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Autore: martaparrilla    09/03/2014    7 recensioni
"Non voglio più che mi odi per quello che stai provando. Non voglio più che guardi i miei occhi senza sapere che mi sveglio presto solo per guardarti uscire di casa e prender il tuo cornetto al bar. Che mi piace l'odore dei tuoi capelli. Mi piace il calore della tua mano. E se devi impazzire, voglio che impazzisca con me, non per me".
Una Emma e Regina in una città senza nome, si scontrano come solo loro sanno fare. Ben presto capiscono che il loro odio cela qualcosa di più grande. Ma Regina questo già lo sapeva. Gli occhi di quella bionda erano terribilmente somiglianti a qualcuno che aveva perso e questo la incuriosiva. Emma dal canto suo non riusciva a spiegarsi i brividi che sentiva quando la vedeva.
Regina ed Emma racconteranno sensazioni e sentimenti in prima persona, alternandosi tra i vari capitoli. Non dubitate della mia sanità mentale quando leggerete le stesse frasi in capitoli diversi, il motivo è semplice: una volta sarà Emma a parlare (o ascoltare), una volta Regina.
Riusciranno insieme a superare i traumi passati?
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La mia mente è sovrastata da una sensazione di totale pace.

Di fronte a me vedo una stanza con le pareti rosso fuoco, e ogni tanto qualche banda nera. L'ambiente è caldo e al centro c'è una forte luce che mi permette di vedere ogni particolare della stanza. Particolari inesistenti se non per l'enorme letto posto al centro. E sopra di esso, adagiata dolcemente, giace una fanciulla dai capelli corvini e le labbra color ciliegia, immersa in un sonno profondo.

Non conosco quella fanciulla, o almeno mi sembra di non conoscerla.

Sento un odore buonissimo provenire da lei. Un misto di frutta e vaniglia. Sono attratta da quel profumo e mi avvicino come attirata da una calamita. Salgo sul letto con le ginocchia e mi adagio accanto a lei. Il petto si alza e abbassa piano. Con delicatezza sfioro i contorni del suo viso, fino ad arrivare alle labbra, rosse, e alla piccola cicatrice su quello superiore. Mi abbasso a darle un bacio.

Sento un brivido nella schiena. Apro gli occhi.

Era solo un sogno.

Ma quello che vedo di fronte a me non è un sogno. Lei non è un sogno. E' ancora li. E' rimasta li per tutta la notte, non mi ha lasciata sola. Alzo la testa per osservarla meglio e decido di svegliarla. Forse ha fame, forse non si è accorta di essersi addormentata. Ma come posso svegliare una così meravigliosa creatura?

Le sfioro la pelle morbida del braccio e poi del viso. Mi abbasso verso di lei, posando dei piccoli baci sulle sue gote.

«Regina..» dico piano. Si muove appena al suono della mia voce e decido di riprovare.

«Regina..» finalmente apre gli occhi. Infinita dolcezza traspare dal suo sguardo assonnato.

«Buongiorno» poggio la mano sul suo viso e un debole ciao fuoriesce dalla sua bocca.

«Devo essere un mostro, da quanto mi fissi?» affonda il suo viso nel mio petto e non posso fare altro che abbracciarla. Come può definirsi mostro? Come può non vedere quanto sia meravigliosa in ogni centimetro del suo corpo? Non si tratta di modestia ma di obiettività. E definirsi mostro è un'assoluta eresia.

«Eri una meraviglia, altro che mostro. Mi dispiace solo che abbia dormito vestita, ma, ho pensato che svegliandoti saresti potuta andare a casa tua a cambiarti e poi potevamo fare colazione insieme».

Il suo profumo mi porta a annusarle il collo e lei scherzosa, mi chiede se puzza. Non posso non ridere.

Ci mettiamo sedute sul letto, con la schiena sui cuscini. Ho dormito divinamente con lei accanto, cosa che non succedeva da un po', e dopo avere avuto la conferma che questo vale anche per lei, mi spiazza chiedendomi di andare a cena a casa sua quella sera stessa. Non aspettavo altro, ovviamente, ma dopo tutti i discorsi fatti credevo che un invito immediato sarebbe stato troppo e non volevo che lei mi frenasse. Ma evidentemente anche lei non riusce a trattenersi.

Scosto il plaid che ci ha coperte durante la notte e ci alziamo. Possibile che non abbia un capello fuori posto? La accompagno alla porta, avendo l'accortezza di prenderla per mano. Non riesco a staccarmi dalla sua mano figuriamoci da lei. Mi saluta con un dolcissimo bacio sulle labbra e la accompagno fuori dalla porta. Non riesco a smettere di guardarla nemmeno quando finisce di percorrere la prima rampa di scale, e lei se ne accorge. Si blocca e imbarazzata mi dice di rientrare. Le mando un bacio. La bellezza.

Rientro e con un sorriso degno di una con una paralisi del faciale, mi infilo sotto la doccia, avendo cura di legarmi i capelli. Li avrei lavati nel pomeriggio.

Mi guardo allo specchio. Il viso è ancora magro ma non è segnato da rughe di dolore, di ansia e tensione. Sono di nuovo rilassata e la mano non fa più male. Avendo evitato di lavare i capelli non imbusto la mano per proteggere la medicazione fattami da Regina. Metto un jeans e gli stivali neri, prendo un maglioncino verde e faccio un'altra lavatrice. La roba stesa la sera prima è asciutta, per cui sistemo quella e svuoto la lavastoviglie. E' l'unica cosa che posso fare.

Esco di casa e chiamo l'ascensore. Le portine si aprono e non immaginavo di trovarmela di fronte, chiamasi coincidenza. Sorrido e nei suoi occhi vedo la sua stessa felicità e stupore.

«Signorina Mills» dico quasi senza pensare. Voglio giocare un po' ma le mie capacità interpretative non sono un granchè e mi scappa subito una risatina quando vedo il suo viso interrogativo. Si volta e inclina il capo cercando di chiedermi spiegazioni ma quelle labbra mi stanno chiamando. Insieme al suo profumo e a tutto il suo corpo. Le prendo il viso tra le mani e la bacio, spingendola con un po' troppa enfasi alla parete dell'ascensore. Me le sarei mangiate quelle labbra ma baciarle è decisamente più piacevole. Sposto le mie mani sulle spalle e poi sulla schiena, attirandola di più a me, per annullare l'irrisoria distanza data dai nostri vestiti.

«Credevi mi limitassi a un saluto così distaccato?» mi stacco dalla sua bocca per spostarmi sul suo collo. Pochi attimi e le porte si aprono.

Mi allontano lentamente e uscendo, mi toglie un po' di rossetto dal labbro inferiore con un dito. Arriccio il naso e ci dirigiamo verso il bar. Tra un sorso e un boccone e l'altro battibecchiamo sulle nostre diverse colazioni che io invece trovo interessanti. Amo come sorseggia il tè. Mi incanto e lei imbarazzata mi dice di smettere.

«Non ci penso nemmeno».

Ci alziamo poco dopo e lei si dirige in macchina a lavoro. A dire il vero non ho idea di cosa faccia né dove lavori. In questo momento non mi importa più di tanto sinceramente. E nelle ultime settimane non ho preso in mano la macchina fotografica nemmeno una volta. Devo assolutamente rimediare a quella mancanza!

Attraverso la strada che separa il bar da casa mia. Apro la porta e sento il telefono squillare.

«Merda» dico a voce alta. E' il liceo dove avrei dovuto scattare le foto per l'annuario, vogliono ricordarmi l'appuntamento per quella sera.

«Certo, l'appuntamento è alle 8 di questa sera, nella palestra della scuola, l'ho appuntato nella mia agenda. A stasera, arrivederci». Chiudo la cornetta.

E ora? Niente cena a casa di Regina. Non ci voleva. Non voglio rimandare ma non posso disdire il lavoro. Forse avrei potuto portarla con me. Prendo il telefono e le mando un sms.

- Credo di avere un problema per stasera, devo lavorare. Servizio in una scuola per un ballo scolastico. Mi dispiace tantissimo. Però se vuoi puoi venire con me, facciamo un tuffo nel passato :) - Invio.

Metto il telefono in tasca e decido di finire di sistemare casa, che è ancora in disordine. Chiudo le buste della spazzatura e esco di casa per buttarle via. Una volta sbarazzatamene, decido di passare la mattina a ripulirla. Mi infilo una tuta da ginnastica e inizio a spolverare in ogni dove, a partire dal salotto.

Sento ancora il suo profumo. Profumo che mi ferma quasi il cuore quando arrivo alla camera da letto. E in quel momento lo squillo del telefono lo fa ripartire. E' lei.

«Pronto?» dico con nonchalance.

«Sapevi che ero io, non fare quella vocina».

«Mi diverte prenderti in giro».

«Quindi stasera niente cena?».

«Possiamo bene drink analcolici e ricordare i tempi della scuola».

«Preferisco dimenticare il liceo....ma se è l'unico modo per vederti...».

«Vedrai che ti divertirai...».

«Si, poi mi hanno detto una cosa a lavoro, dovrò star via tre giorni, e ho una proposta per il fine settimana...».

«Cosa cosa cosa? Che significa tre giorni?».

«Ti spiego tutto stasera, ok??» mi dice lei veloce.

«D'accordo d'accordo..alle 19:30 passo da te..ciao».

«Ciao bellezza».

Chiudiamo.

Preferisco non pensare a quello che mi ha detto, o mi sarei rovinata la giornata e la serata con lei e non voglio. Solo il giorno prima ero sull'orlo della disperazione e lei ora è tornata e io sto bene.

Sarei stata ancora bene.

Dopo quattro ore passate tra polvere, pavimenti, cucina, bagno, lavatrici e ferro da stiro, posso dire che casa mia non è stata mai più pulita di così. Sono quasi le 3 del pomeriggio ed sono totalmente distrutta, per cui dopo avere divorato i resti della mia pizza del giorno precedente, mi butto sul letto, unica cosa che non ho sistemato...non voglio che vada via il profumo dalle lenzuola, dai cuscini. Prima di crollare in un sonno profondo, metto la sveglia per le cinque.

 

-Driiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin- .

Se non avessi spento la sveglia col palmo della mano sicuramente avrebbe fatto una brutta fine. Terrificante suono che si infila nel cervello e non ne esce più.

Mi metto a pancia all'aria e allungo braccia e gambe per stiracchiarmi un pochino. Mi avvolgo nella coperta che sapeva di lei, la annuso. Un brivido mi percorre la schiena, ho bisogno di rivederla.

Metto le gambe fuori dal letto, cercando di non perdere l'equilibrio, e vado dritta dritta dentro il bagno per una bella doccia rigenerante.

Assurdo come riesco a riempire il cesto della biancheria sporca in meno di tre ore. Vestiti, accappatoio, asciugamani. E' necessario fare un'altra lavatrice.

Mi asciugo i capelli facendo in modo stavolta che siano lisci, ho in mente di sistemarli in modo particolare per questa sera. Jeans, maglia, ballerine. Sono già le sei e voglio andare a prendere dei fiori a Regina. Voglio sorprenderla.

Arrivo in un negozietto posizionato nell'angolo tra due strade. E' una piccola costruzione praticamente fatta tutta di vetro, e dentro ci lavora una carinissima e gentilissima ragazza dai capelli rossi. Mi confeziona una rosa rossa e mi augura buona fortuna. Mi si legge in faccia in modo così eclatante?

So che Regina è già a casa, ma spero non mi veda col fiore in mano.

Una volta dentro mi siedo sulla poltrona con l'armadio aperto. Ho più o meno pensato a cosa mettermi, un po' per non sembrare troppo grande, un po' per farmi bella ai suoi occhi.

Prendo due abitini leggeri con la fantasia floreale. Uno con le maniche e uno senza, con la cinta marroncina in vita. Me li provo entrambi e mi guardo allo specchio.

«Si, così sembro proprio adolescente, è quello che ci vuole».

Alla fine opto per quello con le maniche e la spalla scoperta, con un paio di stivali corti e un po' di tacco. Poi mi sistemo i capelli con una treccia larga che faccio partire da un lato per poi terminare dal lato opposto. La fermo con un elastico nero che nascondo con un laccio beige. Mi trucco un po' e controllo l'orologio. Erano le 7:15. Sarei passata prima da lei, probabilmente si sarebbe vestita di grigio e in liceo l'avrebbero scambiata per un'insegnante e non sarebbe stato un bene. Afferro la borsa, macchina fotografica, giubbino e rosa e scendo i due piani che mi dividono da lei.

Suono il campanello e qualche istante dopo apre la porta.

Rimango senza parole, e senza fiato.

Di fronte a me ho...non sembra nemmeno lei. Mi sembra di essere tornata indietro di 30 anni e di essere dentro Greese.

Indossa un abitino color tabacco che le fascia alla perfezione il seno. Senza riuscire a dire niente le porgo la rosa, con le mani tremanti.

«Sei stupenda» riesco poi a pronunciare.

Mi invita a entrare. Prendendo, visibilmente imbarazzata, la rosa.

«Tu sei un insulto per la perfezione» mi dice lei. Poi si avvicina e mi abbraccia.

«Mi sei mancata oggi» le dico.

«Anche tu mi sei mancata» mi prende le braccia e si stacca un po' da me, fino a poggiare la sua fronte sulla mia.

Di nuovo il cuore galoppante, la stretta allo stomaco e le labbra che chiedevano di essere baciate. Avvicino la mia bocca alla sua. La sfioro piano, per poi farle diventare una sola cosa con le sue.

«Forse dovremo andare» dico continuando a darle dei piccoli baci.

«Quanto è difficile resisterti?».

«Sei tu che hai deciso che questo fosse meglio per me» dico triste.

«Lo so, e ne sono ancora convinta...grazie per questa» avvicina la rosa al naso per annusarla.

«Cos'è questa storia del viaggio e dei tre giorni?» dico incrociando le braccia al petto un po' tesa e un po' curiosa.

«Devo partire per tre giorni, ho delle riunioni importanti col consiglio della mia azienda, sarò qui venerdì mattina e pensavo che potessi raggiungermi direttamente alla mia casa in campagna, che ne dici?» inclina un po' la testa mentre parla e irrigidisce le labbra nel suo modo, quello che mi fa impazzire.

«Tre giorni tutti per noi? Io, te e basta?»

«Io, te, noi..» si avvicina e sussurra le parole «questi» mi bacia «tanti di questi..». .

«Credo che accetterò sai?» deglutisco a fatica «ora dobbiamo andare o faremo tardi» faccio un passo indietro e le apro la porta.

«Ma che gentildonna».

«Vorrei ben vedere» dico io guardandole il sedere. Si volta di scatto e mi becca.

«Cosa guardi?».

«Non posso guardare?».

«Non si vede poi molto...».

«Oh ti assicura che lascia poco spazio all'immaginazione» dico senza controllo.

«Tesoro, i miei occhi sono più in alto».

Rido spostando lo guardo dal seno al viso.

«Andiamo... Tesoro» faccio cenno delle virgolette con le dita.

 

Quanto ci divertiamo quella sera. Impossibile da descrivere. Io lavoro e lei balla...balla in modo molto provocante, tanto che devo cacciare due minorenni che si avvicinano in modo minaccioso a lei. Faccio un migliaio di foto tra scatti in posa e spontanee e riesco a farne anche qualcuna a me e a lei...le nostre prime foto, sono curiosissima di vederle.

Una volta finito, mangiamo una pizza in macchina, come due adolescenti. Amo fare qualsiasi cosa con lei e spero si fosse divertita e soprattutto che non si annoi a fare cose tanto semplici con me.

«Sono stata benissimo, erano secoli che non ballavo così» dice tra una risata e l'altra.

Almeno quel dubbio è stato svelato.

«Sono felice di questo» le accarezzo una guancia col dorso della mano.

«Dobbiamo parlare di questo fine settimana» dice lei irrigidendosi un pochino.

«Devo partire tre giorni, ti lascio l'indirizzo e mi raggiungi venerdì sera nella mia casa in campagna?? Tre giorni» avvicina la sua mano ai miei occhi facendo il numero tre con le dita.

«Di totale relax. Noi, le mele, il mangiare, le passeggiate....» si sdraia su di me, poggiando la testa sulle gambe.

«Ti và?».

«Certo che mi va....che domande fai...solo che...».

«Problemi?».

«Questi tre giorni come farò?».

Si rimette dritta, mi prende le mani e si avvicina.

«Passeranno in fretta e sarà una bella prova per vedere quanto ci manchiamo e vogliamo...» abbassa lo sguardo sulla mia gonna, che lascia scoperta praticamente tutte le gambe.

«Dici?» le sussurro sulle labbra.

Sbatte i denti come a volermi mordere.

«Che temperatura c'è in campagna?».

«Te lo dirò quando sarò lì, che ne dici?? Di solito c'è un po' di venticello, e poi le previsioni dicono che farà bello, andrà bene...poi ho coperte e vestiti se dovessi aver freddo...oppure..ci sono io»...fa spallucce.

«Accetto volentieri l'ultima offerta» la abbraccio.

«E' tardi ora, meglio andare a casa, no?».

Mi stacco da lei e la guardo storta.

«Oggi proprio non mi sopporti eh?» mi sistemo bene sul mio sedile e sto per girare la chiave ma mi blocca il polso.

«Ma che dici?» continuo a fissare il volante dell'auto.

«Emma che ti succede?». Mi prende il mento tra le mani ma mi sposto.

«Fantastico, vedo che hai la tua seconda crisi decisionale» mi lascia il polso. «Mi dici che diavolo succede?».

A quel punto sbotto.

«Succede che prima ti sei irrigidita quando ti ho abbracciata e ora non vedi l'ora di tornare a casa, se permetti mi viene da pensare che non ti stia bene. Io a te, non tu a me. Basta semplicemente dirlo, ok?».

«Ahaha...mm ahaha» si mette una mano di fronte alla bocca e ride.

«Oh si, è tutto molto divertente» sbatto le mani sul volante.

Non la smette di ridacchiare.

«Scusami» non riesce a trattenersi «solo che è tutto talmente ridicolo».

Si schiarisce la voce e torna seria. Mi volto e il suo sguardo brucia, di rabbia, frustrazione, non riesco a capirlo. Poi, poggiando la mano sinistra sul sedile su cui sono seduta, si avvicina al mio viso, occhi contro occhi. Non riesco a guardare altro che quelli.

Lenta, la sua mano destra inizia a sfiorare il mio ginocchio, andando sempre più in alto.

«Vuoi sapere perché voglio andare a casa?» dice sfiorandomi quasi le labbra.

«Si» emetto un flebile suono, totalmente rapita dai suoi occhi e dal suo tocco.

«Perché quello che sto facendo è l'unica cosa che desidero fare da quando hai aperto la porta con questo vestito» arriva allo slip e lo sfiora. Un'ondata di calore percorre il mio corpo fino ad arrivare al basso ventre.

«Perché allora non lo fai?».

«Perché sei troppo e...non voglio perderti per aver corso. Avremo il nostro tempo e spazio nel nostro fine settimana perfetto» mi prende le labbra in un unico fantastico bacio, ma si stacca troppo velocemente da me. La sua mano torna sulle sue ginocchia.

«Quindi, per quanto sia maledettamente difficile, è meglio se ce ne andiamo a casetta e aspettiamo che questi tre giorni passino in velocità».

Inclino un po' la testa.

«Ok...» Accendo la macchina e ci dirigiamo a casa.

Sto diventando romantica, dipendente e affettuosa in un modo che mi ero ripromessa di non essere più. Salutarla, anche se solo per tre giorni, mi costa parecchio, ma per fortuna avevano hanno inventato cellulari e sms.

I giorni seguenti sono strani. Ma approfitto del tempo libero per stampare e recapitare tutte le foto arretrate, per cui ricevo il mio adeguato compenso.

Tra le foto fatte la sera precedente ci sono anche le nostre. Compro una cornice e la sistemo, gliela porterò quel venerdì.

 

Non si chiude il borsone. Nel tentativo di decidere che mettere ho preso troppa roba e tra questa anche una compromettente sottoveste nera in seta. Mai indossata perché decisamente poco adatta al mio stile: quando si dice che i regali delle amiche possono risultare utili. Non so nemmeno se l'avrei messa, ma penso sia carino almeno portarla.

Sono emozionata. Ho riempito le mie giornate con lavoro, appuntamenti e shopping. Sono stata in un negozio di intimo, voglioo un nuovo completino....volere non è potere.

Ne compro tre. Ho iniziato a comportarmi come una stupida ragazzetta che compra intimo sexy per far capitolare il proprio fidanzato.

O MIO DIO.

Ho detto quella parola? FIDANZATO? Cosa siamo io e Regina? Fidanzate? Non ne ho idea. Scuoto la testa, prendo la borsa in spalla e esco di casa.

Le indicazioni di Regina sono state chiare. La casa è in campagna, ma poco lontana dalla spiaggia e di certo molto più vicina della "Cascata del Sole".

Ha detto di essere immersa nel verde, e appartiene a una sorta di borgo, dove, poco lontano ci sono altre case. Il borgo si chiama "The magic garden". Mi sembra un nome un tantino infantile, ma una volta imboccata la strada principale capisco il motivo. Ogni casa è specializzata nella cura di alberi da frutto. C'è la casa della "pesca", quella dell'albicocca, ciliegia, pere, limoni e ovviamente mele.

Rosse.

Le sue.

Il cancelletto in legno è aperto e una volta dentro parcheggio la macchina accanto a quella di Regina. Prendo regalo, torta e vino che ho portato con me e salgo i gradini che mi separano dalla porta. In legno rosso.

Sono le 8 della sera, inizia a sentirsi un venticello fresco e ormai il sole è calato.

Busso alla porta.

Sento il rumore dei tacchi avvicinarsi alla porta e...

«Ciao....».

  
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