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Autore: _juliet    01/03/2014    1 recensioni
{Lo Hobbit | post!Battaglia dei Cinque Eserciti | what if? | Durincest}
I Nani scelgono un unico compagno per tutta la vita, restando al suo fianco per sempre. Se si innamorano di chi non possono avere, piuttosto che cercare qualcun altro, preferiscono vivere da soli. Cosa accadrebbe se, nella loro società, l'incesto fosse considerato un tabù punibile con la morte? Come reagirebbe il nuovo Re sotto la Montagna? La legge sarebbe davvero uguale per tutti?
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Fili, Kili, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Incest, Violenza
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 – Capitolo 3 –


Fíli si svegliò con un sussulto, madido di sudore e tremante. Come aveva previsto, la battaglia, il dolore, le perdite tormentavano il suo sonno, riproponendogli in incubi vividi le scene più raccapriccianti cui aveva assistito; culminavano sempre con il ritrovamento del corpo di Kíli, freddo e senza vita. Il giovane Nano inspirò a fondo, cercando di calmare il battito del suo cuore; non era la prima volta che sognava la morte del fratello e non sarebbe stata neanche l'ultima. Dopo tutto, era sempre stata una delle sue paure più grandi.
Fuori dalla tenda, i primi raggi di sole illuminvano il cielo blu scuro; tanto valeva alzarsi ed iniziare una nuova giornata. Con un profondo sospiro, si stiracchiò, sgranchendo i muscoli indolenziti. Era evidente che le sedie non fossero state pensate perché qualcuno vi si addormentasse sopra, ma nella piccola tenda non c'era spazio per un altro letto; avrebbe solo intralciato i guaritori nell'eventualità che Kíli avesse avuto un collasso. Fíli si lamentò, quando le sue articolazioni scricchiolarono in modo sinistro, provocandogli fitte di dolore in tutto il corpo, ma tacque immediatamente, temendo di aver disturbato il fratello.
Aveva vegliato su di lui per cinque giorni, allontandosi dal suo capezzale solo quando era stato strettamente necessario, per lasciare che fosse lavato e che le sue ferite venissero medicate. Thorin l'aveva più volte pregato di distendersi e riposare, di lasciare che i guaritori curassero anche lui, ma Fíli non aveva voluto sentire ragioni: non aveva intenzione separarsi da Kíli, non più. Le ferite erano molto gravi e le complicazioni, anche se non inaspettate, erano state pesanti, per tutti. Voleva esserci, nel momento in cui suo fratello avesse aperto gli occhi. E voleva esserci, nel caso in cui non li avesse aperti più.
Dopo cinque giorni d'inferno, a cui continuava a chiedersi come facesse a sopravvivere, finalmente i rimedi sembravano iniziare ad avere effetto: la febbre era scesa, l'infenzione stava guarendo. Kíli non gemeva e non si agitava più. Era immerso in un sonno profondo; il suo respiro era ancora debole e rauco, ma era regolare. Fíli osservò il suo viso; accarezzò con lo sguardo i lineamenti sottili, da ragazzo, il naso piccolo, l'insulso accenno di barba. Sorrise, ripensando a come gli altri Nani della compagnia si divertissero a farsi beffe di quella creatura testarda, senza curarsi minimamente delle sue reazioni rabbiose. Non era un Nano che potesse incutere timore alla vista, non riusciva ad essere spaventoso come Thorin o Dwalin; ma ciò che gli mancava nel fisico era più che compensato dalle sue abilità.
Il sorriso di Fíli si spense, ricordando le parole di Óin: le lesioni avrebbero avuto delle conseguenze, quando sarebbe guarito; anche in casi meno gravi del suo, le ferite da freccia erano molto insidiose e difficili da curare. Tutto sommato, Kíli era stato fortunato: il dardo aveva perforato un polmone, ma questo non era collassato. Per estrarre la punta conficcata nella carne, Óin aveva dovuto praticare un'incisione per allargare la ferita e poi si era aiutato con le dita. Neanche l'incoscienza e un decotto elfico avevano potuto evitare a Kíli il dolore lancinante. In seguito, un sottile tubo metallico era stato inserito nel suo petto, per permettergli di inspirare ed espirare senza sforzare i polmoni. Grazie agli Dei, l'avevano potuto togliere dopo pochi giorni.
La lesione al palmo era stata pulita e ricucita; veniva medicata più volte al giorno con erbe elfiche e balsami perché si cicatrizzasse e doveva essere avvolta in uno stretto bendaggio, per evitare che eventuali movimenti della mano la riaprissero. Anche in quel caso, sia Óin che gli Elfi erano stati molto chiari: la ferita era seria e non era dato sapere se e in quanto tempo Kíli avrebbe riacquistato l'uso dell'arto. Il destro; la mano con cui reggeva la spada e scoccava le sue frecce.
Quando si sveglierà, non sarà facile dirglielo. Fíli sapeva che il compito di comunicare la brutta notizia sarebbe stato affidato a lui. Fin da quando erano bambini, era sempre l'unico in grado di arginare la rabbia di Kíli, quando la rivolgeva contro se stesso. E sapeva anche che suo fratello si sarebbe sentito inservibile e si sarebbe odiato, per questo. Inoltre, negli ultimi giorni, Thorin si era fatto vedere raramente, e solo per cercare di convincerlo ad unirsi a lui nelle riunioni con le delegazioni delle altre razze. Aveva creduto che il re non riuscisse a sopportare la vista di suo nipote pallido e inerme, e che preferisse il distacco; ma non riusciva a dimenticare che, se non fosse stato per la sua insistenza e avesse scelto di dare retta a Thorin, Kíli sarebbe rimasto sepolto sotto una montagna di cadaveri e fango. Cercando di scacciare quei pensieri, Fíli osservò il suo corpo, in cerca di cambiamenti; le bende intorno al suo addome si stavano macchiando, dovevano essere cambiate. Sfiorò il tessuto, delicatamente, domandandosi per quanti giorni ancora le ferite avrebbero sanguinato.
In quel momento, Kíli si agitò nel sonno, facendolo sobbalzare e indietreggiare di scatto. Pieno di emozioni contrastanti, osservò il viso pallido, in cerca di segnali di risveglio o di un collasso, ma non vide alcun cambiamento nella sua espressione. Espirò, rendendosi conto che stava trattenendo il fiato, e decise che sarebbe uscito. Avrebbe preso una boccata d'aria, fatto una colazione veloce e avrebbe mandato un guaritore a sorvegliare il fratello.
Un mugolio soffocato lo pietrificò sulla soglia della tenda. Smise di respirare, tentando di contenere il torrente di emozioni che si era risvegliato in lui e si stava accumulando nei suoi occhi, minacciando di strabordare. In silenzio, tornò verso la sedia di legno che era stata il suo giaciglio in quei giorni e si accomodò, chiedendosi quale posa avrebbe dovuto adottare. Avrebbe dovuto sedere compostamente? Oppure svogliatamente, con l'aria spavalda di qualcuno che si trovava lì per caso? Il suo flusso di pensieri fu bruscamente interrotto dal leggero fremere delle palpebre di Kíli.
Inizialmente, i suoi occhi castani si colmarono di terrore. Era comprensibile, dopo tutto era stato incosciente per cinque giorni e, nel migliore dei casi, non ricordava affatto cosa gli fosse accaduto. Sembrava non riconoscere l'ambiente che lo circondava; aggrottò la fronte e si morse le labbra, una reazione che aveva fin da bambino di fronte a qualcosa che non capiva. Ad un tratto, si rese conto di essere disteso e tentò di sollevarsi, facendo leva sulle braccia, ma il dolore lo bloccò e ricadde sul materasso con un gemito.
Fíli osservava la scena, sapendo che avrebbe dovuto intervenire, spiegare, rassicurare; ma non poteva farlo. Kíli si era svegliato, e il mondo si era completamente fermato per assistere alla scena. Non poteva intromettersi fra lui e il suo ritorno alla vita; fare in modo che si accorgesse della sua presenza sarebbe stato un crimine. Non riuscì a fare a meno di sorridere e rimase immobile a guardare lui, che non lo guardava. Anche quando il ferito voltò il viso verso di lui, non disse nulla e si limitò a restituire lo sguardo.
Kíli lo fissò a lungo, poi alzò il capo per osservare nuovamente il suo corpo, le sue mani fasciate, la pietra runica appoggiata accanto al letto. Il terrore scurì i suoi occhi, mentre cercava di gonfiare la cassa toracica per respirare più profondamente, e gli sfuggì un lamento. Quando ritentò e ottenne lo stesso risultato, il suo sguardo tornò a posarsi su Fíli, allarmato.
«Respira piano» lo avvertì il maggiore.
Il fratello annuì, tentando di accontentarsi di brevi respiri spezzati. Una volta che il suo corpo fu soddisfatto del quantitativo d'aria che gli era stato dato, il terrore nel suo sguardo si sciolse e la sua bocca martoriata si piegò in una smorfia simile a un sorriso. Dopo qualche istante, si permise di parlare. «Abbiamo entrambi un aspetto orribile» commentò, con voce roca.
Fíli avvicinò lentamente la sedia al letto, chinandosi e appoggiando i gomiti sulle cosce. «Come ti senti?»
«Per quanto tempo ho dormito?» chiese Kíli, ignorando la domanda, respirando piano.
«È la mattina del sesto giorno.»
I suoi occhi si riempirono nuovamente di terrore. «Da quanto tempo non dormi?»
Fíli sospirò, lasciandosi sfuggire un lamento esasperato. Preoccuparsi per gli altri era tipico di lui. Non importava quanto stesse male, avrebbe sempre trovato il modo di interessarsi a chi aveva intorno.
«Da un po'» confessò. Si avvicinò e si sedette con attenzione sul letto, cercando di non muoversi troppo. Mise una mano dietro la schiena del fratello, con l'intento di aiutarlo a sedersi, ma lui gli lanciò un'occhiataccia. «Ce la faccio da solo!» esclamò.
Non riusciva a suonare minaccioso neanche in condizioni normali; figurarsi quanta paura poteva incutere sdraiato in un letto, coperto di bende e con la bocca impastata. Tuttavia, Fíli ritrasse le mani e lo lasciò fare, consapevole di quanto fosse orgoglioso; non avrebbe accettato alcun aiuto finché non si fosse reso conto di averne realmente bisogno.
Kíli appoggiò il peso sulle braccia e cercò nuovamente di issarsi, respirando lentamente; ma, anche questa volta, il dolore fu troppo forte, e ricadde sul materasso, tossendo. L'attacco si protrasse per qualche attimo, scuotendo il corpo ferito in spasmi dolorosi. Kíli guardò il fratello, in cerca d'aiuto, e il maggiore si chinò su di lui, prendendo le mani bendate e appoggiandole sulla sua cassa toracica. «Piano» disse. «Devi respirare piano. Senti come faccio io?»
Kíli annuì, con le lacrime agli occhi, cercando di calmarsi e concentrarsi su inspirazione ed espirazione, nascondendo con le mani il rossore che gli colorava il viso. Lui più di tutti non tollerava di dipendere dagli altri. La sua riabilitazione sarebbe stata lunga e complicata soprattutto a causa della sua testardaggine e del suo inutile orgoglio. Continuò a fissarlo con aria di sfida, ma non protestò, quando il maggiore lo aiutò a sollevarsi e posizionò i cuscini dietro la sua schiena, in modo da farlo stare seduto senza troppi sforzi.
«Devi fare molto piano» si raccomandò Fíli. «Hai un polmone bucato, fratellino.»
Gli rimase accanto a lungo, accarezzandogli i capelli, mormorando parole d'incoraggiamento e vecchie canzoni, fino a quando fu sicuro che avesse imparato come respirare senza strozzarsi. Kíli era sprofondato nei cuscini e si era appisolato; se la sua posizione non fosse stata diversa da quella che aveva avuto nei cinque giorni precedenti, Fíli avrebbe potuto giurare che non si fosse mai risvegliato. Cercando di non fare rumore, si alzò e si diresse verso l'ingresso della tenda. Stava per uscire, quando si sentì richiamare.
«Dove vai?» sussurrò Kíli, allarmato. «Non lasciarmi da solo.»
«Devo andare a chiamare Óin, per dirgli che ti sei svegliato. E bisogna cambiare le tue bende. Non preoccuparti, starò via pochissimo.»
«Ti prego, non lasciarmi» ripeté Kíli, alzando la voce. «Ti prego.»
Fíli tergiversò per qualche momento sulla soglia della tenda, diviso fra la necessità di avvertire gli altri e il desiderio irrazionale di avere suo fratello unicamente per sé. L'amore rende egoisti, pensò, sorridendo fra sé e sé. Infine, sospirò e tornò a lasciarsi cadere sulla sedia, alzando le braccia e mostrandogli i palmi delle mani. «Resto» gli concesse, simulando un'espressione rassegnata.
«Vieni più vicino» disse il più giovane, indicando con un cenno della testa lo spazio sul letto, accanto a lui.
Fíli scivolò accanto al fratello e gli circondò le spalle con un braccio; un gesto silenzioso, che li avrebbe confortati entrambi senza compromettere la loro dignità né destare attenzione in eventuali visitatori. Con sua grande sorpresa, Kíli si girò e affondò il viso nel suo petto. Fíli rimase immobile per qualche attimo, scioccato dal gesto; era spesso accaduto che si abbracciassero in quel modo, da bambini. Ma mai in anni recenti. Quando sentì il fratello tremare, ogni sua indecisione crollò, e lo strinse fra le sue braccia.
«Kíli» sussurrò, affondando le dita fra i capelli scuri. «Ho avuto paura, Kíli. Ho avuto paura.»
Nonostante i suoi migliori sforzi, la voce gli si ruppe nel mezzo della frase, mentre la consapevolezza di quanto era accaduto gli precipitava addosso. Si rese conto che erano vivi per casualità, e sentì il suo petto gonfiarsi di lacrime; ma le ricacciò indietro, rifiutandosi di piangere. Agguantò la coperta con una mano e la distese sopra entrambi, sperando di riuscire a scaldarlo. Per quanto le sue ferite gli permettessero, Kíli si rannicchiò contro il suo fianco e, presto, il suo respirò rallentò fino a raggiungere un ritmo regolare.
Fíli appoggiò la guancia sulla testa del fratello e, per la prima volta da quando l'aveva perso di vista durante la battaglia, riuscì a respirare. Il groppo che gli annodava le viscere si era sciolto, il profondo malessere che l'aveva tormentato e aveva guidato le sue azioni si era dissolto; il turbamento si era quietato, concentrandosi in un'unica emozione. Un'emozione che si accese, rassicurante e terribile, quando, dietro al puzzo di sudore e al fetore della ferita, Fíli riconobbe l'odore di Kíli. Un'emozione familiare che, si rese conto, provava da sempre, nei confronti di suo fratello.
Era consapevole delle leggi e delle tradizioni del loro popolo e, per questo motivo, non aveva mai osato dare un nome a ciò che provava; ma gli ultimi giorni gli avevano fatto cambiare idea su molte cose.
Il Profanatore che incombeva su Kíli; Kíli immobile, disteso nel fango e nel suo stesso sangue; Kíli scosso da convulsioni, l'infezione che non guariva, le sue urla spezzate; Kíli che non respirava più e Óin che cercava di rianimarlo, mentre delle braccia forti trattenevano Fíli lontano... il peso degli eventi lo schiacciò, minacciando di riannodare le sue viscere in una stretta mortale. Per calmarsi, aspirò forte l'odore di Kíli, necessario per lui quanto l'aria che respirava. E disse la verità. Disse «Io non posso esistere, senza di te.»
 

***


Quando gli parve di essersi goduto abbastanza il segreto del risveglio del fratello, Fíli si alzò dal letto con attenzione e andò a cercare Óin e i guaritori elfici. Spostò il lembo di tessuto ed uscì, senza vedere gli occhi di Kíli spalancarsi di scatto e seguirlo fuori dalla tenda.

 

 

 

  
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