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Autore: Subutai Khan    10/03/2014    1 recensioni
Quando trovi un'iniziativa su una comunità di Live Journal e ti senti spinto a scrivere su uno dei videogiochi a cui hai giocato più volentieri negli ultimi anni.
Si prevede pioggia di angst e interiora, intervallata da sprazzi di ghigna incontrollate.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Titolo: Un Solo Errore, Pagato Salato come un Pretzel Gigante.
Personaggi: Makoto Naegi, Kyouko Kirigiri.
Generi: angst.
Traccia: Dangan Ronpa, Makoto Naegi/Kyouko Kirigiri, Fino alla Fine. Scritta per il Limitaprompt della Piscina di Prompt, con la limitazione una storia divisa in tre parti più o meno della stessa lunghezza che seguano uno sviluppo temporale al contrario: futuro, presente, passato.

“Papà, papà! Dove sei finito?”. Sento le urla di Toshiro invadere i corridoi della Kibougamine, anche se non ho troppa voglia di dargli retta.
Sono nel bel mezzo del mio rituale e mi piacerebbe non venire interrotto, neanche dal sangue del mio sangue.
Come succede una volta al mese, mi sono piantato di fronte alla porta che su mia esplicita richiesta porta ancora la targhetta “Kirigiri”. Per fortuna Monokuma è stato abbastanza misericordioso da lasciarci la possibilità di calcolare e tenere traccia del tempo che passava, altrimenti concetti come minuto, ora e simili avrebbero perso completamente di significato. Non è facile raccapezzarsi quando vivi segregato in una ex-accademia con le finestre e le porte murate.
Appoggio la testa al legno, badando bene che la mia fronte tocchi proprio sulla ridicola immaginina che serviva da etichetta.
Non ti ho dimenticata, Kyouko. Non posso farlo.
Ti porterò per sempre sulla coscienza.
“Eccoti qui, finalmente. Si può sapere... oh”. Togami, lo sai che voglio stare da solo in questi momenti. Dovresti averlo capito, oramai.
Alzo un braccio verso la mia sinistra, la direzione da cui veniva la sua voce, intimandogli il silenzio. Recepisce e si quieta, anche se riesco a intravederlo mentre si sposta e mette le mani dietro la schiena.
Lascio che una singola lacrima cada per terra, andando a fare compagnia alle sue sorelle.
Se me lo avessero raccontato prima dell’inizio di questa follia... avrei riso come un cretino.
Makoto Naegi che è direttamente responsabile della morte di qualcuno. Impossibile. Grottesco. Fuori da ogni logica.
E invece mi è successo pure questo. Non fidandomi del mio istinto, che mi implorava di tapparmi la bocca e far finta di nulla, ho lasciato la parte più cretina di me libera di sbugiardarla e di farle da paggetto mentre la accompagnava verso quell’orribile compattatore.
Idiota. Idiota. Idiota.
Lei era davvero la nostra sola speranza di mettere il becco fuori da questa prigione. Lo dimostra ampiamente il fatto che, in tutti questi anni, non abbiamo mai cavato un ragno dal buco dai pur numerosi tentativi di scoprire l’identità del mastermind. Nulla, niente di niente. Potrebbe essere il preside, un barbone che si è intrufolato e ha trovato divertente vederci squittire come topi in gabbia, uno psicopatico qualunque.
Non lo sappiamo. Non lo sapremo mai.
Ci servi, Kyouko. Ci servi. Eppure sappiamo sin troppo bene che non tornerai, e di questo posso solo ringraziare il mio lampo di genio.
Ci credi se ti dico che ho bruciato la giacchetta che indossavo? E la felpa? E più in generale tutto quello che portavo nel peggior giorno della mia vita? Mi sentivo sporco, colpevole, indegno di rimanere al posto tuo. E la sensazione, seppur non forte come allora, ogni tanto si fa ancora viva e mi ricorda ghignando che sono scivolato al livello di Kuwata, di Oowada, di Celes. Non era mia intenzione, come non lo era per quasi tutti loro, ma la realtà resta quella.
Agli altri non l’ho mai detto, ma io conosco la verità e mi merito di soffrire da solo per tutto quanto mi resta da vivere. Perché se è vero che è stato Monokuma l’autore materiale, io mi considero a tutti gli effetti il mandante.
Faccio trascorrere un po’, immerso nel silenzio più assordante che possa esistere. Assordante perché non è riempito dalla tua voce.
Poi, finalmente, rialzo la testa e subito mi giro verso Byakuya. Sì dai, è stupido chiamarsi per cognome dopo aver condiviso così a lungo un simile destino di cavie da laboratorio.
“Ehi” dice, e ancora mi stranisco nel vederlo sorridere leggermente. Nell’occasione della famosa foto “di famiglia”, ci è venuto un mezzo coccolone quando ha espresso un’emozione che non fosse la sua tipica arroganza.
“Ehi”.
“Scusa, non sapevo che stavi facendo... quello. Non ti avrei disturbato altrimenti. È solo che Toshiro reclama il suo papà e non ti si trovava più...”.
“Sì, perdonatemi. È che sapete quanto tengo a questa cosa. Certo che...”.
“Che?”.
“A che punto siamo arrivati, Byakuya? Viviamo da non so esattamente quanto tempo in queste quattro mura, a turno ci siamo accoppiati tutti con la povera Aoi che ormai è più un’incubatrice che una persona... mi chiedo se...”.
“A parte che sei disgustoso a definire la madre di tuo figlio in questi termini... parla per te e per quell’altro rasta di Hagakure, grazie tante. Sai benissimo chi è la madre di Ryo e sei pregato di non mancarle di rispetto”.
“Va bene, va bene. Scusa. Un’altra cosa di cui non vado orgoglioso, l’aver dovuto... sopprimerla per evitare che Genocider diventasse pericolosa. Ci sono momenti in cui ho delle ricadute e mi pento della nostra decisione di lasciar perdere e rassegnarci. È così... deprimente”.
“Scuse accettate. Non fa nulla” concede prendendomi per le spalle “ci siamo passati tutti e probabilmente, a rotazione, lo rifaremo in futuro. Dai, ora andiamo da tuo figlio che sennò gli viene una crisi isterica e poi sai quanto diventa ingestibile”.
Ha ragione. Quel piccoletto ha energia da vendere e un modo di piangere capace di far esasperare anche un Buddha.
Getto un’ultima occhiata verso la porta.
Kyouko, so che non vale niente... ma scusami.

Che faccio che faccio che faccio?
Quinto processo, per la morte di Mukuro Ikusaba.
Dopo Sayaka Maizono, Junko Enoshima, Leon Kuwata, Chihiro Fujisaki, Mondo Oowada, Kiyotaka Ishimaru, Hifumi Yamada, Celestia Ludenberg e Sakura Oogami... ennesimo cadavere.
Solo i kami sanno quanta nausea ho di questo andazzo.
E sono persino più impanicato del solito. Il perché è presto detto: so che Kyouko Kirigiri sta mentendo.
Dov’è il problema, direte voi. Starà cercando di coprire il proprio misfatto, visto che ci sono un po’ di elementi che danno adito a sospetti nei suoi confronti.
No, non è così.
Kirigiri-san non è un’assassina.
Lo so. Lo so per certo.
O forse non proprio per certo. Le prove a suo carico, per quanto indiziarie, sono piuttosto solide. In effetti non ha un alibi valido, essendo sparita come un fantasma nelle ore precedenti al processo al punto di far pensare a quel furbone di Hagakure-san che il corpo le appartenesse, e in camera sua abbiamo rinvenuto la chiave dell’armadietto che conteneva quella identificata come arma del delitto.
La sua posizione non è delle più comode, lo ammetto. E non aiuta il fatto che non voglia spiegarci le ore di buco, rifiutandosi ostinatamente di rispondere.
Togami-san la sta pressando, cercando di farla confessare. E lei si limita a ribadire che quell’oggetto dev’essere stato messo a bella posta in camera sua per incastrarla, dato che lei non ci può più entrare.
Questo è vero, è stato lo stesso Togami a sequestrarle le chiavi. O meglio, lo era fino a quando siamo saliti sul montacarichi, perché poco prima di farlo mi ha rivelato che cercando in giro ha recuperato un passepartout che dovrebbe aprire tutte le porte della scuola.
Inclusa quella di camera sua, quindi. Mandando la sua giustificazione a farsi un giro.
In cuor mio so che è innocente, ci metterei tutte e due le braccia e tutte e due le gambe sul fuoco. Io mi fido di Kirigiri.
Il problema è che una contraddizione così palese non è nel suo stile. Cos’è, una metodica e analitica come lei che si dimentica di avermi parlato di quella chiave?
Potrei sbagliarmi, ma mi sembra di starla vedendo... sudare.
Credo abbia paura.
Paura di essere stata scoperta come omicida... o paura di qualcos’altro?
Se una come lei perde la freddezza... allora il motivo dev’essere grave. Realmente grave.
E io immagino di essere l’unico a sapere di quel particolare, cioè sono l’unico che può smentirla.
Ecco il perché della domanda di cui sopra: che devo fare? Comportarmi come ho sempre fatto finora e urlarle uno dei miei ormai proverbiali “Obiezione!” con tanto di dito accusatorio... o fidarmi di lei e decidere di coprirla?
Lo ripeto, io le credo. Ma il dubbio, e mi scoccia da matti ammetterlo, è forte.
“Mi tocca dirvelo un’altra volta: fate come volete, ma se io muoio qui non avrete la minima possibilità di risolvere i misteri della Kibougamine e di scoprire chi è il mastermind. Non una. Siete spacciati”. E mentre ripete la nenia per l’ennesima volta, noto in maniera indistinta che la mano sinistra le trema. Leggermente per carità, ma trema.
Non mi piace essere volgare, ma è evidente che se la sta facendo addosso. Se Kyouko Kirigiri trema... vuol dire che è terrorizzata.
Santo dio, mi fonde il cervello. Non so come devo muovermi. Non sono mai stato così teso prima d’ora.
Però aspetta, aspetta un secondo Makoto. Ti è già uscito dalla testa quel che è successo non più di dieci minuti fa? Di come la signorina Kirigiri stesse cercando di scaricare il peso su di te?
E chi si comporta così di solito? Chi ha qualcosa da nascondere. Nella fattispecie la propria colpevolezza.
La bilancia ha appena preso a pendere pesantemente da una parte.
Qualcosa dentro di me si è fatto straordinariamente indigesto.
“Avanti Kirigiri, confessa. Hai le spalle al muro, ti abbiamo inchiodata. Abbi la grazia di perdere con stile”.
“Io non ho ucciso Ikusaba, Togami. Non l’ho fatto. E sai bene il perché. Questa è una trappola”.
Chiudo gli occhi. Inspiro. Prego.
Svuoto la mente e lascio che la mia bocca si muova da sola. O da sola resti ferma.
“Kirigiri-san... stai mentendo”.
L’ho detto. Alla fine l’ho detto.
“Uh? Cosa blateri, Naegi?”.
“Non è vero che non puoi entrare nella tua stanza. Tu stessa mi hai mostrato la chiave di Monokuma. Quella chiave... apre tutte le porte dell’accademia”.
Silenzio.
-
Corro a perdifiato verso il compattatore.
Ho il petto in fiamme, la testa mi duole e il mio battito cardiaco sembra completamente impazzito.
No. Questo è un incubo. E io sono uno sciocco.
Non ho tenuto conto di una cosa fondamentale. Fondamentale.
Kirigiri-san, questa notte, mi ha salvato la vita.
E io l’ho ripagata mandandola al macello.
Stronzo irriconoscente.
Odio odio odio odio. Sento ondate di odio travolgermi. Odio per me stesso.
Emetto un ululato bestiale, sopraffatto dall’agonia. E dalla consapevolezza di come abbia appena condannato me e gli altri superstiti a un’esistenza da reclusi in questo posto.
Tocco la superficie dello strumento di morte, macchiandomi in più punti di sangue. Sangue innocente. Sangue di una persona che sarebbe stata la mia miglior alleata e ora è solo l’ennesima vittima di questo massacro.
Togami e gli altri mi osservano da lontano, ma faccio persino fatica a distinguerli con gli occhi pieni di lacrime che mi ritrovo.
Come posso essere stato tanto deficiente? Come?
Kirigiri-san, per quanto può valere adesso... scusami.

TOC TOC.
Vai via chiunque tu sia, non voglio vedere nessuno.
TOC TOC.
Via, ho detto. Via.
Voglio rimanere a riflettere in pace, chiedo troppo? Ho un tradimento da metabolizzare.
TOC TOC.
Uff. E va bene scassaballe, hai vinto.
Mi alzo e apro.
Davanti a me Kirigiri-san.
“Posso entrare?”.
Mi scosto per farla passare. Tanto ormai hai disturbato.
“Come stai, Naegi?” chiede distrattamente mentre si guarda attorno, osservando con aria... direi quasi professionale i segni rimasti dalla colluttazione di Kuwata e Maizono.
“...”. Ti è chiaro che non voglio compagnia, in questo momento?
No beh, ora sei ingiusto con lei Makoto. È la persona che, praticamente, ti ha salvato la vita laggiù in quel tribunale improvvisato.
Gli altri mi davano l’impressione di essere come un’orda inferocita alla ricerca del mostro da linciare. Invece lei ha portato in quella piccola assemblea calma, lucidità e capacità analitiche da far invidia a un qualche membro del CSI americano. Non che io guardi quei telefilm orripilanti.
“Che cosa sei venuta a fare, Kirigiri-san?”.
“Volevo farti una domanda su Maizono”.
Una domanda su Maizono? Ohibò.
Ok, fai pure. Prima fai questa domanda e prima potrai andartene.
“Prego”.
“Per quale motivo credi che abbia lasciato il nome di Leon Kuwata sul muro?”.
Che domanda del cavolo è? Mi sembra più che evidente.
“Oh, non so. Per vendicarsi del suo assassino, ad esempio?”.
“Probabile, non lo nego. Ma io vedo una possibile altra interpretazione”.
“Eh? Prego?”.
“Secondo me Sayaka Maizono ha voluto discolparsi nei tuoi confronti. Oltre che per aiutare noi con le indagini, perché senza quel particolare avremmo avuto molte più difficoltà a beccarlo... ecco, io penso abbia cercato il tuo perdono per il suo tentativo di incastrarti. Credo se ne fosse pentita”.
“Su che basi lo dici?”.
“Nessuna. Ma è più bello pensarla così, no?”.
“Tu sei davvero Kirigiri-san?”.
“A volte capita persino a me di avere una botta di vita”.
“Cerca di fare in modo che non accada in tribunale, allora. Abbiamo bisogno della tua invidiabile sagacia”.
“Percepisco del sarcasmo, Naegi”.
“Nessuno è perfetto”.
Scoppio a riderle in faccia. Pardon.
Incredibile. Quaranta secondi fa ero di pessimo umore e adesso mi sento tranquillo, sereno.
Probabilmente, quando se ne andrà, il magone tornerà di gran carriera ad appesantirmi le spalle e a stringermi il cerchio alla testa. Ma per ora ne approfitto e rido a crepapelle, di fronte al suo sguardo vagamente toccato dalla cosa.
“Sicuro di non aver bisogno di qualcosa per frenarti?”.
Non le rispondo. Non per maleducazione, è che non riesco a smettere.
Ci impiego un minuto abbondante per recuperare un minimo di senno. Poi per fortuna riesco nella titanica impresa e smetto di piangere dal troppo riso.
“Tieni” mormora. Alzando la testa, che fino a mezzo secondo fa era ancora piegata verso terra, la scorgo mentre mi allunga un fazzoletto.
Lo prendo ringraziandola, lo apro in tutta la sua larghezza e per prima cosa mi ci soffio rumorosamente il naso. Non ci posso far niente se perdo roba verdastra dalle narici quando mi vengono simili attacchi di Ridancianite.
“Mi sembra di capire che qualcosa, in quel che ho detto, lo hai trovato particolarmente ilare” commenta e, se non pensassi altrimenti, giurerei di averci colto una microscopica punta di scocciatura.
“Ti prego di scusarmi, non so cosa mi sia preso. Ammetto che lo scambio di battute era moderatamente divertente, ma da qui a perdere ogni freno inibitore in quel modo...”.
“Ti dirò, non sono così dispiaciuta della cosa. Anzi. Una risata non fa mai altro che bene, specialmente in una situazione psicologica al momento delicata come la tua”.
“Beh sì, devo ammettere che ora mi sento molto più leggero”.
“La cosa non può che farmi piacere. Ora che ho detto quel che avevo da dire, posso anche levare il disturbo”.
Si avvia verso la porta. La fermo d’impulso.
“Cosa c’è?” chiede voltandosi.
“Io... penso tu abbia ragione, su Maizono”.
“Su che basi lo credi?”.
“Nessuna. Ma non sei l’unica a cui è concesso. E poi sennò è troppo triste e deprimente, e se c’è una cosa in cui sono bravo è nel non deprimermi”.
“Spero che tu possa dimostrare questa tua dote. Ho idea...”.
“...che il casino sia appena all’inizio”.
“Uh? Io...”.
“Te l’ho letto nel pensiero. Sono un esper”.
“...”.
“No, scherzavo. Ho solo un buon intuito”.
Increspa appena appena le labbra. Credo che nella sua lingua di emozioni inespresse equivalga a un sorriso.
“Mi fa piacere che tu abbia scelto di ricordarti così di lei”.
“Preferisco l’ottimismo al pessimismo. Ah, Kirigiri-san...”.
“Sì?”.
“Grazie”.
“Prego”.
   
 
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