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Autore: Mikirise    09/03/2014    2 recensioni
"(…)ma anzi, pensò lucidamente che, in effetti, Rojo era il nome d'arte che faceva al caso suo, visto che gli ricordava i lunghi capelli di sua madre, gli alberi dalle foglie rosse che crescevano accanto alla sua vecchia casa, l'Italia, i pomodori, la Spagna ed infine Antonio, anche se non volle subito ammetterlo. Ed il rosso era il colore della passione, la stessa che lo portava a dipingere senza mai stancarsi né annoiarsi. Dovette ammettere che tutto quello che il rosso gli ricordava era parte integrante di lui, che lo rappresentava nella migliore maniera e che mai nulla gli sarebbe calzato a pennello come il rosso. Furono questi i pensieri che passarono per la testa di Romano quando disse “R come Rojo” girando la testa verso Antonio."
Ispirato a "L'amore ai Tempi del Colera", tenevo a dirlo data la recente scomparsa di Gabriel García Márquez.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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4. Il favore della Fortuna

 

Il giusto tempo che passa

 

 

 

Il 17 Marzo del 1990 Romano Vargas compì 17 anni. Tutti festeggiavano allegramente, mangiando torta e cantando.

Tutti tranne il Passero.

Arthur Kirkland si avvicinò a lui lentamente e con tristezza. Romano non ci fece molto caso e continuò a mangiare il pezzo di torta al cioccolato che aveva preparato per lui Elizaveta Herdevary, guardando il parco, con la schiena poggiata sul tronco del pesco.

“Oggi” iniziò a parlare Arthur “ho sentito un gatto piangere per la strada. Stavo passeggiando prima di venire qui, perché sono rimasto di nuovo chiuso fuori casa. Stavo camminando e sento questo gatto che piange. Era un gatto nero e non appena mi sono avvicinato a lui, ha smesso di piangere. Non mi ero reso conto delle condizioni in cui si trovava, quindi in realtà, più che avvicinato a lui, ci sono passato vicino. Appena l'ho superato, il gatto ha ricominciato a piangere. Allora mi sono incuriosito e ho seguito il pianto, per trovarlo in mezzo all'erba. L'hanno investito e penso l'abbiano fatto di proposito, perché, sai, i gatti neri portano sfiga. Non appena vede che mi accovaccio vicino a lui, cerca di strusciare la testolina sulla mia mano, io lo prendo in braccio e vedo che è pieno di sangue. Nel momento in cui lo prendo in braccio, il gatto smette di piangere. Corro a casa tenendolo con me, lo poggio tra l'erba del giardino, cerco rabbiosamente le chiavi per entrare, anche se so che non ce le ho nella borsa, ma il gatto ricomincia a piangere. Era straziante. Mi riavvicino a lui, lo accarezzo. Lui mi guarda, alza la coda, poi chiude gli occhi e muore” Arthur strappò dei fili d'erba con rabbia e con degli occhi pieni di tristezza “Non voleva morire da solo. Sapeva di dover morire e non voleva morire da solo, ai margini della strada dove degli stronzi lo hanno acciaccato per superstizione. Piangeva per questo. Perché non voleva essere lasciato solo nella morte”

Romano sbatté leggermente le palpebre, infilando l'ultimo pezzo di torta in bocca. Ormai conosceva abbastanza bene Arthur per comprendere che, come lui esprimeva se stesso nei dipinti, l'inglese esprimeva i suoi sentimenti con racconti brevi, non importava se fossero questi presi dalla realtà o da pura fantasia, per uno scrittore non c'era differenza tra le due cose. Se Arthur raccontava, raccontava una parte di sé ed era dovere di chi lo ascoltava, capire quale parte di lui si stava esprimendo. E gli fu semplice comprendere per quale motivo gli stava raccontando quell'episodio del gatto, perché anche lui si era sentito così, tempo prima. Alzò quindi la mano e la poggiò sulla spalla dell'amico. “Arthur” lo chiamò a bassa voce “cazzo" mormorò poi, grattandosi nervosamente la testa. Da quando era piccolo, l'italiano faticava a parlare di cose così imbarazzanti, come i sentimenti, ed aveva evitato il confronto verbale con quelli per così tanto tempo da dimenticare come si fa a rincuorare una persona, a dirgli che gli voleva bene.

Se avesse parlato liberamente, senza blocchi mentali, avrebbe detto ad Arthur che lui non era quel gatto e che non sarebbe mai rimasto da solo, neanche in mille anni, neanche se decidesse di andarsene in un altro continente a coltivare oppio. Perché lui era suo amico, e lo era anche Alfred, e Matthew, e Luz Maria e Francis, e tutto il Circolo. Non importava quello che la sua famiglia dicesse di lui. Gli avrebbe detto che non importava quello che sarebbe successo; loro ci sarebbero sempre stati.

Tutto quello che riuscì ad uscire dalla bocca del ragazzo fu però quel semplice “cazzo” che sarebbe caduto in un silenzio di comprensione, che in fondo non dispiacque ad Arthur. Si conoscevano da abbastanza tempo per comprendersi e non chiedere troppo l'uno all'altro.

Romano Vargas, comunque, se fosse riuscito a dire tutto quello che gli era passato per la testa, avrebbe creduto veramente nelle sue parole. Non aveva mai pensato, in quegli anni, che il gruppo si sarebbe potuto un giorno sciogliere o dividere e continuò ad essere della stessa opinione anche dopo la morte di Cesare Vargas. Mai avrebbe pensato di essere proprio lui uno dei motivi principali che avrebbero stabilito la rottura trai rapporti e la divisione del Circolo in due parti.

 

I più piccoli del Circolo di Cesare erano, in ordine crescente, Luz Maria, Matthew, Alfred, Romano ed Arthur ed avevano creato un sottogruppo a parte, che era caratterizzato da alcune abitudini particolari. Quando c'erano solo Romano Vargas ed Arthur Kirkland, il più piccolo dipingeva e l'altro inventava storie che raccontava ad alta voce, indicando col dito le persone che passeggiavano. Quando a loro due si aggiungeva Luz Maria, la bambina suonava la chitarra e portava in musica i racconti di Arthur, muovendo abilmente le dita sulla chitarra classica ed alcune persone che passavano, vedendola scalza, sporca perennemente di fango e con i capelli sparati all'insù, le lasciava sempre qualche soldo, che lei rifiutava amabilmente con un sorriso, dicendo che per lei i soldi non erano un problema. Mentiva, ma era così orgogliosa da non volersi far vedere da nessuno mentre vendeva l'unico dono che Dio le aveva donato, la voce, facendolo diventare merce di scambio. Nessuno però l'avrebbe mai giudicata, se lo avesse fatto, perché conoscevano la situazione disastrosa in cui si trovava, anche se fingevano d'ignorarla per far stare più serena la ragazza. Quando Matthew si aggiungeva a questo gruppo, li guardava e batteva le mani al termine di ogni canzone e parlava con Romano, che magari nemmeno lo guardava negli occhi, le prime volte, ma che aveva imparato ad ascoltare. Almeno una volta a settimana, Alfred li spingeva ad andare al campetto di baseball, o a vendere i quadri di Romano e le storie di Arthur; quando invece decideva spontaneamente di rimanere sotto il pesco, il ragazzino si divertiva a costruire strani marchingegni che scoppiavano puntualmente. Erano cinque ragazzini piuttosto affiatati, dovette ammettere Cesare Vargas, quando un aereoplano di Alfred cadde nel lago e fecero gioco di squadra per riprenderlo, senza lasciare indietro nessun compagno e buscandosi, tutti e cinque, un bel raffreddore. Era un aneddoto che Cesare amava raccontare, perché ricordava perfettamente Alfred Jones fare un discorso ai suoi soldati per incoraggiarli nella missione, Maria Luz Sanchez dargli un colpo in testa in contemporanea con Arthur Kirkland e alla fine della missione, Romano Vargas sdraiato, quasi come se fosse morto, sulle sponde del lago, perché era quasi annegato per salvare quello stupido aereoplano, che comunque sarebbe scoppiato pochi minuti dopo. Quella piccola banda, rimase intatta anche dopo la rottura del Circolo, tranne per qualche periodo di litigio tra Arthur e Romano, o Arthur ed Alfred, e l'unico momento in cui Luz Maria ed Alfred furono assenti in quel gruppo, fu durante la loro luna di miele negli Stati Uniti d'America ed in Messico, dove Alfred aveva dovuto fare i conti con le miriadi di cugini, zii e nonni della Cantante.

Un gruppo piuttosto coeso era poi quello di Antonio Fernandez Carriedo, Francis Bonnefoy e Gilbert Beilschmidt, che erano diventati tra loro inseparabili. A comunarli, infatti, non c'era solo l'arte, ma anche l'età, il carattere irrequieto e la voglia di vivere nonostante tutto. Uscivano insieme la sera e si ubriacavano e facevano gare su chi portava più ragazze a letto e chi reggeva meglio l'alcol. Per questo vennero soprannominati il Bad Touch Trio. In queste serate si aggiungeva, a volte, Elizaveta Herdevary, che vinceva sempre nel reggere superalcolici, ma che dopo una certa ora fingeva di essere ubriaca per rovinare le serate a Gilbert, che comunque sapeva perfettamente che Elizaveta fingeva, solo che preferiva mille volte riportare a casa lei, metterla sotto le coperte ed addormentarsi uno accanto all'altro, senza fare niente di osceno a letto, piuttosto che portare una sconosciuta a casa, farci sesso e poi dimenticarla. Tutto questo se lo dissero la prima volta l'estate del 1996, dopo la morte di Cesare Vargas ed il viaggio di Romano in Italia; prima di allora non ebbero mai il coraggio di confessarsi sentimenti simili.

Cesare Vargas, Jeanne d'Arc e Roderich Edelstein formavano l'ultimo gruppo, che era il più sedentario, quello formato anche dalle persone più grandi e l'unico che lasciò che i rapporti sfiorissero dopo la morte del suo membro più importante. Jeanne dopo il 1996 non riferì più una sola parola a Roderich, che comunque non ne soffrì troppo.

Nonostante la divisione in gruppi, c'erano legami tra membri di questi che sembravano a volte diventare più forti di quelli ufficiali. Un esempio fu la profonda amicizia tra Jeanne ed Elizaveta, forse dettato più dalla solidarietà femminile che da altro, o Francis ed Arthur, che rimasero amici-nemici per molto tempo, Francis e Jeanne, che si sposarono, Cesare ed Antonio, che avevano lo stesso rapporto di Romano e Cesare, Elizaveta e Roderich, che stettero insieme per qualche periodo, ed infine, uno dei più forti legami che si crearono, tanto forte che quando collassò causò distruzione intorno a sé, fu il rapporto tra Romano ed Antonio.

Francis Bonnefoy si era reso conto della potenzialità distruttiva di quella coppia, mentre Romano calciava contro Antonio che cercava di abbracciarlo. Si era reso conto, guardandoli la prima volta che c'era nel loro rapporto l'embrione di un amore che una volta nato e sbocciato poteva seguire due vie: o sarebbe rimasto stabile, creando una relazione idilliaca, o sarebbe esplosa con la stessa potenza di una bomba atomica, seminando distruzione intorno a loro. Francis Bonnefoy era però sicuro che se l'amore tra quei due fosse sbocciato, sarebbe rimasto un bellissimo fiore fino a che entrambi non sarebbero morti e tante volte pensò di aver avuto la conferma della sua romantica teoria, quando Antonio rubava un timido sorriso a Romano, quando Romano non smetteva di parlare di Antonio, anche se solo per insultarlo, quando Romano arrossiva allo sfiorare Antonio ed Antonio si dimostrava possessivo nei confronti di Romano. Funzionavano bene come coppia, anche quando nominalmente non lo erano nemmeno.

Certo, questo nessuno dei due lo aveva capito e, ai tempi, gli unici che avevano intuito qualcosa erano Cesare Vargas, Jeanne d'Arc e Francis, e ci volle tempo perché i due zucconi comprendessero ed accettassero i loro sentimenti.

In fondo, Romano aveva conosciuto Antonio quando aveva appena 12 anni e lo aveva visto sempre come una persona troppo vecchia per lui, riusciva ad accettarlo come figura adulta, ma non si perdonava il fatto di esserne attratto. Nelle notti d'estate cercava di convincersi che il suo, nei confronti di Antonio ,fosse semplice affetto fraterno, come quello che provava per Feliciano e che sarebbe stato sbagliato provare strani impulsi verso lo spagnolo. Sarebbe stato come se Feliciano s'innamorasse di lui, sarebbe stato inaccettabile. Così come sarebbe stato inaccettabile desiderare, per di più, che contraccambiasse.

In più, si diceva Romano, Antonio era un uomo ed era sbagliato che un uomo amasse un uomo, contro le regole della natura. Romano Vargas si era guardato il vecchio crocifisso che ancora portava al collo e si chiese chi avesse mai detto che amare un uomo era sbagliato. Lo stesso Dio che non voleva nel suo cimitero sua madre?

Romano Lovino Vargas era confuso.

 

Antonio, dal canto suo, non si era mai fatto troppe domande. Romano gli piaceva, non sapeva che gli piaceva in quel senso, sapeva però che per lui era importante. Aveva liquidato la domanda perché è importante? dando la risposta un po' superficiale, beh, perché l'ho visto crescere, non sapendo che da quando il ragazzo aveva compiuto 15 anni , lui lo guardava in maniera diversa, soffermandosi sui cambiamenti del suo corpo, forse più a lungo del dovuto, mentre Romano seguiva con la testa il ritmo scandito da Luz Maria e dalla sua chitarra. Si riscopriva più volte, Antonio, ad essere incantato dai gesti di Romano, dalle sue parole, e, quando lui e l'italiano parlavano da soli, a fissargli insistentemente le labbra, mentre passava le dita sulle sue, o se le leccava nervosamente. E quei gesti mandavano ai matti Romano, che arrossiva e cercava disperatamente una scusa per allontanarsi il più in fretta possibile da lui, a volte così velocemente da inciampare sui suoi stessi piedi e causare le risate intenerite di Cesare Vargas e Jeanne d'Arc. E forse ad una persona normale il fatto di volerlo sempre accanto, di avere sempre la voglia di abbracciarlo ed accarezzargli i capelli, sarebbe bastata per capire che provava qualcosa per Romano, ma Antonio non era una persona normale e questo non bastò.

 

Il 20 maggio 1990, ad Elizaveta venne l'idea di mettere nuovamente alla prova le capacità pittoriche di Francis e Romano, facendo un ritratto di tutto il gruppo. I due non trovarono nulla di male nell'idea e decisero di accettare la proposta, anche se Cesare disse che voleva che Romano terminasse il dipinto di Francis facendo lui il ritratto del francese e che Francis terminasse il dipinto di Romano facendone lui il ritratto in mezzo al gruppo. Così, nel dipinto di Francis, che sembrava rappresentare un convivio di altri tempi, poiché tutti erano sdraiati e coperti appena da un telo bianco, Francis appariva nello stile di Romano, vestito con jeans e maglietta mentre lanciava una rosa in aria, e nel dipinto di Romano, che aveva deciso di rappresentare tutti il più realisticamente possibile, seduti sul prato con i loro vestiti ordinari, mentre chiacchieravano o suonavano, o mangiucchiavano, Romano Vargas fu rappresentato come un piccolo elfo, mentre ai margini, con un pennello in mano, sembrava terminare l'opera.

Il contrasto non parve dar fastidio a nessuno dei due e Jeanne disse che dava maggior carattere ai quadri e che non li avrebbe cambiati per nulla al mondo.

Visto oggi, i due quadri sembrano essere un legame trai due pittori, come se stettero a testimoniare lo strano rapporto che avrebbero portato avanti con gli anni. Il rapporto più complicato e saldo nella vita dell'italiano. Non a caso il quadro di Rojo è stato intitolato il Convivio, che richiamava all'arte classica, e quello dell'Innamorato Pomeriggio sotto il Pesco, anche se del pesco, c'era solo un petalo, rappresentato sulla spalla sinistra di Jeanne d'Arc, che dovrebbe riportare chiunque osservi il quadro alla realtà.

Al termine del lavoro, dunque, Francis firmò il suo quadro, con il suo nome e Romano, come tanti anni prima, immerse il pennello più fino che aveva nel rosso e tracciò una semplice R. Fu in quel momento che sentì il peso di un mento sulla sua spalla e la voce di Antonio nel suo orecchio destro “Solo R?”

Romano annuì senza voltare la testa “Solo R”

“R per Romano” mormorò pensieroso l'altro. Poi guardò il colore con il quale Romano aveva tracciato la lettera, prese il pennello, senza togliere il mento da sopra la spalla del ragazzo, e se lo passò sulla mano. Il pennello, com'è ovvio, lasciò una linea rossa sulla pelle abbronzata dello spagnolo e sia Antonio che Romano rimasero fermi a fissarla, sincronizzando i loro respiri ed i battiti accelerati dei loro cuori. Rimasero fermi in quella posizione per qualche secondo, prima che Antonio girasse la testa e sussurrasse nell'orecchio del ragazzo “R come rosso. Rojo.”

Romano si sarebbe a lungo vantato del suo autocontrollo, visto che non impazzì alla sensazione calda del respiro di Antonio sulla sua pelle, ma anzi, pensò lucidamente che, in effetti, Rojo era il nome d'arte che faceva al caso suo, visto che gli ricordava i lunghi capelli di sua madre, gli alberi dalle foglie rosse che crescevano accanto alla sua vecchia casa, l'Italia, i pomodori, la Spagna ed infine Antonio, anche se non volle subito ammetterlo. Ed il rosso era il colore della passione, la stessa che lo portava a dipingere senza mai stancarsi né annoiarsi. Dovette ammettere che tutto quello che il rosso gli ricordava era parte integrante di lui, che lo rappresentava nella migliore maniera e che mai nulla gli sarebbe calzato a pennello come il rosso. Furono questi i pensieri che passarono per la testa di Romano quando disse “R come Rojo” girando la testa verso Antonio.

Gli occhi verdi di Antonio s'incontrarono quindi con quelli nocciola di Romano, in un'affettuosa lotta senza feriti. Lo spagnolo iniziò a respirare con più irregolarità, così come Romano che, in una situazione normale avrebbe spinto via Antonio, gridando che era un maniaco, ma che in quel momento era rimasto pietrificato, catturato dallo sguardo verde che si presentava davanti a lui ed aveva uno vocina nella testa che gli diceva di avvicinarsi all'altro, che non sarebbe successo nulla di male e che se lo avesse fatto sarebbe stato felice. Gli stessi pensieri passarono velocemente per la testa di Antonio che però, avendo dimenticato di nuovo spenti i filtri tra il suo cervello ed il suo corpo, stava già iniziando a chiudere gli occhi ed attirare Romano verso di sé, quando una mano lo tirò via.

Ci volle un po' perché le menti di Antonio e Romano tornassero lucide, e lo spagnolo riconoscesse Gilbert che gli gridava che Elizaveta gli aveva tirato la giacca nel lago e che dovevano trovare un modo per fargliela pagare.

Salvato in calcio d'angolo, fu il primo pensiero di Romano mentre correva verso Arthur che poco lontano da lì, ascoltava Luz Maria parlargli della leggenda del Chupacabras.

Quel giorno Romano ebbe finalmente il suo nomignolo affibbiato da quella banda di matti ed Antonio scoprì finalmente di provare qualcosa di più di quello che pensava per Romano.

 

Finalmente, rimarcò Francis quando l'amico si confidò con lui.

“Allora? Cosa vuoi fare?” gli aveva chiesto fumando una sigaretta.

Antonio si era grattato la testa e chiudendo l'occhio sinistro, rispose in totale sincerità “In realtà, niente”

Francis aveva alzato un sopracciglio, sorridendo appena. “Niente?”

“Sono felicissimo di essermi innamorato di Romano ma… non penso che lui corrisponda”

Il francese dovette contenere la sua risata, per non offendere l'amico, che con aria sognante stava tessendo un elogio sui capelli di Romano e le sue spalle e i suoi occhi e le sue labbra e il suo sedere… cavolo, il suo sedere!

I giorni ed i mesi seguenti, Francis Bonnefoy si divertì a creare situazioni equivoche per Romano ed Antonio; li teneva vicini, li lasciava soli, creava stupidi giochetti pervertiti per fare in modo che si toccassero e sfiorassero, mettendo a dura prova i nervi dell'italiano.

Rideva, Francis, mentre cercava di palpare Antonio e Romano lo fulminava con lo sguardo. Ed anche quando abbracciava Romano, bloccandolo tra le sue braccia, ed Antonio lo uccideva da lontano.

Si era divertito un sacco a spese di Romano ed Antonio, ma, come tutti i giochi, anche quelli di Francis dovettero finire, con grande rammarico del francese, ovviamente.

 

Ed ebbero fine il 14 febbraio del 1991.

Romano avvolto in un piumone accanto ad Antonio che sorrideva mentre cercava di abbracciarlo, con la scusa che faceva freddo e che voleva stare al caldo , si sarebbe chiesto migliaia di volte come era finito in quella situazione e mai si sarebbe immaginato che, se si trovava lì, era a causa di una trappola che gli aveva teso il Circolo, pensata e messa in atto dallo Stratega.

“La detesto” sbottò ad un certo punto, affondando le guance sotto il piumone.

“Chi?”

“Ariel. È stupida. Per prima cosa, come puoi pensare d'innamorarti a prima vista e, senza conoscere quel grandissimo deficiente del principe, scommettere su voi due, tanto da dare la tua voce in pegno e sperare che l'altro coglione ti dia un bacio prima dei tre giorni di conoscenza? Luz Maria piuttosto sarebbe rimasta zitella…”

Antonio sorrise “Penso che anche Maria Luz darebbe la sua voce per amore.”

Romano fece spuntare fuori le sue mani, indicando istericamente lo schermo della tv “Lo ha appena conosciuto!”

“L'amore è irrazionale” si morse il labbro Antonio

“Fino ad un certo punto…” borbottò il minore, risistemandosi nel divano. Non passarono neanche venti minuti che Romano sbottò di nuovo “E adesso mi sta sul cazzo pure Erik”

“Perché?” rise Antonio

“Perché, cazzo, Ariel sta lì, davanti a lui e lui è tipo… cioè fanculo e baciala, a questo punto”

“Dici che dovrebbe seguire l'istinto?” chiese Antonio girando la testa verso Romano ed avvicinandosi a lui.

“Ma pure il basso ventre, quella è più che ben disposta” mormorò il ragazzo, con gli occhi attaccati allo schermo del televisore, e non si rese conto che le braccia di Antonio si stavano muovendo verso di lui, così come tutto il suo corpo. “Quella gliel'avrebbe data alla prima botta” continuò.

“Mmm?”

“E poi, dai, è carina. Buttat… Che cazzo stai fac…?”

Antonio mormorò qualcosa d'incomprensibile, prendendogli la testa delicatamente e girandola verso di lui, per poi buttarsi tra le sue labbra.

Quando poi si allontanò leggermente, s'incontrò con lo sguardo confuso del ragazzo e si affrettò a farfugliare frasi senza senso che non riusciva a collegare tra di loro. Romano, mettendo insieme le parole e le frasi, riuscì a capire che gli stava promettendo di non stargli mai sul cazzo e che avrebbe fatto di tutto per renderlo, se non felice, almeno felicemente imbronciato e che lo avrebbe amato per sempre e che magari poi un giorno sarebbe diventato una specie di maniaco, perché lo avrebbe seguito ovunque. E che lo amava, cavolo, quanto lo amava.

Nella testa di Romano si formularono miliardi di risposte, sia positive che negative. E quelle negative erano allettanti, ad essere sinceri, perché erano razionali e con solidi argomenti per cui si sarebbe dovuto alzare da quel divano e scappare il più lontano possibile. Quelle positive erano estremamente liriche, romantiche e sdolcinate e per questo meno invitanti. Ma lui voleva dirgli di sì, che anche lui lo amava e quindi scelse l'opzione migliore: lo abbracciò, gli diede dello stupido e lo baciò con tutto l'amore che aveva in corpo.

“È sbagliato” borbottò rosso dall'imbarazzo, nascondendo la sua testa sotto il piumone. “Stiamo sbagliando.”

“E continueremo a sbagliare. Ovviamente ti amerò per sempre”

“Allora hai firmato la tua condanna”

“Era tutto quello che volevo”

 

Ed infatti il loro amore durò per la durata di due vite.

 


 

 

Note dell'autore

Ho fatto un lieve ritardo.

Spero non succeda più, ma non posso fare promesse, a quanto pare. Il tempo passa veloce~

Grazie mille a chi legge, segue e recensisce la storia!

Ci rileggiamo prestooo~

Abbraccione spirituale e tanto amour~

  
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