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Autore: Laylath    02/03/2014    2 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 33. Piena del fiume.

 

“E’ la problematica di posti come questo – dichiarò Vincent – bastano piogge più intense e può accadere una catastrofe. E ovviamente siamo isolati: fin quando c’era una miniera al governo importava qualcosa del paese, ma adesso dobbiamo risolvere tutto da soli.”
“Non dubito che nelle sue mani andrà tutto bene, capitano – fece Madame Christmas – e stia tranquillo, io e le ragazze andremo al capannone come ci ha chiesto: ci sarà bisogno di una mano tra feriti, affamati e quanto altro.”
“Se vi creano problemi…”
“Non lo faranno, stia tranquillo. Sarà anche un paese di gente chiusa, ma non avranno il coraggio di rifiutare il nostro aiuto. Ehi, Roy – boy, hai sentito? Preparati che andiamo al capannone.”
“Capitano Falman, io voglio venire ad aiutare con gli altri uomini – esclamò il ragazzo, finendo di scendere le scale e allacciandosi l’impermeabile – sono grande e posso fare la mia parte.”
Vincent e Madame lo fissarono con perplessità, ma dopo qualche istante il capitano annuì.
“Vieni pure con me, ma non ti azzardare a prendere iniziative, sono stato chiaro?”
“Sicuro, capitano?” chiese la donna.
“Sì; andiamo Roy, devo organizzare ancora un sacco di cose e mancano poche ore alla piena.”
Il ragazzo sorrise soddisfatto e si affrettò a seguire il capitano fuori dal locale, cercando di non fare caso alla pioggia battente e alle persone che sciamavano nella strada principale. Ovviamente voleva tenere una facciata di sicurezza davanti al poliziotto, ma in cuor suo provava una sincera paura per quanto sarebbe successo nelle prossime ore. Tuttavia non aveva nessuna intenzione di restare nel capannone con donne e bambini: avrebbe fatto la sua parte.
“Papà, è arrivato l’ingegner Fury con sua moglie e Kain – avvisò Vato, raggiungendoli – tutte le famiglie che abitano fuori paese sono riunite nel capannone: ho controllato personalmente dall’elenco che mi hai dato.”
“Ottimo: allora vado a parlare subito con lui. Roy, tu e Vato andate verso la seconda linea di argine che si sta preparando, vi raggiungo tra poco.”
“Signorsì!” esclamarono in coro i ragazzi, scattando sull’attenti.
Come l’uomo si allontanò si scambiarono un’occhiata eloquente e iniziarono a correre verso la loro destinazione: a questo giro erano dalla parte degli adulti.
 
“Allora, tu e Kain state al sicuro qui – disse Andrew – prendetevi cura uno dell’altro e state tranquilli.”
“Papà…” il bambino balbettò, aggrappandosi a lui, impaurito di trovarsi in una situazione simile: non si ricordava un’emergenza tale da anni e vedere tutta quella gente che si muoveva con ansia nel capannone gli faceva capire che c’era il rischio che molti si facessero male o peggio.
Adesso non era disposto a lasciar andare il padre: voleva che restasse con loro, al sicuro.
“Ehi, piccolo ometto – sussurrò Andrew abbracciandolo – fatti forza. Andrà tutto bene e…”
“Kain! – esclamò una vocetta e dopo qualche secondo Janet si aggrappò al bambino – Kain, allora ci sei anche tu! Che bello! Avevo paura che io e la mamma restassimo sole qui… papà e Jean sono andati ad aiutare ed io mi stavo spaventando.”
“Janet! Janet non scappare via in questo modo – disse Angela raggiungendola – oh, ecco perché. Aveva visto voi, che sollievo sapere che siete qui.”
“Splendido – annuì Andrew, felice di sapere la sua famiglia insieme a qualcun altro – adesso va decisamente meglio. Ecco il capitano Falman: io vado… tranquilla Ellie, fidati di me. Kain, mi raccomando, fai il bravo.”
Mentre Janet si aggrappava a Kain ed Ellie aiutava Angela a sistemare la roba che aveva portato con sé, Andrew iniziò ad incamminarsi verso Vincent che gli aveva già fatto ampi gesti di raggiungerlo.
“Come procede?” chiese.
“Tra ieri e stamattina abbiamo fatto una prima linea di sacchi di sabbia lunga almeno un chilometro: la stiamo tutt’ora rinforzando in modo che regga il più possibile l’impatto. Ne stiamo facendo anche una seconda, ma ho i miei dubbi che la finiremo prima della piena. Confidiamo tutti nei tuoi lavori fatti in questi mesi, Andrew: se contengono parte dell’ondata sarà già una grande cosa.”
A quelle parole che tradivano una certa preoccupazione, Andrew sentì tutta la responsabilità che gravava su di lui: fu una sensazione tremendamente spiacevole. Non si sarebbe mai aspettato che il paese un giorno potesse dipendere così tanto da quei lavori.
In genere per una piena la preoccupazione è salvare i campi: che arrivasse a minacciare direttamente il paese non l’avrei mai pensato.
Tuttavia cacciò immediatamente indietro quelle paure: conosceva ogni centimetro dell’opera che aveva costruito in tutto quel tempo. Ripensò a quei calcoli, quelle ore passate chino sui progetti… non poteva aver sbagliato, ne era certo.
Devo farcela… devo assolutamente arginare quella maledetta piena.
 
“Forza, Jean, scendi dal carro ed iniziamo a scaricare i sacchi.” esclamò James, come arrivarono alla linea del secondo argine.
Il ragazzo annuì, scostandosi il cappuccio dell’impermeabile e scendendo con un agile balzo dal carro. Era la prima volta che partecipava attivamente a simili emergenze ed era deciso a dare il meglio di sé: non aveva avuto alcuna esitazione nel salire di nuovo nel carro, dopo che aveva aiutato sua madre e Janet e scendere davanti al capannone e James non aveva obiettato.
Cerca solo di tornare intero per non far preoccupare troppo tua madre.
Era stato questo l’unico commento che aveva fatto l’uomo e Jean era pronto a seguire quel consiglio.
Lanciò un’occhiata al fiume a solo una ventina di metri da lui e si accorse di provare un timore reverenziale per quella dimostrazione di forza da parte della natura. Quella corrente, quella massa d’acqua così scura e rombante il cui rumore sovrastava persino i tuoni, avrebbe ucciso una persona nell’arco di pochi secondi. Sapere che tutto quello che separava il paese da quel pericolo mortale era meno di un chilometro e due linee di sacchi di sabbia non lo rassicurava per niente.
“Ehi, Jean!” esclamarono Vato e Roy raggiungendolo.
Vedendoli, sorrise di sollievo: sapere che anche loro erano lì gli diede una nuova e strana forma di coraggio.
“Datemi una mano, forza – disse loro, porgendo il primo sacco – più ne sistemiamo più abbiamo possibilità di farcela.”
Roy e Vato lo afferrarono e subito le loro braccia si tesero per quanto era pesante, senza contare che la pioggia insistente aveva inzuppato la sabbia rendendola ancora più greve: erano almeno venticinque chili.
Una smorfia di dolore apparve sul viso scavato di Vato quando la recente bruciatura venne schiacciata da quel peso, ma non emise lamento e cercò con lo sguardo il suo compagno:
“Al mio tre si solleva – disse Roy a denti stretti, facendo un cenno d’intesa – uno… due…tre!”
Jean vide con soddisfazione il sacco che si alzava da terra, mentre i due iniziavano a trasportarlo verso il gruppo di persone che li stava disponendo: certo, l’andatura era un po’ barcollante, ma per esperienza sapeva che in poco tempo si trovava il ritmo giusto.
Un altro piccolo mattone… anche questo può fare la differenza.
“E adesso tocca a me!” esclamò prendendone uno da solo e caricandoselo sulle spalle.
Non avrebbe ceduto fino alla fine di quella maledetta piena.
 
“Mamma, prendi Henry e vai al capannone – disse Heymans – io raggiungo il capitano Falman e gli altri: c’è bisogno di tutto l’aiuto possibile.”
A quella dichiarazione così improvvisa e decisa, Gregor alzò lo sguardo sul suo primogenito e lo squadrò con attenzione. Se ne stava lì, finendo di sistemarsi l’impermeabile, con il viso risoluto e nessuna paura.
“Amore, sei sicuro di voler andare? E’ pericoloso.” fece Laura, andandogli incontro e posandogli le mani sulle spalle con preoccupazione.
“Tranquilla: ho parlato con Vato, questa mattina, e anche lui e gli altri sono lì ad aiutare. C’è bisogno di tutta la gente possibile per quei sacchi di sabbia che formeranno le linee di protezione.”
“E l’opinione di tuo padre non la chiedi nemmeno?” fece Gregor intromettendosi in quella discussione.
Non gli piaceva assolutamente l’atteggiamento che stava assumendo Heymans da qualche tempo a questa parte: stava iniziando ad alzare troppo la cresta e ad avere un’influenza troppo forte su Laura, proprio come l’aveva avuta quel maledetto di suo zio.
Il ragazzo spostò gli occhi grigi su di lui e lo fissò con un misto di rabbia e freddezza.
“Gli uomini devono andare al fiume ad aiutare, così è stato detto: – disse – che altro c’è da chiedere?”
“Il fiume non esonderà, e anche se fosse ieri è stata già fatta una prima linea di sacchi: resta a casa, ragazzino. Nel caso andrò io a dare un’occhiata.”
“C’è tutto il paese mobilitato – sibilò Heymans, sentendo una grande rabbia dentro di lui di fronte a quest’indifferenza – ci sono i miei amici, le persone a cui voglio bene. Non volterò loro le spalle… mamma, sul serio, vorrei che andassi al capannone. Lì potrebbero aver bisogno di una mano e poi sicuramente ci sarà anche la madre di Jean: tu ed Henry starete bene.”
Laura fissò con dolcezza il primogenito, rendendosi conto di quanto fosse uguale ad Henry: anche se aveva quattordici anni non si stava tirando indietro. La cosa migliore da fare sarebbe stato proibirgli una simile impresa, ma si accorse che non l’avrebbe mai potuto fermare.
E poi non sarà da solo: sicuramente ci sarà anche Andrew e di sicuro lo proteggerà lui in caso di pericolo.
Così, gli baciò la fronte e annuì.
“Fai attenzione, amore mio: io ed Henry andremo al capannone per sicurezza, va bene?”
“Grazie, mamma, mi sento molto più tranquillo adesso.” sorrise lui, con lieve sorpresa per aver ottenuto così facilmente la sua approvazione.
“Laura…” iniziò Gregor con voce irata, quando la porta si fu chiusa alle spalle del ragazzo.
“Gregor, adesso no – sospirò la donna, evitando il suo sguardo – quanto ha detto Heymans è la cosa migliore da fare. Conosco quel fiume e anche se sembra che non debba succedere mai, diverse volte è arrivato in paese: andare al capannone è la cosa più sicura perché si trova dall’altra parte rispetto alla sponda. Se vuoi venire…”
“No – scosse il capo lui – vado a dare una mano con quei cazzo di sacchi. Dato che ti piace così tanto che tuo figlio faccia l’eroe per niente…”
E senza nemmeno prendere l’impermeabile uscì da casa: non avrebbe permesso ad un moccioso di quattordici anni di fare l’eroe in quel modo.
 
“Riza!” esclamò Roy all’improvviso, lasciando cadere il sacco.
“Che?” chiese Vato, vacillando sotto quel cedimento.
“Devo sincerarmi che lei stia bene: le devo dire di andare al capannone…”
“Tutta la popolazione è stata avvisata – obiettò lui, approfittando di quel momento per scostarsi alcune ciocche bagnate dalla fronte – anche suo padre lo sa, ne sono certo.”
“Suo padre… ma sì, suo padre! – si illuminò il moro – Potrebbe darci una mano! Tu continua qui,Vato: io torno tra un quarto d’ora al massimo!”
Senza aspettare una risposta dall’amico, iniziò a correre in direzione del paese: ma certo, come aveva fatto a non pensarci prima? Berthold Hawkeye era un alchimista: avrebbe potuto aiutarli tantissimo con la sua arte. Una volta aveva sentito di come l’alchimia era in grado di creare muri e barriere, manipolare gli elementi per poter far loro quello che si voleva.
Può creare una barriera senza nessuna difficoltà! Può rinforzare l’argine come vuole!
Ansante per la corsa e per la fatica dei precedenti sforzi, arrivò a casa dell’amica e non perse nemmeno tempo a bussare: aprì la porta e chiamò.
“Riza!”
Subito un abbaiare lo accolse e Black Hayate arrivò prontamente saltellando allegro attorno alle sue gambe.
“Roy!” esclamò la ragazza, apparendo il fondo al corridoio.
“Eccoti qua – sorrise lui – andiamo, portami da tuo padre, dobbiamo fare in fretta.”
“Mio padre? – sbiancò lei – ma che dici? Non possiamo…”
“Ma sì, la sua alchimia aiuterà il paese con questa piena. E poi tu dovresti andare al capannone con tutti gli altri, non è bene che resti sola a casa – continuò lui, tirandola per la manica – la vuoi smettere di esitare in questo modo? Ma che hai?”
“Roy, dubito che mio padre voglia andare ad aiutare…” mormorò lei, ansiosa mentre arrivavano davanti alla porta dello studio dell’uomo.
“Che? – la guardò lui, stranito – Ma è un’emergenza. Se hai paura di lui, stai tranquilla… resta qui. Entro dentro io.”
E senza attendere risposta, senza nemmeno bussare, aprì la porta dello studio di Berthold Hawkeye.
La prima impressione fu di trovarsi in una bolla senza tempo: come se il temporale che imperversava fuori evitasse di colpire quella particolare stanza. Tutti quei libri, quella polvere, quella penombra lo avvolsero come mai era successo: adesso capiva che cosa era veramente in tono con la villetta. Riza aveva solo salvato un angolino per sé e la sua vita, il resto era tutto sotto il dominio di Berthold Hawkeye… che in quel momento si girava a fissarlo con gli occhi azzurri infossati sul viso scavato.
“Chi saresti?” chiese con voce pesante.
“Sono un amico di sua figlia – disse Roy con esitazione, iniziando a capire il disagio di Riza davanti a quella figura paterna – e volevo chiederle di venire a dare una mano…”
“Non vedo perché dovrei.” dichiarò semplicemente lui, tornando a fissare i suoi fogli.
“Come? – chiese il ragazzo, mentre una piccola pozzanghera iniziava a formarsi sotto di lui – c’è il rischio di un’esondazione del fiume. La sua alchimia potrebbe salvare le persone e…”
“La mia alchimia, eh? – gli occhi azzurri tornarono a fissarsi su di lui – No, ragazzo, davanti a questo tipo di eventi la mia alchimia non serve a niente: l’acqua vince sul fuoco. E non sono pratico di quella solita così tanto… le mie energie si spendono tutte in questa ricerca. Semplicemente, davanti a certe cose l’uomo è destinato a cedere.”
“Ma di che sta parlando? – scosse il capo il ragazzo incredulo al vaneggio di quell’uomo – Cedere? Ci sono delle persone là fuori che non stanno cedendo, anche se non sono alchimisti. Ci stiamo ammazzando di fatica per salvare il paese… che senso ha l’alchimia se non si usa per aiutare le persone?”
“Aiutare le persone? Ah, come sei idealista, ragazzo, – la risata fece rabbrividire Roy – i tuoi occhi non hanno ancora visto gli orrori di questa vita. No, non funziona come credi tu: aiuta il mondo ed esso ti sbatterà la porta in faccia quando avrai bisogno di lui. Non fidarti delle persone, non ne vale la pena.”
“E’ una bugia!” esclamò con rabbia Roy, pensando a Jean e Vato che si stavano ammazzando di fatica sotto quella pioggia torrenziale.
“Lo credi davvero? – gli sorrise lui gelidamente – Allora non hai bisogno dell’alchimia per dare il tuo aiuto alle persone. Ma quando sbatterai il viso contro la dura crudeltà del mondo non lamentarti, ricordati questo mio avviso.”
Fu uno strano congedo, ma Roy sentì l’ira montargli dentro. Era dunque questa l’alchimia? Qualcosa che restava imprigionata nell’egoismo delle ricerche di chi l’aveva creata? Senza nessuna possibilità di aiutare la gente?
No, è soltanto lui che è un emerito bastardo che pensa solo a se stesso!
Sbatté con furia la porta alle sue spalle e vide che Riza stava poggiata alla parete del corridoio, con lo sguardo basso ed il cagnolino accovacciato ai suoi piedi. Adesso che si soffermava a guardarla con attenzione, si accorse che questi giorni da sola in casa con quell’uomo l’avevano provata davvero tanto: invece di ricevere conforto si era ritrovata senza nessuno con cui sfogare la paura.
“Scusami – mormorò lei, mentre una lacrima le colava sulla guancia pallida – lui è così, non c’è niente da fare. Ho provato a parlarci pure io, ma niente. Prima mi ha detto che se proprio volevo andare al capannone di farlo da sola… mi sento così inutile.”
Roy scosse il capo, capendo benissimo quale senso di impotenza doveva attanagliarla: adesso che aveva conosciuto di persona quell’uomo tutto quello che voleva fare era portare l’amica via di lì per sempre. Aveva tredici anni ed era spaventata da quella furia della natura, eppure il padre non aveva pensato minimamente a lei: persino Black Hayate era stato di maggiore conforto.
“Riza – mormorò, abbracciandola dolcemente – ascolta me, adesso. Lascialo stare: prendi Hayate e vai al capannone, tanto la strada  è ancora sicura. Non aver paura: lì ci sono Kain e sua madre, non sarai da sola: andrà tutto bene.”
Lei si aggrappò disperatamente a quell’abbraccio, continuando a mormorare che le dispiaceva tantissimo, che aveva cercato di convincerlo. Ed era vero: in quelle ultime ventiquattro ore, Riza aveva preso tutto il coraggio possibile per fare più tentativi nei confronti di suo padre, mettendo alla prova tutte le sue difficoltà emotive, ma non era servito a niente. Lei non contava…
“Adesso io devo tornare dagli altri…”
“Roy…” mormorò alzando lo sguardo su di lui.
Per favore, non lasciarmi da sola contro tutto questo.
“Fai quanto ti ho detto: voglio saperti al sicuro, colombina.” sorrise il ragazzo, prima di lasciare delicatamente la presa e correre fuori.
E lei rimase a fissare quel punto completamente stranita: era di nuovo sola.
“… io devo tornare dagli altri…”
 Era così: i suoi amici, tutti quanti stavano lottando contro quel dramma che si stava avvicinando.
Si sentiva un mostro a stare al sicuro dopo che suo padre si era comportato in quel modo.
 
Andrew prese il binocolo che Vincent gli stava porgendo e osservò i monti poco lontani.
“Sta per cedere, non ci sono dubbi – constatò – dannazione…”
Vincent lo fissò con preoccupazione capendo il sottinteso: stava per arrivare la piena.
“Va bene, del resto sapevamo che era questione di poco. – disse cupamente. Poi non perse altro tempo e iniziò a raggiungere gli uomini che stavano lavorando a poca distanza dalla piccola altura dove si erano apportati – Tutti a rinforzare la prima linea di sacchi! Lasciate perdere la seconda! Ci siamo quasi.”
Quella voce raggiunse appena l’ingegnere che restava a fissare la montagna: la sua mente lavorava freneticamente cercando di calcolare la massa di rocce e detriti che sarebbe scesa a rapida velocità verso il fiume. Avrebbe scatenato il doppio, anche il triplo dell’ondata prevista.
Dubitava altamente che quella linea di protezione avrebbe potuto qualcosa: forse era meglio dire a Vincent di richiamare tutti indietro e sperare che non arrivasse al paese. Ma anche questa mossa poteva essere un suicidio: possibile che fossero condannati?
Però potrei provare a… ma no! E’ pura follia…
Quello sì che sarebbe stato un azzardo perché era una modifica che lui aveva fatto nel progetto originario per tutt’altro scopo. Ed era una cosa puramente teorica che non sapeva nemmeno se avrebbe funzionato: figuriamoci in una situazione di emergenza con condizioni critiche come quelle.
“No, è da pazzi solo pensare che funzioni…” mormorò in preda al dubbio: non gli veniva in mente altro… ma era una cosa così rischiosa e senza alcuna garanzia.
“Signor Fury, signore!” esclamò una voce, richiamandolo alla realtà.
“Heymans! – si sorprese, quando il ragazzo lo raggiunse con un sorriso esausta ma furbo – Come mai non sei al capannone? E’ pericoloso stare qui e…”
“Aiuto come tutti gli altri, signore – scosse il capo lui – ma mi sono assicurato che mamma ed Henry ci andassero, stia tranquillo. Mi sono preso cura di loro e adesso cerco di salvarli dando una mano qui.”
A quelle parole Andrew si sentì veramente fiero di lui e gli accarezzò i capelli bagnati proprio come avrebbe fatto con Kain.
“Tua madre sarà molto contenta della maturità che hai mostrato.”
E adesso dovrei fare la cosa giusta e dirti di andare a raggiungerla: qui è troppo pericoloso, dovrei dare una speranza almeno a te.
“Sono sicuro che le sue opere al fiume ci salveranno tutti, vero signore? – chiese il ragazzo, speranzoso – Lei è veramente bravo e ho grandissima fiducia nei lavori che ha fatto: volevo lo sapesse.”
“Ti fidi veramente delle mie opere?” sorrise l’uomo.
“Certamente!”
E ci fu una tale sicurezza in quell’ultima affermazione, la medesima che avrebbe avuto Kain: forse fu questo a fargli prendere quella folle decisione.
“E’ un bell’azzardo quello che sto per fare – ammise, mettendogli le mani sulle spalle – ma davanti a questa grande fiducia che nutri per me, mi sento in dovere di fare il tutto per tutto.”
“Cioè?” chiese Heymans perplesso.
“Niente, fidati di me e basta… adesso torna ad aiutare gli altri. Io vado a parlare con il capitano Falman.”
Senza aspettare risposta, diede una lieve spinta al ragazzo e poi scese dalla piccola altura: aveva ancora tempo per tentare quella mossa che, se funzionava, poteva risolvere buona parte del problema.
Girò lo sguardo verso il fiume e cercò di individuare quello che gli serviva, ma quando lo trovò si morse la lingua nel vedere quanto fosse vicino all’acqua che scorreva rombante.
Dannazione, è già esondato fino a lì… ma c’è ancora lo spazio per arrivarci.
“Io devio il fiume – annunciò, prendendo il braccio del capitano che in quel momento parlava con James Havoc – allagherò i campi dall’altra parte, ma se tutto va bene non ci saranno conseguenze per il paese.”
“Che? – si sorprese Vincent – Ma di che parli?”
“Da questo lato ci sono alcune pompe idrauliche che sono state disposte durante i lavori: se azionate dovrebbero far sollevare una barriera che bloccherà il fiume… avevo pensato che poteva essere utile per eventuali progetti futuri di canalizzazione. Ma quello che conta adesso è che da questa sponda c’è l’argine e dunque l’acqua troverà più facile riversarsi dall’altra parte che invece non ha alcun ostacolo… capite quello che voglio dire? Quando arriva la piena non si abbatterà con la medesima violenza perché il fiume avrà già trovato un’altra via! ”
Erano parole confuse, quasi vaneggi, non si aspettava nemmeno che i due lo capissero: ma dentro di sé sapeva che era possibile e che c’erano persone come Heymans che avevano grande fiducia in lui.
“E come funziona questa cosa?” chiese James, guardandolo dubbioso: una persona mingherlina come Andrew Fury gli sembrava poco credibile in un posto come quello.
“Devo andare ad attivare il meccanismo – disse in tono febbrile – voi continuate a rinforzare la prima linea: l’acqua deve trovare tutta la resistenza possibile da questo lato.”
Non aspettò risposta e girò loro le spalle, iniziando ad andare verso la fine della prima linea dei sacchi di sabbia: tutto stava nell’andare ad azionare le pompe tramite le leve che stavano vicino all’argine.
Dipendeva tutto da lui.
 
Era già da due ore che lavorava ed i muscoli protestavano come non mai, ma Jean non era mai stato il tipo da lamentarsi. Era veramente fiero di quello che stavano facendo lui ed i suoi amici: avevano formato una vera e propria catena di montaggio raggiungendo una notevole rapidità nel portare i sacchi di sabbia dove serviva.
“Ragazzi – disse ad un certo punto, mentre era sopra il carro per prendere un nuovo sacco – stanno facendo dei cenni più avanti: servono rinforzi lì. Andate voi, io resto qui per terminare questa parte, tanto ce la faccio anche da solo.”
“Sicuro? – fece Heymans, accostandosi assieme a Vato e Roy – possiamo fare due e due.”
“No, lì pare urgente: dai andate.”
Vide con soddisfazione che seguivano il suo consiglio e si preparò mentalmente a sollevare l’ennesimo sacco da solo: avrebbe dovuto fare a meno di Heymans, ma non avrebbe esitato e…
“Riza?” esclamò con sorpresa vedendo la ragazzina che saliva sul carro e afferrava un lembo del sacco.
“Lascia che ti aiuti…”
“Sono pesantissimi: torna al capannone! Sei anche senza impermeabile e…”
“No! – esclamò lei – Voglio aiutare.”
“Ma che dici? – si arrabbiò lui prendendola per un braccio – Sei una stupida che…”
“Mio padre non aiuterà, va bene? – disse lei con le lacrime che si confondevano con la pioggia – Ma questo è il posto dove sono nata, dove ci siete voi… non posso restare a guardare. Non voglio… essere senza nessun peso… importanza…”
“Ma no che sei importante – mormorò Jean, non riuscendo a capire cosa fosse successo e perché la sua amica dicesse delle simili parole – non devi… oh, va bene, non c’è tempo per queste cose. Prendi quest’estremità e fai attenzione: è pesante, ma tra me e te ce la facciamo.”
Vide le mani candide di Riza afferrare il lembo del sacco e sospirò: non era adatta a fare un lavoro così pesante, nell’arco di pochi trasporti sarebbero comparse le prime, dolorose, piaghe.
Eppure sentì la pressante esigenza da parte di lei di prendere parte a quel lavoro, di rendersi utile: in fondo poteva capirla.
Si caricò la maggior parte del peso, cercando di sistemare l’equilibrio con quella compagna così minuta ed iniziò a muoversi verso la linea di sacchi.
 
Ellie sospirò, guardando per la millesima volta fuori dal capannone: la pioggia non smetteva di cadere e tutto faceva pensare che presto sarebbe arrivato il momento critico. Aveva una paura folle per Andrew perché sapeva benissimo che sarebbe stato in prima linea per quell’evento: non avrebbe lasciato la responsabilità dell’argine a nessun altro.
Dietro di lei sentiva l’agitata confusione delle centinaia di persone all’interno del locale: erano stati allestiti una cucina da campo, un’infermeria, per fortuna senza nessun ferito grave, eccetto qualcuno che magari era caduto per la pioggia o si era fatto male durante i lavori… persino per i bambini c’era una zona specifica con le maestre della scuola che avevano recuperato le classi elementari per distrarli un po’.
Madame Christmas la faceva da padrona in quel caos organizzato: lei e le sue ragazze erano davvero instancabili nel correre dove c’era bisogno di loro, anche per calmare qualche moglie in ansia per il marito.
Vorrei davvero avere una crisi pure io… forse essere calmata a furia di schiaffi riuscirebbe a farmi passare quest’angoscia.
Perché se a volte l’ansia si presentava malamente, altre poteva essere solo un forte peso al cuore che ti lasciava immobile a fissare il vuoto: forse era la versione peggiore.
“Sta bene, ne sono certa – disse Laura accostandosi a lei e mettendole la mano sul braccio – ti ha promesso che tornerà, no?”
“Non avevo nemmeno notato che eri arrivata – sospirò lei con un sorriso tirato. Poi tornò a fissare la pioggia che cadeva – L’ha promesso, certo, ma stare qui ad aspettare non è facile…”
“Non ce lo vedi proprio a fare l’eroe, eh?” sorrise la donna dai capelli rossi.
“Andrew è sempre stato… la certezza – confessò Ellie, accarezzandosi la treccia – quello a cui aggrapparmi, sicura che mi avrebbe sempre protetto e confortato. Lui è così tranquillo, così sereno…”
“Lui e mio fratello sono sempre stati i miei eroi, ma in modo totalmente diverso. Henry arrivava come un uragano, pronto a rovesciare il mondo per me: lui è sempre stato l’eroe dai gesti eclatanti, non c’è che dire. Ma Andrew… beh, Andrew è un altro tipo di eroe: magari non te ne rendi conto per tanto tempo, ma poi capisci che rimane accanto a te nei momenti più difficili, senza grandi parole o grandi imprese. Lui è semplicemente lì, in modo discreto e silenzioso eppure così forte.”
Ellie sospirò e sorrise.
“E’ un bene che al mondo ci sia questo tipo di eroe, no? Noi abbiamo la fortuna di averne uno.”
Sperava solo che riuscisse nell’impresa e  tornasse da lei.
 
Come aveva detto Laura, Andrew non era tipo da gesti eroici.
Dunque trovarsi tra la linea dei sacchi di sabbia e l’argine del fiume in piena non era proprio una cosa da lui.
Era bagnato fradicio sia per la pioggia che per gli spruzzi dell’acqua: era già caduto più volte per via del terreno scivolo e in un’occasione aveva rischiato seriamente di finire sul fiume.
Ma devo arrivare a quelle maledette leve.
Le vedeva, anche se sembravano sempre alla stessa distanza: sembravano farsi beffe di lui, ma capiva che era colpa del terreno che lo obbligava a procedere con disarmante lentezza. Anche se il tempo era l’ultima cosa che poteva sprecare.
Si aggrappò alla parete scivolosa dell’argine e saltò un tronco che il fiume aveva portato lì negli ultimi giorni: tutto il suo corpo doleva per l’immenso sforzo del sopralluogo del giorno prima, considerato che non aveva avuto il tempo di riposarsi decentemente, ma non poteva mollare.
Gli parve un’eternità, ma finalmente arrivò alle leve.
Paiono prive di danni, per fortuna.
Si mise a cavalcioni del tubo dove stavano montate ed provò a tirare la prima, ma evidentemente qualcosa non andava perché era veramente dura. Doveva aver ceduto qualche bullone ed era rimasta bloccata.
O forse sono io che non ci riesco? Del resto sono così massicce… Cavolo! Cavolo!
Serrò gli occhi e tirò con tutte le sue forze la leva contro il suo corpo: la protezione era in parte rovinata e quasi subito sentì una fitta alla mano, ma non cedette, anche se il metallo gli stava penetrando nella carne.
“Andiamo, maledetta!”
Sentì che qualcosa iniziava a cedere, mentre i primi meccanismi delle pompe si attivavano: certo, era ben diverso azionarli con un fiume in piena, incontrando una simile resistenza. Ma con immenso sforzo riuscì a portare a termine il funzionamento della prima pompa: sentì il tubo sotto di lui che iniziava a tremare per l’acqua che iniziava a passare e contemporaneamente vide il fiume iniziare a ribollire in un determinato punto.
“Sta funzionando! – ansimò, sentendo la mano pulsare terribilmente per la carne lacerata – Altre due, coraggio… coraggio!”
Ignorò una vertigine dovuta alla tensione e mise la mano insanguinata sulla seconda leva.
“Accidenti a te, ingegnere dei miei stivali – esclamò una voce – cosa cavolo pretendi di fare? Sei pelle ed ossa e vuoi attivare queste cose? Lascia fare a me!”
“Che…?” balbettò sorpreso, mentre James Havoc compariva davanti a lui e prendeva la seconda leva tra le mani.
“Spero per te che funzioni!” dichiarò l’uomo iniziando a tirarla e ottenendo in fretta il risultato richiesto.
“Sì che funzionerà! – disse Andrew, stringendo al petto la mano ferita – Guarda, la deviazione si sta alzando e… oh, merda! Sta per cadere la frana dalla montagna!”
“Avete finito qui? – chiese Vincent, arrivando di corsa – Non so se avete visto quanto sta succedendo a monte. Andrew, sei ferito?”
“E’ solo un taglio – scosse il capo lui, osservando la barriera che finiva di innalzarsi: poteva solo sperare che resistesse a quella forza inusuale della corrente e che quanto aveva ideato funzionasse – Metti quelle sicure o le leve potrebbero tornare alla posizione originaria… no, no, devi girarle in senso contrario! Ecco, così!”
“Bene, è fatta? – chiese James, risollevandosi in posizione eretta - Allora adesso conviene levarci subito da questo posto.”
Andrew annuì e cercò di scavalcare le leve, ora non restava che…
Un dolore lancinante lo colpì in fronte e immediatamente vide solo tanta nebbia attorno a sé.
“Andrew! – sentì da molto lontano – Accidenti un detrito lanciato dal fiume l’ha colpito.”
“Fai fare me, per fortuna è mingherlino e facile da trasportare… razza debole questi ingegneri.”
 
Non sono stanca, non sono stanca, non sono stanca…
Riza continuava a ripetersi questa frase, cercando di ignorare il dolore alle mani, alle braccia e alle gambe. La pioggia la inzuppava dalla testa ai piedi ormai ed ogni passo era una sofferenza, ma non voleva mollare.
La presenza di Jean le dava una grandissima forza: sapeva bene che il ragazzo stava in parte rallentando per permetterle di stare al passo, ma nonostante tutto non la rimproverava o mandava via.
No, lei non era come suo padre: non avrebbe voltato le spalle al mondo, abbandonando le persone che amava e che si prendevano cura di lei.
“E’ messo anche questo, Riza, dai andiamo a prenderne un altro.”
“Un altro… certo, andiamo.”
Lo seguì zoppicante: non si era nemmeno messa le scarpe adatte e sicuramente i suoi piedi avevano diverse ferite. Eppure c’era l’esigenza di non mollare, di resistere.
Prese il lembo del nuovo sacco, la stoffa grezza che continuava a spellarle le mani: non credeva di sbagliare nell’identificare quelle macchie scure come sangue.
Ancora un altro sacco… un altro… forza…
Aveva perso il conto, ormai.
 
“Ma… ma il fiume sta deviando!”
Una voce fece riscuotere Roy, Heymans e Vato dal loro lavoro.
I loro occhi si sbarrarono per la sorpresa quando videro che dal fiume era emersa una strana barriera di metallo che stava obbligando l’acqua ad andare nella sponda opposta.
“Allora era questo! – esclamò Heymans con un sorriso – E’ fantastico! Ehi, ragazzi, questa è opera del padre di Kain… grandioso: adesso la piena diminuirà di potenza!”
“Fantastico…” mormorò Vato, davanti a quel prodigio della meccanica.
“Non perdete tempo! – esclamò Vincent, mentre tornava di corsa in mezzo agli uomini – adesso bisogna rinforzare al massimo la prima linea, coraggio. La frana sta per scendere dalla montagna.”
A quelle parole i ragazzi si lanciarono insieme a tutti gli altri uomini verso la prima linea di sacchi, iniziando a creare un ulteriore strato più rapidamente che potevano.
Heymans si era lanciato di buona lena anche in quel lavoro, nonostante fosse esausto come tutti gli altri: nella sua mente ormai non esisteva altro che il meccanismo sollevare – trasportare – posare. Si era persino dimenticato di aver visto suo padre poco distante che lavorava con altri uomini: qualsiasi pensiero su di lui, negativo o positivo, non gli importava.
Ma mentre finiva di sistemare un sacco di sabbia e si girava per andare a prenderne un altro, la sua attenzione fu attratta da una persona che avanzava verso di loro sostendone un’altra.
“Signor Fury!” esclamò, riconoscendo l’uomo che perdeva sangue dalla testa.
Sentì il suo cuore che smetteva di battere mentre vedeva James Havoc che faceva sedere l’ingegnere usando alcuni sacchi come sostegno per la schiena. Immediatamente accorse in preda al panico, inginocchiandosi accanto a lui e afferrandogli la mano.
“E’ ferito alla testa! No… no, signore non può farmi questo. Per favore, non muoia.”
“Heymans, va tutto bene – lo scrollò lievemente James – è solo leggermente intontito per la botta presa in testa: l’ha colpito un detrito del fiume. Stai con lui, io vado ad aiutare gli altri.”
Rimasto solo, mentre sentiva tutto il caos attorno a lui, con la gente che rischiava di inciampare su di loro, il ragazzo cercò di pulire il sangue che colava sull’occhio chiuso dell’uomo, usando un lembo del suo maglione fradico.
“Per favore – ansimò – ti prego non lasciarmi solo…”
“Ehi…” sospirò Andrew aprendo gli occhi.
“Signore – mormorò, mentre iniziava a piangere: non si era reso conto fino a che punto fosse legato a lui – cielo, che paura…”
“Va tutto bene, Heymans – lo rassicurò lui con voce debole, raddrizzandosi leggermente – tranquillo… sssh, buono. E’ stata solo una botta, niente di grave.”
Il ragazzo annuì debolmente; sapeva che avrebbe dovuto prendersi cura di lui, consigliargli di stare sdraiato e riposarsi. Ma non ce la fece a reggere quella tensione e si strinse al suo petto, singhiozzando istericamente: non avrebbe mai sopportato di perdere quel sostegno così fondamentale della sua vita. Gli voleva bene, lo amava come un padre ormai: e non gli importava se era una cosa che aveva maturato in un mese o poco più.
L’importante era che ci fosse anche per lui.
Andrew lo abbracciò debolmente, accarezzandogli la schiena: non aveva mai pensato che si potesse spaventare in questo modo per lui. Nonostante avesse la mente annebbiata per quel colpo, sentì di odiare profondamente Gregor perché aveva privato quel ragazzo dell’amore paterno di cui aveva un disperato bisogno…perché aveva rovinato la vita di Laura.
E se ho bloccato quel maledetto fiume, in qualche modo blocco anche te…
Sentì solo indistintamente le grida degli altri che annunciavano l’arrivo dell’ondata provocata dalla frana: non importava, sapeva che l’argine e quel rinforzo avrebbero retto, ne era certo. Vide distrattamente che Vincent si accostava a Vato e Roy e li trascinava indietro, mentre James Havoc aiutava alcuni uomini a sistemare gli ultimi sacchi.
Ma per lui la cosa fondamentale era tenere stretto Heymans a sé, per il resto ci sarebbe stato tutto il tempo.
  
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