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Autore: Daisy Pearl    06/03/2014    3 recensioni
Finì di parlare e ansimò brevemente, come se avesse fatto una corsa infinita, lo sentii andare avanti e indietro e in qualche modo riuscii a immaginarmelo. Aveva un lungo abito bianco che si adagiava sul pavimento in pietra. La veste ondeggiava con eleganza e sembrava brillare di luce propria. Le lunghe ali erano spalancate sulle sue spalle, candide come il vestito e, a completarne la figura c’erano i classici boccoli oro che gli ricadevano sulle spalle con gentilezza. Potevo quasi vedere gli occhi azzurri come il cielo fissarmi attendendo che fossi in grado di alzarmi, in quel modo mi avrebbe potuta portare dove dovevo stare.
Mi avrebbe portata all’inferno.
- Questa è la storia di Mar e di Dave. Una storia di magia, tradimenti, colpi di scena, pazza, lucidità, amore. Bene e male si intrecciano in continuazione fondendosi in alcuni punti per poi separarsi. Il confine tra bianco e nero non è mai stato così invisibile.
Genere: Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gioco di...'
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Capitolo 24


La donna entrò nella stanza dove ci trovavamo a passo spedito e tenendo gli occhi azzurri dritti davanti a se. Aveva i capelli di un rosso spento e le arrivavano leggermente sopra le spalle. Le labbra erano piene e il suo fisico asciutto e formoso era fasciato da una stretta tuta di pelle nera. Una cerniera partiva dal ventre per terminare sul collo. Le mani erano ricoperte da guanti neri e sul fianco destro non portava nessuna pistola.
“Greenwood! Che piacere vederla come sta?” la donna sorrise con cortesia ad Alex.
“Potrei stare meglio!” Alex non parve prestare molta attenzione alle parole della donna.
“Lei non ha il permesso di stare qui!” aggiunse la donna con voce professionale.
“Ma stiamo parlando di Dave!” protestò Alex riversando improvvisamente tutta la sua attenzione sulla donna.
“Lei non è più un agente operativo, se ne vada, le hanno permesso di gironzolare qua intorno fin troppo a lungo!” la voce dell’agente Longbom era impassibile.
Alex strinse la mascella e mi aspettai che protestasse, invece lanciò una lunga occhiata a Cyfer, prese la giacca e uscì dalla porta senza aggiungere una parola.
La donna si avvicinò al posto che aveva occupato Alex fino ad allora, quello di fronte a me e spostò la sedia prima si sedersi su di essa.
“Sono l’agente Longbom, la tua nuova ombra!”
Non sembrava divertita dalla cosa.
“Samantha, pensavo che tu fossi stata affidata ad un altro caso!” iniziò Cyfer. Non sembrava felice della presenza di quella donna lì, questo voleva dire che le cose si stavano complicando.
Dannazione.
“Pare che Dush preferisca affidarmi compiti burocratici invece che mandarmi lì fuori, pare che io sia perfetta per compilare moduli e verbali!”
Cyfer non aggiunse nulla, si limitò a lanciarmi una breve occhiata.
“Da quello che ho sentito stiamo cercando un assassino spietato che non è altro che un ex ragazzino casa e chiesa! Sono il tipo peggiore!” disse la donna “Fortunatamente Dush mi ha detto di venire qua prima, si è insospettito quando le telecamere di una certa stanza hanno smesso di funzionare in un orario non stabilito, così eccomi qui. C’è altro che vuole aggiungere signorina Jones, oltre a quello che ha detto finora?”
I modi di quella donna mi lasciavano senza parole. Era scaltra e lo si poteva notare dalla sicurezza del tono di voce, dal portamento. Doveva essere un grande agente perché Cyfer sembrava non gradire la sua presenza più di quanto gradisse la mia e, infine, doveva essere incredibilmente dedita al suo lavoro. Non un’emozione fuoriusciva da lei, usava solo un tono puramente professionale, come quello di un avvocato: diretto, rapido, completo, formale.
Non riuscivo ad inquadrarla come persona.
“Non ho nulla da aggiungere!” risposi.
“Bene!” la donna si alzò “Seguitemi!”
Sbattei un paio di volte le palpebre perplessa. Cyfer mi fece cenno con la testa di fare come diceva, così mi alzai in piedi e oltrepassai la porta dopo di lei.
Un secondo dopo Cyfer mi fu accanto. Eravamo almeno ad una decina di passi dal mio segugio personale, ma lei non si voltò mai per assicurarci che noi fossimo dietro di lei. Continuava ad avanzare imperterrita per i corridoi. Non sapevo se avevamo lasciato il campo di contenimento, ma non mi azzardai a verificarlo, già la situazione era abbastanza complicata senza che tentassi di peggiorarla.
“Samantha Longbom è straordinariamente dedita al suo lavoro. Lei vive per questo. Non ha una vita sua, non ha famiglia, parenti, amici. Vive per essere un agente!”
Mi voltai verso Cyfer.
“Perché mi stai dicendo questo?”
“Perché quella donna ha ricevuto un ordine e farà di tutto per seguirlo, Dush saprà ogni tua mossa, saprà quando respiri, quando vai in bagno, quando tossisci, quindi scegli con cura le cose che vuoi che sappia!”
“Perché anche tu vuoi che sappia il meno possibile? Tu fai parte di questa associazione!” ero davvero perplessa.
“Come ti ho già detto, non condivido i metodi usati negli ultimi tre mesi, quindi non vorrei trovarmi in disaccordo con i metodi che decideranno di usare per risolvere questa questione, quindi meno sanno, più il metodo che seguiranno sarà quello che imponiamo noi!”
“Non fa una piega!” commentai un po’ sorpresa di trovarmi ad essere d’accordo con lui.
L’agente Longbom raggiunse una porta che aveva tutta l’aria di essere blindata. Avvicinò l’occhio ad una fessura su di essa e una luce partì dalla parete per raggiungere la sua iride. Un rumore metallico ci informò che la porta era stata aperta e la seguimmo oltre di essa.
Quasi non mi cadde la mascella quando vidi la stanza nella quale ci trovavamo, se così poteva essere definita. Era più una specie mi monolocale dalle dimensioni di un palazzo. Noi ci trovavamo su una specie di ampia balconata dalla quale si poteva vedere quello che c’era sotto. File e file di scrivanie diverse l’una dall’altra  si stagliavano per tutta la stanza, schermi dalle dimensioni notevoli galleggiavano nell’aria, probabilmente sostenuti da fili d’acciaio, altri schermi invece erano posti orizzontalmente e avevano le dimensioni paragonabili a quelle di una scrivania.
Sulle pareti della stanza c’erano tante balconate come quella dove ci trovavamo noi, in ognuna di esse c’era una scrivania: alcune erano occupate mentre altre erano vuote.
Longbom non si fermò e imboccò una scalinata che scendeva verso il basso dal lato del balcone. Cyfer mi circondò con l’ampia mano il braccio e mi spinse a seguirla. Odiavo quando compiva quel gesto, mi faceva sentire prigioniera, ma d’altra parte, se non lo avesse fatto, mi sarei fermata molto a lungo ad ammirare tutta quella grandezza.
“Diciamo che questo è il covo burocratico della A.P.M!”
“Apm?”
“No, A.P.M  è una sigla!”
“E’ il nome di questa associazione?”
“Esatto!”
“Stai scherzando!” era così antisonante.
“Sta per ‘Association for the Protection from Magic’!”
“Che nome orrendo!”
“Sempre meglio del precedente!”
“Che sarebbe?”
“P.E.A”
“Pea! Non voglio nemmeno sapere cosa vuol dire, però hai ragione, A.P.M. è migliore!” commentai mentre raggiungevamo il piano terra.
“Qui vengono riordinati i rapporti e i verbali delle varie missioni. Vengono archiviati nei data base, mentre le copie cartacee vengono indirizzate verso la biblioteca centrale. In quella zona ….” Disse indicandomi l’ala a sinistra “…ci sono gli informatici, gli hacker, è lì che stiamo andando!”
“Come mai?”
“Quello di cui abbiamo bisogno sono informazioni. Se quello che hai detto è vero allora vuol dire che Dave e Jasmine hanno già colpito. I miei dodici uomini sono morti senza apparenti cause quindi era già stata aperta un’indagine. Molte persone si sono date da fare per trovare casi simili, ma non sono stato informato dell’avanzare nelle ricerche. Con l’informazione che ho fornito a Samantha con mio racconto dovremmo comunque essere in grado di restringere il campo di ricerca agli ultimi tre mesi!”
“Ci possono essere centinaia di morti che possono avvenire senza  causa apparente, non troveremo mai quello che stiamo cercando!” obiettai. Avrei preferito essere là fuori, alla ricerca di Dave, invece che in quell’enorme stanza in cui mi sentivo sempre più fuori luogo.
“Per questo entri in gioco tu!” disse l’agente Longbom, alcuni passi dinnanzi a noi.
“Che intende dire?”
L’agente si fermò e con un cenno della mano ci fece segno di accomodarci su una scrivania di vetro ovale. Alzai gli occhi al cielo e sbuffai: nulla di quello che stavamo facendo poteva essermi utile.
Cyfer non si sedette, ma rimase in piedi al mio fianco. Longbom posò le mani sul tavolo e digitò una combinazioni di numeri su una tastiera posata su di esso, un istante dopo tutto il tavolo si era illuminato. Solo allora capii che in realtà era uno schermo.
Un uomo si avvicinò a noi e posò le mani sul tavolo. Iniziò a muovere le dita su di esso, in modo quasi frenetico. Gli occhi saettavano da una parte al’altra dello schermo, come se volesse averne una visuale dettagliata e allo stesso tempo totale.
“Cosa…?”
Comparve un planisfero che occupava tutta la superficie di vetro.
“Prima hai detto all’agente Cyfer che il soggetto 613 …” cominciò longbom con la solita voce professionale.
“Soggetto 613? Sarebbe Jasmine?” ero incredula.
Samantha mi lanciò un’occhiata gelida per averla interrotta, ma a me poco importava. Doveva essere più chiara.
“Come dicevo, il soggetto 613 ha segnato con delle ‘x’ i posti dove aveva intenzione di andare…”
“Quindi oltre ad essere degli animali da laboratorio siamo anche dei numeri?” mi alzai e poggiai le mani sullo schermo-tavolo socchiudendo le palpebre con fare minaccioso.
“Marguerite…” provò a fermarmi Cyfer posandomi una mano sulla spalla. La sua presa era troppo ferrea per essere un tentativo di calmarmi, quello era un tentativo di fermarmi,  di dirmi di non andare oltre.
Al diavolo. Non sopportavo l’idea che le usasse con me quel tono professionale, che mi trattasse come uno sciocco essere umano che doveva darle delle informazioni. Io ero molto più di quello. Io ero il numero che aveva messo nel sacco quell’intera organizzazione e non potevo accettare che un semplice segugio mi trattasse come una sciocca. Doveva essere utile, non un’estrapolatrice di informazioni.
Immaginai la mia spalla farsi incandescente e un secondo dopo sentii  Cyfer trattenere il respiro. L’avevo preso alla sprovvista tuttavia non tolse la mano dalla mia spalla. Girai la testa in modo da poterlo guardare. Aveva lo sguardo puntato dritto davanti a se, ma non stava fissando nulla in particolare. I muscoli del viso erano incredibilmente tesi, probabilmente cercava di reprimere il dolore, la vera domanda era: perché?
Immaginai di creare un’onda d’urto attorno a me. Avevo capito di essere al di fuori del campo di contenimento, quindi potevo fare esattamente tutto ciò che volevo. Vidi con chiarezza l’aria attorno a me contrarsi e distendersi. Un secondo dopo un boato attraversò la stanza, l’impatto mi fece ondeggiare i lunghi capelli neri in ogni direzione eppure rimasi immobile. La stretta di Cyfer sulla mia spalla era svanita, Samantha era volta all’indietro andando a sbattere contro la scrivania adiacente. Alcuni fogli si erano sollevati in volo e stavano ondeggiando in aria prima di raggiungere il pavimento. Ogni singola persona in quella stanza aveva smesso di fare quello che stava facendo. L’onda d’urto che avevo creato aveva colpito solo Samantha, Cyfer e l’uomo che stava lavorando al computer, erano loro il mio obiettivo, ma non avevo fatto i conti con il resto dei presenti.
Vidi il corpo di Samantha muoversi leggermente.
“Allora mi vuoi dire chi è il soggetto 613?” sibilai con freddezza avvicinandomi a lei.
Con un abile mossa spostò di lato una gamba facendola urtare contro il mio polpaccio. L’impatto mi destabilizzò e persi l’equilibrio e un istante dopo mi ritrovai a terra con lei in piedi dove poco prima c’ero stata io. Alcune ciocche rosse le danzavano sul volto, ma il resto del suo corpo era immobile in una posizione di difesa. Era pronta ad un mio ulteriore attacco.
“Abbassate le armi!” la voce di Cyfer arrivò al mio orecchio come un tuono in una notte silenziosa.
“Non abbassatele, è instabile!” ordinò Samantha senza mai staccare gli occhi da me. Le sue spalle si abbassavano e si alzavano ripetutamente segno che aveva il fiatone. Nei suoi occhi vedevo il riflesso di almeno una decina di persone, ognuna con un’arma in mano puntata verso la zona dove mi trovavo io.
Deglutii. Ecco perchè Cyfer non voleva che perdessi la calma, non voleva che le cose precipitassero. Avevo appena fornito a Dush la scusa perfetta per sedarmi nuovamente e studiarmi come una comune cavia da laboratorio.
“Giu. Le. Armi.” Il tono di Cyfer non ammetteva repliche, guardò Samantha, come per sfidarla a contraddirlo, ma lei rimase in silenzio, lo sguardo deciso in quello di Cyfer.
“Cosa ci fanno qui tutti questi uomini? Credevo che solo tu fossi stata assegnata a questo caso, oltre a me.”
“E’ così, ma c’è sempre una squadra pronta ad intervenire. Ci sono sensori per il rilevo di poteri dovunque in questo edificio. Non appena lei ha iniziato ad utilizzarlo un gruppo di agenti era già diretto qui!”
“Voglio che non ce ne siano più!” Cyfer era determinato.
“Sta attento Cyfer. La missione è tua, ma se continui così potrebbe anche non rimanere tale per molto!”
Non c’era cattiveria nella voce della donna, si trattava solo di una semplice costatazione. Cyfer strinse la mascella, ma lasciò cadere la conversazione.
Mosse due passi verso di me e mi porse il braccio.
“Se lo fai un’altra volta ti sederò io, con le mie stesse mani!” disse a denti stretti. Afferrai il suo polso e lasciai che con uno strattone mi aiutasse a mettermi in piedi. Incontrai i suoi occhi e sorrisi.
“Voglio proprio vedere!” lo sfidai. Lui mi ignorò.
“Siete ancora qui?” sibilò guardando il manipolo di uomini che circondavano la postazione dove ci trovavamo.
“Signore!” disse uno degli agenti “Abbiamo appena ricevuto l’ordine di sedarla!”
“Le cose sono cambiate!”
Cyfer mosse un paio di passi verso l’agente e con una mossa decisa entrasse la ricetrasmittente dal suo orecchio. L’uomo rimase immobile, incapace anche sono di parlare di fronte alla rabbia silenziosa di quello che evidentemente era un suo superiore. Con noncuranza Cyfer si portò l’auricolare all’orecchio.
“Le cose sono cambiate Dush!” disse all’apparecchio “Lei ci serve lucida ci sono delle vite in ballo, molte vite! Ma voglio lasciare all’agente Longbom il piacere di spiegarle perché!” estrasse velocemente l’auricolare dall’orecchio e lo porse a Samantha che lo guardava sorpresa; probabilmente lei non si sarebbe mai rivolta così la suo capo.
Dopo un attimo di indecisione, in cui la sua maschera di  professionalità venne a cadere, afferrò l’apparecchio e si voltò come se volesse avere un po’ di privacy mentre faceva il suo rapporto.
“Molto bene, Mar. Questa volta te la sei cavata, ma non è detto che ce la farai anche la prossima!”
Feci spallucce.
“Non è stato poi così difficile!”
“Non farlo più. Abbiamo poco tempo, sei stata tu a continuare a ripetermelo fino allo sfinimento. Non giocare a fare il capo o la bambina capricciosa. Per una volta hai deciso di fare una cosa giusta, falla fino in fondo e non rendere le cose più complicate di come già sono.”
Rimasi per un istante di troppo in silenzio, colpita dalle sue parole. Infondo aveva ragione, cosa stavo facendo? La verità era che non vedevo come quella donna non potesse essere un ostacolo nella mia ricerca. Tutto mi infastidiva di lei, dal suo trattarmi con tutta quella freddezza professionale, al suo parlare in codice. Avevo rischiato di mandare a monte tutto.
Cercai di nascondere la mia ferita nell’orgoglio e mi diressi verso il tavolo dov’era presente il planisfero.
Istintivamente posai tre dita su di esso, nella zona corrispondente all’America. Esse erano vicine tra di loro, ma non appena toccai lo schermo allontanai il pollice dall’indice e dal medio, aprendo il palmo della mano, come si fa quando si zoomma su un qualsiasi cellulare o tablet.
Come previsto l’immagine si ingrandì.
“Traccia una ‘x’ dove le ha messe anche lei!” mi spiegò Cyfer.
Cercai di rammentare. Avvicinai l’indice allo schermo e tracciai le ’x’ dove mi sembrava di averle viste su quella cartina. Quando ebbi finito con l’America con l’indice trascinai l’immagine del globo terrestre, da destra verso sinistra, in modo da poter visualizzare l’Europa. Continuai per diversi minuti a far vagare le dita sullo schermo luminoso, passando da uno stato all’altro, bloccandomi alcuni istanti a riflettere.
Quando finii di allontanai dalla piattaforma e guardai Cyfer in attesa.
“Signor Stew!” lui si rivolse al tecnico che era con noi attorno a quel tavolo.  Lui annuì con la testa e prese posto su una scrivania adiacente alla nostra, ma molto più piccola. Su di essa c’era un computer, di quelli normali. Digitò velocemente alcuni codici sulla tastiera.
“Deve cercare delle corrispondenze!” spiegò Samantha che aveva finito di informare Cloud dei recenti sviluppi “Abbiamo dei file contenenti tutte le morti simili a quelle dei dodici agenti dell’A.P.M., deve limitarsi a cercare i decessi negli ultimi tre mesi. Poi voglio che faccia un controllo incrociato con i posti segnati su questa mappa!”
L’uomo annuì e riprese a digitare.
Pochi istanti dopo sullo schermo ovale di fronte a me comparve una lista con dei nomi, sotto ognuno di essi, in caratteri più piccoli c’era scritto dov’erano stati trovati i cadaveri e le circostanze.
Mi avvicinai per poter vedere meglio.
Al Richmond.
Prince Brown.
Jessica Podmore.
Amanda Kurt.
Jon Ghilbe
Ester Dulard e Carol Dulard.
Hodette Des Charles.
Kanishuo Kanimuro.
Giovanni Rossi.
Miriam Villa.
Quei nomi risuonarono nella mia testa come una litania, eppure non sapevo dove li avevo già sentiti.
Il cognome Dulard attirò la mia attenzione. Ne osservai le lettere cercando di rammentare.
“Oddio!” dissi portandomi una mano alla bocca.
“Cosa?” in un secondo Cyfer mi fu accanto.
Con un dito toccai il nome di Ester.
“Era una bambina!” sussurrai incapace di comprendere come Dave aveva potuto fare tutto ciò, mietere tutte quelle vittime.
Ero stata io, ecco come aveva potuto.
“Come lo sai?”
“Jasmine stava raccogliendo informazioni e mi è capitato di leggere di lei, aveva delle facoltà, aveva salvato altri bambini!” deglutii mentre la morte di quella bambina senza volto si aggiunse a quella di tanti ignoti sulle mie spalle.
“Controlla!” ordinò Cyfer all’uomo al computer.
“Avete una lista di chi ha delle facoltà?”
“Non è una lista molto lunga. La maggior parte delle persone con dei poteri non lo sa nemmeno. Al giorno d’oggi non si coltiva più la magia, quindi il potere rimane allo stato potenziale, a meno che non avvengano casi estremi come questo. Il potere può  non manifestarsi per intere generazione ed essere comunque sempre presente.”
“Nulla signore!” disse l’uomo.
“Come sospettavo!” sospirò cupo Cyfer.
“Sono in ordine cronologico?” domandai sfiorando con la punta delle dita ogni singolo nome, come a scusarmi per quello che era loro successo.
“No!” rispose il tecnico “Sono suddivisi per stato!”
“Ci serve sapere che percorso stanno seguendo, ci servono in ordine cronologico!” ordinò Cyfer.
Sentimmo il rumore dei tasti per alcuni secondi, dopo di che la schermata cambiò e i nomi si trovavano disposti in modo diverso.
Li lessi nella mia mente. Notai che alcuni di essi stavano bene posti l’uni dietro l’altro altri invece erano antisonanti. Non sapevo perché avevo dei pensieri di questo genere,ma mi lasciai guidare da essi.
“Il primo nome delle lista non è Gustave, ma Trevor!” indicai il terzo nome della lista.
“Che vuol dire?” domandò Cyfer socchiudendo gli occhi con fare sospettoso.
“Non lo so!” ammisi.
“Vai avanti!” mi esortò, con mia enorme sorpresa, Samantha.
Lei notò il mio stupore, ma rimase impassibile “Hai dei poteri, forse questi portano degli istinti o forse semplicemente stai ricordando una lista che avevi già visto! Credo che dovremmo continuare così!”
Cyfer annuì facendo capire di essere d’accordo. Deglutii e posai nuovamente gli occhi sulle schermo davanti a me.
I due nomi in cima alla lista erano scomparsi e troneggiava per primo Trevor Lount.
“Trevor Lount…” lessi ad alta voce “Iris Smith, Joshua Stone” distolsi lo sguardo dallo schermo “Il prossimo è cinque nomi sotto!”
“Tessa Darcy?” annuii.
Altri nomi scomparvero dalla lista.
“Qui ce ne dovrebbe essere uno che non c’è!” dissi indicando con l’indice la posizione sottostante a quella di Tessa.
Rilessi i nomi fino a quest’ultimo dopo di che chiusi gli occhi e mi feci trasportare dal ritmo che quelle lettere avevano dentro la mia testa, era come una macabra litania che si ripeteva più e più volte nella mia mente, come se fosse sempre stata lì, ma non capivo come ci potesse essere arrivata.
La mia bocca si muoveva da sola mentre nominava tutte quelle persone una dopo l’altra, senza mai fermarsi. Ero incurante del fatto che, al di fuori dell’angolo buio che mi ero ritagliata, delle persone stessero cercando di prendere nota dei nomi che dicevo. Non mi importava. Ero talmente persa in quella litania da non prestare nemmeno attenzione alle parole che uscivano dalla mia bocca.
“Jeremia Rutherford, Spencer Dumstra, Albus…”
“Ferma ferma ferma!” la voce ci Cyfer mi interruppe, spalancai gli occhi e incontrai i suoi sgranati, la pelle leggermente più pallida del solito.
“Che c’è?” domandai con una punta d’astio, non felice della sua interruzione.
“La lista è finita!” disse come se non fosse sicuro della cosa nemmeno lui. Guardai i nomi che brillavano sullo schermo e notai che l’ultimo era Elen Court.
“Che vuol dire?” domandai “Ce ne sono altri, scriveteli!” non erano i primi nomi che non fossero su quell’elenco.
“Questi nomi ce li abbiamo già!”
“Come…?” non capivo.
“Jeremia, Spencer e Albus facevano parte della mia squadra!” lo sguardo di Cyfer era lontano, perso in quei ricordi troppo dolorosi, troppo pesanti.
“Mi ricordo ognuno di quei nomi!” dissi semplicemente. Non seppi perché lo feci , non era necessario, eppure sentivo di dover concludere quella litania, così li sussurrai, uno dietro l’altro quei dodici nomi. Ad ognuno d essi Cyfer perdeva sempre di più colore. Samantha ci guardava, ma anche lei sentiva il peso delle vite di tutti quei colleghi.
“Justin Cot …”
Cyfer incontrò i miei occhi facendo un sospiro di sollievo, pensando che avessi finito la macabra lista, dopotutto avevo appena nominato il collega che era entrato con lui nella casa di Jasmine, quello che lui aveva visto morire per mano di Dave.
Mi sarei potuta fermare, ma la mia bocca sembrava muoversi da sola, dovevo finire quella litania, non riuscivo a lasciarla incompleta. Così guardai a mia volta Cyfer negli occhi e pronunciai l’ultimo nome della lista, la prima persona a morire.
“Marguerite Jones!”
 
 
Cyfer trattenne il fiato, Samantha sbarrò gli occhi.
“Cosa vuol dire?” sussurrai spaventata da ciò che era uscito dalle mie labbra, da ciò che era uscito da me stessa.
“Non ne ho idea! Tu non sei morta!” rispose Cyfer guardandomi.
“Lo so, ma credo che lei sia convinta che io lo sia! E ne è convinto anche Dave!” non seppi perché lo dissi, ma in cuor mio sapevo che era così.
“Come fai a sapere tutti quei nomi?”
“Non lo so. E’ come una di quelle canzoni che senti da bambino, non sai quando le hai sentite, ma le hai ascoltate talmente tante volte da saperle a memoria e da non scordarle più!”
“Dove puoi aver sentito tutti questi nomi?”
“Non lo so, dannazione!” sbottai. Ero leggermente scossa, dopotutto era il mio nome l’ultimo di quella specie di lista.
Cyfer mi guardò a lungo, come se stesse cercando d studiarmi.
“Fai un tracciato e cerca di prevedere quale sarà la prossima vittima. Usa le coordinate geografiche e i file su persone che potenzialmente potrebbero avere del potere che abbiamo in archivio! Voglio un risultato al più presto!” ordinò Samantha con tono professionale e spiccio.
Dopo di che si portò una mano all’orecchio per attivare la comunicazione tramite la ricetrasmittente.
“Agente Stone! Prepari una lista di uomini per un operazione di protezione, devono essere almeno una ventina!”
In quel momento iniziai a sentire tutto ovattato.
La voce di Samantha diveniva sempre più debole mentre un altro timbro, decisamente molto diverso, si faceva sempre più forte. Mi chiamava.
“Mar, oh Mar!” era poco più di un lamento eppure era così chiara.
“Bentornato, speravo di non rivederti più!” disse un’altra voce, una voce femminile.
“Mar perdonami!”
“Marguerite è morta!” l’ultima parola venne pronunciata con cattiveria.
“Mar!” la voce era quasi un sussurro.
“Oggi, hai ucciso di nuovo, come hai ucciso mesi fa la tua Mar!”
“No, Mar!” la disperazione era palpabile. La voce si aggrappava al nome ‘Mar’ come se fosse un’ancora di salvezza.
“Si chiamava Clare Bostonel!”
“No.”
“Sì.” La seconda voce sembrava divertita.
Pian piano la sua risata si spense e il silenzio iniziò a regnare.
Mi faceva male la testa, era come se qualcuno la stesse prendendo a martellate dall’interno. Potevo sentire il freddo pavimento liscio sotto di me, qualcosa mi bagnava il volto e mi ritrovai a sperare che non fosse sangue.
Oggi ho ucciso di nuovo Mar. Io non ricordo come avviene, so che se però mi concentro posso sentirle. Posso sentire ognuna delle loro essenze, so tutti i loro nomi. Oggi ho ucciso Clare Bostonel e non lo meritava. Ho preso una vita e non ricordo nemmeno com’è successo. Ma non voglio di nuovo scivolare nell’obìo, perché quando scivolo nel buio Lui prende il sopravvento e io uccido di nuovo. Queste persone mi tengono in vita, Mar, tu mi tieni in vita.
Perdonami.
Mi aggrappo alle loro esistenze per non prenderne altre, ma non funziona più ormai. I loro nomi non mi portano lontano dall’oblìo, ma nell’oblìo stesso, perché io, Mar, voglio dimenticare, ma se dimentico avrò altri nomi da ricordare.
Puoi spiegare loro che non è colpa mia? E’ Lui, Lui è sempre più forte, io sempre più debole. Tu non ci sei. Eri tu la mia forza, ma non ci sei più.
Ti ho uccisa.
Vorrei morire per questo, ma non posso morire. Se muoio Lui vivrà incontrastato nel mio corpo e altre anime verranno a farti compagnia.
Non che io non voglia che tu stia in compagnia, ma non voglio che siano le anime prese da me quelle che volano nel cielo con te.
Oggi ho ucciso di nuovo Mar.
Ma non voglio scivolare nell’oblìo.Ancora una volta spero che i loro nomi mi portino un po’ di più verso la luce.
Clare Bostonel.
Trevor Lount.
Iris Smith.
Joshua Stone.
Tessa Darcy.
La lista continuava a riecheggiare nella mia testa, ma non era una voce qualsiasi quella che sentivo pronunciare tutti quei nomi . In quel momento seppi che non era quella la prima volta che si metteva in contatto con me, per quello sapevo tutti quei nomi, perché li avevo sentiti da lui. Li aveva ripetuti milioni  e milioni di volte, nel tentativo di aggrapparsi al dolore a all’orrore di ciò che stava facendo, per impedirsi di farlo di nuovo. Ma era tutto inutile perché Lui era sempre più forte.
Dovevo trovarlo e alla svelta.
In quel momento seppi che il mio viso era bagnato dalle mie stesse lacrime, lacrime che non riuscivo a frenare, che non volevo frenare. Esse erano esattamente dove dovevano essere.
Justin Cot.
Marguerite Jones.
La mia, Marguerite Jones.
L’eco della voce si spense lentamente nella mia testa mentre veniva sostituito da un urlo straziante.


 
* * * * *
 

Questo capitolo è...non so come definirlo!
Insomma spero sopratutto che si capisca lo stato di Dave. Lui che è sempre stato buono si sta sporcando le mai di sangue e la cosa lo distrugge!
Scusate il ritardo, mi sono totalmente dimenticata che dovevo aggiornare lunedì! E sinceramente, essendo a casa, ho perso il conto dei giorni -.-"
Grazie mille a
Jodie_  Cleare97 ladyselena15 Bloomsbury ILoveItBaby per le belle parole :)
Grazie anche a chiunque sia arrivato fino a qui a leggere! Siete pazzi ma vi amo proprio per questo!
 
   
 
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