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Autore: Laylath    09/03/2014    3 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 37. Interludio di inizio primavera.

 

Quasi a farsi perdonare dei disastri provocati dall’intensa pioggia del mese prima, il tempo decise di regalare un clima decisamente primaverile già a fine marzo. Ormai da diversi giorni il sole batteva dolcemente sulla terra, sui campi e sulle teste dei ragazzi che parvero risvegliarsi dal torpore in cui erano caduti nelle lunghe serate invernali, quando il freddo li obbligava a stare dentro casa.
In momenti come questi si sente l’esigenza di festeggiare una simile rinascita e dunque nessuno rimase sorpreso quando, un lunedì, Elisa chiamò tutti a raccolta e propose di organizzare un picnic all’aperto.
“Senza nessun motivo particolare – spiegò – giusto perché non abbiamo mai fatto niente tutti assieme con le nostre famiglie: sarebbe una bella idea, non credete? Potremmo farlo di domenica così possiamo stare tutto il giorno a divertirci.”
“Che bello, una festa! – esclamò Janet, battendo le mani con entusiasmo ed iniziando a saltellare – Non vedo l’ora.”
“Mah, non mi sembra chissà che cosa…” iniziò Roy, non essendo abituato a cose simili e ritenendole poco dignitose per uno come lui.
“Per rendere la cosa più interessante possiamo anche organizzare dei giochi: – fece la ragazza, senza perdersi d’animo – l’anno scorso c’è stata la gara di corsa, quella di freccette e tante altre: così anche voi ragazzi avrete modo di farvi valere.”
Ovviamente era un’esca troppo appetitosa per non far abboccare chi, come Jean e Roy, non vedeva l’ora di cimentarsi in simili prove e così rimasero tutti d’accordo che quella domenica avrebbero organizzato la festa nel grande cortile che stava dietro la casa degli Havoc.
Come succede per queste cose, i ragazzi furono subito catapultati in un clima di grande eccitazione: chi pensava a cosa cucinare, chi a quali giochi fare, al materiale che serviva: sembravano un gruppo di api che ronzano operose attorno all’alveare.
Ovviamente non ci furono problemi a convincere le rispettive famiglie: per cose simili c’era sempre un grandissimo spirito d’iniziativa e nell’arco di una sera anche gli adulti vennero coinvolti.
Avevano deciso di fare di quella festa un evento indimenticabile.
 
“Ferma così, mi raccomando – mormorò Laura, prendendo uno spillo – non voglio pungerti.”
Riza obbedì e rimase immobile mentre la donna bloccava il punto esatto dove doveva tagliare.
“Anche questo le andrà a meraviglia: – sorrise Ellie – non avrei mai pensato che i colori che usavo io stessero bene anche a lei che ha capelli biondi e occhi castani.”
“La carnagione è chiara in entrambe – constatò Laura, girando attorno alla ragazzina – e queste tinte delicate vanno benissimo nonostante i capelli differenti. Bene, signorina, adesso alza delicatamente le braccia che ti aiuto a sfilarlo.”
Trattenendo il fiato per evitare di smuovere qualche spillo, Riza eseguì l’ordine chiudendo gli occhi e sentendo l’abito di lino che le scivolava via, lasciandola in biancheria intima.
“Scusa, Laura, ti chiedo sempre di fare cose all’ultimo minuto.”
“Ah, tranquilla Ellie, tanto questo è molto più facile da adattare a lei e lo faccio in due giorni: e mi sa tanto che lo faccio in modo che possa usarlo anche per gli anni successivi. Ti ridò la stoffa in eccesso, così quando sarà il momento buono lo sistemiamo.”
Riza finì di rimettersi la gonna e si accostò alle due donne che parlavano: anche per quest’occasione la madre di Kain aveva insistito perché indossasse un abito nuovo. La cosa le faceva tanto piacere: aveva imparato ad amare quei momenti esclusivamente tra di loro, mentre le faceva provare tutti quei bei vestiti. Alla fine la scelta era caduta su un abitino verde chiaro da mettere sopra una camicia bianca: era così semplice eppure allo stesso tempo così bello e delicato: era davvero incredibile come la valorizzava.
Ellie le mise con affetto la mano sulla spalla mentre continuava a parlare dell’organizzazione della festa.
“Se penserete voi ad Heymans ne sarò davvero felice.”
“Dovresti venire anche tu, Laura, sul serio – scosse il capo Ellie, mentre la osservava raccogliere il suo materiale da sarta – ti farebbe bene. Tanto lo sai che stai assieme a noi tutti e non ci sono problemi, e poi questa volta siamo davvero in pochi…”
“No, meglio di no. Ma sarò felicissima che Heymans ci vada: da quando è tornato dal viaggio a New Optain lo vedo molto chiuso in se stesso. Gli farà bene sfogarsi con tutti i giochi che hanno intenzione di organizzare.”
Riza seguì in silenzio quella conversazione, mentre Laura andava via dalla casa dei Fury. Aveva visto giusto: Heymans in quell’ultimo periodo era diverso. Non sapeva per quale motivo fosse andato a New Optain, ma le sembrava strano che non avesse detto una parola su un qualcosa di eccitante come un viaggio in treno. Solo Jean era l’unico con cui avesse parlato, ma non era trapelato nulla: sicuramente riguardava la sua famiglia e non era niente di gradevole.
“Mi dispiace che le cose vadano male per la signora Laura – mormorò quando rientrò con Ellie in cucina, dove dovevano preparare diverse cose per la festa – è così buona con me.”
“Vedrai che si risolverà, tesoro – la consolò la donna, accarezzandole i capelli – è solo questione di tempo. Allora, vediamo un po’ questa lista di cose da preparare: ne abbiamo di lavoro. Adesso ti insegno a fare l’impasto per la torta salata: vieni qua e mettiti il grembiule.”
E senza nemmeno rendersene conto, Riza si trovò immersa in quella meravigliosa lezione di cucina: con la mamma di Kain era qualcosa di totalmente diverso rispetto al preparare da sola. Era così bello seguire i suoi consigli, cercare di imitare i suoi movimenti, sentire quelle mani che la guidavano nella difficile impresa di stendere uniformemente l’impasto.
Quelle ore volarono via senza che lei nemmeno se ne accorgesse.
“Ho fame! – annunciò Kain, entrando in cucina e mettendosi tra loro due – Non c’è la merenda?”
“Ah, scusa, amore, non avevo visto l’ora. Abbi pazienza, se lascio quest’impasto a metà si rovina.”
“Va bene.” sospirò lui, mettendo la mano sopra la farina sparsa per il tavolo e lasciando la sua impronta. Poi guardò la polvere bianca sulla sua pelle e senza pensarci sollevò il braccio per lasciare delle ditate sulla guancia di Riza.
“Ehi! – protestò lei, sentendosi offesa nella sua dignità di cuoca – non si fa!”
“Ma dai che ti sta bene – ridacchiò Kain, dimostrandosi veramente rapido nel lasciarle una nuova ditata, questa volta sul mento – non credi che… oh no!”
“Beccati questo – sorrise la ragazzina, restituendo il favore – ora hai la guancia bianca anche tu e…”
Kain immerse le mani nella farina e si buttò contro la sua amica.
Succede spesso così: un attimo prima sei una brava cuoca tredicenne e poi subito dopo sei a terra a rotolarti con il tuo piccolo amico tra risate e proteste, riempiendo di farina te stessa e il pavimento attorno. In genere Riza non si lasciava andare a queste cose, ma Kain aveva il potere di renderla incredibilmente spontanea e giocosa, proprio come un cucciolo.
“No, no ragazzi – cercò di richiamarli all’ordine Ellie, impossibilitata a mollare quell’impasto – state facendo un disastro, per favore.”
Ma come facevi a dare retta a quella voce se proprio in quel momento Kain ti stava mettendo la farina nel collo? Era più importante capovolgerlo a terra ed iniziare a fargli il solletico.
“Diamine – sospirò la donna, impegnandosi a terminare e a mettere al sicuro l’impasto nella terrina – Va bene, adesso basta: rialzatevi e… Kain!” esclamò quando la farina arrivò addosso a lei.
“Ma è stata Riza – protestò il bambino – io non ho…”
“Non essere bugiardo, sei stato tu! Io non ho lanciato niente.”
“Non mi importa chi è stato – disse impassibile Ellie, cercando di riportare l’ordine in quella cucina – adesso basta con questo disastro: guardate i vostri vestiti ed i vostri capelli. Siete pieni di farina, così come il pavimento. Ora vi alzate e andate a lavarvi.”
“Ma mamma…”
“E non voglio sentire storie, altrimenti un paio di sculacciate a testa non ve le leva nessuno. Sì, signorina, persino a te: forza, a lavarvi.”
Dovette fare un notevole sforzo per mantenere l’aria seria mentre i due contendenti uscivano con il broncio; fu solo dopo qualche secondo che si concesse di scoppiare a ridere, tanto che fu costretta ad asciugarsi le lacrime con il grembiule.
“Ho appena visto due fantasmi salire le scale – fece Andrew, entrando con curiosità in cucina – sembravano nostro figlio e Riza, ma erano così bianchi che non li ho distinti. Ma che cosa è successo qui?”
“Si stavano azzuffando con la farina: erano uno spettacolo, dovevi vederli.”
“Riza? Mi pare assurdo.”
“Oh, proprio lei: stavano ridendo come non mai. Mi è quasi dispiaciuto doverli sgridare, ma stavano facendo un disastro: ormai sono proprio come due fratelli, si lasciano completamente andare tra di loro.”
“Torna con i piedi per terra, amore mio – sorrise Andrew, abbracciandola nonostante la farina e baciandola sul naso – lo so benissimo che vorresti tenerla qui con noi, ma non si può.”
“Tu non lo vorresti?” sospirò lei.
“Certo che lo vorrei, lo sai che adoro pure io la nostra piccola Riza. Ma ha già un padre, Ellie… dopo Gregor è l’ultima persona che augurerei come genitore, ma c’è lui.”
“Già, c’è lui… Scusami, Andrew, sei già preoccupato per la situazione di Laura e ora mi ci metto pure io.”
“Come ti è sembrata?”
“Strana, credo che la morte di suo padre l’abbia turbata più del previsto: è stato come fare un tuffo nel passato che si vorrebbe dimenticare. E poi è preoccupata per Heymans ed Henry, insomma sembra che stia andando tutto a rotoli.”
“E’una situazione di stallo veramente logorante…”
“Perché non se ne va? – chiese Ellie fissando il tavolo da cucina pieno di farina e di ingredienti sparsi – Non la ama e sono sicura che per i ragazzi non nutre vero interesse…”
“No, è una strana e perversa forma di possesso quella che lo spinge a restare. E’ un qualcosa di così malsano che non riesco nemmeno a concepirla del tutto. Ma quello che mi preoccupa è Heymans: ha qualcosa in mente e non me lo vuole dire.”
“Ha quattordici anni, non credo che possa fare qualcosa di pericoloso.”
Andrew scosse il capo e cercò di convincersi pure lui di quelle parole, ma qualcosa gli diceva che il ragazzo aveva tutta l’intenzione di spezzare quello stallo non appena si fosse presentata l’occasione giusta.
Gliel’ho detto in tutti i modi che quell’uomo è pericoloso, lo sa meglio di me. Ma non riesco a dimenticare i suoi occhi mentre mi prometteva di non fare mosse azzardate: è una promessa che romperà non appena lo riterrà opportuno, lo sento.
 
“Non lo so, non ne sono molto convinto.” ammise Jean, mentre con Heymans finiva di portare un tavolo di legno in cortile.
“Non ti chiedo di esserne convinto – scosse il capo il rosso, una volta che lo posarono accanto agli altri – solo di non dire niente a nessuno. Ti ho raccontato tutte queste cose perché sei il mio miglior amico e so che posso fidarmi di te.”
“Fratellone, Heymans – chiamò Janet – mi aiutate a mettere le tovaglie?”
Il discorso venne interrotto dall’arrivo della bambina ed Heymans, come se niente fosse, sorrise e si mise ad aiutarla, ma Jean preferì tornare dentro casa.
Aveva sempre ritenuto che tra loro due fosse Heymans il più accorto ed intelligente, ma sentiva che questo suo piano faceva acqua da tutte le parti: provocare un adulto era sempre un gioco davvero pericoloso, specie se le conseguenze non erano delle semplici punizioni. Gli sembrava che il suo amico stesse giocando con un fuoco troppo grande per lui e più che scottarsi rischiava di bruciarsi malamente.
“Se avessi altre scelte… ma la situazione in casa non può più andare avanti così. Se lui non si smuove allora tocca a me iniziare.”
Da una parte Jean cercava di immedesimarsi in Heymans e capiva il suo disagio: da quando era tornato da New Optain e gli aveva raccontato di quell’incontro assurdo con sua nonna materna… insomma, lui aveva un ottimo ricordo della sua, anche se era morta che lui aveva sei anni.
“… e poi anche con Henry sta cambiando atteggiamento: è come se all’improvviso si fosse accorto che quel nome gli dà ancora fastidio e lo tratta di conseguenza. Mio fratello è diverso dal solito: è silenzioso, chiuso in se stesso, è come un cagnolino che si domanda perché all’improvviso viene preso a calci… lo sta distruggendo con questi suoi sbalzi d’umore. Per non parlare di mamma; capisci che sono l’unico che può fare qualcosa?”
“Sì, però non credo che…” iniziò a mormorare.
“Jean – chiamò Angela – sono arrivati i primi ospiti, vai tu per favore? Io sto levando roba dal forno.”
“Va bene, mamma – esclamò, cercando di dimenticarsi di quei pensieri almeno per quella domenica: in fondo Heymans oggi sembrava disposto a godersi la giornata e sarebbe stato un bene per tutti loro – Ehi, ciao Riza, come stai?”
“Ciao, Jean – salutò lei, mentre passava al giovane i pacchi che teneva tra le braccia – ti ho portato una sorpresa.”
“Ah sì?”
“Ciao, Jean.” Rebecca, tutta sorridente nell’abito blu, fece la sua comparsa da dietro l’amica.
Vedendola il biondo sentì un brivido di pericolo attraversargli la schiena: da quel fatidico ballo del primo dicembre i rapporti tra loro due si erano ridotti al minimo e l’aveva vista solo poche volte, sempre in compagnia di Riza. Adesso, quasi a testimonianza che la primavera fa rifiorire, era di nuovo in splendida forma, senza più tristezza o preoccupazione nel viso.
“A questa festa non si balla – disse lui, cercando di mettere le carte in tavola: la vedeva pericolosamente vispa, come se la lezione dell’altra volta fosse stata dimenticata – spero che Riza te l’abbia detto.”
“Oh, stai tranquillo – rise lei – e non ti preoccupare, ho dato il mio contributo: ho preparato degli ottimi tramezzini per tutti.”
“Spero siano commestibili.” sbuffò, facendo strada alle due ragazze.
“Fidati, Jean – lo consolò Riza – i tramezzini di Rebecca sono i migliori che abbia mai mangiato: provare per credere.”
“Vedremo…” concesse lui, cercando di ignorare quegli occhi neri fissi sulla sua persona.
“Ehi, Jean – commentò James, uscendo proprio in quel momento dal magazzino – non sapevo che ti vedessi ancora con quest’affascinante signorina.”
“Per favore non iniziamo, eh!”
 
Nonostante l’umore inizialmente preoccupato di alcuni partecipanti, quella piccola festa partì col piede giusto e si rivelò un vero successo: in particolare i ragazzi erano particolarmente scatenati e avevano l’esigenza di sfogare tutte le loro energie in corse a perdifiato, giochi con la palla, dimostrazioni di forza e qualunque cosa richiedesse movimento fisico.
“Numeri tre!” esclamò Elisa, tenendo il fazzoletto davanti a sé.
Immediatamente Roy e Jean corsero accanto a lei e si squadrarono con aria furba, cercando di anticipare l’altro nel prendere la bandierina.
“Dai fratellone, prendi il punto!” tifò Janet.
Fu questione di un secondo, ma i due contendenti si mossero contemporaneamente e si trovarono a strattonare il fazzoletto tra le risate di tutti quanti. Alla fine fu Jean a spuntarla, in quanto aveva in mano una parte maggiore di stoffa, e tornò ridendo tra la sua squadra.
“Quattro a tre!” esclamò.
“Ehi, voi, giocatori – chiamò Angela dai tavoli – il pranzo è pronto e… piano!”
Una torma di ragazzi dai sei ai diciassette anni si riversò nei tavoli con un appetito pronto a mettere a dura prova tutto quello che stava venendo portato in tavola. Avevano passato l’intera mattina a giocare e adesso pretendevano di rinnovare le loro energie.
“Insomma, ragazzi! Fermi! – gridò la donna – Seduti composti o non servo niente a nessuno, chiaro?”
Fu incredibile come quella minaccia riportò l’ordine, tra le risate degli adulti: al posto del branco scatenato ora c’erano degli agnellini che guardavano speranzosi in attesa che il proprio piatto venisse riempito.
“Beata gioventù – commentò Vincent a capotavola, guardando Roy e gli altri mangiare con tanto entusiasmo – finalmente si sono dimenticati del tutto della storia della piena e si godono la loro età.”
“Già – sorrise Andrew, notando come anche Heymans fosse sereno e partecipe – una giornata come questa era proprio necessaria: hanno avuto davvero una bella idea ad organizzare questa festa.”
“Andiamo, assaggiali – disse Rebecca, attirando l’attenzione di tutti – ti sfido a dire che non sono buoni.”
Jean arrossì e la fissò con odio, mentre prendeva con malagrazia uno dei tramezzini che lei gli porgeva. Lo rigirò tra le mani per qualche secondo, con fare dubbioso, e poi diede un morso come se fosse convinto di aver appena ingurgitato veleno. Tutta la tavolata si fermò ad osservare, in attesa del fatidico verdetto, mentre la ragazzina non levava gli occhi dalla sua cavia.
“Sì, sono buoni – ammise lui quando ebbe ingoiato il boccone – del resto sono tramezzini, non vedo che cosa ci voglia a preparali e…”
“Beh, allora ne voglio uno pure io.” interruppe Roy, prendendone uno.
“Anche io, dai passa.” fece Heymans.
E in quel momento Jean si sentì profondamente oltraggiato, come se gli stessero portando via qualcosa che considerava suo, mentre Rebecca sorrideva estasiata vedendo il successo della sua pietanza.
Venduta al miglior offerente: stupida femmina.
 
Dopo quel pranzo di notevole portata, sia adulti che ragazzi si concessero un’oretta di pausa prima di riprendere i vari divertimenti che si erano organizzati.
Elisa si alzò dal tavolo e disse che aveva intenzione di fare una passeggiata e, ovviamente, Vato si alzò per scortarla, ignorando le occhiate maliziose di tutti. Prese per mano la fidanzata e si incamminarono per la campagna che stava lì attorno.
“Ah, che meraviglia la primavera – sospirò lei, stiracchiandosi – non vedevo l’ora che tornasse questo bel tempo: il sole mi dà tantissima energia.”
“Già – arrossì lui, cercando di dimenticarsi quello che la stiracchiata aveva messo in evidenza – ci voleva proprio.”
“Hai visto il grande e maturo Roy? Mentre si azzuffava con Jean per la bandierina non sembrava proprio quello che ha voluto fare l’adulto a tutti i costi.”
“Oh, dai, non parliamo di lui.”
“Di che vuoi parlare, allora? – sorrise lei con malizia, chinandosi a raccogliere un fiore – Di te? Lo sai che eri davvero bello mentre facevate la gara di corsa? Con il viso arrossato ed il fiatone hai un fascino del tutto diverso da quando stai concentrato su un libro, anche se è lì che sei maggiormente se stesso.”
“Perché mi devi sempre prendere in giro?”
“Non ti prendevo in giro, per me sei davvero bello – ammise lei, uscendo dal sentiero e andando a posarsi di schiena contro un albero – ed io? Mi trovi bella?”
“Bella – mormorò il ragazzo raggiungendola – certo che sei bella… bellissima.”
Lo faceva impazzire quando socchiudeva gli occhi in quel modo e schiudeva appena le labbra in attesa di un bacio: si chinò su di lei, cercando la sua bocca e abbracciandola. Possibile che la primavera fosse capace di rendere un bacio del tutto diverso? Era così inebriante, così carico di desiderio…
“Eli…” sussurrò, accarezzandole il collo.
“Vato, perché… perché i baci che ci siamo dati fino ad ora mi sembrano così…”
Infantili?
Voleva risponderle, ma i loro corpi in qualche modo cedettero e si trovarono inginocchiati a terra, la schiena di lei contro quel tronco, completamente imprigionata e senza possibilità di fuga. Le braccia candide, finalmente visibili per l’abito a metà manica, erano abbandonate sui fianchi.
Vato cercò di nuovo le sue labbra, sentendosi impazzire per quella nuova versione così sensuale della sua fidanzata: gli sembrava di essere perso in un folle mondo di luce e calore dove non c’era via d’uscita e tutto era…
… morbido?
Abbassò lo sguardo e vide che la sua mano era scesa davvero troppo.
“S… scusa! Scusa! Scusa! – fece alzandosi in piedi – Sono un mostro!”
Lei continuava a fissarlo, ancora in ginocchio: ebbe solo la forza di portarsi la mano al seno che le aveva appena toccato. Ed era così rossa in viso, così bella e desiderabile.
Come? Come è possibile che nemmeno un’ora fa stavamo giocando a bandierina?
“Vato…”
“Non volevo, te lo giuro – cercò di spiegarsi – è scesa da sola, non me ne sono nemmeno reso conto.”
“Non sono arrabbiata – scosse il capo lei, riprendendo un minimo di autocontrollo e riuscendo a spezzare l’incantesimo di desiderio che li aveva circondati – è… è stato piacevole. Però… non… non ancora, va bene?”
“Certo! Scusami, amore, scusami tanto – la aiutò ad alzarsi – non so che mi è preso. Posso abbracciarti? Ti giuro che non accadrà più.”
Si abbracciarono sentendosi estremamente sollevati di essere usciti da quel momento di pura follia che li aveva attanagliati. Non credevano che i loro corpi già da adesso potessero iniziare a desiderarsi in una maniera decisamente più adulta.
“Tienimi stretta, per favore – mormorò la ragazza – non lasciarmi andare.”
“Va bene, Eli, tranquilla. Non ti lascio per niente al mondo.”
Doveva solo far passare gli ultimi residui di quell’ubriacatura d’amore primaverile.
 
“Quanto li invidio – sospirò romanticamente Rebecca, mentre lei e Riza sistemavano i piatti e andavano a portarli in cucina – mano nella mano a passeggiare.”
“Io li trovo perfetti – annuì la bionda, seguendo il percorso che aveva indicato loro Angela – stanno così bene assieme. Ah, ecco: ha detto di posarli pure sopra il tavolo e ora prendiamo i bicchieri puliti… ma qui non ci sono.”
“No? Eppure aveva detto che erano sopra il piano da lavoro.”
“Forse si è sbagliata o li ha spostati – scrollò le spalle Riza – aspetta qui, vado a chiedere.”
Rebecca annuì e iniziò a canticchiare, mentre girava attorno al tavolo: era davvero contenta che i suoi tramezzini avessero avuto un così grande successo. Non ne era rimasto nemmeno uno e se doveva essere sincera non le era dispiaciuto quando Jean aveva fatto quell’occhiata offesa nel vedere che li prendevano anche gli altri.
“Che ci fai qui?” chiese proprio l’interessato, entrando e posando con fastidio un vassoio vuoto.
“Aspetto Riza: è andata a chiedere a tua madre dove stanno i bicchieri puliti.”
“Sono qui – le fece vedere lui, aprendo un’anta della credenza – evidentemente li ha rimessi dentro perché le serviva spazio per cucinare. Mettili in quel vassoio.”
“Oh, grazie.” annuì, mentre prendeva in mano i primi due che le venivano passati.
Mentre proseguivano con quella piccola catena di montaggio, la ragazza osservò la schiena e le spalle del ragazzo, trovandole incredibilmente belle e robuste per la sua età. Forse alla festa del primo dicembre aveva giocato male le sue carte, ma questa volta era decisa a non sbagliare: non aveva minimamente intenzione di lasciar perdere.
“Hai presente il tuo compagno Norbert?”
“Sì, perché?”
“Lui e Lili si sono baciati la settimana scorsa, per sfida.”
“Non ci credo – disse Jean fissandola con incredulità – Norbert è solo uno stupido, non avrebbe il coraggio di fare certe cose. Figuriamoci baciare.”
“Già, è una cosa troppo da grandi, vero? Eppure lui è il primo della vostra classe… che vergogna, Jean Havoc, sei stato superato da un tonto come lui.”
Con somma soddisfazione vide che Jean stava reagendo a quella provocazione: l’orgoglio di un quattordicenne si feriva abbastanza in fretta.
“Non sarà stato niente di speciale, di certo non è come i baci che si danno i veri fidanzati come Vato ed Elisa. Per un bacio come quello sono bravi tutti.”
“Bene, dimostralo.”
“Eh? – gli occhi azzurri si sgranarono – Ma io…”
“Ti sfido a darmi un bacio, dato che sono bravi tutti a farlo. Ma se non ci riesci, allora vuol dire che sei solo un vigliacco ed un pallone gonfiato.”
Jean la fissò con astio, rendendosi conto di essere appena stato messo alle strette, senza nessuna possibilità di uscirne; Rebecca aveva tirato in ballo l’orgoglio, trascinandolo in quella trappola mortale: adesso doveva baciarla o sarebbe stato considerato un vigliacco.
Maledetto Norbert! Lo ammazzo!
“Uno solo, sia chiaro!” arrossì, prendendola per le spalle.
“Va bene – annuì lei – un bacio, è semplice, no? Persino Norbert e Lili ci riescono.”
Chiuse gli occhi e protese il viso, lasciando che fosse Jean a fare tutto quanto, come era giusto che fosse.
Così facendo non vide come il ragazzo avesse il volto incredibilmente teso, mentre lentamente diminuiva la distanza tra i loro visi.
Andiamo, era facilissimo, non poteva dimostrarsi da meno di quell’idiota di Norbert. Si trattava solo di poggiare per qualche secondo le sue labbra su quelle di Rebecca, tutto qui: era come dare un bacio alla mamma, o come quando Janet a volte gli dava un bacio sulle labbra. Era un gioco da ragazzi…
Sì, va bene… e allora fallo, idiota!
Trasse un profondo respiro e poi posò le sue labbra su quelle di Rebecca, contò mentalmente fino a tre e poi la lasciò andare. Era stato più semplice del previsto e per fortuna nemmeno troppo fastidioso eccetto quella sensazione di umidiccio, evidentemente Rebecca si era leccata le labbra poco prima.
“Beh, sei contenta? Vedi che era una cosa davvero ridicola da fare? E che non esca di qui che… ma che hai?”
“Oh, Jean – arrossì lei con un sorriso estatico – il mio primo bacio… il primo. Te ne rendi conto?”
“E allora? – alzò le spalle lui, non riuscendo a capire – anche per me era il primo ma non…”
“E’ stato così romantico! Certo, diverso da come me l’ero immaginato: nei miei sogni tu in realtà mi dicevi un sacco di cose carine prima di abbracciarmi e baciarmi, ma sei stato così meraviglioso.”
“Ho solo posato le labbra sulle tue per tre secondi, finiscila. E comunque ti ho dimostrato che Norbert non vale niente, questo è quello che conta.”
Ma era chiaro che Rebecca non lo stava nemmeno ascoltando: le femmine erano proprio strane.
L’importante è che non faccia uscire la cosa da questa cucina.
 
“Andiamo, ragazzino – sorrise furbescamente James, chiudendo meglio la mano su quella di Heymans – sono sicuro che puoi fare di meglio.”
Il giovane serrò gli occhi, cercando di resistere a quella sfida a braccio di ferro palesemente impari: il padre di Jean stava chiaramente giocando con lui, l’avrebbe messo a tappeto in pochi secondi.
“Forza Heymans!” esclamò Roy, mettendo la mano sopra la sua e iniziando a dare manforte.
“Pensi che non riesca a tenervi a bada in due?” James tese meglio i muscoli per far fronte a quella nuova spinta. Ma proprio quando stava per dare il colpo decisivo si dovette fermare perché anche le manine di sua figlia si erano messe ad aiutare Roy ed Heymans.
“Dai, Heymans, vi aiuto pure io! – esclamò con convinzione – Vedrai che battiamo papà!”
Ovviamente non ci avrebbe impiegato niente a far volare a terra anche lei, ma sarebbe stato difficile considerando che era letteralmente sopra il tavolo con metà del suo corpo sopra le braccia dei ragazzi.
Così, per amore della figlioletta, mise da parte l’idea di vincere facile e si fece mettere a tappeto, con un’esclamazione di rabbiosa sorpresa.
“Evviva! – esultò Janet, scavalcando Roy per andare ad abbracciare Heymans – hai visto, Heymans? Ti ho aiutato a vincere!”
“Grazie, Janet – sorrise lui ricambiando quella stretta – senza di te proprio non ce l’avremmo fatta.”
“Oh, del resto tu sei il mio fidanzatino, no? E’ normale che ti aiuti.”
A quelle parole Heymans sbiancò: tutta la tavolata aveva sentito la parola fidanzatino ed il segreto che aveva cercato di tener nascosto per mesi era alla fine saltato fuori.
“Fidanzatino?” chiese incredulo Roy, iniziando a ridacchiare.
“Sì, fidanzatino – annuì Janet, con convinzione – anche se è timido e non vuole che si sappia.”
“Non è come… – iniziò a balbettare il rosso, spostando lo sguardo su tutti gli adulti presenti, in particolare su James ed Angela – è che non potevo dirle che… noi non…”
“Non ti preoccupare, Heymans – lo consolò la bambina strusciando la testolina contro di lui – mamma e papà ti vogliono bene e sicuramente sono felici che sei il mio fidanzatino. Vero, papà?”
“Certo, tesoro – disse James cercando di tenere l’aria seria – papà è tranquillo nel sapere che il tuo fidanzatino è Heymans, sei davvero in buone mani.”
A quelle parole il ragazzo si sentì svenire: perché dovevano dare corda a questa storia? Che qualcuno spostasse l’attenzione da qualche altra parte, altrimenti…
“Ferma, dove vai?” la voce preoccupata di Jean giunse con perfetto tempismo.
Tutti si girarono verso la grande casa per vedere Rebecca che usciva di corsa, seguita dal preoccupatissimo primogenito degli Havoc.
“Riza! Riza! – esclamò la ragazzina, raggiungendo la sua migliore amica – Mi ha dato un bacio! Capisci? Il mio primo bacio…”
“Sul serio?” sgranò gli occhi lei, girandosi come tutti a guardare Jean.
“No, non è proprio così! Insomma, lei mi ha detto che Norbert e Lili…”
“Ahah, ragazzo, lo sapevo che questa brunetta aveva fatto colpo su di te!” esclamò James, battendo il pugno sul tavolo con grande soddisfazione.
“Congratulazioni, Jean – lo prese in giro Roy – adesso sei anche tu un fidanzatino!”
“Finiscila! Senti, Rebecca, credevo di averti detto che non volevo che si sapesse… e poi era solo…”
“Oh, Jean, sei stato meraviglioso – lo interruppe lei, prendendogli le mani – dopo quel disastro del primo dicembre credevo che non volessi più saperne di me… ed invece! Non mi avresti dato un bacio così meraviglioso.”
“Ma se sono stati solo tre secondi contati – scosse il capo lui – e poi mi hai preso in trappola e…”
“Lo so, vuoi fare la parte del duro, ma sei stato così tenero: sei il ragazzo più bello ed eccezionale che esista al mondo. Ti preparerò tutti i tramezzini che vorrai, per tutta la vita.”
“Come tutta la vita?” sbiancò lui, mentre i capelli gli si rizzavano.
“Ah! Beccati questa Jean! Adesso anche tu sei un fidanzatino – esclamò Heymans, trovando tutto questo estremamente divertente – Vai, Rebecca, è solo timido.”
“Come te, Heymans.” disse Janet, appellicciandosi ancora di più a lui.
“Comunque siamo troppo giovani – cercò di salvarsi Jean – tu hai appena tredici anni e…”
“Sai, Jean – fece Kain con un sorriso innocente – la mia mamma ha deciso che papà era l’uomo della sua vita a tredici anni.”
“Scherzi, vero?” mormorò lui, sentendosi condannato a morte.
“E poi non ne ho più tredici – specificò Rebecca – due settimane fa ne ho compiuto quattordici.”
“Che cosa romantica – esclamò Rosie, appoggiandosi al marito, mentre Ellie ed Andrew si scambiavano un bacio, entrambi rossi in viso come due ragazzini – la primavera è proprio il tempo dell’amore.”


 
  
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