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Autore: Kanchou    26/06/2008    5 recensioni
C’è sempre stata una tensione “non professionale” tra Alex e Sophia. Ma ora sembra che stia prendendo il sopravvento su di loro…
Genere: Romantico, Introspettivo, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alex Rowe, Sophia Forrester
Note: Lemon, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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12. Una notte



C’era stato un intervallo non di sonno ma di oblio nel quale aveva galleggiato serena e protetta come nel ventre materno. Quanto fosse durato – un minuto? Un’ora? – non sapeva. Dischiuse gli occhi alla luce bianca che pioveva attraverso i grandi oblò e si accorse che quella sensazione di calore e di tranquillità non scaturiva soltanto dal rilassamento che aveva seguito l’ultima ondata di piacere ma anche dal contatto col corpo di Alex. Si ritrovò con la testa appoggiata al suo braccio. La parte inferiore del corpo, dal bacino in giù, era intrecciata a quelle gambe lunghe di cui aveva sempre amato spiare la falcata lenta e le proporzioni perfette dentro la divisa e gli stivali.

La Luna lo smaterializzava e rendeva la sua pelle quasi evanescente, bianche come ali d’uccello le ciocche di capelli disperse tra la fronte, le guance e le lenzuola.

Lo guardò senza osare toccarlo, nel timore di infrangere la fragile bolla di felicità che li avvolgeva entrambi. Ora, nella calma e nel silenzio, Alex era completamente suo.

Tutto il suo corpo giaceva rilassato. Il corpo armonioso e forte che la maschera nera della divisa le aveva crudelmente nascosto finora, come le aveva nascosto quella pelle dall’odore sottile ed eccitante fatta per essere toccata dalle sue mani e baciata dalla sua bocca.

Non svegliarti.

Tante volte aveva immaginato di abbracciarlo e si era domandata come sarebbe stato e come l’avrebbe baciata e toccata, quale aspetto di sé le avrebbe rivelato nell’amore. E nulla, nessuna immaginazione si avvicinava al contatto reale con l’uomo disteso accanto a lei. L’uomo che aveva appena fatto l’amore con lei.

Tra poco, domani, tutto sarebbe tornato come prima. La sua espressione distante, la sua riservatezza cupa. L’avrebbe dimenticata, si sarebbe pentito di quel cedimento al suo amore.

Ma era così bello e dolce, adesso! Soltanto un ragazzo addormentato. Un corpo nudo illuminato dalla Luna e dalle stelle.

Persino la gioia poteva opprimere il petto. Si sentiva paralizzata da un sentimento talmente grande che non riusciva a scioglierlo fuori di sé come l’urlo di piacere gridato tra le sue braccia. Eppure non desiderava nulla, se non il prolungamento eterno ed immutato di quell’istante. Guardarlo con la mente vuota. Sentirsi languida, dopo essere stata presa, inondata da lui. Sentirlo suo.

“Sophia…”

Alex aveva aperto gli occhi.



§§§



Eppure sapeva di non aver potuto fare una scelta diversa.

Percorreva la sua carne bianca e morbida, di nuovo, ancora, come se stesse toccando il nucleo dorato della vita, ma non era doloroso sapere di farlo per l’ultima volta. Perché non avrebbe dovuto amarla, mai, e quella gioia, intensa, fresca, commovente, non gli apparteneva, né più né meno di quanto gli appartenesse il proprio stesso corpo, l’immagine vuota che portava la traccia, solo la traccia esterna, di qualcuno che non esisteva più.

Avrebbe potuto dirle ciò che provava e di quanto fosse vera l’emozione di prenderla mentre lei con passione e fiducia si abbandonava di nuovo ad ogni suo desiderio. Ma chi avrebbe parlato? A chi apparteneva quella emozione? Se avesse dovuto ridare forma a se stesso, se avesse potuto indicare quale fosse la sola immagine che avrebbe guardato allo specchio senza sentirla estranea, avrebbe scelto quella del ragazzo che stava accanto a Yuris nella vecchia fotografia. Quello era ancora Alex Row, ed era morto. E l’amore per Yuris era – insieme all’odio per Delphine - il solo sentimento che non sentiva estraneo, forte eppure sempre scollato da sé, come quello che provava per Sophia.

Nella gioia tornò la disperazione. Sciolse le mani che le accarezzavano il seno, si staccò dal suo corpo, cadde lentamente sul letto, come se la forza lo stesse abbandonando. D’un tratto gli apparve tutto orribilmente distante, i raggi di Luna nella stanza, le lenzuola macchiate, il biancore latteo di Sophia, i suoi capelli ondeggianti.

Lei, stordita dalle sue carezze, si sollevò sorridendo, accompagnata dal fruscio dei capelli che le scivolavano addosso, ma si accorse che Alex, ora seduto con la schiena appoggiata alla parete e lo sguardo già remoto, non avrebbe continuato a toccarla. Lo stava di nuovo perdendo.

E lui avvertiva la sua delusione. Era così tenera, adesso, mentre seduta sulle gambe, con gli occhi spalancati che non erano mai sembrati tanti grandi, gli chiedeva di non abbandonarla. Era così donna, avvicinandosi, allungandosi spontaneamente verso di lui per offrirgli il suo corpo, per richiamarlo a sé con le forme piene del suo seno e la bocca gonfia e umida dei baci che le aveva appena dato.

Non era mai stata tanto bella. Sorgeva dal letto come una dea della terra e dell’acqua, sinuosa, femminile, trasfigurata dall’amore.

Sentì il suo tocco sulle labbra, le dita che le accarezzavano, le aprivano con prepotenza e cercavano i denti, la lingua, il sospiro profondo e involontario che sgorgava da lui. Baciò e succhiò quelle dita che schiudevano la sua bocca per riportarlo alla vita, sottili, chiare come raggi di sole che fendono l’oscurità, calde come la primavera che s’insinua nella terra per farla germogliare.

Nessuna gelata uccide la pianta fino alla radice, gli aveva detto al brindisi per Campbell. Allora entrambi ignoravano ciò che sarebbe accaduto. E lei, forse, aveva ragione, non lui, che della pianta sentiva di essere la radice morta. Ma questo Sophia non aveva detto, allora: perché la pianta torni a germogliare, occorre il calore del sole. E quel raggio di sole capace di sciogliere il ghiaccio, penetrare la terra indurita dall’inverno, fecondare ciò che pareva sterile e morto, la forza tenace e miracolosa che dalla radice secca faceva sprizzare la verde foglia, voleva essere proprio lei.

Inerme avvertì su di sé la pioggia fresca dei capelli abbondanti e sottili e rabbrividì, mentre scorrevano come acqua sulla pelle al chinarsi di lei sulla sua bocca, sul suo petto. Lo toccava, lo stringeva, curiosa, inesperta ma determinata a scoprire il suo corpo, a dargli piacere.

E Alex, cullato da ciò che lei gli faceva, si trovò a sorridere.



§§§



“Dove hai imparato questo?”

Sophia si fermò. D’un tratto senti sul viso una vampata di calore. Doveva essere arrossita.

Lui la stava osservando con l’espressione tipica da ponte di comando, non da camera da letto. Quella che pretendeva una spiegazione in meno di un secondo.

La situazione era diventata all’improvviso imbarazzante.

Finché Alex si era limitato a sospirare e a tendere, a rilassare il corpo sotto le sue mani e le sue labbra – come quando gli aveva baciato quel capolavoro di ombelico – non aveva provato alcuna vergogna. Lo desiderava troppo. Si era sentita, col crescere reciproco dell’eccitazione, onnipotente e senza alcuna inibizione.

Ora quello sguardo la confondeva, facendole dubitare di avere esagerato e che le attività alle quali si era abbandonata con tanto trasporto fossero poco gradite a colui che ne era l’oggetto.

Ma durante il servizio sulla nave aveva imparato che nei momenti di crisi la cosa più importante era mantenere la calma a tutti i costi. Un buon vice doveva dimostrare di essere sempre all’altezza della situazione. Dopotutto Alex era lo stratega, ma lei era pur sempre quella che gli risolveva tutti i problemi pratici.

Senza nemmeno spostare la mano dalla collocazione nella quale la domanda l’aveva sorpresa, rispose:

“Sul ponte di comando, signore.”

“Non mi risulta che si pratichino simili cose sul ponte della Silvana” osservò Alex senza scomporsi, avendo la precisa intenzione di prendersi gioco di lei. Anche perché Sophia imbarazzata era ancora più eccitante.

“No, signore, ma ciò che ho imparato è che un buon vice capisce la volontà del suo comandante prima che parli.”

Il sorriso di Alex offrì il biancore dei denti alla luce lunare.

“E in questo caso” continuò tranquillamente Sophia “l’ordine sarebbe stato quello di armare la batteria di cannoni principale.”

Alex si lasciò andare a una risata silenziosa. La prese su di sé e stringendole la nuca la baciò con passione.

“Non vergognarti mai” le disse. Era tornato serio e le accarezzava le guance e gli occhi.

Sophia, accogliendolo dentro, lo avvolse con tutta se stessa.

Mentre tornava ad immergersi nel suo seno, Alex pensò che un tempo, quando era vivo, si sentiva così.



§§§



In bagno, Sophia scoppiò a piangere.

Aveva lasciato Alex nel letto. Si era lavata. Aveva persino passato qualche colpo di spazzola tra i capelli. E aveva sorriso, ripensando con un capogiro a tutto ciò che avevano fatto.

Allo specchio aveva visto una donna diversa. Sul corpo c’erano le tracce madreperla del suo seme. La bocca, dove continuava a percepire il sapore dei loro corpi, era arrossata di baci. Gli occhi splendevano di una luminosità che non conosceva, sensuale, ferina. Era diversa, ma avrebbe voluto rimanere così per sempre.

Quante ore alla partenza? La notte era fonda, mancava ancora tanto al sorgere del Sole. Non aveva nemmeno impacchettato le sue cose, i libri, le divise, la biancheria. Doveva lasciare la cabina vuota, come era dovere di un buon ufficiale.

Doveva fare ancora molte cose, prima di partire dalla nave.

Aveva aperto il rubinetto del lavandino per far scorrere l’acqua. Si era piegata sulle ginocchia e aveva pianto.

Questa era la prova più dura. Ne aveva superate molte, da quando sua madre era morta. Aveva affrontato la solitudine e le responsabilità che ogni volta il suo ruolo, quello di figlia abbandonata, di erede al trono, di primo ufficiale, le aveva imposto. Aveva dovuto lottare, sempre, e dimostrare di essere forte. Ora questo. Lasciare la persona che aveva più cara al mondo.

Aveva già deciso e accettato. Ma il passo successivo, andar via per sempre, era ancora il più difficile. Perché sapeva che non ci sarebbero state altre notti come quella e la carne, la voce di Alex, sarebbero rimaste solo un ricordo.

O forse no…un giorno…

Accadeva a tutti gli amanti ciò che era accaduto tra di loro? Era sempre così il sesso? Era sempre tanto intensa, incontrollabile, persino dolorosa la passione che attraeva ed univa due corpi? Sorridevano, gli amanti, come aveva fatto lui, con quella dolcezza disperata, come se fare l’amore con lei gli facesse ritrovare l’essenza di se stesso?

O tutto questo apparteneva solo a loro e Alex l’amava, più di quanto avesse la volontà di ammettere?

Bagnò il viso con le mani.

Non aveva senso piangere adesso. Avrebbe rovinato tutto. Quella notte il dolore non esisteva.

Chiuse l’acqua. Tornò nella stanza.

Eccolo, non più nel letto, ma in piedi, di spalle, davanti all’oblò che aveva aperto per far entrare l’aria notturna.

L’uomo più odiato e temuto di Prestel. La sua figura snella contro le stelle. Bellissimo, virile, elegante come l’aveva visto ogni giorno e come l’avrebbe ricordato per sempre.

Sophia si avvicinò e si annidò nel calore della sua pelle nuda. Dall’oblò entrava il fresco della brezza. La stessa che le aveva accarezzato i capelli poche ore prima, mentre diceva addio alla Silvana e al suo comandante. La stessa brezza, le stesse stelle, la stessa notte, sebbene lei fosse così cambiata.

“Hai freddo?” le chiese, scostandole una ciocca di capelli dal viso. Era triste.

Sophia scosse la testa. Lo guardò negli occhi malinconici ma ammorbiditi dalla stessa emozione inesprimibile che provava lei.

“Sarei dovuto restare laggiù e morire con loro…”

Lei gli sfiorò le labbra. “Lottare per vivere” mormorò “è un dovere.”

Le diede un bacio sulla testa, come un padre, mentre Sophia gli cingeva la vita con le braccia. Il corpo di Alex era caldo nel fresco della notte. La sua schiena salda come una colonna, il suo odore tenue e bellissimo. Lo desiderava, le apparteneva.

L’alba era ancora lontana. Scivolarono in un bacio lungo e profondo. Si amarono ancora, lentamente. Dolcemente.



§§§



Con la prima luce si rivestì. Raccolse le parti della divisa sparse per la stanza, gli stivali gettati sotto la finestra, i pantaloni finiti dietro alla poltrona. La cintura tintinnò lievemente mentre la chiudeva. Era stata lei a farla cadere per terra all’inizio di quella notte.

Sophia dormiva. Si inginocchiò accanto a letto per accostarsi a lei un’ultima volta. Rannicchiata su un fianco, con le braccia piegate davanti al petto e il labbro superiore che si muoveva nel respiro, non sembrava molto diversa dalla bambina che aveva conosciuto tanti anni prima. Non sarebbe mai cambiata. Sarebbe rimasta per sempre pura e delicata come allora, persino sul trono e nella battaglia, persino tra le braccia di un uomo.

Non la baciò per non svegliarla.

Il mantello del comandante giaceva vicino alla porta. Lo prese, lo piegò su un braccio. Non aveva la forza di indossarlo. Non ancora.

Uscì dalla cabina silenziosamente.



Segue nel capitolo 13…

  
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