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Autore: Martowl    04/03/2014    3 recensioni
Ci sono cose che Carlo non riusciva a spiegarsi, di primo mattino. Non capiva perché il latte riusciva a bruciarsi nel giro di qualche frazione di secondo. Ma soprattutto non capiva perché, mentre lui girava per casa in mutande alle otto del mattino, la serratura di casa sua girava e dal portone faceva capolino l’esile figura bionda di Gaia che, con un sorriso timido, s’infilava nella camera di Filippo per poi uscire cinque minuti dopo senza cappotto e senza scarpe.
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«Se non fossi di proprietà privata, in questo momento saresti nuda nel mio letto» disse Carlo, senza preamboli. «Non sono di proprietà privata, io!» rispose, ridendo.
«Invece sì. Chi lo sente più Filippo, se qualcuno prova a toccarti? Manco fossi fatta di cristallo!» sbuffò, quasi infastidito dal fatto che Gaia fosse intoccabile.
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Chiuse nuovamente la porta e si distese nella parte vuota del letto matrimoniale e attese.
A volte chiudeva gli occhi pure lei e si faceva cullare dal respiro del ragazzo. Era quel respiro che a lei piaceva tanto, perché faceva un suono davvero singolare; molti l’avrebbero presa per pazza ma aveva imparato a riconoscere piccoli dettagli che differenziavano Filippo dal resto della popolazione mondiale maschile.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Intrusioni di brioches calde e cuori freddi.

Ci sono cose che Carlo non riusciva a spiegarsi, di primo mattino.
Non capiva perché l’acqua della doccia arrivava sempre fredda e se solo giravi la manovella verso sinistra, dopo una lunga attesa, ti arrivava un getto bollente.
Non capiva perché il latte riusciva a bruciarsi nel giro di qualche frazione di secondo nella quale lui, puntualmente, si girava a prendere dallo scaffale i suoi cereali con le scaglie di cioccolato.
Non capiva perché quelle piccole scaglie si scioglievano nella sua mano nel tragitto dalla confezione di plastica, alla tazza.
Ma soprattutto non capiva perché, mentre lui girava per casa in mutande alle otto del mattino, la serratura di casa sua girava e dal portone faceva capolino l’esile figura bionda di Gaia che, con un sorriso timido, s’infilava nella camera di Filippo per poi uscire cinque minuti dopo senza cappotto e senza scarpe, raggiungendo così la cucina con un sacchetto del bar in mano.
Si muoveva in quella piccola sala come se fosse casa sua, aprendo i giusti sportelli per prendere la tazza –quella verde, che aveva regalato lei a Filippo l’anno precedente- il cucchiaino, riempiendo contemporaneamente il pentolino del latte e prendendo i cereali dalla dispensa e un bicchiere per il succo d’arancia, riuscendo a non far bruciare il liquido posto sul fornello.
Carlo, dalla sua postazione, la guardava esterrefatto, chiedendosi come fosse possibile che una diciannovenne si muovesse così tranquillamente in casa altrui, senza fare danni mentre lui, alla veneranda età di ventitré anni, riusciva a malapena a cuocersi un piatto di pasta in bianco senza farla troppo scotta.
«Tu sei una dea» disse, guardandola con sguardo trasognato.
Era risaputo che gli uomini non collegano il cervello alla bocca, no?
Gaia, dal canto suo, si girò a guardarlo con un sorriso sulle labbra.
«Oggi hai bruciato il caffè, il latte oppure entrambi?» domandò, guardandolo.
«Solo il latte» rispose il ragazzo orgoglioso di se stesso.
«Stiamo facendo passi avanti, Carl!» gli rispose, ridendo apertamente.
Nel frattempo, prese un vassoio dallo sportello in basso a destra e, prendendo un piatto dalla credenza, ci mise le due brioche comprate per poi riscaldarle nel piccolo forno a microonde.
Aspettò i due minuti prestabiliti sistemando ciò che aveva sporcato per poi guardarsi un po’ intorno.
«Se non fossi di proprietà privata, in questo momento saresti nuda nel mio letto» disse Carlo, senza preamboli.
Dopo mesi e mesi di puro corteggiamento, Gaia era divertita dal comportamento del ragazzo.
«Non sono di proprietà privata, io!» rispose, ridendo.
«Invece sì. Chi lo sente più Filippo, se qualcuno prova a toccarti? Manco fossi fatta di cristallo!» sbuffò, quasi infastidito dal fatto che Gaia fosse intoccabile.
Quando l’aveva incontrata, nei primi di ottobre, Carlo si era leggermente invaghito di lei. Certo, non era l’amore della sua vita, ma un giro sulla giostra l’avrebbe fatto volentieri, usando le parole di Lorenzo, l’altro coinquilino.
Non sapeva bene come Filippo avesse incrociato quella ragazza, ma per i mesi seguenti non aveva fatto altro che ringraziarlo per aver portato in casa tanto ben di Dio. Non sapeva nemmeno cosa fosse il rapporto tra quei due. Per i primi mesi, sicuro di sé com’era, aveva cominciato a girare in pantaloni di tuta, oppure in mutande, solo per mettersi in mostra davanti a Gaia, ma l’unica cosa che ottenne fu il divertimento della ragazza –minimamente interessata- e il grugno infastidito di Filippo. Così, sia Carlo che Lorenzo, si erano messi l’anima in pace e avevano deciso di puntare ad altro.
Lorenzo ci era riuscito senza danni, poiché lavorando fino a tarda notte, la mattina alle otto era chiuso in camera sua, addormentato. Però Carlo, dovendo raggiungere la facoltà verso le nove e mezza, alle otto girovagava per la casa come un morto vivente e spesso si ritrovava la ragazza che quando non sapeva dove andare, si rifugiava a casa dell’amico.
Dopo aver sistemato tutto in precario equilibrio sul vassoio e dopo aver rivolto un sorriso di saluto verso Carlo, Gaia iniziò a camminare verso la camera di Filippo, dove aveva lasciato la porta socchiusa, ben sapendo –in anticipo- delle difficoltà che la sua goffaggine le avrebbe dato.
Dando una leggera spinta con il fianco destro, entrò e appoggiò tutti i cibi sullo spoglio comodino del ragazzo.
Sistemò tutto con cura, mettendo le brioche calde più vicine al letto, in modo tale che il profumo potesse invadere tutto lo spazio nel quale Filippo dormiva beatamente.
Chiuse nuovamente la porta e si distese nella parte vuota del letto matrimoniale e attese.
A volte chiudeva gli occhi pure lei e si faceva cullare dal respiro del ragazzo. Era quel respiro che a lei piaceva tanto, perché faceva un suono davvero singolare; molti l’avrebbero presa per pazza ma in quei mesi di amicizia, aveva imparato a riconoscere piccoli dettagli che differenziavano Filippo dal resto della popolazione mondiale maschile.
Si erano incontrati a settembre, in malo modo. Entrambi si erano svegliati male e, nel traffico mattutino, si era scontrati, nel vero senso della parola.
Gaia con l’iPod alle orecchie, superando il limite massimo di velocità, viaggiava nelle vie di Padova per raggiungere il suo Liceo, mentre Filippo ormai in ritardo per la prima ora di lezione, si apprestava a raggiungere la biblioteca dove alcuni suoi colleghi gli tenevano il posto, in modo da poter studiare tranquillamente per l’esame imminente.
Non avendo visto il semaforo, il ragazzo inchiodò, provocando quasi un testacoda con il motorino di Gaia che stava arrivando e che per colpa della pioggia notturna, slittò, facendole perdere l’equilibrio.
Filippo, dallo specchietto retrovisore, assistette alla scena e immediatamente si precipitò ad aiutare la ragazza.
«Scusami, è colpa mia!» dissero all’unisono.
Dopo un momento di silenzio carico d’imbarazzo, i due ragazzi si misero a ridere.
«Ti sei fatta male?» chiese preoccupato?
«No, penso di essere tutta intera» rispose la ragazza, alzandosi in piedi «Non ho strisciato la tua macchina, vero?» domandò impaurita.
Filippo fece un segno di diniego.
«Facciamo che per scusarci ci offriremo un caffè a vicenda, va bene?» disse il ragazzo.
Gaia rise di quella strana richiesta ma accettò, affascinata dal ragazzo.
«All’angolo tra via Marcelli e via Pirandello, c’è un bel Caffè. Va bene se ci incontriamo direttamente lì?»
Dopo un accenno di assenso di Gaia, Filippo la aiutò a rialzare il motorino e poi ripartì velocemente con la sua macchina, avendo notato la fila di auto dietro di loro. Tenne sempre un occhio vigile dietro, controllando anche la ragazza fosse a debita distanza, prima di frenare.
Passarono così alcune ore in compagnia, dimenticandosi Gaia della scuola e Filippo dell’incontro con i colleghi. Entrambi i cellulari vibravano nella tasca interna delle loro borse, ma nessuno dei due se ne interessò.
Alla fine di quel lungo caffè, si scambiarono i vari contatti e decisero di sentirsi presto.
Fu così che una sera, mentre Gaia cercava un buon posto dove rifugiarsi durante la mattinata, Filippo le chiese se avesse voglia di andare a casa sua.
Aveva imparato a non far peso a certe richieste del ragazzo perché, come ben notato al loro primo incontro, capì che non era certo il modo di fare avances, per lui.
Oltretutto Filippo era un ragazzo molto introverso, che raramente parlava del suo passato, e le uniche cose che sapeva gliele aveva tirate fuori con la forza.
Quel primo mattino, quindi, Gaia si presentò con un pacchetto contenente due brioche, ricordandosi i gusti scelti al loro primo incontro, come regalo di ringraziamento.
E fu così che Carlo e Lorenzo si ritrovarono una figura femminile girovagare per la casa.
 
Quando la leggera cantilena del respiro di Filippo s’intensificò, Gaia si ridestò dai ricordi e attese che il ragazzo si svegliasse totalmente.
«Buongiorno dormiglione» sorrise, appoggiandosi alla spalla ossuta del ragazzo, per guardarlo in volto.
«Sono brioches quelle che sento?» chiese, in risposta, con voce impastata.
Abituata ai modi rudi, Gaia allungò una mano e prese la sua brioche iniziandola a spilucchiare.
Dopo aver sgranchito i vari muscoli, Filippo alzò il cuscino verso la testiera del letto e cominciò a mangiare ciò che la ragazza aveva preparato per lui.
«Se mai riuscirai a non fare assenze per un’intera settimana, ti farò un regalo» sorrise, continuando a mangiare.
«Se salto le lezioni, tu ti svegli con la colazione pronta: guarda i lati positivi delle cose».
Fu così che Gaia riuscì a chiudere la bocca a Filippo per la prima volta.
 
Dopo aver finito di mangiare e di bere, il ragazzo prese della biancheria pulita, la tuta di casa e si diresse verso il bagno, mentre lei decise di sistemare il mare di briciole che avevano fatto.
Pulì il letto e il comodino, portò tutto in cucina e mise a posto le lenzuola.
Per qualche strana ragione si divertiva a sistemare casa altrui, mentre nella sua a malapena spostava i vestiti dalla sedia all’armadio.
Dopo aver ripulito tutto, accese il computer di Filippo e si mise a sedere davanti alla scrivania.
I loro enormi volti comparirono sulla schermata iniziale e rimase lì a contemplarla.
Ricordava bene quella mattina: aveva perso l’autobus per scuola, stava piovendo e aveva dimenticato l’ombrello in casa e, siccome ogni scusa era buona per lei, attese l’arrivo dell’altro autobus e si diresse verso la casa dei ragazzi.
Arrivò bagnata e infreddolita e dopo essere stata accolta dalla solita immagine di Carlo in mutande, Filippo le portò un asciugamano pulito e una tuta calda.
Gaia si fece una calda doccia e si cambio, ringraziando il cielo di avere ancora l’intimo asciutto.
Aveva passato la mattina sotto le coperte con lui e dopo aver parlato del più e del meno, accese il computer e iniziò a scattare foto. Si avvicinò anche al ragazzo che, seppur inizialmente fosse restio, cominciò a fare facce buffe davanti all’obiettivo.
Non sapeva, però Gaia, che aveva deciso di metterla come immagine iniziale e questa cosa le fece piacere.
Non aveva mai nascosto a se stessa di provare un certo interesse nei confronti di Filippo ma vedendo di non essere ricambiata, aveva deciso di lasciare perdere e di scoprire cosa le avrebbe portato quella strana amicizia.
 
Fu così che lui la trovò, incantata davanti al computer con un leggero sorriso sulle labbra.
La prese di forza e la buttò sul letto e lei, senza farselo ripetere due volte, si buttò le coperte sopra e rimase al calduccio con gli occhi chiusi, continuando a seguire i discorsi sconnessi che lui faceva.
Fu così che, piano piano, la voglia di parlare venne meno e si addormentò.
Non era mai accaduto che si addormentasse a casa sua e Filippo rimase a guardarla.
Notò i piccoli ciuffi di capelli biondi che erano fuoriusciti dalla treccia, notò le piccole efelidi sopra il naso e notò le ciglia fremere quando le accarezzò una guancia. Soprattutto notò la consistenza della pelle di Gaia, anzi, la bellezza della pelle di Gaia.
Così chiara, così delicata, da sembrare fragile.
Non aveva mai pensato a ciò che provava per Gaia, o meglio, si era imposto di non pensarci.
Averla al suo fianco lo faceva stare bene e non era disposto a perdere quel torpore che sentiva dentro ogni volta che l’aveva al suo fianco.
Borbottò qualcosa per farla svegliare, la chiamò e le disse qualche battuta per farla ridere, ma tutto ciò che ottenne fu un sussurro.
«Filippo» disse e subito dopo sorrise.
E Gaia, per la seconda volta, riuscì a chiudere la bocca a Filippo.
 
Martowl’ space.
Hi babe,
come va?
Questa storia è nata oggi pomeriggio, in motorino, mentre cercavo un riparo per domattina, poiché non sono pronta per affrontare una possibile interrogazione e, per non rovinarmi la media, ho deciso di non andarci.
Però, ahimé, io non ho un Filippo che mi ospita e credetemi, è una cosa che mi fa davvero sentire male.
Ho provato anche a immaginarmeli e la mia cara Gaia ha il volto di Petra Karlsson, mentre Filippo assomiglia –magari con qualche anno in meno- a Ben Barnes.
Questa storia, in fin dei conti, non ha una vera fine ma questo perché la loro amicizia mi sembrava troppo bella e c’è dell’amore tra di loro, solo che è diverso; è uno di quei dettagli di Filippo che tanto adora Gaia.
In conclusione, questo è ciò che ho fatto oggi al posto di studiare e vi sarei enormemente grata se lasciaste anche un solo pensiero.
Grazie mille.
 
Bisou,
Mart.
   
 
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