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Autore: frenz    09/03/2014    1 recensioni
Senna ha finalmente l'opportunità di passare le vacanze estive come ha sempre desiderato: nella solitudine. Quando cambia idea e decide di passarlo in compagnia, Senna realizza che non può succedere niente di simile, rassegnandosi a rimanere da sola.
Settima classificata al primo turno del concorso The X-Factor of Masterwriter di HollyMaster e MelodyFoster con punteggio di 20/30
- REVISIONATA IL 28/04/14 -
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cornflakes girl


 

I giorni di Giugno sono terminati e lasciano spazio all’arrivo dell’intenso caldo afoso estivo. Gli animali della fattoria corrono in fretta verso le vasche piene d’acqua potabile per dissetarsi e la gente si è trasferita in massa verso la spiaggia, sperando di godere della brezza fresca e dell’acqua marina. A rimanere da sola in campagna sono io: per quest’anno ho fatto a meno di riposarmi su quell’odiosa sabbia che mi si attacca ai capelli e di sentire urlare bambini che si schizzano d’acqua con le loro pistole giocattolo. Per quest’anno ho detto no al caos da vacanza per scegliere invece la quiete. In questo terreno di campagna – dove cresce il mais che viene raccolto tra settembre e ottobre, destinato alle grandi fabbriche per la lavorazione e la messa in vendita – sono rimasta insieme a Sherley, la mia cavalla nera. Non mi dispiace starmene un po’ da sola con lei a strigliarle il lucido manto e a raccontarle come trascorro le mie giornate. So benissimo che non può rispondermi ma ho bisogno di qualcuno che mi ascolti, e i suoi occhi riescono a comunicarmi sempre qualcosa. Sherley è ormai molto vecchia: è con me da quando gareggiavo con le mie amiche d’infanzia al maneggio. Avevo tante amiche da piccola, fin quando non si spostarono tutte con le loro famiglie verso la grande città e mi lasciarono qui, in questo luogo sperduto del mondo.


Sta per iniziare la mia vacanza solitaria, quella che da una vita ho sempre atteso e desiderato. Questa mattina, il primo giorno di Luglio, appena aperti gli occhi mi sono resa conto che sono finalmente da sola. Il silenzio che ho intorno – senza il nonno che gridi dove è finita la colazione, senza mio fratello che non vuole alzarsi dal letto per prepararsi per la scuola e senza mamma e papà che chiacchierano con toni alti e che non mostrano rispetto per nessuno – è qualcosa di magnifico. Finalmente un mese di pura libertà, nella solitudine o nella vicinanza di chi voglio davvero vicino. Mi alzo dal morbido letto due ore dopo essermi svegliata e mi accorgo che tutto questo silenzio e questa pace non sono frutto di un sogno. Mi avvicino verso lo specchio dell’armadio: è molto grande e un po’ vecchiotto, con delle macchie gialle che distorcono l’immagine. Ho addosso solo uno slip e una t-shirt extralarge con una stampa che dice “I Love My Mum” con un cuore rosso a fine frase. Questo è solo uno di quegli orribili regali che mi sono stati donati per il mio compleanno, compiuto due settimane fa. Per continuare l’elenco dei regali più orrendi da fare ad una ragazza, ho ricevuto anche un bagnoschiuma al cioccolato e delle presine da cucina. Mi tolgo la maglia velocemente, è come avere addosso il peso di mia madre in quel momento di totale indipendenza.


Mi soffermo con lo sguardo ancora un po’ assonnato di fronte allo specchio: la mia pelle bianchissima mi fa da sempre sembrare una bambola di porcellana, e per questo ero ambita da tanti ragazzi quando ero più piccola. La mia aria da innocente che tutti dicono che ho però non mi ha permesso di avere un vero e proprio ragazzo; d’altronde si sa, i maschi non vogliono complicarsi la vita e preferiscono avere relazioni con qualcuna più facile. A casa mia c’erano delle regole, o meglio ero stata educata in un determinato modo: prima fra tutte, non fare sesso prima del matrimonio. Non che fosse mia intenzione andare col primo che incontrassi per strada ma certi bisogni fisici, certi richiami, li sentiamo anche noi donne. Ho voglia di passare una notte con un bel ragazzo, innamorarmene e dopo qualche mese magari farci l’amore. Sembra il discorsetto di una ragazzetta quindicenne nonostante abbia raggiunto ormai i diciannove, ma dentro di me vive una ragazzina inesperta e insoddisfatta che vuole conoscere il mondo e l’altro sesso.


Il mio seno non è prosperoso come quello delle ragazze che frequentano il mio liceo: è piuttosto proporzionato e non mi preoccupa: meglio avere le mie tettine che due gommoni per non affogare in mare. A me nemmeno piaceva il mare, come s’era capito. Creme e cremine di protezione non bastavano per evitare scottature dai raggi ultravioletti del sole sulla mia pelle, rendendomi un’aragosta umana nel giro di poche ore. Mio fratello, per prendermi in giro, mi chiama “vampira”, solo che io non sono capace di brillare al sole.


I miei capelli lunghi, un po’ arruffati per via della mia posizione sul cuscino, pieni di doppie punte, arrivano a coprire i miei capezzoli. Sono di un biondo scuro che non molti hanno nella mia famiglia, quasi tutti mori. Li ho ereditati da mia nonna, che a sua volta li aveva ereditati da sua madre. Non sono convinta però se sono di mio gradimento: una volta li avevo di questo stesso colore alla radice e si schiarivano verso la fine: non era merito dello shatush che andava tanto di moda ai tempi ma di una tintura di molti mesi prima insieme alla bruciatura delle punte. Li preferivo in quel modo: non erano di certo sani però avevo da sempre desiderato averli così lunghi. Li ho dovuti scurire e tagliare per il matrimonio di mio cugino, avvenuto lo stesso giorno del mio compleanno.


Alzo lo sguardo e mi rendo conto che sulle mie labbra ci sono delle bricioline di biscotti mangiucchiati la sera precedente. Ho delle labbra che diventano sottilissime quando sorrido, ed è una cosa che amo. Mi rendono molto più ragazzina “di classe”, nonostante le umili origini della mia famiglia. Da piccola mi chiamavano sempre “pastorella” o peggio ancora “capretta” ed è inutile dire quanto questi appellativi mi scocciassero, tanto da portare il broncio per giorni. Adoro anche quando, sorridendo, i miei occhi si assottigliano e diventano delle piccole fessure dove traspare il verde del loro colore. Non ho degli occhi piccoli, eppure quando mi fanno sorridere si assottigliano molto. Riuscivano a esprimersi più delle mie parole, a volte piene di strafalcioni grammaticali. Riabbasso lo sguardo per osservare l’orribile pedicure: dello smalto verde acqua non è rimasto quasi più niente se non qualche macchiolina sparsa qui e lì.


Non mi ritengo una ragazza snella o in carne, semplicemente ho un filino di grasso sui fianchi e sulla pancia. Non siamo tutti perfetti in questo mondo e non me ne sono mai posta il problema. Sono sempre stata sostenitrice della pancetta perché mostra un po’ di salute, a differenza di alcune ragazze che conosco di vista che sembrano – o forse lo sono – anoressiche, che si riempiono lo stomaco d’aria. Non mi preoccupa il mio aspetto fisico, d’altronde prima di tutto devo piacere a me stessa. Riguardandomi nel complesso, devo dire che non sto proprio male, eppure non riesco a capire cosa non va in questo corpo perché i ragazzi non mi vogliano come loro fidanzata. È forse il mio atteggiamento o il mio sguardo a mettere loro timore?


«Accettati con i tuoi pregi e i tuoi difetti, Senna!» dico di fronte allo specchio. «Beh… Magari non guardare troppo ai difetti!». Mi capitava spesso di parlare da sola e ai miei davo l’impressione di essere un po’ svitata.


Faccio delle smorfie allo specchio per capire l’espressione migliore per affrontare la giornata ma ho troppo sonno per decidere. Ci rinuncio, restando comunque immobile a guardare la mia immagine riflessa, come imbambolata e senza vita. Non ho le forze, c’è bisogno di qualcosa per svegliarmi. Mi tolgo anche gli slip con tranquillità, vista la mia solitudine in casa, e mi dirigo direttamente verso la doccia. È ancora mattina e doveva iniziare una nuova serata entusiasmante, ma evidentemente l’unica cosa che voglio fare è gettarmi di nuovo a letto e messaggiare con il mio cellulare da antiquariato, ancora con lo schermo in bianco e nero. Entro in doccia, apro l’acqua e ascolto il suo scorrere sulla mia pelle. Mi rilassa incredibilmente, riuscendo a distendere i miei nervi e le mie preoccupazioni. Quando i miei erano in casa, per rilassarmi un po’ mi chiudevo in bagno e ascoltavo lo scorrere dell’acqua. Quante finte docce ho detto di aver fatto per avere il mio momento di relax!  Questa volta però non c’è tempo per rilassarsi: devo programmare la mia giornata. Ed è strano, visto che non ce n’è bisogno: posso anche non fare niente, ma è vero che non posso mica oziare tutto il giorno o starmene in braccia conserte. Non è da me, anche se do a tutti l’impressione di essere una pigrona. C’è bisogno di fare qualcosa, qualsiasi cosa. Ho casa libera, posso organizzare feste di ogni tipo, invitare gente sconosciuta e divertirmi come se non ci fosse un domani. Potrei, ma ora che ci penso ho dimenticato un piccolo particolare: sto in un posto davvero lontano dalla città e nessuno delle vicinanze è rimasto qui. Sono la solita sbadata: organizzo tutto e al momento decisivo mi accorgo che alcuni dettagli non sono stati presi in considerazione. Per una volta che ho l’occasione di invitare chi voglio a passare la giornata con me, manca la persona. E così, anche per quest’estate la pastorella verginella rimarrà sola non solo dentro di sé, ma anche fuori. Che tristezza.


Fare la doccia mi ha stancato, non ho più voglia di pensare. Esco di tutta fretta, mi asciugo velocemente e lascio i capelli bagnati, visto il caldo che c’è. Mi dirigo verso l’armadio, prendo gli slip puliti, una nuova t-shirt extralarge con una stampa dei Green Day e mi sposto in cucina. Apro la dispensa: scatole e scatole di cornflakes –  fatti con lo stesso mais che coltiviamo – sono disposte in fila. Prendo quella già aperta e verso i fiocchi nella mia tazza preferita, aggiungendoci del latte. Poggio la scatola di cartone sul tavolo e sulla confezione la stampa di una bambina paffutella mi sorride con in mano un cucchiaio di quegli odiosi fiocchi di mais gialli. È la stessa bambina che è ritratta nel nostro album dei ricordi, incorniciata nelle nostre pareti e conservata dentro il portafoglio di mamma. Ho sempre odiato quei cornflakes e quella bambina, ma non potevo fare a meno di guardarla e di mangiare, ingoiando quelle cucchiaiate come veleno. Quello che sono oggi è il loro prodotto.

 
   
 
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