Fumetti/Cartoni europei > Paperinik
Segui la storia  |      
Autore: Nightrun    02/03/2014    3 recensioni
Chi è la misteriosa bambina prigioniera della cella criogenica? Perché Uno ha fatto di tutto per tenerne nascosta la presenza a Paperinik? Qual è la vera identità di Profunda, e perché conosce così tanti dettagli riguardo alla Ducklair Tower? E, soprattutto, quale destino attende Everett Ducklair, in procinto di tornare a Paperopoli? Non perdete la seconda parte di questa storia, dal titolo Il buio oltre la quiete.
Note: Le reazioni umane sono quanto di più complesso esista, perché coglierle appieno vuol dire "sentire" ciò che si sta scrivendo. Spero di esser stato all'altezza del compito, anche questa volta.
Buona lettura! ;)
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Paperino aka Paperinik, Uno
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'PKNA - Shattered Dimensions'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Prologo:
 
Il cielo plumbeo in piena estate. La città in tumulto. I vicoli, i soliti vicoli di sempre, ridotti a tetri, oscuri antri minacciosi.
Paperinik fuggiva, correva per la sua vita attraverso le vie di una città che più di una volta aveva definito “sua”… Una città che credeva gli appartenesse e che, come tale, si era ripromesso di difendere con tutte le sue forze. Fino a quel momento.
“Anf… Anf…”  Il fiato era corto, e le forze stavano venendo meno. Difficile dire da quanto stesse correndo; a onor del vero, non se lo ricordava più nemmeno lui.
Stremato dalla fatica e quasi senza aria nei polmoni, l’eroe si fermò di fianco ad un cassonetto.
Poggiò il palmo della mano su di esso, piegandosi in avanti e boccheggiando. Gli occhi erano chiusi, mentre il becco si apriva e chiudeva in continuazione: inghiottiva aria con grandi boccate, ciò nonostante gli pareva di non riuscire a recuperare nemmeno un po’ di smalto.
 
«Quand’ero piccolo, e di notte il vento faceva muovere le fronde degli alberi di fronte alla mia finestra, avevo paura. Allora, ricordo che la nonna veniva nella mia camera e, dopo avermi rimboccato le coperte mi sussurrava dolcemente: “Paperino, non temere. I mostri non esistono”…»
 
-Krakkle!-
Un rombo, e per qualche istante tutto l’ambiente circostante fu illuminato a giorno dalla luce emessa dalle saette.
“Ah!” Sussultò. Un volto agghiacciante era comparso proprio sul muro vicino a lui: era un papero dalle iridi estremamente ristrette, col volto in penombra incorniciato da quella che appariva come una tavola da spiritismo.
Si rese conto dopo poco del fatto che non c’era nulla da temere: si trattava solo del poster di un film.
Tirò un sospiro di sollievo: “Uff…”
 
«”Non quelli veri, almeno”…»
 
Lo spavento doveva in qualche modo avergli fatto riprendere le forze, perché il Nostro ricominciò subito a fuggire.
Di tanto in tanto, nel cielo sopra di lui si potevano scorgere oggetti volanti di piccole dimensioni e dall’aspetto indefinito. Non poteva far altro che nascondersi da loro; non era in grado di affrontarne così tanti.
 
«Si sbagliava…»
 
Superò rapidamente un isolato, imponendo a se stesso di tener duro.
“Ti prego, ti prego… Fa che almeno lui stia bene…” Scongiurò, a gran voce.
L’agglomerato di edifici si aprì di botto su un immenso colle erboso. Quando finalmente le iridi del papero poterono abituarsi alla maggiore illuminazione, il suo cuore mancò un colpo.
Il Deposito era circondato. Una gigantesca astronave con un becco sulla prua era atterrata di fianco ad esso.
 
«Invece esistono!»
 
Quella che un tempo appariva come una collina verde e rigogliosa, era oramai profondamente mutata nella forma da profondi solchi sulla sua superficie e diversi segni di bruciatura.
Dei tanti cartelli intimidatori che lo adornavano, solo pochi erano sfuggiti alla furia della battaglia.
Altri oggetti volanti di minute dimensioni volavano in cerchio attorno alla struttura che dominava su quel panorama, come mosche ronzanti e fameliche.
Aguzzando la vista, Paperinik poté vedere un gruppetto di Evroniani radunato di fronte all’entrata del Deposito. Di fronte a loro, un trio di Coolflame apparentemente impassibili venivano condotti verso i Dischi individuali.
Non poté non notare come uno di essi, l’unico a guardare nella sua direzione, indossasse una finanziera blu dai rivolti rossi. Per un breve istante gli parve di distinguere una luce nei suoi occhi, l’ultima scintilla di un fuoco che non si sarebbe mai più acceso, consumato dal gelo della fiamma azzurra che divampava sulla testa del papero.
 
“Aaah!” Quackmore si alzò di scatto dal letto, volgendo rapidamente il becco in ogni angolo della stanza. Ansimò, costatando con gran gioia che si era trattato solo di un altro dei suoi incubi.
Mentre il respiro tornava nella norma e il viso tornava a rilassarsi, la quiete tornò nel cuore del papero.
La stanza era fredda e grigia: dovevano mancare ancora un paio d’ore al sorgere dell’alba.
Il rigore dell’inverno si faceva proprio sentire!
Portò le mani nuovamente sotto le coperte, rimanendo seduto per diversi secondi.
Il becco si aprì: “Su con la vita, vecchio mio. Dovresti guardare il lato positivo: ad esempio, che è quasi Natale…” Mormorò a se stesso, provando a esorcizzare dalla mente quanto vissuto poco prima.
Quackmore rimase per un po’ a fissare la neve che cadeva fuori dalla finestra. Poi, molto semplicemente, ritornò a riposare. Le coperte erano ancora bagnate di sudore, ed erano pure diventate fredde!
Mugugnò qualcosa, girando il cuscino sull’altro verso e provando a riprender sonno.
 
-Nel frattempo…-
 
Stesso papero, una diversa situazione.
Nei sotterranei della Ducklair Tower, Paperinik ancora non era riuscito a capacitarsi di ciò che vedevano i suoi occhi.
“U-Uno… Cosa… Chi è quella paperotta?” Riuscì finalmente a domandare.
Profunda rimase immobile: la schiena poggiata al muro, le braccia incrociate al petto e un’espressione seria in volto. Solamente gli occhi, seppur senza pupilla, sembravano mal celare il suo reale stato interiore. Era come se anche lei fosse in qualche modo sorpresa da ciò che stava vedendo, ma disponesse un controllo maggiore su se stessa rispetto al Nostro.
Scrutava il macchinario, limitandosi a osservare la minuta sagoma che appariva come un’ombra scura oltre il vetro appannato della camera di stasi.
“Uno! Mi ricevi?” Domandò nel frattempo Paperinik, col becco ben vicino allo scudo.
Era sbigottito! –Non per la camera criogenica in sé: negli anni aveva avuto modo di osservare diverse cose strane all’interno di quell’edificio.-.
La mente s’invase di mille pensieri: cosa ci faceva una paperotta, lì? Stava bene? C’erano forse altri paperi in stasi, in quel livello?
L’eco si era spento già da qualche secondo, quando finalmente il supercomputer si decise a rispondere: “Ti ricevo, socio...”
“Bene, allora-“
“…ma non mi è permesso rispondere alla tua domanda.” Continuò, troncando le parole in gola a Pikappa.
“Cosa… Ma perché?”
-Tap! Tap! Tap!-
“…Credo di conoscere la risposta…Eheh!...” Sibilò Profunda, avvicinandosi di qualche passo. I suoi modi accomodanti non bastavano a fare di lei una figura positiva. Non con quel look da incubo che si ritrovava.
“Non farti ingannare, socio!” Esclamò Uno, rispondendo tempestivamente.
Il palmo dell’Extransformer ritornò nuovamente su di lei. Nonostante la situazione, la donna era costantemente tenuta sott’occhio: del resto era stato suo interesse giungere in quella stanza, e non se ne conoscevano ancora le reali intenzioni.
“Sta indietro!” Intimò Paperinik.
La papera alzò le braccia in segno di resa. Il sorriso le scomparve dal volto, e l’espressione sul suo viso deformato ritornò seria.
La fiamma nera continuava incessantemente a divamparle sulla testa, mentre i capelli ondeggiavano sospinti dalla sua danza sinuosa.
“…Attento, eroe… Già te lo dissi una volta… Guardati da quelli in cui riponi fiducia…” Sussurrò, proseguendo fino a trovarsi a pochi centimetri dal palmo dell’Extransformer. Nonostante il timbro della sua voce fosse lugubre e graffiante, essa giunse all’orecchio di Paperinik come un suono amplificato. Le parole della papera riecheggiarono nella sua mente, alterando per qualche secondo le sue capacità decisionali. E ciò non era dovuto certo solamente al tono con cui gli erano state proferite!
Il piano per tenerlo occupato altrove, l’intrusione furtiva nella torre, la scoperta della stanza segreta… Profunda non sembrava aver agito d’istinto, ma con cognizione di causa. E, cosa ben peggiore, sembrava conoscere parecchi particolari riguardo all’edificio costruito da Everett Ducklair: particolari che, fino a quel momento, il papero mascherato credeva si trovassero solo nella memoria dell’intelligenza artificiale.
E, a tal proposito, una domanda si ficcò come un chiodo nel cervello di Paperinik.
“Uno… Cosa mi stai tenendo nascosto?” Pensò, portando per un momento la coda dell’occhio alla capsula criogenica.
L’incertezza che si era impadronita dell’eroe era proprio l’occasione che Profunda aspettava…
“…Adesso!…” Pensò la donna.
“Attenzione, socio!”
Profunda compì una giravolta, e a nulla valse il rapido scatto dell’avambraccio del papero. Il palmo metallico andò a vuoto, mentre l’eccessiva torsione del corpo faceva perdere l’equilibrio a Paperinik.
Profunda si ritrovò quindi sul fianco sinistro dell’eroe, quello scoperto!
Afferrò saldamente il braccio del papero, impedendogli così di liberarsi dalla presa.
L’ultima cosa che Paperinik vide furono le sue iridi specchiarsi in quelle bianche della sua nemica, e la voce di Uno farsi lontana…
 
La stanza si fece ancor più buia di prima. Il papero si accorse di non poter scorgere alcunché, attorno a lui. Era cieco?! Agitò le mani a tentoni, provando a parlare.
“?!” Nessun suono uscì dalla sua gola. Preso dallo sconforto, il Nostro mosse le braccia in ogni direzione. Alla fine, le sue mani andarono a battere contro qualcosa.
Fu allora che, nel gran buio Paperinik notò qualcuno. Un qualcuno dalle fattezze fin troppo conosciute.
“P-Paperina?!” Gli era ritornata la voce!
Si osservò: non indossava più il costume. Ci stava capendo sempre meno…
“Ecco! Sempre a ciondolare in giro senza far niente. Non sei per niente affidabile!” Fu il rimprovero che ricevette.
“Aspetta, lascia che ti spieghi…”
“Mi spiace, Paperino. Sono stanca di aspettare. E visto che sei sempre impegnato nelle tue ronde, non mi lasci altra scelta… Ihihih!” La papera ridacchiò scherzosamente, per poi tendere la mano dietro di sé. Dall’ombra, un’altra mano andò a stringere la sua.
Paperina tirò a sé, e dalla mano si originò un corpo. La figura passò un braccio attorno alla spalla di lei, sorridendo soddisfatta: “Che cosa vuoi che ti dica, cugino? Non è solo la dea bendata a posare i suoi begli occhi su di me…”
Non poteva crederci. Gastone! Era Gastone! E Paperina… Lei sembrava così felice di quelle attenzioni.
Paperino tese il braccio di fronte a sé, cercando il contatto con l’amata. Il becco di lei si dischiuse, mentre proferiva verso di lui: “Pikappa…”
Sussultò: “P-Pikappa?!” Paperina era dunque a conoscenza del suo segreto?
“Pikappa.” Ripeté Gastone, a pappagallo.
“PIKAPPA!” Gridarono in coro i due.
 
Solo allora il Nostro si passò una mano sulla tempia, tastando la solita mascherina nera: “C-come avete fatto a conoscere la verità? Cosa…”
Socchiuse gli occhi: si trovava nuovamente nel Livello Delta, e le luci erano accese a giorno.
“Pikappa! Se non ti è di troppo impiccio, potresti darmi una mano?” La voce di Uno usciva chiara e decisa dallo scudo.
“Eh?” Il papero si guardò attorno, e gli ci volle qualche secondo per comprendere di essere stato per l’ennesima volta soggiogato dallo strano potere di Profunda.
-Szaap! Zaap! Fssssh!-
C’erano almeno una dozzina di fucili laser puntati sulla donna, ed ognuno di essi faceva fuoco a volontà.
Uno era riuscito a riprendere il controllo del sistema, anche se solo per quella stanza.
Forse Paperinik era troppo confuso per chiederselo, ma l’intenzione dell’intelligenza artificiale non sembrava minimamente quella di contenere la minaccia, quanto di annientarla!
Peccato che la rapidità ed i riflessi di Profunda rendessero vano ogni suo tentativo.
 
-Tump!-
Dopo aver schivato l’ennesimo raggio, la papera si ritrovò ben distante da ogni possibile arma, quasi al centro della stanza. Sapeva che lì non avrebbe subito alcuna rappresaglia: alle sue spalle c’era infatti la camera criogenica.
Come se nulla fosse, Profunda si girò. La destra andò a sfiorare il vetro della capsula, in prossimità del becco della paperotta. Gli artigli lasciarono un lieve segno su di esso.
Lasciò cadere il braccio, dirigendolo contro quello che appariva a tutti gli effetti come un pulsante d’arresto: pigiò decisa su di esso con l’indice ed il medio della mano.
“No! Ferma!” Esclamò Uno, con un tono di voce tanto alto da far gracchiare gli altoparlanti.
 
-Beeep! Beeep!-
Un allarme iniziò a suonare per la stanza, mentre una fitta condensa veniva liberata da alcuni sfiatatoi posti ai lati della gigantesca capsula metallizzata.
-Clunck! Clunk! Fsssss…-
I fermi posti a sigillare il vetro protettivo si aprirono con uno scatto, mentre altro vapore fuoriusciva dalle fenditure così create.
Profunda sentì il volto gelare appena, con la coltre andava ad avvolgerla completamente, facendo quasi scomparire la sua figura.
“…La lunga attesa è finita… Per dieci anni sei stata prigioniera di questo luogo e ora… ora sei finalmente libera…” Mormorò, mentre per la prima volta da quando si trovava a Paperopoli il suo viso assumeva un’espressione più rilassata. Un sorriso sincero le si stampò in volto, mentre vedeva la piccola sagoma della paperotta comparire all’uscita della capsula.
Pochi, pochissimi passi dividevano le due.
Profunda sollevò una mano artigliata, volgendo il palmo verso l’alto: “…Ecco, così… Prendi la mia mano… Scopri la verità… Diventa più forte…”
Un globo di sostanza nera andò a formarsi al di sopra del palmo. Esso esplose in una serie di viticci neri dotati di vita propria.
La minuta mano della paperotta si protese in loro direzione, come affascinata da quello spettacolo inconsueto. I viticci stavano quasi per entrare in contatto con la pelle della piccola, quando…
 
-FWAMP!-
“…Aaaargh!!!...”
Un dolore, intenso e lancinante. Come se il suo corpo avesse iniziato a bruciare dall’interno. Volse il capo alle sue spalle, stringendo forte i lati del becco nel tentativo di esorcizzare tutta quella sofferenza. Fu in quel momento che comprese cos’era successo.
La mancina si mise a protezione degli occhi, ma questo non le garantì comunque di guardare oltre l’intenso fascio di luce che la stava investendo.
Uno? No… Non ricordava che il Livello Delta disponesse di una simile illuminazione. Ed era assai improbabile che l’intelligenza artificiale avesse installato qualcosa di simile, non potendo prevedere un simile sviluppo. Allora…
“…P-Paperinik… Perché mi stai… intralciando?...” Riuscì a dire. Ma la sofferenza che il frammento di Entità stava provando era estrema, e questo si ripercuoteva anche sul suo corpo. Non avrebbe sopportato oltre un simile attacco.
Gli occhi andarono un’ultima volta alla minuta figura alle sue spalle, che si reggeva a stento in piedi dopo essere uscita dalla capsula nella quale era imprigionata. La vide accasciarsi a terra, e resistere all’istinto di correrle incontro per aiutarla logorò ulteriormente i suoi nervi.
“…Grrraaaaahh!!!...” Ruggì furiosamente, muovendosi in direzione di uno dei lati della stanza. Per sua fortuna, il fumo della condensa le offriva riparo dall’occhio di Pikappa. Questo le permise di arrivare indisturbata alla porta pressurizzata ancora aperta.
Prima di varcare la soglia, additò il papero mascherato; ora che non c’era più la coltre di fumo a dividerli, i loro sguardi potevano nuovamente incontrarsi.
“…Non finisce qui!… Tornerò per lei… E né tu, né nessun altro potrà impedirmelo!…” Esclamò, scomparendo oltre l’uscio.
Normalmente, Paperinik avrebbe replicato alle sue affermazioni con qualcosa di spassoso… ma la verità era che in quel momento sentiva che c’era ben poco di cui ridere.
“La lasci andare così? Coraggio, Pikappa! Posso guidarti nell’inseguimento.” Uscì fuori dagli altoparlanti della stanza.
Effettivamente… Perché non la stava inseguendo?
 
Paperinik abbassò lo scudo, iniziando a camminare lentamente verso la coltre di nebbia. La mancina andò alla tempia ed il capo venne scosso con vigore, ad allontanare lo stordimento dovuto alla visione di qualche secondo prima.
La nube lo inghiottì, e per qualche secondo non parve succedere più nulla.
“Pikap-“ Azzardò di nuovo Uno, ma subito troncò il nome a metà: la coltre si era dissipata, ed il papero mascherato era ritornato visibile.
Era inginocchiato a terra, a prestare soccorso alla paperotta misteriosa. La paperotta sembrava essere svenuta, ed ora il suo corpo si ritrovava riverso sul pavimento della stanza.
“Fiuuu… E’ viva, per fortuna.” Commentò l’eroe, picchiettando il pugno sinistro sul bordo dello scudo per cercare di allentare la tensione che aveva accumulato.
Sollevò il capo dopo poco: “Uno, che cosa ci faceva qui una bambina?”
La risposta questa volta arrivò tempestivamente: “Mi spiace, socio. Non posso risponderti. Ora, ti prego di allontanarti da lei. Il macchinario non sembra aver subito danni: potrà tornare attivo in pochi minuti…”
Paperinik strabuzzò gli occhi, incredulo: “Aspetta un attimo! Non puoi negarmi una risposta. Ho sentito quello che ha detto Profunda, prima… -Esclamò, aggrottando lo sguardo:- Dieci anni… Lei era in quel guscio da dieci anni. Perché? E’ forse malata?”
“…” Questa volta, Uno si guardò bene dal rispondere alle parole del papero mascherato.
“Neanche questo, eh?” Sbuffò, rimanendo in ascolto.
Tuttavia, nessuna voce uscì fuori dagli altoparlanti della stanza: Uno si era chiuso nel suo silenzio.
“Bene…” Sbuffò Paperinik, sollevando la bambina da terra.
Uno si preparò a riattivare il congegno, e diverse subroutine interne andarono ad attivarsi per ristabilire il processo da dov’era stato interrotto.
Ciò che l’intelligenza artificiale vide, però, la lasciò assai dubbiosa. L’eroe stava infatti tornando sui suoi passi, portando in braccio la piccola, ancora svenuta. Una delle minute braccia dondolava ad ogni passo che Paperinik compiva.
Quest’ultimo si diresse deciso verso la porta attraversata poco prima da Profunda, con un’espressione piuttosto seria sul suo volto.
Tuttavia, la porta si sbarrò subito, impedendogli di varcarne la soglia.
 
-C-chunk! C-chunk! C-chunk!-
Stentava a credere ai propri occhi: ben tre fucili erano puntati su di lui. Poteva quasi sentire i mirini laser sulla sua schiena e la nuca.
Il becco si dischiuse: “Ehm… Uno?” Domandò, perplesso.
“Non so dove tu stia andando, ma non posso farti uscire da questa stanza con lei.”
Sorprendentemente, Uno si stava dimostrando… il nemico?! Forse un tempo Paperinik si sarebbe fermato alle apparenze, valutando quell’assunto come verità certa. Ma le tante peripezie affrontate fino a quel momento avevano temprato il suo metro di giudizio: sapeva che la reazione di Uno era dovuta a direttive primarie insite nel suo sistema. O, almeno, si augurava che così fosse…
Comunque, Paperinik volle dargli credito. Infatti, esclamò: “Cerca di ragionare. Profunda ha detto che tornerà qui. E, considerando con quanta facilità ha eluso i tuoi sistemi… E’ meglio portare questa bambina lontano dalla Ducklair Tower.” Provò a dire l’eroe, con scarsi risultati.
Non era più il momento di scherzare. Del resto, non gli veniva in mente nemmeno mezza battuta da poter dire per farsi una sana risata.
In qualche modo, anche Uno doveva aver compreso l’importanza di quel momento: il tono di voce che uscì dagli altoparlanti fu serioso e ben scandito.
“Comprendo il tuo punto di vista, e in parte lo condivido. Però, ho ordini ben precisi: per qualsiasi motivo, lei non potrà abbandonare la torre prima del completamento del processo di stasi.”
Uno sembrava davvero deciso a non demordere: forse la sua posizione dipendeva da semplice cocciutaggine, più che da un ferreo linguaggio di programmazione.
 
Lo sguardo del Nostro cadde ancora una volta sulla bambina, per poi spostarsi sulla porta pressurizzata. Sì, il tempo delle battute era finito. Di quelle scherzose, almeno. Infatti, in quel mentre gliene venne in mente una da film poliziesco.
“Mettiamola così, socio… -Iniziò quindi, usando volutamente un tono parecchio colloquiale. In ben poche occasioni ricordava di essersi riferito ad Uno in quei termini, mentre spesso valeva il contrario:- Abbiamo passato davvero una nottataccia, perciò voglio renderla semplice per entrambi.”
Strinse a sé la bambina con la sinistra, puntando la superficie dello scudo sulla porta blindata: avrebbe fatto saltare tutto, se necessario. E infatti, come aggiunse poco dopo: “Se davvero vuoi fermarmi, dovrai sparare!”
E, di seguito, senza neanche dare al supercomputer il tempo di replicare: “Tre…”
Il disco nero al centro dello scudo si illuminò, segno che il comando dell’arma era stato attivato.
 
All’interno del Piano segreto, la voce di Pikappa echeggiò per l’ambiente, quasi rimbombando nella superficie interna della sfera che mostrava la rappresentazione olografica del papero digitale.
“Due…”
Questi si sentì incredibilmente… a disagio. Non per la scelta di fronte alla quale si trovava, quanto per il fatto che stesse esitando: non gli era mai capitato di disobbedire ad una direttiva primaria, e l’ipotesi di stare per farlo in quel momento gli stava dando il tormento.
“Uno…” Udì, proprio mentre inviava un segnale elettrico ai dispositivi del Livello Delta.
 
Paperinik vide le armi ritrarsi, e la porta blindata aprirsi senza emettere alcun suono.
“Hai vinto. Assicurati di ritornare prima che faccia sera e, cosa più importante, acconsenti ad ogni sua richiesta, mi raccomando.” Fu la risposta del supercomputer. Paperinik la prese come un invito a trattare quella paperotta con i guanti di velluto.
Sorrise, mentre una minuscola goccia di sudore gli colava giù dalla tempia: probabilmente sarebbe svenuto per via del terrore, se non fosse stato per l’adrenalina che gli scorreva in corpo in quel momento.
Sentì il bisogno di tranquillizzare il suo alleato: “Rilassati! Ci so fare coi bambini. Mi assicurerò che faccia merenda, prima di andarmene. E quando torno, io e te faremo una lunga chiacchierata.”
Superò la porta blindata e, mentre essa si richiudeva alle sue spalle, concluse: “Ci vediamo sull’attico. Prepara degli aperitivi e qualche stuzzichino.”
 
Sollevò lo scudo, attivando il reattore per poter attraversare rapidamente il corridoio ed i vari sottoambienti che lo separavano dalle fogne.
Dopo averle raggiunte, Paperinik ritornò coi piedi per terra.
La gigantesca porta pressurizzata era di nuovo aperta, e vicino ad essa l’eroe trovò uno Zheron piuttosto frastornato.
L’Evroniano teneva la schiena contro il muro, reggendosi la testa con la mano: “Oooh…”
Paperinik non lo degnò di uno sguardo, portando invece la sua attenzione verso lo scudo.
Senza riflettere troppo, attivò il comando densomorfico: in una pratica cintura. Subito dopo, Paperinik cliccò su di essa, cambiando aspetto e divenendo a tutti gli effetti invisibile.
-Vuuush!-
Il rumore prodotto dal congegno attirò l’attenzione del papero spaziale, che volse gli occhi azzurri in direzione del Nostro, proprio quando questo scompariva alla sua vista. Domandò con voce incerta: “C-che succede?”
Non ricevette risposta. Anche perché la mente di Pikappa era al momento presa da tutt’altro pensiero: “Immagino che Profunda e “Pupazzona” abbiano ordinato la ritirata generale per ricostituire le forze. Tuttavia, nel dubbio, sarà bene non dare nell’occhio.” Rimuginò, sfilando di fianco all’Evroniano ed allontanandosi dalla zona illuminata. Come supponeva, non c’era più alcuna traccia dei Beati, nei paraggi.
Zheron tese una mano davanti a sé, schiaffeggiando l’aria. Decisamente non ci aveva capito nulla.
“Sparito?!“
 
-T-CLANG!-
 
Una paratia di sicurezza scese dal soffitto, impattando violentemente col suolo e sigillando il condotto. L’Evroniano evitò l’impatto per un soffio, battendo col posteriore a terra. Per poco non ci rimetteva una zampa!
 
Nel Piano segreto, intanto, Uno appariva assai cogitabondo: “Non ci voleva. Non ci voleva proprio…”
 
Le luci si spensero, nel Livello Delta. Tutto venne avvolto dall’oscurità, a parte un minuscolo rettangolino rosso, posto alla base della gigantesca capsula di stasi.
Su di esso lampeggiava ad intermittenza la scritta: “PERICOLO! PROCESSO INCOMPLETO!”
 
-Altrove, verso l’ora di pranzo-
 
Assurdo, incredibile… illogico!
I pensieri che vorticavano nella mente di Birgit Q potevano essere facilmente riassunti nella semplice domanda: com’era successo?
La neve si era depositata sul manto stradale, ancora in parte bagnato per via degli eventi della notte scorsa.
Le squadre di spalaneve e la protezione civile lavoravano incessantemente per ridare ordine al centro cittadino.
Nonostante il solito training mattutino in palestra, la donna sembrava aver scaricato solo in parte la rabbia accumulata.
 
Entrò all’interno della sede della Ducklair Enterprise, sondando con lo sguardo l’ambiente attorno a lei.
C’era un gran via vai di gente: anche se le ferie natalizie erano ormai alle porte, i dipendenti sembravano lavorare a pieno regime. Non era escluso che dietro ci fosse lo zampino dell’irreprensibile dirigente aziendale.
Constatato che ogni “ingranaggio” si muoveva nel senso giusto, Birgit accelerò l’andatura.
Non si curò nemmeno di rispondere al saluto della sua segretaria personale, puntando decisa agli ascensori. Entrò dentro ad uno di essi e, mentre le porte si chiudevano, disse con voce tonante: “Miss Fingelbauel, annulli tutti i miei impegni nel primo pomeriggio, e si occupi di filtrare le chiamate degli scocciatori. Non voglio esser disturbata.”
La papera annuì, rispondendo semplicemente: “Come vuole, dottoressa Q”.
 
L’ascensore si fermò non appena raggiunto il piano “-3”.
Birgit avvicinò la mano ad un keypad posto di fianco alla pulsantiera. All’inserimento della password, le porte si richiusero, e la discesa della cabina proseguì.
Trasse un profondo respiro, dopo che le porte si andarono nuovamente ad aprire.
Buttò fuori l’aria con uno sbuffo, sciogliendo le spalle con movimenti lenti e circolari.
Inclinò la testa di lato fino a che non udì uno schiocco: solo allora abbandonò la cabina.
Di fronte a lei c’era un corridoio lunghissimo, appena illuminato da una serie di lampade al neon poste sul soffitto.
Pareva in qualche modo aver ripreso la calma, ed in effetti l’espressione sul suo volto sembrava molto più rilassata rispetto a prima.
La notte era passata. Con essa terminavano i suoi servigi nei confronti dell’Entità, ed iniziavano quelli come dirigente amministrativo della Ducklair Enterprise; società che si era affacciata da poco meno di un anno sul panorama paperopolese, e la cui rapida ascesa aveva influito in parte sull’economia della megalopoli.
Questa era vita la vita di Birgit: divisa tra due occupazioni ben diverse, ed in entrambi i casi le sue mansioni non si limitavano solo sul far rapporto dei risultati ottenuti ai suoi superiori.
Non era quello che si definiva un comune dirigente amministrativo, in sostanza.
-Tok! Tok! Tok! Tok! Tok!-
I tacchi delle scarpe battevano sul duro pavimento, producendo secchi rumori che si diffondevano fino alle pareti, risuonando con una tenue eco.
Aveva oramai percorso gran parte del lungo corridoio scuro, assicurandosi di prendere le biforcazioni giuste. C’era da perdersi, in quel labirinto!
Poté rallentare l’andatura solo dopo aver raggiunto una gigantesca porta pressurizzata.
La serratura magnetica era aperta, e la porta era stata scansata nella sua rientranza in modo che il passaggio risultasse libero.
Schioccò la lingua contro il palato: il ricordo di aver dovuto chiedere l’aiuto di Profunda per una simile sciocchezza ancora le rodeva dentro. (*So che è passato un annetto, però fate uno sforzo! Va beh, dai. Vi aiuto… PKNA#55: “Messa a fuoco”)
Oltre la porta pressurizzata si trovava una stanza di ridotte dimensioni, un tempo piena di aggeggi di cui solo di rado era possibile ipotizzarne la funzione.
Aveva dato ordine di trasportare tutto il materiale in altri settori sotterranei, e così era stato fatto.
Si trovava dunque in una stanza completamente vuota. Per un eccesso di zelo, l’aveva persino fatta lucidare a pennello.
Notò una spia rossa lampeggiante, in fondo alla stanza: quella era la sua meta.
Essa si trovava esattamente al di sopra di un’ennesima porta pressurizzata, decisamente più piccola di quella che aveva da poco superato.
Portò le mani ai fianchi, abbassando lo sguardo ad un gigantesco intrico di cavi dell’alta tensione, i quali s’inserivano direttamente nella parete adiacente. Essi proseguivano probabilmente fin dentro la stanza, ma questo non poteva dirlo con certezza. Infondo, la porta in questione era rimasta chiusa per tutto il tempo.
“Sono davvero curiosa di vedere cosa nasconde ancora questo posto. Il mio superiore ha ordinato tassativamente che la porta non venisse aperta fino a che la carica energetica non avesse raggiunto livelli ottimali…”
Si inginocchiò, controllando un indicatore posto in prossimità dell’agglomerato. La lancetta pareva esser quasi arrivata al massimo della tensione accumulabile.
“Ci sono voluti mesi perché l’energia venisse trasferita in gran quantità oltre questa porta. -Si passò una mano sul viso:- Non voglio neanche ricordare quante pratiche burocratiche ho dovuto firmare per avere dall’ente dell’energia elettrica i permessi utili per ottenere che alla Ducklair Enterprise fosse concesso un simile dispendio in termini di corrente. Oltretutto, i consumi superano di gran lunga i possibili guadagni… Bah, lasciamo perdere!”
Si rialzò in piedi, tornando di fronte alla porta.
Di fianco alla stessa era presente un keypad: presumibilmente, anche quella porta si sarebbe aperta solo ed esclusivamente trovando il codice d’accesso.
Lo sguardo si accigliò: “Ed ora vediamo un po’ quale macchinario sofisticato richiede una quantità tanto smodata di elettricità.” Ponderò.
Fece qualche passo indietro, incrociando le dita delle mani e tendendo le braccia per far scrocchiare le articolazioni.
-Cric!-
Una sostanza nera iniziò ad uscire fuori dai vestiti, ricoprendole completamente il corpo e gonfiando ancor di più i suoi muscoli.
Le iridi sparirono, mentre i capelli iniziarono ad ondeggiare all’interno di una fiamma scura.
Sorrise a mezza bocca, portando il pugno destro all’indietro e contraendo il bicipite il più possibile.
“…Questa volta non avrò bisogno dell’aiuto di alcuna mocciosa saccente!…” Esclamò, liberando la tensione accumulata nel corpo.
 
-BRANG! SBAM!-
Però! Ci erano voluti ben due pugni per far cedere la porta. Anche se di minute dimensioni, Birgit dovette ammettere che essa si era dimostrata estremamente robusta.
In effetti, era riuscita a scardinarla solo in parte. Lo spazio venutosi a creare era comunque tanto largo da permetterle di attraversare la soglia senza problemi.
Riprese le sue normali fattezze, la donna azionò un interruttore sul muro.
Delle tre lampade che si trovavano nel soffitto, la centrale esplose non appena la tensione la raggiunse: dovevano proprio esser rimaste inutilizzate per parecchi anni.
Lo spazio nella stanza era completamente occupato da una serie di apparecchiature dall’aspetto complesso. Alcune parevano persino lavorare già a pieno regime.
Il pavimento della stanza, per gran sorpresa della donna, era completamente di plexiglass trasparente: sotto di esso, Birgit poté scorgere una serie di gigantesche turbine attive.
L’intrico di cavi scendeva proprio verso le turbine, che avevano probabilmente la funzione di raffreddare i vari sistemi ed evitare che l’alto voltaggio li facesse fondere.
La stanza era in effetti gelida, di un freddo tale che su alcuni display si era formata della condensa.
Dunque, le sorprese non erano ancora finite?
Birgit incrociò le braccia al petto per cercare un po’ di tepore. Era interessata da ciò che vide: “Però! Sembra di essere in un film di fantascienza. Oh, beh…”
La donna si recò verso un terminale su cui lampeggiava una luce gialla.
Cacciò un foglietto bianco dalla tasca, scrutandolo con cura mentre azionava i comandi con movimenti lenti e controllati.
Non appena pigiò sull’ultimo bottone della serie, la luce sul terminale mutò in un rosso fisso, ed un’altra serie di turbine andarono ad attivarsi al di sotto dei suoi piedi.
-Vuuuuuum…-
L’apparecchiatura di fronte a Birgit si ritirò indietro, mentre dal soffitto della stanza venne calato uno strambo aggeggio; pareva una specie di gigantesca vasca per pesci collegata ad un basamento piuttosto articolato. Esso s’inserì perfettamente nello spazio venutosi a creare tra il terminale e le altre apparecchiature.
Il tutto richiese non più di trenta secondi, e la donna mostrò ben poco stupore nel vedere tutta quella strana tecnologia mettersi in funzione ed iniziare ad assorbire l’elettricità accumulata.
 
Non c’era poi molto altro da fare, a quel punto. Birgit ricacciò il foglio in tasca, abbandonando la stanza.
Superò l’ambiente intermedio, tornando alla gigantesca porta pressurizzata del corridoio scuro.
Pigiò sul terminale, ed essa si richiuse. La serratura magnetica sigillò nuovamente l’accesso alla misteriosa stanza.
Aveva portato a termine anche quella mansione. Ora poteva finalmente occuparsi delle ordinarie faccende che le competevano come dirigente amministrativo di una società emergente.
Entrò nell’ascensore, sorridendo soddisfatta mentre le porte si andavano a chiudere.
 
-Intanto, nei pressi del centro-
 
Se alla Ducklair Enterprise il clima natalizio non sembrava aver fatto breccia nei cuori dei dipendenti, era invece vero l’esatto contrario per quanto riguardava quelli Starcorp.
Quackmore si sentiva raggiante: aveva infatti ricevuto da qualche giorno un aumento di paga.
Ma non era solo questo a renderlo così euforico.
Quella sera si sarebbe infatti giocato il derby Paperopoli-Ocopoli, ed il papero era stato gentilmente invitato da Rupert a vedere la partita a casa sua assieme agli altri membri della squadra.
 
Lavorava alla Starcorp da meno di un anno, e già si era fatto dei buoni amici. Niente male, per uno che veniva “da fuori”.
Nonostante la notte travagliata, la giornata prometteva piuttosto bene.
Il papero indossava l’uniforme della compagnia –che stavolta gli calzava a pennello, essendo della misura giusta- e si trovava, assieme agli altri membri della squadra, nei pressi del Duckmall Center.
Già, quel giorno avrebbero dovuto occuparsi della sicurezza del più grande centro commerciale di Paperopoli. In sostanza poteva dirsi un incarico piuttosto tranquillo, per certi versi noioso.
Quackmore la vide più come un’occasione per bighellonare al suo interno, dando un’occhiata a prodotti che un tempo poteva solo sognare di possedere.
Non che navigasse nell’oro, ma con lo stipendio della Starcorp e nessun parente ad intaccare le sue sostanze, avrebbe avuto modo di togliersi qualche soddisfazione.
E questo pensiero lo rese di nuovo triste.
La sua vita stava finalmente prendendo la piega giusta, tuttavia…
“…ogni volta che mi guardo in giro, vedo solo visi nuovi. Paperina, i nipoti, lo zione… persino quel gradasso di Gastone mi manca tremendamente! Tra qualche giorno sarà la vigilia, e non ho idea di come passarla. O con chi…” Pensò, amareggiato.
 
-Paf!-
“Ouch!” Qualcuno gli aveva dato una pacca sulla schiena tanto forte da fargli mancare il fiato in petto.
“Su con la vita, Quackmore! E’ quasi Natale!” Esclamò Rupert, cercando di tirar su il morale del suo compagno di squadra. Nonostante sembrasse un rude, c’era da dire che quell’omaccione tutto muscoli aveva un carattere davvero bonario.
Ciò non toglie che, forse per l’incoraggiamento ricevuto, o semplicemente per il potente sganassone che l’aveva scombussolato fin nelle viscere, il papero si sentì davvero meglio. Accantonò i cattivi pensieri, concentrandosi sul presente.
E, parlando di presente, fu passando nei pressi di un negozio di elettronica che giunse al suo orecchio la voce di una vecchia conoscenza che avrebbe invece preferito dimenticare…
 
«…Enigmatico inizio di mattinata per la nostra metropoli, cari amici. Un’amnesia inspiegabile ha infatti colto un gruppo di onesti cittadini paperopolesi, che alle prime luci dell’alba si sono ritrovati inspiegabilmente a vagare per le fogne. Dopo accertamenti, i medici hanno potuto semplicemente concludere che si sia trattato di una sorta di stato di “sonnambulismo collettivo”.»
 
Quackmore volse il becco in direzione delle tv messe in esposizione, concentrando l’attenzione sulle affermazioni del kiwi riguardo ad una vicenda della quale era all’oscuro.
Angus proseguì:
 
«La polizia ha escluso che gli individui fossero implicati nel caso degli allagamenti del centro, proprio in virtù delle loro fedine penali impeccabili. E non vi nascondo, miei cari telespettatori, che anche io nutro dei dubbi riguardo la loro colpevolezza.»
 
Il reporter puntò il dito in direzione della camera, alzandosi in piedi e battendo il palmo dell’altra mano sulla sua scrivania:
 
«Io affermo, senza alcun dubbio, che si tratti degli stessi terroristi incolpati del disastro di qualche giorno fa. E non mi sento di escludere che dietro a questa faccenda ci sia anche lo zampino di un certo criminale mascherato! Paperinik, se sei in ascolto, sappi che hai i secondi contati!»
 
“Pfui!” Sbottò il papero, in risposta.
Rupert aggrottò lo sguardo e, portando l’attenzione verso lo schermo, si unì allo sdegno di Quackmore: “Quel Fangus! Sempre pronto a screditare Paperinik.”
Tempest portò le mani ai fianchi, constatando: “Devi ammettere però che ha stile. In pochi crederebbero al suo tg, se non presentasse le notizie con tanto carisma.”
L’omaccione rimase in silenzio a riflettere su quanto detto dalla donna, per poi sollevare il pugno all’altezza del petto ed iniziare a scrutarlo con attenzione: “Sgrunt! Resta il fatto che quel tipo non mi è mai andato a genio. Forse avrei dovuto fracassargli le ossa, quella volta che ne ho avuta l’occasione…”
Quackmore non poté fare a meno di sghignazzare sotto ai baffi, a quello scambio di battute tra i due: “Chissà… Hihihi!”
La notizia appena ascoltata era già finita nel dimenticatoio. Infondo, lui era solo un comune cittadino come un altro, giusto?
 
-Qualche minuto prima, nei pressi dell’appartamento di Quackmore-
 
Gli eventi della giornata precedente avevano lasciato segni ancora ben evidenti sulle strade della cittadina. Il bilancio finale dei danni provocati dall’acqua era esorbitante, ed andava tutto a sfavore dei due principali paperi che amministravano l’economia pubblica.
L’uno, possedendo diversi negozi nel centro, in un impeto d’ira si era ritrovato a fare indigestione di bombette.
L’altro aveva avuto la reazione opposta: era semplicemente svenuto non appena gli era giunta all’orecchio la notizia. Sue erano infatti le imprese assicurative, nonché diversi uffici sparsi un po’ dovunque nelle zone colpite.
Si ritrovarono entrambi nella stessa corsia d’ospedale, per una volta intenti a lanciarsi occhiate di commiserazione, invece che di scherno.
 
Ad ogni modo, la strada che affiancava il palazzone nel quale Quackmore aveva trovato sistemazione fissa risultava essere sgombra dall’acqua.
Il tombino della via si mosse, e poco dopo si alzò da terra. Esso si scansò di lato da solo, almeno all’apparenza.
Alcune pozzanghere s’incresparono, pochi secondi dopo.
Paperinik aveva superato con successo il tratto fognario, ed ora poteva muoversi indisturbato.
Si guardò attorno con attenzione, per poi rimettere il tombino al suo posto e sgattaiolare verso l’ingresso dell’edificio.
Per sua fortuna, a quell’ora del mattino c’era ben poca gente in giro: la maggior parte della popolazione di Paperopoli si trovava infatti già in ufficio, a scuola… o semplicemente si trovava nella zona commerciale, a fare acquisti per i doni natalizi.
“Fiuuu… Nessuno in vista.” Commentò a bassa voce il papero, dando un’occhiata all’interno del palazzone.
Nella hall in effetti non pareva esserci nessuno, a parte il solito portiere; sgattaiolargli davanti senza esser visto gli costò ben poca fatica.
L’anziano portiere non distolse nemmeno lo sguardo dalla rivista che stava leggendo, sfogliandone le pagine con noncuranza.
Paperinik era dunque entrato di soppiatto, con circospezione, puntando deciso le scale che si trovavano proprio oltre la portineria: “Le fogne allagate mi hanno evitato spiacevoli incontri, ma devo dire che è stato arduo aprirsi una via tra tutti quegli sbarramenti. Per fortuna che questo posto non si trova poi tanto lontano dalla Ducklair Tower!” Constatò, salendo i gradini.
Raggiunto il piano giusto, si recò verso la porta della stanza di Quackmore e, raggiuntala, cacciò una mano all’interno di uno dei due borsellini che teneva legati alla cintura.
Tirò fuori un mazzo di chiavi un tantino particolare: ognuna di esse aveva infatti una forma pressoché insolita.
Posizionando meglio la bambina in modo che non gli scivolasse di dosso, il papero iniziò a provare alcune delle chiavi, cercando quella giusta: “Ah, i vecchi sistemi restano i migliori. Questo mazzo di chiavi universali mi eviterà la scocciatura di aggiungere l’effrazione al reato di violazione di domicilio. Eheh!”
-T-Clack!-
Finalmente, dopo svariati tentativi, il papero ebbe libero accesso all’appartamento della sua controparte.
Lampante il motivo per cui avesse scelto di affidare quella grana a Quackmore, invece di portarsela a casa: non solo infatti quest’ultimo era all’effettivo un altro Paperinik, ma inoltre non viveva assieme ad altri tre piccoli paperotti.
Richiuse la porta alle sue spalle, ma non prima di essersi accertato della totale assenza di eventuali “testimoni”.
Solo allora il comando dello scudo venne disattivato, e la sua immagine tornò visibile.
L’appartamento era esattamente come lo ricordava; Quackmore non aveva spostato alcun mobile, né aveva aggiunto oggetti significativamente rilevanti.
Per qualche istante, Paperinik quasi immaginò di vedere la sua vecchia amica Lyla distesa sul divano del salotto.
Dischiuse gli occhi, allontanando il ricordo: “La stanchezza mi sta facendo dei brutti scherzi.”
Raggiunse la camera da letto, depositando finalmente la piccola su qualcosa di ben più comodo della sua spalla.
Sistemò i cuscini in modo da offrirle una comoda posizione, e solo allora si accorse dello stravagante abito che la paperotta indossava.
“L’ideale sarebbe farle indossare un pigiama, ma dubito che Quackmore ne abbia uno. Uff…”
C’era da dire che molto probabilmente quella specie di muta da sub rossa traslucida era molto più comoda di quanto non sembrasse: infondo, la bambina era rimasta con quella addosso per quasi dieci anni.
Tastò lo strambo materiale di cui era composta la “tuta”, constatando: “Sembra confortevole. Per ora, starà bene così.”
Tirate le coperte, la coprì con cura. L’appartamento era caldo e accogliente; probabilmente i riscaldamenti erano stati lasciati accesi. Gli venne da pensare che la sua controparte avesse ereditato la stessa “mania di scialacquare il denaro” –Così la definiva alle volte lo zione- che lo contraddistingueva.
Avvicinò una mano al becco della piccola, per accertarsi che il respiro fosse regolare. Le passò quindi una mano sulla fronte, ed infine sulle guance, per controllare che fosse in perfetta salute. Sembrava tutto a posto.
Beh, infondo sapeva come accudire una bambina, considerando che gestiva a tempo pieno tre piccole pesti quasi della stessa età.
Sistemata la paperotta, Paperinik poté finalmente muoversi in punta di piedi verso il soggiorno.
Si lasciò letteralmente cadere sul divano, sbadigliando vistosamente.
“E questa è fatta. Prima di tornare alla Ducklair Tower, voglio proprio concedermi cinque minuti di riposo. –Pensò:- Voglio capirci di più, in questa faccenda. E al diavolo il turno al giornale!”
Poggiò la testa sul comodo e confortevole bracciolo, usando il mantello come copertina improvvisata. Finì in poco tempo tra le braccia di Morfeo: infondo, era allo stremo delle forze.
 
-Ducklair Tower, stesso istante-
 
“Anf… Anf…” Il fiato era corto, ed il cuore le batteva all’impazzata. Non ce l’avrebbe fatta a continuare così ancora per molto. I corridoi erano bene illuminati, ed in quel frangente persino la loro tenue luce sembrava irritarle la pelle.
Per riprendersi dal colpo di Pikappa, le serviva riposo. Aveva provato a rimanere immobile per qualche ora, ma si era accorta che le serviva un posto sicuro dove recuperare le energie.
Grugnì, maledicendo sé stessa per aver lasciato la tunica nelle fogne. Poi comprese che infondo neanche col suo intelletto avrebbe potuto prevedere una simile piega degli eventi.
Il lungo corridoio nel quale si trovava era pieno di stanze. Cercò di aprire una delle tante porte, fallendo miseramente. Esse non disponevano infatti di alcuna chiave elettronica: molto probabilmente, potevano venire aperte solo da Uno.
Un bel guaio, considerando che qualche ora prima aveva estraniato l’intelligenza artificiale dal sistema.
-Bzzzz!-
Di punto in bianco, la porta vicino alla quale stava passando si aprì: ebbe un sussulto, ed un po’ di saliva le andò di traverso.
Tossendo e sorreggendosi allo stipite, la donna si decise ad entrare nella stanza.
Essa stranamente non era illuminata e, cosa ancor più strana, sembrava contenere diversi strumenti di dubbia funzione.
“Qua va bene… Non è un granché, ma ho bisogno del buio per riprendermi.” Commentò Profunda a bassa voce, mentre la porta si richiudeva alle sue spalle.
Passò una mano tra i capelli, così da scansare le ciocche che le si erano appiccicate sulla fronte. A vederla in quel momento, sarebbe parsa una comune papera. Non c’erano segni del frammento di Entità ed il suo aspetto poteva dirsi piuttosto comune, ad esclusione forse del vestito nero attillato che indossava, capo decisamente atipico.
Per sua fortuna, nella stanza pareva esserci una branda. Si lasciò cadere su di essa, incrociando le braccia dietro alla testa e fissando il soffitto.
“Che sia la stanza di Paperinik? Allora, vive dentro alla torre…” Pensò, spostando lo sguardo sull’ambiente circostante. Ponderò che forse quei buffi strumenti potevano essere armi ed equipaggiamenti di varia natura, anche se non riusciva a ricondurre la loro forma ad alcuna tecnologia da lei conosciuta. Chiuse gli occhi e si assopì quasi subito: un sonno senza sogni, un mare di pece nera nel quale le parve di sprofondare lentamente…
 
-Qualche piano più in alto, nel frattempo-
 
A seguito degli eventi, Uno si era trovato costretto ad una rigorosa e complessa ricerca dei codici di accesso alle aree da cui era stato escluso. Il che si era tramutato in un impegno quasi totale di tutte le sue funzioni, e ciò l’aveva portato a trascurare il monitoraggio interno.
Nonostante i complessi calcoli che si alternavano nella sua CPU, il supercomputer trovò comunque il tempo per riflettere sulla scelta di Paperinik. Non che condividesse la scelta del suo “socio”, tuttavia poteva comprenderne in minima parte la logica.
Volse il becco verso il monitor principale. Esso indicava i parametri vitali dell’occupante della camera criogenica. In più di una stringa, i valori oscillavano vertiginosamente. Nulla di confortante, insomma.
“Spero solo che Pikappa faccia presto a tornare. Devo informarlo delle condizioni di…”
Una spia si accese sul pannello di controllo e, nel medesimo istante, l’imperturbabile Uno raggelò. Per quanto potesse raggelare un essere sintetico, chiaro…
“Il sistema A.R.G.O.!” Esclamò.
Il monitor si spense per qualche secondo e, quando si riaccese, su di esso comparve la registrazione della telecamera posta vicino all’entrata della torre.
Inutile dire che la figura che destò tanta preoccupazione in Uno fu quella di Everett Ducklair, il quale sfilò rapidamente all’interno della struttura.
Non attese nemmeno che il tappeto rosso fosse ben disteso, balzando oltre prima che questo fosse completamente srotolato.
Nonostante fosse chiaro che il monaco era all’oscuro della situazione, Uno per qualche istante s’illuse quasi che tutta quella fretta fosse dovuta proprio al fatto che il suo padrone avesse già scoperto tutto.
Immaginazione… Forse, a forza di stare assieme ad esistenze biologiche, era stato in qualche modo “contaminato” dal loro modo di pensare?
Non ebbe molto tempo per interrogarsi sulla faccenda.
Everett si trovava già all’interno dell’ascensore, e come prima cosa Uno decise di mandarlo direttamente nel suo appartamento privato.
“Ben tornato, padron Ducklair.” Esclamò, con voce squillante.
Smise di fare quel che stava facendo. Ora doveva applicare il suo hardware nella risoluzione di un problema ben più immediato: tenere il suo creatore impegnato mentre rifletteva su come uscire da una situazione del genere!
 
Ed il povero Uno non era il solo a trovarsi nei guai! Al Duckmall, infatti…
 
Se non avesse avuto la certezza di esser sveglio, Quackmore avrebbe pensato ad un incubo. Non uno di quelli legati alla memoria, ma ai misteriosi e masochistici moti del cervello.
Avrebbe potuto far finta di niente, distogliere lo sguardo e passare oltre, tuttavia…
“Perché? Perché LEI è qui?” Pensò, mentre nelle sue iridi si rifletteva la figura di Paperina.
La papera si trovava a far shopping assieme alle sue migliori amiche, e ciascuna portava già sotto braccio un certo numero di buste.
Quackmore rimase immobile, a vedere quella che in un altro tempo poteva dirsi la sua fidanzata discorrere di argomenti che in passato lui avrebbe definito “frivoli”.
Eppure, com’era insolito in quel frangente sentire ogni singola sillaba uscita da quel becco come la più soave tra le melodie.
L’incanto fu rotto da una voce alle sue spalle.
“Che fai, Quackmore?... Ah, ho capito…” Mormorò Fitzroy, facendosi vicino.
Si chinò in avanti fino a portarsi alla stessa altezza del papero, e quindi scrutò nella sua stessa direzione: “Hai puntato quel bel gruppetto lì giù, vero? E scommetto che la tua preferita è quella con quel gran fiocco rosso in testa, dico bene?”
Che impertinenza! Col tempo, era riuscito a farsi amico persino quel tizio odioso. Il loro era tuttavia uno strano rapporto, fatto di frecciatine continue. In sostanza, ogni occasione era buona per pestarsi i piedi a vicenda.
E Fitzroy capì in un istante che quella era un’occasione assolutamente da non perdere.
Spinse Quackmore in avanti, per poi acchiappargli il braccio e continuare a camminare.
“E-ehi… Che pensi di fare?”
“E me lo chiedi? –Rispose lui:- Ora ti faccio vedere come si fa. Dovresti essermene grato… Eheh!”
“N-no, aspett-“
Troppo tardi. Erano già lì.
“Salve, signorine. Mi rincresce disturbarvi, ma c’è qui il mio amico che vorrebbe dire una cosa speciale ad una di voi.”
Ecco, fantastico…
Quackmore non aveva mai avuto problemi a mostrare i propri sentimenti, ma quel che lo frenava in quel frangente era un qualcosa di puramente razionale: nonostante la parrucca bionda e la voce bassa e roca a fargli da travestimento sapeva di dover stare alla larga da Paperina e da chiunque potesse riconoscerlo come il papero che un tempo era.
Si passò una mano dietro al berretto, cercando di calmarsi. Quindi, sudando vistosamente esclamò: “E-ehm… M-mi premeva solo informarvi di fare molta attenzione. Ho visto che avete fatto parecchi acquisti, e non vorrei che a qualche malintenzionato venisse in mente di scipparvi. I-in special modo lei, che ha più buste.”
Per qualche secondo calò un silenzio davvero imbarazzante, poi finalmente una delle amiche della papera aprì bocca.
“Oooh, com’è galante a preoccuparsi così per noi…” “E’ vero. Lei prende senz’altro sul serio il suo lavoro.” “Già, vero vero.” Cinguettò il gruppetto, prima di fare per allontanarsi.
Paperina lo salutò, esclamando: “Allora, staremo attente. Arrivederci, signor… Uhm… Non mi ha detto il suo nome.”
“Pap- Ehm-ehm…” Si schiarì la voce: avrebbe voluto prendersi a pugni da solo!
“Coot… Mi chiamo Quackmore Coot.” Riuscì infine a dire.
Il sorriso che ricevette in rimando lo lasciò nuovamente senza fiato. Che fosse ancora innamorato di quella papera, era innegabile… peccato che non fosse la stessa papera.
Riprese fiato: era riuscito ad uscirne col minimo danno collaterale, e questa era per lui una vittoria.
“Umpf! Sei il solito tipo noioso, pivello.” Commentò Fitzroy, allontanandosi.
Ma Quackmore già non gli badava più, perso com’era nello sguardo che Paperina gli aveva rivolto poco prima.
 
E mentre Quackmore sognava ad occhi aperti, qualcun altro nel suo appartamento si riprendeva finalmente dal torpore che l’aveva colto.
“Yawn…” Sbadigliò Paperinik, stiracchiandosi ed schioccando la lingua contro il palato ancora impastato dal sonno.
C’erano due grandi occhi azzurri, di fronte a lui. Sulle prime, forse a causa dello stordimento, non sembrò curarsene.
Poi…
“Ah!” Esclamò, schizzando in piedi seduto.
La paperotta si trovava a pochi centimetri da lui, e sembrava scrutarlo con una certa curiosità. Era veramente sorpreso di vederla sveglia, e non riuscì minimamente a celare il proprio stupore di fronte a ciò.
Sorrise, imbarazzato: “Vedo che hai aperto gli occhi, piccola. Molto bene.” Mormorò, concedendosi di nuovo una bella stiracchiata.
La paperotta scimmiottò il suo movimento, sorridendo in rimando.
Ora che poteva finalmente vederla da sveglia, si accorse che in effetti poteva avere la stessa età dei suoi nipotini. I capelli erano lunghi ed un poco mossi, di un biondo cenere che andava in netto contrasto con il rosso appariscente della tuta di materiale gommoso che indossava.
Nonostante il lungo sonno, Pikappa non poté non constatare come la papera avesse un bel colorito, e non sembrasse mostrare alcun segno di malnutrizione.
Rincuorato da ciò, l’eroe poggiò i gomiti sulle ginocchia, e quindi le mani sotto al mento, nel tentativo di assumere una posa giocosa e rassicurante. Disse poi: “Io sono Paperinik. E tu? Sai dirmi il tuo nome?”
Invero, ciò che gli premeva maggiormente era scoprire il motivo per cui una paperotta così piccola fosse stata tenuta in criostasi… ma pensò fosse il caso di iniziare dalle presentazioni.
La bambina aprì il becco per dire qualcosa, ma da esso non uscì alcun suono. Aggrottò la piccola fronte in un’espressione di disappunto, quindi provò di nuovo: “Ah…” Disse.
Il Nostro inclinò istintivamente il capo di lato, con perplessità: “Non sai parlare? Capisci almeno quel che ti sto dicendo?”
“Ah!” Fece di nuovo lei, con maggior convinzione.
Nulla di fatto, insomma. O forse no? Lo stomaco le gorgogliò.
-Gurgle!-
L’espressione perplessa di Paperinik mutò in sorriso, e l’eroe scoppiò in una fragorosa risata: “Ahahah! Ho capito, ho capito. Sarà bene parlarne dopo aver messo qualcosa nel pancino.”
 
-GURGLE!-
Anche dal suo stomaco uscì a quel punto un gorgoglio, ben più forte in intensità e durata di quello udito poco prima. Del resto, aveva saltato cena, colazione e pranzo per via dell’attacco alla Ducklair Tower.
Si zittì, mal celando il suo imbarazzo. Quindi, con contegno si alzò dal divano: “Ehm… Vado a cucinare qualcosa da mangiare… per entrambi.”
 
-Qualche minuto dopo-
 
-Gnam, gnam! Chomp, chomp! Gulp!-
Pur sapendo benissimo che Quackmore, in quanto Paperino, era in tutto e per tutto identico a lui, Paperinik si sorprese molto di trovare le cibarie disposte nello stesso ordine con cui lui era solito sistemare la spesa. Certo, ovviamente mobili e scaffali avevano una forma diversa da quelli di casa sua, tuttavia erano stati riempiti seguendo la medesima logica. Riempiti e… svuotati. Sì, perché incredibilmente la ricca dispensa di Quackmore stava già piangendo povertà.
E dipendeva dall’appetito smodato di una paperotta che arrivava in altezza a malapena alla cintola del Nostro.
Paperinik era non riusciva a contenere il suo stupore per tutta quella voracità. C’era da non crederci!
“Accidenti, quanto mangia! E dire che è così gracilina. Il suo appetito potrebbe far concorrenza a quello di Ciccio…” Pensò. In effetti, il paragone sembrava calzante.
Piatti e posate sporche si accumulavano gli uni sulle altre di minuto in minuto, e la paperotta non accennava a diminuire il ritmo.
Mentre osservava l’ultimo boccone di cibo che le finiva nel becco, l’eroe guardò con costernazione verso i mobili dispensa. Le ante aperte mostravano che al loro interno non era rimasto più nulla.
“Quackmore mi spiumerà… e poi mi cucinerà per cena!” Pensò, contrito.
La paperotta si lasciò cadere sullo schienale della sedia, massaggiando la panciotta oramai piena.
“Burp!” Esordì, dimostrando di aver gradito il pasto.
A Paperinik invece era passato l’appetito: il che, era tutto un dire. Infondo, seppur abituato allo smodato appetito del suo cugino campagnolo, era rimasto visibilmente sorpreso di ritrovare la stessa “dote” in una bambina tanto piccola e dalla corporatura così esile.
“Yawn…” Sbadigliò la paperotta, stropicciandosi gli occhi.
Il papero si batté le mani sulle cosce, alzandosi in piedi.
“Ok! Tempo della nanna, piccola.” Disse, afferrando la bambina e sollevandola dolcemente. Lei si lasciò prendere senza il minimo capriccio, complice forse il fatto che fosse “cotta” di sonno.
Paperinik si mosse verso la stanza accanto, mettendola nel letto e rimboccandole le coperte: “Sarà normale che dorma dopo aver mangiato tanto e, soprattutto, dopo aver DORMITO così a lungo? Bah…” Pensò.
La piccola si girò sul fianco, abbracciando il cuscino e sprofondando con la testa sotto alle coperte.
Questo strappò un altro sorriso al nostro, che bisbigliò pian piano: “Beh, non c’è di che preoccuparsi. Chiederò di te a qualcUno un po’ più collaborativo. Buon riposo, piccolina.”
Agitò il mantello con il braccio sinistro, così che non gli fosse d’intralcio mentre si dirigeva verso la porta d’ingresso.
Prima di farlo, però, ebbe premura di scribacchiare qualcosa sul block notes che si trovava sul comodino, vicino al telefono.
-Scrib, scrib!-
“Ihihih!” Sghignazzò, dopo esser arrivato a metà del messaggio. Probabilmente, voleva preparare psicologicamente Quackmore alla “sorpresa”.
Aprì la porta, varcando la soglia: “Niente male, come regalo di Natale anticipato.” Pensò, uscendo.
-Slam!-
 
E mentre lì una porta si chiudeva, in un luogo buio ma confortevole un’altra porta veniva aperta.
Lo spiraglio di luce che si generò le accarezzò immediatamente il viso.
Una sensazione piacevole, per qualcuno.
“Agh!”
Non per lei.
Profunda sollevò la schiena dal materasso, portando una mano a proteggere il volto, mentre cercava di mettere a fuoco la sagoma che si stagliava a pochi metri dalla branda sulla quale aveva cercato di riposare.
Da subito colse tratti distorti e atipici, che la fecero dubitare di quel che vedevano i suoi occhi.
Non era Paperinik: troppo alto e slanciato. Un robot sentinella, forse?
“Plausibile!” Ponderò, saltando giù dalla branda e sollevando i pugni in una posa difensiva.
Batté le palpebre più volte, continuando a non comprendere chi fosse il suo misterioso avversario, finché…
“C-c-chi è là?” Domandò flebilmente la voce. Il tono era incerto, quasi impaurito. E Profunda di paura se ne intendeva.
Si stupì infatti di provarne a sua volta. Poiché, nello stesso momento in cui il suo misterioso interlocutore apriva bocca, anche lei avvertì una sensazione sgradevole salirgli su direttamente per la spina dorsale.
“E’ quel mostro viola!” Quasi urlò, nella sua mente. Un bel problema, a dirla tutta.
Invero, quell’essere non aveva mai dimostrato di possedere una gran forza; tuttavia, la sua capacità di disintegrare le cellule dell’Entità col semplice contatto o con la sua strana arma, nonché le condizioni nelle quali la donna ancora si trovava, costituivano un problema di non poco conto.
L’unico vantaggio di Profunda era forse l’oscurità; il guaio è che, al buio, gli occhi dell’Evroniano parevano brillare.
“Acc- Se mi vede, sono fritta!” Doveva pensare, e in fretta. Anche perché il fare dell’Evroniano lasciava intendere che si stesse muovendo, seppur lentamente, verso di lei.
Non aveva scelta. Doveva affrontarlo e fuggire, come un animale messo alle strette.
Indietreggiò di un passo, per poi flettere i muscoli adduttori delle gambe; lo scatto fu rapido e deciso, e nel suo modo di muoversi c’era la certezza di riuscire. Allontanò il pensiero del fallimento, cercando il coraggio non tanto nella ragione, quanto nel proprio istinto di sopravvivenza.
“Devo farcela! Devo resistere… per lei!” Disse a becco stretto, raggiungendo l’Evroniano.
“Aaah!” Gridò Zheron, vedendo la donna arrivare a pochi centimetri da lui.
La mano di lei si colorò di nero, agguantando con vigore il polso dell’Evroniano. Nonostante il palmo stesse già sfrigolando sulla pelle dell’alieno, Profunda si concentrò per liberare le paure insite nella sua mente e renderle così reali.
 
Zheron spalancò il becco, mentre la sagoma scura che si rifletteva nei suoi occhi mutava nella forma.
Avrebbe giurato che poco prima si trattasse di una papera snella dai lunghi capelli corvini, invece quel che vedeva ora era tutt’altro.
 “L-lasciami. Lasciami andare!” Disse a gran voce, inutilmente. La stretta non solo si serrò ancor di più, ma parve persino diventare calda, incandescente.
“Lasciarti andare?! Ora che sono finalmente riuscita a scovarti?” Quel tono…
Si abbandonò al terrore più puro, mentre il volto che aveva di fronte veniva lentamente svelato dalla luce che filtrava dal corridoio.
La testa era quasi sferica, con una chioma a cresta del colore delle fiamme che si originava sulla sommità di essa. Gli occhi verdi privi di pupille si specchiavano in quelli dell’Evroniano, mentre un sorriso sadico che celava rabbia mal repressa lasciava intendere che le sue intenzioni non fossero affatto pacifiche.
“Preparati, feccia. Adesso si balla!”
 
Mentre Zheron viveva tutto questo, Profunda sfruttò la momentanea paralisi dell’avversario per superarlo e dirigersi verso il corridoio. Si concesse tuttavia qualche secondo per ammirare il suo lavoro: “Ah! Ben ti sta.”
L’alieno viola era a terra, e le mani si muovevano spasmodicamente, afferrando l’aria: “No… E’ Xadhoom! Mi ucciderà! Mi… Mi…”
Uno spettacolo troppo bello per non assistervi fino all’ultimo atto: “Così, soffri. Soffri la stessa pena che hai inflitto ai miei subordinati. Abbandonati alla paur-“
“Burp!” Fece l’Evroniano, ad un certo punto. Subito dopo, la sua espressione di terrore mutò in un sorriso raggiante. Teneva ancora gli occhi chiusi, e pareva che sognasse qualcosa di bello.
Profunda rimase visibilmente interdetta: “Si… si è appena mangiato la sua stessa paura?!” Si domandò, stupita.
A giudicare da come l’alieno ronfava beatamente, la risposta pareva essere affermativa.
“Tsk!” Aggrottò di nuovo lo sguardo, dileguandosi il più in fretta possibile. Avrebbe avuto altre occasioni per liberarsi di quell’essere. E anche se ora sapeva che persino il suo potere era inutile contro di lui, avrebbe escogitato qualcosa di diverso. Era sicura di questo!
Ora doveva sfruttare il fattore sorpresa.
“Inutile tornare al Livello Delta. Paperinik non è uno stupido, e sicuramente ora quella stanza sarà una roccaforte! –Sorrise malignamente:- Perciò, credo sia venuto il momento di fare visita al “portiere” del palazzo… Eheh!”
 
-Nelle vicinanze, un’ora più tardi-
 
“Però… Non avevo mai considerato quanto tempo facessero risparmiare le fogne, prima che Paperopoli finisse allagata.” Pensò Pikappa, muovendosi a ritroso tra i cunicoli che aveva percorso diverse ore prima.
La mini-torcia della cintura era l’ideale per orientarsi: in mezzo a quel labirinto c’era sicuramente da perdersi.
Il papero notò con amarezza che la parte di fogne che stava attraversando era rimasta nelle medesime condizioni in cui l’aveva lasciata: segno che i lavori per rimettere in sesto la rete fognaria sarebbero proceduti a rilento.
“Dannati Beati… Dopo aver difeso i paperopolesi da minacce aliene e crono-criminali, adesso mi tocca anche proteggerli da sé stessi.” Rifletté, giunto di fronte all’enorme porta pressurizzata che dava accesso al perimetro interno della Ducklair Tower: la prima di venti, ad esser precisi.
“E adesso ci mancava pure questa faccenda della bambina ibernata. Sono proprio curioso di sentire cos’avrà da dirmi Uno.”
Sollevò il braccio, facendo “ciao ciao” con la mano in direzione di una telecamera di sicurezza.
QualcUno parve davvero recepire il messaggio, visto che di lì a poco la porta si aprì.
Superata la soglia, l’eroe vide calare dal soffitto una scaletta di sicurezza. La salì celermente, finendo in breve tempo in un ambiente dal quale gli fu facile accedere, tramite un largo condotto, all’ascensore che l’avrebbe portato al Piano segreto.
Mentre le porte si chiudevano alle sue spalle e la veloce ascesa lo portava sempre più vicino al suo quartier generale, Paperinik non poté in alcun modo fermare il moto dei suoi pensieri: “Forse ho un po’ esagerato. Ok, la Ducklair Tower non era sicura, però… Magari c’era un buon motivo per tenere quella paperotta qui. Forse avrei dovuto aspettare un po’, provare a confrontarmi con Uno senza lasciare che l’istinto prevalesse sulla ragione. Bah, ci andrò leggero, con lui. Sì, la nostra sarà una tranquilla, moderata conversazione tra vecchi…”
Le porte si aprirono, ed il papero rimase di sasso.
“Ben arrivato, Paperinik.” Disse Everett Ducklair, con tono distaccato.
“…amici?!” Pensò il Nostro, ponendo fine al suo monologo interiore e facendo il suo ingresso nella stanza.
L’ex-magnate si trovava seduto sulla stessa poltrona dove solitamente Paperinik prendeva posto. Solo che, al contrario del papero mascherato, la sua posa era più composta e sobria.
I vestiti da lui indossati erano eleganti e dal gusto piuttosto ricercato: sembrava un perfetto uomo d’affari, in quel mentre.
Del resto, i suoi stessi modi non lasciavano intendere nulla di buono. Facile immaginare da cosa dipendessero quegli sguardi taglienti, più difficile comprenderne il perché.
“Prego, si avvicini e prenda posto.” Continuò Everett, col medesimo tono di voce.
Di fronte a lui si aprì un vano, da cui in breve tempo comparve una poltrona identica a quella su cui era seduto.
Mentre l’eroe si avvicinava, sentì Uno proferire con tono piuttosto distaccato: “Scansione completata. Diversi congegni nascosti nelle borse della cintura, alcuni dei quali potenzialmente dannosi. Scudo Extransformer… disattivato.”
-Clang!-
La cintura del papero si sdoppiò, ricadendo a terra e prendendo la forma dello scudo.
“Ehi!” Fece lui, incredulo.
“Entità della minaccia: minima.”
La situazione era più che insolita, ed il disagio s’impadronì in breve tempo della mente di Paperino. Il Nostro fece di tutto per scacciarla via. Vestiva un abito particolare, quella sera: un abito che gli imponeva di rimanere lucido e calmo.
Prese posto sulla poltrona, scansando il mantello su uno dei braccioli e sprofondando in essa.
Seguì un gran silenzio, durante il quale la tensione che s’era già accumulata nell’aria poteva quasi tagliarsi con un coltello.
Fu proprio Pikappa ad iniziare la conversazione, mormorando: “Gran bella giornata oggi, eh? Non si direbbe che è quasi Natal-“
“Lei ha portato via dalla MIA torre una persona che ho davvero a cuore. Dove si trova, ora?” Lo zittì quasi subito Everett, marcando il tono di voce sulla parola “mia”.
“Non l’ho portata via. E’ in un posto sicuro. Uno non le ha detto cos’è successo, stanotte?” Fece il papero, accennando un sorriso.
“Non tergiversi, Paperinik. Voglio sapere dove l’ha portata… E voglio saperlo adesso!” Esclamò Everett, battendo il pugno sul bracciolo. Ci aveva messo tanta foga che alcune ciocche di capelli gli erano finite sulla fronte. Si sistemò la capigliatura con un movimento della mano, cercando al contempo di rilassare i lineamenti del volto.
La cosa lasciò Paperinik di sasso: “Ehi, che modi!” Non riusciva a credere che il monaco, persona che considerava calma e posata, sbottasse a quella maniera. Forse, allora, la sua teoria aveva un senso.
“Quella bambina…” Azzardò, scendendo dalla poltrona e volgendo le spalle ad Everett.
Portò le mani dietro alla schiena e chinò il capo in avanti, mentre l’ex-magnate gli teneva gli occhi incollati addosso.
Dopo un breve silenzio, Pikappa sollevò di nuovo la testa, guardando di fronte a sé: “E’ sua figlia, vero?”
La testa si girò lievemente a sinistra, e con la coda dell’occhio Pikappa cercò di cogliere mutamenti nell’espressione del suo interlocutore.
Ci stava capendo sempre meno. Ma se quella era la verità, poteva giustificare l’ex-scienziato per il suo comportamento.
Everett, tuttavia, rimase impassibile. In minima parte era probabile che se l’aspettasse.
“Quando e come.” Fu la sua risposta, fredda.
Paperinik incrociò le braccia al petto, prendendo a gironzolare per il Piano segreto: “Non ci è voluto molto, per capirlo. L’ho sospettato fin dal primo momento che l’ho vista, ma la vera certezza ce l’ho avuta solo quando mi sono soffermato a riflettere su tutta la faccenda. E le sue parole di poco fa erano la conferma che cercavo.”
Sorrise sincero, proseguendo: “E’ davvero una bellissima paperotta. Coi suoi alti e bassi, visto e considerato che ingurgita cibo in quantità industriali. Eheh! –Il becco si rilassò nuovamente, ed il sorriso scomparve:- Ho intenzione di dirle dov’è. Prima, però, mi dica perché le ha fatto quel che le ha fatto.”
 
“L’esposizione di Paperinik è coerente con l’ipotesi dello shock metabolico desunta dai parametri monitorati dalla capsula, poco prima che il sistema venisse abortito. La reazione è oramai sbilanciata e irreversibile. E’ consigliato continuare a sovralimentare il soggetto, onde evitare decorso infausto.”
Di nuovo la voce di Uno. Sulle prime non l’aveva notato, ma adesso Paperinik si era accorto che qualcosa non andava.
 “Ehi, Uno. Hai deciso di colpo di parlare erudito? Rispiegalo con parole più semplici.” Disse, in risposta.
Everett scese dalla sedia, avvicinandosi all’eroe con passo deciso: “Intende dire che, per colpa sua, la mia Juniper…” Iniziò lo scienziato.
“Juniper?! Ah, ecco qual è il suo nome.” Esclamò il papero mascherato.
“…sarebbe anche potuta morire.”
“Gulp!”
 “Per fortuna, secondo quanto ha detto, si è nutrita… e anche molto.” Quella certezza rincuorò in parte Everett, che parve rilassarsi. Per un momento. In breve, lo sguardo tornò torvo sulla figura di Paperinik.
“Ora, mi dica dove tiene mia figlia.” Ripeté, per l’ennesima volta.
Il papero mascherato si decise infine a rivelare tutta la faccenda. Il sentore di averla combinata grossa gli premeva sulle spalle come un macigno. E se la bambina avesse avuto davvero bisogno di cure? Decise ancora una volta di fidarsi delle parole dello scienziato: “E’ nell’appartamento di Quackmore. Uno non le ha parlato degli eventi di stanotte? Si da il caso che un bel manipolo di Beati sia venuto a farci visita… E non è stato per nulla piacevole. Cercavano proprio sua figlia, quindi ho pensato fosse meglio trasferirla altrove, visto che qui non mi è sembrato sicuro.”
“Capisco… -Rispose Everett. Il tono era comprensivo, e anche i lineamenti del suo volto erano ritornati calmi e rilassati:- E la ringrazio per l’aiuto. Pur tuttavia, adesso è essenziale riportare mia figlia qua nella torre. Penserò io a proteggerla, d’ora in poi… Grazie per tutto quello che ha fatto.”
Mentre lo scienziato diceva ciò, il Nostro si mosse in giro per la stanza.
“Di nulla…” Riuscì solamente a rispondere il papero. Sentiva qualcosa di strano, nell’aria… Una sensazione spiacevole lo pervase.
 
“I sistemi di sicurezza della torre saranno ripristinati tra 34 minuti e 23 secondi circa. Sicurezza del Livello Delta da eventuali intrusioni esterne una volta attivata la modalità difensiva d’emergenza: 97%.”
Ancora la voce di Uno. Ma che aveva che non andava?
Da quando lo conosceva, Pikappa non l’aveva mai sentito parlare così. Certo, c’erano dei momenti in cui gli piaceva fare il “trombone sintetico”, però…
Lo sguardo sondò la stanza, in cerca della sfera verde che di solito conteneva l’immagine olografica del papero virtuale. La trovò al solito posto… vuota.
In quel mentre, Paperinik sentì Everett proferire: “A proposito… Il suo sodalizio con Uno può definirsi concluso. Ho provveduto personalmente a riportare la sua CPU allo stato di programmazione iniziale, nonché a rimuovere ogni dato superfluo dalla memoria interna.”
Raggelò. Nel vero senso della parola; la stanza era ben riscaldata, eppure gli parve veramente di trovarsi in cima ad una vetta innevata.
Si girò di scatto, sbraitando: “Sta scherzando?! Perché accidenti l’ha fatto?”
“Mi duole rammentarglielo, ma queste non sono faccende che devono interessarla.” Fu la risposta.
Ma il papero mascherato era ben lontano dal demordere e, battendo con vigore gli stivali ad ogni passo, si avvicinò all’ex-magnate: “M’interessano eccome, invece. Uno era mio amico, e lei non aveva il diritto di… di…”
“Lobotomizzarlo? Cancellare i suoi ricordi? Renderlo meno affabile? Lei forse dimentica che l’intelligenza artificiale Uno non è nient’altro che una macchina. E come tale, ora che non necessito più del suo contributo, io l’ho semplicemente spenta.” Lo rimbeccò lo scienziato, senza ritegno.
Ora, di solito Paperinik –o meglio Paperino- non era quel che si poteva definire un papero posato e paziente. E, in effetti, aveva superato sé stesso mantenendo il controllo fino a quel momento. Tuttavia i modi del monaco, che fino a qualche secondo fa stimava profondamente, lo mandarono fuori dai gangheri.
“Lei… Non la credevo capace di tanto. E dire che Uno non perdeva mai occasione per elogiarla. Computer o meno, non si meritava di fare una fine del genere. E non meritava che a fargli questo fosse proprio il suo creatore!” Aveva dovuto dar fondo al proprio self-control per tirar fuori parole simili senza ficcarci in mezzo qualche insulto pesante. Sperò di far breccia nel cuore dello scienziato, o quantomeno di farlo rinsavire riguardo alla sua scelta.
Ma Everett non batté ciglio. Aprì il becco dopo pochi attimi, schioccando la lingua sul palato: “Belle parole, Paperinik. Però, il suo discorso non mi sdilinquisce affatto.”
Volse le spalle all’eroe, schioccando le dita. Le porte dell’ascensore si aprirono: “Detto ciò, le chiedo gentilmente di andarsene, e di andare a cercarsi un nuovo quartier generale. Ovviamente, se crede, sarò ben felice di offrirgliene uno nuovo io…”
Everett aveva appena finito di dire queste parole, che l’istinto gli impose di voltarsi. Un pugno chiuso si riflesse sulle sue iridi, e lo scienziato si preparò psicologicamente ad incassare un colpo in pieno becco.
Non accadde…
 
-Spam!-
“Ouch!”
Lo stivale di Paperinik lo centrò in pieno nel retro piume, facendogli fare un salto di un metro buono. Ora sì che il suo volto assumeva un’espressione tutt’altro che indifferente!
La foga del papero mascherato era stata per sua fortuna interrotta da un aiuto provvidenziale.
“Lasciami! Lasciami, Uno! Così gli insegno io a cancellarti la memoria!” Sbraitò Paperinik, mentre diversi bracci meccanici terminanti con delle mani guantate gli tenevano bloccati arti e torace.
“Soggetto immobilizzato. In attesa di ordini sul protocollo da applicare.” Fu la sterile risposta del supercomputer.
Everett si rialzò, massaggiando il posteriore. Aveva proprio ricevuto una bella pedata: di certo gli sarebbe venuto un livido.
Questa volta, ritrovare compostezza richiese gran parte del suo autocontrollo. Si sistemò per l’ennesima volta una ciocca di capelli fuori posto, continuando: “Veramente poco nobile, da parte sua.”
“Grrr!” Grugnì l’eroe, cercando di divincolarsi dalla stretta dei bracci meccanici.
Everett incrociò le braccia al petto, rivolgendosi a Uno: “Sarò costretto a trattenere Paperinik fino al termine delle operazioni di recupero. Confinalo nei livelli bassi… ma che abbia una stanza dotata di tutti i confort.”
“Eseguo.”
-Brrooom!-
“Gulp!” Deglutì, per poi sbraitare verso il magnate: ”Questo non è da lei. Credevo avesse fiducia in me e Uno!” Mormorò il papero mascherato, mentre la conformazione del pavimento cambiava, attorno a lui. In breve, si aprì una voragine sotto ai suoi piedi, collegata ad un tubo di raccordo. Presumibilmente, quello l’avrebbe condotto direttamente alla sua… stanza.
“La fiducia… -Rispose lo scienziato, accigliando lo sguardo:- …è ben poca cosa, di fronte al controllo. Ed io ho bisogno di avere la certezza matematica che mia figlia ritorni tra le mie braccia... al sicuro!”
Le mani meccaniche allentarono la presa, e Paperinik precipitò nel vuoto.
“Eh?! Aaaah…” Fu il suo grido, la cui eco si spense in pochi secondi.
Everett rimase in silenzio a contemplare l’apertura del condotto, come se dentro di lui fosse germogliato il seme dell’incertezza.
Si impose di avere un contegno, incamminandosi verso la vetrata del Piano segreto.
Appoggiò una mano sulla sua liscia superficie, carezzandola appena con la punta dei polpastrelli. Quindi, disse: “Attiva immediatamente il protocollo Lambda. Le coordinate dell’appartamento di questo “Quackmore” dovrebbero esserti rimaste in memoria.”
“Eseguo.” Gli giunse all’orecchio. L’estremità del becco ebbe uno spasmo involontario.
 
Nello stesso momento, Quackmore fece finalmente ritorno al suo appartamento, dopo aver concluso il turno.
-T-Clack! Gneeek… Clunk!-
Non appena la porta si richiuse alle sue spalle, il papero buttò fuori l’aria dai polmoni, lieto di potersi finalmente rilassare.
A dire il vero, non aveva che pochi minuti. Presto si sarebbe infatti dovuto recare a casa di Rupert a vedere la partita, e dunque era tornato a casa solo per darsi una rinfrescata.
Appese il cappello e la giubba dell’uniforme Starcorp sull’appendiabiti, stiracchiandosi poi bellamente: “Ah… Sono tutto intorpidito dallo stress. Non vedo l’ora di trovarmi davanti alla tv a urlare a squarciagola in compagnia dei miei amici! Il calcio… Eheh! Quale fantastico modo per scaricare la tensione.” Pensò.
E fu mentre si recava verso il divano per concedersi qualche secondo di pacchia, che si accorse di un bigliettino poggiato sul mobile del telefono.
“Uh?!”
Afferrò il pezzo di carta, accendendo la luce del corridoio per poter mettere a fuoco meglio; l’ora era assai tarda, ed i raggi del sole si stavano affievolendo di secondo in secondo.
-Click!-
“Oh, è della mia controparte…”
 
Caro Quackmore, cause di forza maggiore mi hanno costretto
a piombarti in casa come un ladro
-A proposito, mi piace come hai arredato l’ambiente-.
Ti chiedo scusa, ma non avevo alternative.
Andando in camera da letto, troverai una bimba che dorme:
dalle un’occhiata fino al mio ritorno,
non dovrebbe darti problemi.
Ti spiegherò tutto non appena ci incontreremo.
 
P.s.:
C’è da rifare la spesa, visto che la dispensa è vuota.
Metti tutto sul mio conto.
 
PK
 
Finito di leggere il messaggio, Quackmore accartocciò il foglio, sospirando: “Uff… Comunque vada, finiscono sempre per coinvolgere anche me.”
Ora che sapeva che c’era una bambina in casa, il papero ebbe la premura d’indossare nuovamente la divisa della Starcorp, sopra alla canottiera della salute.
Si recò quindi con passi felpati verso la camera da letto: “Sigh! Addio Paperopoli-Ocopoli. E dire che mi ero anche comprato la maglietta ufficiale di quest’anno…” Bisbigliò.
“Beh… Vediamo un po’ a chi devo fare da balia.”
Sporgendosi un poco, Quackmore aguzzò la vista per scorgere i lineamenti della paperotta che si trovava a dormire nel suo letto.
Le tende alle finestre erano state tirate, e dunque l’ambiente era pressoché in ombra.
Un sussulto, e la sagoma che si trovava nel letto sollevò la testa di scatto: “Mmmh…” Fu il mugugno, piuttosto scocciato.
Fantastico… O lui aveva fatto troppo rumore, o si trattava di un caso da manuale di “sindrome da sonno leggero”.
Constatato che tanto oramai la frittata era fatta, Quackmore allungò la mano verso l’interruttore per accendere la luce.
-Click-
Stava per dire qualcosa di carino, ma non appena i suoi occhi si posarono sulla figura di Juniper, il papero inclinò il capo con perplessità.
“Eh?! Dev’essere uno scherzo.” Esclamò.
 
-Fine-
 
 
 
 
-Coming soon-
 
Dubbi, misteri e incertezze si accumulano in un arabesco indecifrabile, apparentemente senza soluzione. E mentre per le strade di Paperopoli iniziano i festeggiamenti pre-natalizi, Quackmore si ritrova suo malgrado sempre più invischiato in una faccenda da cui avrebbe preferito tenersi ben lontano. Nei sotterranei della Ducklair Tower, intanto, Paperinik cerca il modo di uscire dalla stanza nella quale è stato rinchiuso, con la speranza forse di riuscire a venire finalmente a capo di tutta la faccenda.
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni europei > Paperinik / Vai alla pagina dell'autore: Nightrun