il regalo.
“Che fantasma adorabile – disse Elisa, prendendola in braccio – allora, Janet, vogliamo vedere che c’è in tavola?”
“Volentieri, tu sei Elisa, vero?”
Osservando le due che si allontanavano, i due litiganti del giorno prima si osservarono con calma.
“Sei folle, Roy Mustang, lo sapevi?” chiese Vato iniziando a scartare il regalo.
“Compenso te, amico mio, sei troppo razionale. Posso contare su di te per le prossime avventure?”
“Beh, direi proprio di sì, ma non al commissariato di polizia.”
“Promesso… quello che stai scartando è un regalo da parte di tutti noi. Spero che ti piaccia: è un libro un po’ particolare.”
“Non dovevate e…”
Roy nascose un sogghigno quando vide la faccia di Vato che aveva appena finito di scartare il pacco.
Storie di fantasmi? Roy, sei uno scemo!” scoppiò a ridere.
  
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