Premessa. Questa
storia è ambientata durante Il Canto della Rivolta, due giorni prima
della partenza di Gale, Katniss, Finnick e il resto
della squadra per Capitol City.
Storia scritta per la 30 Day
OTP challenge, con il prompt: day 1.
Holding Hands.
Prendi
la mia mano
Prendi
le mie mani ancora e ancora,
come
chi parte e non saprà mai se ritorna
Ricorda,
sei meglio di ogni giorno triste,
dell'amarezza,
di ogni lacrima,
della guerra con la tristezza*
Gale
Hawthorne esitò sulla porta socchiusa della stanza d'ospedale, scoccando
un'occhiata perplessa all'interno, attraverso lo spiraglio: così accasciata sui
cuscini, con lo sguardo inespressivo e gli occhi che lottavano per restare
aperti, Johanna Mason era tornata ad essere la
giovane donna dal volto emaciato che lui e gli altri soldati erano riusciti a
strappare con fatica all’incubo della sua cella. L'immagine che i suoi occhi
gli stavano mostrando in quel momento lo mise a disagio, velando il suo sguardo
di tristezza: era una scena che stonava, se messa a confronto con la Johanna combattiva e disinibita che aveva preso l'abitudine
di gironzolargli attorno nel corso delle ultime settimane. Si introdusse nella
stanza cercando di non far rumore, chiedendosi se la ragazza avrebbe reagito
bene alla sua presenza lì: gli sembrava quasi di spogliarla del suo orgoglio,
di violarla, guardandola così, senza che lei potesse fare nulla per mascherare
la sua debolezza.
Trovava insolito
che si soffermasse a fare simili pensieri, quando Johanna
non aveva fatto altro che esporsi con lui, sin da una delle prime volte che si
erano incrociati in ospedale, quando di punto in bianco si era sfilata la
camicia da notte per gettargliela addosso, ghignando della sua espressione
imbarazzata. Aveva continuato a spogliarsi spesso, le volte in cui era sicura
che Gale fosse nei paraggi ad osservarla e alle provocazioni fisiche si erano
affiancate presto quelle verbali, man mano che Johanna
riprendeva possesso di se stessa, scacciando il fantasma dal cranio rasato e il
volto smunto con cui le torture avevano cercato di sostituirla. Gale si era
abituato gradualmente ai commenti schietti della giovane, ai sorrisetti
maliziosi e alle allusioni a carattere sessuale, imparando a non arrossire ogni
volta come un tredicenne alle prime esperienze con l'altro sesso. Era evidente
che Johanna si divertisse a stuzzicarlo, e non era
disposto a lasciarsi mettere così facilmente in imbarazzo, dandogliela vinta
ogni volta - costringendosi ad osservarla mentre lei si allontanava con un
sorrisetto compiaciuto.
In quel momento
era tornato a sentirsi a disagio come i primi tempi, ma nel suo impaccio c'era
una sfumatura di dolore che non si adattava in alcun modo all'imbarazzo
spiazzante, ma in fondo piacevole provocato dalle continue frecciatine della
ragazza.
Gale si sedette
a poca distanza da lei, rivolgendole un'ultima occhiata impensierita. La vide
sbattere le palpebre e voltarsi verso di lui, un lieve sorriso divertito ad
arricciare gli angoli delle sue labbra.
“Buongiorno, bellissimo"
mormorò Johanna con voce rauca, cercando di rizzare
la schiena. "Spero tu sia qui per farmi uno spogliarello o qualcosa di
simile, perché ho seriamente bisogno di movimentare un po' questa
giornata."
Gale sorrise,
scuotendo appena il capo. La giovane si sistemò meglio contro i cuscini,
osservandolo compiaciuta: andava piuttosto fiera, di quel sorriso. Non si
vedeva spesso sul suo volto e non erano tanti i fortunati in grado di
strapparglielo in maniera spontanea - la sua amica Ghiandaia sembrava
aver perso quel privilegio ormai da tempo.
"Volevo
solo assicurarmi che tu non stessi facendo impazzire gli infermieri"
rispose il ragazzo, appoggiando entrambi gli avambracci sul letto.
"Di' la
verità, hai il terrore che trovi qualcun altro da tormentare al posto tuo"
commentò Johanna, rivolgendogli un'occhiata sorniona.
"Non preoccuparti, Hawthorne, certe attenzioni le riservo solo a te."
Gale distolse lo
sguardo, tornando a sorridere debolmente. Il disagio fastidioso che aveva
avvertito appena entrato nella stanza stava sfumando, sostituito dal tipico
imbarazzo più genuino, sollevato dalle frecciatine della giovane. Non c'era più
alcun fantasma gracile e emaciato a fissare con sguardo spento il muro della
stanza d'ospedale: la ragazza al suo fianco era ancora Johanna, la stessa Johanna
che spesso giocherellava maliziosa con i bottoni della sua divisa del 13,
attirandolo a sé per il colletto, cercando di sbirciare oltre il tessuto della
camicia. Johanna che si autorizzava a concedersi
libertà sul suo corpo che lo spiazzavano ogni volta, lasciandolo di stucco. Le
sue mani giocavano spesso a sorprenderlo in momenti in cui era assorto da
tutt'altro tipo di pensieri, passando dalla più classica e imbarazzante pacca
sul sedere all’appena percettibile colpetto sul fianco. Le sue di mani, invece,
erano sempre più spesso impegnate ad allontanarla con impacciata fermezza,
mentre il suo sguardo la evitava bruscamente, infastidito dai suoi sorrisetti
compiaciuti. Nonostante la totale inibizione, Johanna
riusciva comunque a non mostrarsi mai invadente, né eccessivamente insistente,
poco intenzionata a stare al passo di chi non cedeva o non ricambiava le sue
attenzioni. Quando si avvicinava troppo, recuperava la guardia abbassata
allontanandosi con un ghigno, senza lasciare a Gale il tempo di arrabbiarsi per
davvero: il più delle volte lui sorrideva e basta, scuotendo la testa con
rassegnazione.
"E così
dopodomani partite" mormorò improvvisamente Johanna
in tono di voce atono. Il sorriso di Gale svanì, sotto lo sguardo d'un tratto
indurito della giovane.
"Te l'ha
detto Finnick?"
"In realtà è stata tua cugina a sbottonarsi" rispose la ragazza,
lasciandosi ricadere pesantemente sul letto. "È per questo che sei qui,
Hawthorne? Per un salutino prima della partenza?"
Gale non
rispose; si limitò a dare una scrollata di spalle, sostenendo il suo sguardo
con espressione tuttavia distante. Johanna sospirò,
alzando gli occhi al cielo: era impegnato in una di quelle riflessioni
silenziose che lo sorprendevano di tanto in tanto, rapendolo per allontanarlo
dai suoi interlocutori. Johanna aveva cercato più
volte di indovinare cosa gli passasse per la testa in quei momenti, scrutando
con attenzione i suoi occhi grigi, ma non ci era mai riuscita. I suoi silenzi
la irritavano, perché non riusciva a strapparglieli via di dosso, come le
veniva così naturale fare con i propri indumenti.
In quel momento
Gale fece scivolare una mano sotto al lenzuolo, spingendola a cercare un
contatto con quella della giovane. Percorse il suo avambraccio con i
polpastrelli e poi il polso, fermandosi contro le sue dita, intrecciandole con
le proprie. Johanna inarcò un sopracciglio,
interrogandolo con lo sguardo, ma Gale si limitò a guardarla senza dire nulla,
accarezzandole il dorso della mano con il pollice; era la prima volta che la
cercava fisicamente di sua spontanea iniziativa. Johanna
sapeva bene che, con tutte le libertà che gli aveva concesso nell’ultimo
periodo, avrebbe potuto aspettarsi ben altro, da lui. Sapeva che quelle dita
avrebbero potuto sfilarle affamate lungo il corpo, sotto i vestiti, contro la
pelle. Eppure in quel momento si limitarono a stringersi in maniera un po' più
salda attorno alle sue, mentre l'espressione distante di Gale spariva,
lasciando il posto a un lieve sorriso. Johanna
ricambiò la stretta, sollevando il capo per incontrare il suo sguardo: avvertì
per la prima volta il bisogno dell’altro incunearsi tra le loro dita e non si
spinse oltre – né per stuzzicarlo, né per soddisfare sé stessa; quella stretta,
in quel momento, le bastava. Si sorprese comunque a scioglierla, poco dopo,
ignorando lo sguardo sorpreso del ragazzo.
Johanna
sbuffò, passandosi le dita fra le spunte di capelli castani appena accennate
sul suo capo e si voltò dall'altra parte. Erano mesi che puntava a ben altro,
cercando Gale con tocchi senz'altro più intimi di quello che li aveva appena
sorpresi.
Non si era
aspettata che una semplice stretta di mano avrebbe potuto farle così paura.
Nota dell'autrice.
*da: L'amore è una cosa
semplice, Tiziano Ferro
Finalmente ce l'ho fatta, dopo decine di tentativi andati a
vuoto, a scrivere una Gale/Johanna pre-epilogo: la mia prima Ganna
senza Joel. Non mi convince affatto, è uscita fuori completamente diversa da
come l'avevo impostata al principio, ma sono comunque contenta di essere
riuscita a finirla, perché mi blocco sempre quando cerco di scrivere su loro
due soltanto, e ho il terrore di combinare pasticci con la caratterizzazione di
entrambi e un sacco di altre cose. Mi sono resa conto che il punto di vista nel
racconto varia - nella prima parte l'introspezione è dal punto di vista di
Gale, nella seconda passa ad essere di Johanna. La
storia era nata con entrambi i punti di vista e alla fine ho deciso di
mantenerli entrambi. Il titolo è ispirato alla canzone di Tiziano Ferro da cui
ho tratto la citazione iniziale: è un titolo veramente banale, ma non mi veniva
veramente in mente nulla di decente e il testo di quella canzone mi è sembrato
subito molto adatto a Gale e a Johanna, così ho
pensato di inserirlo.
Grazie a chiunque sia arrivato a leggere fino a qui! Regalo
ai poveri malcapitati che ce l’hanno fatta una performance di spogliarello del
signorino Hawthorne u_ù
Un abbraccio!
Laura