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Autore: Simona_Lupin    15/03/2014    30 recensioni
1977. L'ultima occasione.
L'ultima occasione per respirare la magia di Hogwarts, la casa più bella, nell'ultimo anno di dolce spensieratezza.
L'ultima occasione per James di sgraffignare il cuore di Lily invece di uno stupido Boccino d'Oro.
L'ultima occasione per Lily di dare un due di picche alla Piovra Gigante e concedersi agli sfiancanti corteggiamenti di James.
L'ultima occasione per Sirius di chiudere le porte al suo orribile passato e aprirle a un amore che non ha mai conosciuto.
L'ultima occasione per Remus di far splendere ai raggi di luna la sua anima al posto del sangue delle sue ferite eterne.
L'ultima occasione per Peter di ricevere la luce di un sorriso amico prima di precipitare nell'oscurità del male senza speranza di riemergere.
L'ultima possibilità. Di amare, di lottare, di essere coraggiosi. Di vivere.
L'ultima possibilità di stringere tra le mani la vita di qualche sogno prima di gettarli via, tra le polveri di una guerra senza fine in cui tutti rimarranno prigionieri.
Dal capitolo 12 [Miley/Remus]:
« Tu riesci a mangiare mezza tavoletta di cioccolata in un colpo solo? » si incuriosì Miley, disorientata.
« Mezza tavoletta è una routine ormai assodata » fu la risposta. « Riesco a fare molto meglio. Tu, invece... riusciresti mai a farlo? »
Miley ingoiò il cioccolato e riflettè con calma, poi incrociò le braccia al petto e lo studiò. « Mi stai sfidando, per caso? »
Remus trattenne una mezza risata e scrollò le spalle, senza riuscire a mascherare il divertimento. « Se dicessi di sì? »
« Oh, John, vedrai » rise di rimando lei, guardando prima lui, poi il cioccolato con aria di sfida.
« John? » chiese lui, stranito, inclinando il capo.
« John » ripetè lei, annuendo. « E' il tuo secondo nome, no? Ti sta bene ».
John. Nessuno lo aveva mai chiamato così. Sorrise. Gli piaceva.
Dal capitolo 14 [Lily/James]:
« Come stai? » mormorò Lily a bassa voce, sorridendo ancora.
James annuì, per poi accorgersi che non era una domanda a cui rispondere con un sì o un no e riprendersi.
« Molto... molto bene, grazie » rispose, passandosi una mano tra i capelli. « Sono contento di vederti ».
« E io sono contenta che tu sia vivo » rise lei. « Così potrò realizzare uno dei sogni della mia vita ».
« Cosa? » fece lui, fingendosi ammiccante. « Uscire con me? »
« No » rispose lei, allegra. « Ucciderti personalmente ».
Dal capitolo 20 [Scarlett/Sirius]:
Era la prima volta che la teneva tra le braccia. La strinse a sé, protettivo come non si era mai sentito verso qualcuno, e si chiese perché, perché mai quel momento dovesse finire. Perché fosse destinato a rimanere solo un piccolo sprazzo di gioia isolata in una vita costellata di dolori e flebili attimi di felicità inespressa. Perché per lei non potesse significare quello che significava per lui. Perché non potesse durare solo... solo per sempre.
Genere: Comico, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Nuovo personaggio, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: James/Lily
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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Capitolo 40

Un compleanno per due
 

 


 
 
Sul letto più immerso nel caos dell’intero Dormitorio dei Malandrini dormiva beato James Potter, le coperte intrecciate alle gambe e i tondi occhiali sulla punta del naso, in evidente stato di precarietà. Di solito, durante la notte, rimanevano poggiati sul comodino - almeno finché Sirius, per il puro piacere di vederlo infuriato, non li lasciava cadere a terra con una lieve spintarella per dargli il buongiorno con il dolce suono di lenti infrante -, ma la sera precedente, intorno alle undici, il ragazzo si era lasciato vincere dalla stanchezza, precipitando in un sonno profondo senza nemmeno rendersene conto. Evento più unico che raro, data la tendenza di James a fare sempre le ore piccole, così com’era consuetudine un po’ fra tutti gli abitanti del Dormitorio in questione, malgrado alcuni di loro non gradissero quanto altri il rispetto di quella particolare tradizione.
Ad ogni modo, James non avrebbe potuto scegliere notte peggiore per abbandonare quell’abitudine. In quel momento, infatti, riposava sereno, indisturbato e completamente ignaro di essere invecchiato di un anno da ben sette ore. Perché sì, era sempre stato fermamente certo che l’invecchiamento da compleanno - era così che era solito chiamarlo - non avvenisse progressivamente giorno dopo giorno nel corso dell’anno, ma piuttosto nell’esatto istante in cui scattava l’ora fatidica. E chi mai avrebbe potuto distoglierlo da quell’assurda ma ferrea convinzione?
Dopotutto, era proprio a causa di questo pensiero fisso che non si era mai perso la mezzanotte di tutti i 27 Marzo passati. Ma al diciottesimo, purtroppo, nulla era andato secondo i piani, cosa che aveva fatto enormemente imbestialire Sirius, ansioso di festeggiare in grande come da copione. Propositi mai realizzati, i suoi, anche per colpa di Remus, il quale aveva severamente proibito a lui e a Peter di svegliare l’amico con tanto di dure minacce che, come entrambi sapevano benissimo, non avrebbe avuto timore di mettere in atto. Alla fine, comunque, tutti erano andati a letto, seppur storcendo il naso per la grave delusione subita, e alle sette di quella mattina nessuno di loro aveva ancora aperto gli occhi per dare il via a quella nuova giornata.
La loro sveglia mattutina si dimostrò molto diversa da quella a cui erano abituati, ovvero Remus. A disturbare il sonno di tutti quanti, infatti, fu un lieve bussare alla porta e, dopo qualche istante, il rumore di questa che si apriva, rivelando una Lily ancora in pigiama con un dolce sorriso sulle labbra.
Si guardò intorno, poi si fece vicina al letto di James, e si intenerì alla vista degli occhiali in bilico sul suo lungo naso diritto. Così, osservandolo, sedette con cautela sui pochi centimetri di materasso liberi di fianco al suo corpo e gli sfiorò la guancia con affetto, chiedendosi se avesse dovuto svegliarlo o meno. Ma non ebbe bisogno di prendere alcuna decisione, perché quando tornò ad accarezzargli i ciuffi sparuti di capelli elettrizzati, lui aprì gli occhi, notando una figura familiare ma decisamente fin troppo sfocata che gli sedeva accanto. Strizzò gli occhi, finché non si rese conto di avere ancora gli occhiali addosso, anche se scivolati troppo in basso perché potesse guardarci attraverso. Li spinse lungo il naso, e fu solo allora che la figura astratta assunse una forma ben precisa. E con esattezza, gli splendidi tratti che disegnavano il volto di Lily.
« Buon compleanno, mattiniero » gli fece lei, con una punta di divertita ironia nella voce, ed immediatamente il viso di James si distese in un sorriso.
Era sorpreso, lei se ne rese subito conto, e la guardava con una tale felicità nello sguardo che chiunque, pensò, ne sarebbe rimasto contagiato.
« Questo è decisamente un buon compleanno » mormorò lui di rimando, schiarendosi piano la gola e mettendosi un po' più diritto sul letto.
Si protese appena verso di lei, e i due si scambiarono un bacio, al termine del quale Lily sorrise. Così. Senza un perché.
« Sei rimasta in pigiama perché vuoi completare la notte qui, non è vero? » disse lui, speranzoso. « A proposito, sei molto elegante ».
Lei rise, dando un'occhiata a ciò che indossava, ovvero un pigiama rosa confetto la cui felpa recava il disegno di un enorme coniglio dalle orecchie che fuoriuscivano, rimbalzando tutte le volte in cui compiva un movimento brusco.
« Dentro è ricoperto di pelo » rispose, stringendosi le braccia intorno alla vita. « E... scusa tanto, ma di quale notte stai parlando? »
Fece un cenno eloquente alla finestra lì vicino, dietro la quale si intravedeva un timido sole nascosto fra delle enormi nuvole plumbee cariche di pioggia.
« Della notte che mi è permesso inventarmi perché oggi è il mio stramaledetto compleanno, Evans » replicò James con nonchalance, per poi farle spazio accanto a sé mentre lei rideva sottovoce e borbottava: « Oh, adesso è tutto chiaro », inducendolo così a ridere a sua volta.
« Dài, non fare storie » la esortò, replicando il brusco movimento del capo. « Vieni qui. La notte è giovane ».
Sempre ridendo di cuore, Lily gli si sdraiò accanto, abbandonando il capo contro la sua spalla e cominciando a giocherellare con una delle sue mani nodose.
« Perché la mia mano sembra quasi monca in confronto alla tua? » si lagnò, premendo il proprio palmo contro il suo. « Guarda un po', è minuscola! Non dovrebbe essere così! Mia madre mi ha generata in formato mini » sbuffò infine, rannicchiandosi e accoccolandosi sul suo petto.
James gettò indietro il capo e scoppiò a ridere, cercando di modulare il tono della voce per non svegliare i compagni di stanza.
« Hai qualche altro problema col tuo corpo, oltre alle ciocche di capelli appassite e le mani in miniatura? » le chiese, sinceramente curioso.
Lei, prendendo molto sul serio la questione, cominciò a riflettere intensamente e ad organizzare una lista di tutte le cose che in lei non andavano.
« Parecchi, direi » ammise, serissima ma tranquilla. « Il busto, ad esempio. E' corto, cortissimo. E poi ci sono i fianconi, che lo deformano ulteriormente. Lo chiamano fisico a clessidra, ma per me è solo un fisico da schifo. E... uhm... le gambe. Le gambe tozze. Oh, quelle sono un problema, James, perché con le gonne è un casino. Le gonne le tagliano ancor di più, no? E devi stare attenta alle scarpe che indossi, altrimenti è finita, non ti vedono neppure. E infine le orecchie. Sono un po' sproporzionate rispetto al resto del viso, ma almeno ci sono i capelli che le coprono e… oh, i capelli, quasi dimenticavo! Non è che stanno solo appassendo, sono un completo disastro! Grovigli incredibili tutti i santi giorni, devi credermi. E sono tutti sfibrati, si spezzano facilmente, e li ritrovo ovunque, maledizione, ovunque... forse non li tratto benissimo, d'accordo, ma non posso star sempre lì a pettinarli, sarebbe sfiancante... »
Sospirò, rendendosi conto di quanto fosse problematica la propria situazione.
In effetti, non aveva mai disdegnato il proprio corpo, anzi, non si era mai nemmeno posta il problema di analizzarlo e giudicarlo, ma da quando stava con James aveva cambiato radicalmente prospettiva, nonostante il ragazzo non le avesse dato assolutamente motivo di farlo. Probabilmente, avendo quasi preso coscienza della piacevolezza dell’aspetto del suo fidanzato solo quando si era resa conto di provare qualcosa di forte per lui, a quel punto si era quasi dimenticata della propria, di bellezza, e una sorta di ansia da prestazione – o da relazione, più propriamente – si era impossessata di lei, facendola entrare nel vorticoso tunnel dell’autodistruzione. Le era presa la fissa dei difetti, tanto che ne riscontrava a iosa praticamente dovunque, ma fortunatamente si trattava di un nuovo hobby che finiva per divertirla, poiché spesso finiva per stupirsi e sorridere delle sue stesse trovate e si affannava a trovarne di sempre più fantasiose e inverosimili, generando l’ilarità delle amiche, che la incoraggiavano solo per sentire fin dove si sarebbe spinta e per riderne di cuore insieme a lei.
« Certo, bisognerebbe attenzionare anche il cervello » fece James in tono grave. « Fra tutte quelle che hai elencato credo sia la parte che riporta le più pesanti malformazioni. E, data la mia competenza in materia, penso anche che dovrei occuparmi io di tutto quanto. Saresti in ottime mani, te l'assicuro ».
La ragazza rise e sollevò lo sguardo per incontrare il suo, un'aria furba e ilare che mise a dura prova la finta compostezza di James.
« Ah, davvero? » replicò, e lui annuì, lasciandosi scappare un sorriso un po' obliquo. « In tal caso lo terrò presente ».
Risero sottovoce, e James continuò ad abbracciarla, lasciando scorrere una mano lungo la sua vita in un delicato e accennato massaggio.
« Ma sai che ad analizzarli per bene questi qui non mi sembrano affatto dei brutti fianconi? » le disse, cominciando a solleticare la sua pelle proprio nei pressi di quella particolare zona, attacco al quale Lily rispose con una sonora risata e un vano tentativo di scansarsi. « No, davvero, guarda un po' che abbiamo qui... » proseguì, sempre più interessato alla faccenda, e continuò imperterrito a farle il solletico, facendola rannicchiare e dimenare insieme.
« Non... sono... d'accordo... » biascicò fra le risate, ma dopo qualche attimo ne fu nuovamente sommersa.
James si unì ben presto a lei, ed entrambi non prestarono più molta attenzione al volume della loro voce che si alzava, del tutto noncuranti del resto degli abitanti del Dormitorio che, al suono delle loro risate, iniziarono a svegliarsi.
« Dài, James, basta.... smettila... » stava implorando Lily, che ormai non riusciva più a trattenersi e tentava invano di scappare dalla sua stretta.
« Sì, James, dannazione, ascolta la tua ragazza e dacci un taglio! » fu l'immediato richiamo di Sirius, la voce assonnata.
I suoi lunghissimi capelli scuri - sfioravano ormai le spalle - erano un po' arruffati, e lui vi immerse una mano per scuoterli e liberare il viso. Come da tradizione, indossava come unico indumento un paio di mutande raffiguranti la bandiera del Regno Unito. Vi era particolarmente legato.
« Già, c'è quell'aula abbandonata al terzo piano per questo genere di cose... » borbottò Frank, che era già precipitato a terra senza che nessuno se ne fosse accorto, e a soccorrerlo giunse immediatamente Peter, preoccupato per la salute già assai compromessa della sua cassa toracica. « Sto bene, amico... sto bene... » lo rassicurò l'altro, lasciando che lo aiutasse a tirarsi su, e lui gli battè un colpo sulla spalla.
« Lily... ma perché hai violato il mio sacro sonno? » chiese invece Remus, sinceramente affranto, con i capelli ritti sulla fronte e schiacciati sulla nuca.
La ragazza, che teneva il viso nascosto fra le pieghe delle lenzuola per l'eccessivo imbarazzo, lo risollevò e con una risatina disse: « Scusate tanto ».
Le sue parole, però, furono immediatamente sommerse da un’ondata di caotiche lamentele, segno che nessuno dei presenti l’aveva perdonata.
« Quanto siete rancorosi… » borbottò James, orripilato dinnanzi a tanta ira. « Calmatevi, è colpa mia. E piuttosto, vedete di augurarmi buon compleanno, maledetti ingrati... la mia ragazza è l’unica persona a questo stupido mondo che se n’è ricordata ».
Si guardò intorno, in attesa, ma il suo imperioso invito non venne accolto da nessuno. E, come se non bastasse, si levarono anche nuove proteste.
« Che razza di idiota, sei stato tu a dimenticarti del tuo stesso compleanno! » gli ricordò Sirius, lanciandogli il proprio cuscino con tutta la foga che aveva in corpo, e quello lo centrò in pieno. « Per un’intera giornata non hai fatto altro che scartavetrarmi i gioielli con quella dannata festa, e alla fine ti sei addormentato! Ridicolo » bofonchiò infine, sinceramente schifato, ed immediatamente Frank e Peter palesarono il proprio consenso annuendo con forza.
Dopodiché, Sirius, avendo terminato la propria invettiva, si alzò con un balzo dal letto per dirigersi verso il bagno, e mentre camminava gettò con gesto sdegnoso il proprio regalo nel mucchio di doni accanto al letto di James, poiché la sera prima era stato indeciso sul da farsi, e aveva pensato che il ragazzo non meritasse affatto la sua gratuita generosità.
« Ah, beh, puoi tenerlo, se vuoi » esclamò James con un accenno di stizza nella voce, equiparando quel gesto a un atto di elemosina da parte sua.
Sirius non lo ascoltò, e quando stava per giungere di fronte alla porta del bagno, James, veloce come un razzo, si precipitò verso quella stessa direzione e gli sbarrò con decisione la strada, guadagnandosi l’ennesima occhiataccia da parte del ragazzo, che stava per averne davvero abbastanza.
« No, amico, spiacente, è il turno mio e di Lily » disse, e fece un cenno ammiccante in direzione della fidanzata. « Diglielo, Evans ».
Lily, palesemente allibita, guardò prima lui con sincera compassione, poi Sirius, con cui condivise la medesima espressione.
« Fai davvero pena, Ramoso » fece lui a James, premendogli una mano sulla spalla. « Te lo dico da amico: alle donne non piace lo squallore ».
E, congedandosi teatralmente con questo precetto, spinse da un lato James e si chiuse in bagno con un sonoro schianto della porta.
« Non vorrei dirlo » mormorò a quel punto Lily, sorridendo appena, « ma un po’ te lo sei meritato, James ».
Si alzò anche lei dal letto, gli si fece vicina per concedergli un bacio sulla guancia e andò via sventolando la mano in un saluto vago, mentre James, ormai privo di qualsiasi supporto, lasciava scorrere lo sguardo smarrito fra i propri amici, ricevendo in cambio solo smorfie sprezzanti.
Nonostante il cattivo risveglio, comunque, il neodiciottenne non si perse d’animo, e quando abbandonò il Dormitorio per recarsi in Sala Grande in occasione della colazione fu certo che ad accoglierlo ci sarebbero stati numerosissimi amici e conoscenti ansiosi di fargli gli auguri. Così, quando fece il proprio ingresso nell’immensa Sala, si sentì pienamente fiducioso, tanto che gonfiò il petto e sorrise apertamente. Poco mancava che spalancasse le braccia e urlasse a tutti i presenti: « E’ il compleanno del Magnifico, gente, alzate quelle chiappe e auguratemi eterna gioia! », ma non lo fece.
Il suo ottimismo, però, venne sicuramente ripagato, perché ben presto in molti gli si fecero vicini per rivolgergli qualche parola carina: i suoi compagni di squadra, un nutrito gruppo di Tassorosso con cui aveva da sempre buoni rapporti, i Caposcuola di Corvonero, i primini che aveva conosciuto il giorno dello Smistamento, tre gemelle parecchio simpatiche della sua stessa Casa che aveva conosciuto a Cura delle Creature Magiche e persino il professor Dixon che, passandogli accanto per raggiungere il proprio ufficio, aveva capito tutto e gli aveva stretto calorosamente la mano, guadagnandosi tutta la simpatia del ragazzo, fino ad allora sicuramente assai sopita, se non del tutto inesistente. Per quella ragione, Sirius lo aveva disprezzato ancora di più.
« Non ho detto che mi sta simpatico » precisò James, mentre spalmava su una fetta di pane tostato già stracolma di marmellata una generosa cucchiaiata di miele. « Ho detto che è stato gentile, il che è parecchio diverso. E comunque sei un idiota. Odialo da solo, no? Hai per forza bisogno della mia approvazione? » Scosse il capo, mentre Sirius, che non aveva fiatato, scrollava le spalle con indifferenza. « Mi stai rovinando la giornata, sai? Bell’amico che sei, ti servo solo a... oh, arriva la posta! » fece poi James, notando lo stormo di gufi che svolazzava verso di lui, e sorrise raggiante.
Nei minuti successivi si indaffarò fra piume, fette di pane tostato appese fra i denti e lettere varie, finché non riuscì a liberarsi di tutti quanti i gufi. A quel punto, con tutta la calma possibile, cominciò a scartare una dopo l’altra tutte le buste sparpagliate per la tavola, leggendo con un radioso sorriso sulle labbra il contenuto delle missive inviategli da amici e parenti.
« Mamma, papà e i Banks sono andati » disse, mettendo le due lettere da parte e raccogliendo tutte le rimanenti. « Adesso mancano solo la zia Bertha e lo zio Albert, gli amici di Bristol, i vecchi compagni del circolo di Gobbiglie... »
« Hai frequentato un circolo di Gobbiglie? » chiese Peter, educatamente perplesso, e Sirius sghignazzò senza ritegno nella sua gigantesca tazza di caffè.
« Sì » rispose James con fare risentito, mollando uno scalpellotto a Sirius così che il caffè gli bagnò tutta la barba. « A otto anni. Siamo rimasti amici. Perché, hai qualche problema con i circoli di Gobbi-... », ma non riuscì a terminare la frase, perché qualcuno, dietro di lui, gli serrò le mani intorno agli occhi.
James, che non aveva bisogno di alcun suggerimento per capire di chi si trattava, sorrise, e aspettò che Scarlett si annunciasse.
Lei lo fece cantandogli la canzoncina di buon compleanno, poi, portata a termine la performance, gli circondò il collo con le braccia e lo ricoprì di baci. James, allora, si voltò per stringerla forte in un abbraccio, per poi dedicarsi al resto delle ragazze, che gli fecero gli auguri a loro volta.
L’ormai solito trio composto da Lily, Scarlett e Alice si era stranamente ricongiunto ad Emmeline, quella mattina. Mary, infatti, era rimasta a letto per riposare un altro po’, non avendo lezione alla prima ora. E a James la ragazza parve sinceramente felice insieme alle amiche che aveva dovuto tenere distanti senza averne avuto la minima intenzione. E difatti, era proprio così che Emmeline si sentiva.
« Mi ci voleva proprio un po’ d’affetto » fece James con un gran sorriso, mentre prendevano posto. « Mi hanno trattato tutti male, da quando mi sono svegliato, e nessuno, dico, nessuno merita di essere trattato male il giorno del proprio compleanno » borbottò, e Lily si sentì immediatamente chiamata in causa.
« Io mi sono svegliata all’alba per farti quella piccola sorpresa, razza di ingrato! » esclamò, e i due attaccarono uno dei loro tipici battibecchi mattutini.
Nel frattempo, Scarlett, che si era seduta fra James e Sirius, notò che la barba di quest’ultimo gocciolava di un liquido scuro che emanava un forte aroma di caffè. Il ragazzo, infatti, pur avendo cercato di assorbirlo, non era riuscito a portare a termine l’impresa, tanto che stava per ricorrere alla bacchetta.
« Che hai combinato? » rise Scarlett, osservandolo mentre si dava da fare per porre rimedio al danno, e lui si voltò a guardarla, divertito.
« Chiedilo al festeggiato » rispose, scuotendo il capo, e lei alzò gli occhi al cielo, immaginando ciò che James doveva aver fatto.
« Dovresti seriamente pensare a un cambio di look, sai? » aggiunse poi, sorreggendo il mento con il pugno. « Sembri invecchiato ».
Sirius inarcò entrambe le sopracciglia, e un angolo delle sue labbra si piegò appena all’insù.
« Già, prova a crederci sul serio, Banks, poi ne riparliamo » replicò, e lei rise, incredula e palesemente allegra, con lui che la seguì a ruota.
Continuarono a fare colazione in assoluta tranquillità, ridendo e scherzando come non facevano tutti quanti insieme da parecchio tempo. E fu così rilassante, non dover pensare a tutte le preoccupazioni che gravavano sulle loro spalle, così facile e naturale che fecero fatica a rendersi conto della straordinarietà dell’evento, semplicemente perché un tempo tutto ciò era stato quanto di più normale esiste al mondo.
« Stavo pensando » disse James dopo un po’, riemergendo da alcune profonde riflessioni, e tutti si voltarono a fissarlo, in attesa.
L’unico che aprì bocca per parlare fu Peter, ma non fece in tempo a pronunciare neanche una sillaba che l’amico lo interruppe, lo sguardo fisso sul tavolo.
« Amico, non dire quello che stai per dire. Non ci provare nemmeno » lo ammonì, severo e categorico, e lui richiuse le labbra di scatto, un po’ deluso.
Una delle più grandi passioni di Peter - per lui rappresentava un po’ uno sport - era replicare alle frequenti parole stavo pensando con la squallida, vecchia, banalissima battutina perché, tu pensi? che da sola bastava a farlo sentire completamente realizzato. In verità, tutte le volte in cui articolava quella sciocca domanda, questa gli si ritorceva prontamente contro: nessuno, infatti, si era mai astenuto dal dire che in realtà era proprio lui, Peter, a non pensare mai. E così si rabbuiava, ma perserverava nell’errore, perché nessuna umiliazione al mondo avrebbe mai potuto competere con la gioia furiosa che provava tutte le volte in cui proferiva quelle fatidiche parole, quel geniale, brillante quesito. Davvero nessuna.
« Lascia perdere, Peter » gli consigliò Remus, battendogli qualche lieve pacca sulla schiena. « Dammi retta, lascia perdere ».
Lui, seppur contrariato, annuì e rimase in silenzio, stringendosi nelle spalle e preparandosi ad ascoltare, come gli altri, ciò che James aveva da dire.
« Stavo pensando » ripetè allora lui, lanciando al ragazzo uno sguardo di sfida. « Scarlett, ti ricordi che facevamo da piccoli per il nostro compleanno? »
Scarlett sorrise e annuì vigorosamente, lasciando riaffiorare alcuni bei ricordi.
« Ma certo » rispose, raggiante. « Essendo nati a due giorni di distanza, festeggiavamo i nostri compleanni insieme, il 28 ».
« Meglio una festa in grande che due in piccolo, diceva saggiamente papà » aggiunse subito James, e i due risero di cuore. « Seriamente, come abbiamo fatto a non pensarci per tutti questi anni? Dobbiamo assolutamente rifarlo, è il nostro ultimo anno, ci vuole qualcosa di epico! »
La ragazza parve subito entusiasta, e anche tutti gli altri cominciarono ben presto ad annuire, riflettendo su quell’allettante proposta.
« Sarebbe strepitoso! » esclamò Alice, addentando il proprio pane imburrato. « Fe feffa fanfosa » aggiunse, abbandonando il capo contro la spalla di Frank, che aggrottò le sopracciglia e la fissò, cercando di decifrare le sue parole impastate.
« E dove intenderesti farla? » domandò Remus in tono tetro, rimestando la propria cioccolata calda. « Nel nostro Dormitorio? »
James strabuzzò gli occhi, e subito capì che l’amico non aveva minimamente colto né tantomeno compreso la grandiosità dell’idea che aveva in mente.
« Amico, mi hai ascoltato? » gli disse allora, sconvolto dalla sua mancanza di entusiasmo. « Ho detto qualcosa di epico, non una festicciola in due in quel maledetto buco! Ho pensato alla Sala Comune. E’ ovvio, no? Lì sì che potremo divertirci come si deve, sarà un po’ come le feste post-vittoria. E... aspetta un secondo... » D’un tratto parve illuminarsi. « Domani è anche sabato! Ti rendi conto? E’ sabato, è perfetto! E poi, scusate tanto, sono state settimane pesantissime per tutti quanti, le ultime, ce lo meritiamo davvero un po’ di sano divertimento ».
« Con sano intendi senz’alcool? » domandò Remus, speranzoso, e Sirius lo fulminò con lo sguardo, inorridito da quell’infame insinuazione.
« Beh, non è necessario che io risponda » riprese James dopo qualche attimo di teso silenzio, e il ragazzo scosse il capo, rassegnato.
« Su, Remus, dovrebbe essere divertente » lo consolò Emmeline, stringendogli appena l’avambraccio in un gesto di conforto.
« Ma certo che sarà divertente! » saltò su Lily con un gran sorriso, riemergendo solo in quel momento dalla lettura del proprio giornale.
James le strizzò l’occhio, facendola ridere, poi volse lo sguardo agli amici restanti in attesa di ricevere il loro parere in merito alla sua iniziativa.
« Sì, ci sto anch’io » fece Frank, stringendosi nelle spalle, e subito Alice, accanto a lui, cominciò a parlargli di ciò che aveva intenzione di indossare.
« Già, è un’ottima idea » aggiunse Peter con convinzione. « Potremmo anche perdonarti per averci piantato in asso ieri sera ».
« Ah, no, frena, Codaliscia » intervenne immediatamente Sirius. « Non fargli cantar vittoria così presto. Che ne sai, magari la sua festa si rivela un fallimento e rimaniamo fregati un’altra volta. Stiamo a vedere come procede ».
James rise con fare sprezzante, versandosi un po’ di succo di zucca nel calice vuoto.
« Già, che ne sai, magari sarai tu ad addormentarti, questa volta » rispose, provocatorio. « O hai dimenticato quando l’anno scorso sei crollato dopo appena dieci minuti dall’inizio della festa di Peter perché ti eri scolato una bottiglia intera ancor prima che cominciassimo? »
Tutti risero, e lui schioccò la lingua in un gesto sdegnoso, come se intendesse dire che l’aneddoto raccontato da James non significava nulla.
« Tanto non mi sono perso niente, Peter ha detto che è stata di una noia mortale » ribattè, indifferente. « Beh, certo. Non c’ero io... » aggiunse infine.
James lo mandò al diavolo, e i due continuarono a litigare finché non fu Scarlett ad intervenire (Remus non ne aveva neppure la forza).
« Okay, d’accordo, basta » disse la ragazza, che non ne poteva più di stare letteralmente in mezzo a quello scontro. « Nessuno si addormenterà, nessuno si annoierà e sarà tutto grandioso. Basta che la piantate, però ».
Si alzò, massaggiandosi le orecchie con un’espressione infastidita, raccolse la propria borsa da sotto la panca e se la mise in spalla.
« Vado a dirlo a Miley, di certo non può mancare » annunciò, e James annuì con forza, mollando un calcio a Sirius sotto il tavolo.
Scarlett, che riuscì ad intercettare il gesto, alzò gli occhi al cielo e andò via, rivolgendo un breve cenno di saluto agli amici. Immediatamente, allora, cominciò a lasciar scorrere lo sguardo lungo la tavolata di Tassorosso, finché non riuscì a scorgere sua sorella, rannicchiata sulla panca in solitudine, con un tomo enorme sulle gambe, la schiena curva, e i capelli un po’ arruffati che celavano il suo volto alla vista.
Le si avvicinò, chiedendosi cosa diamine le fosse preso: Miley non studiava mai a colazione. Diceva sempre che la innervosiva.
« Guarda che le bestie notturne si studiano al terzo anno, sorella » fu il saluto di Scarlett. « E’ un po’ tardi per ripassare ».
La ragazza sussultò violentemente e chiuse di scatto il libro, gettandolo nella borsa aperta ai propri piedi. Non sorrise.
« Va tutto bene? » chiese subito Scarlett, scrutandola intensamente, e notò che lei tentava in tutti i modi di non ricambiare il suo sguardo.
Quando alla fine si decise a risollevare il viso, la sorella fu investita dal turbamento che lo assediava.
Priva del suo solare sorriso, della sua espressione spensierata e perennemente allegra, Miley sembrava incredibilmente diversa, quasi fosse un’altra persona. Un netto taglio di capelli o un drastico cambio di look non sarebbero riusciti a fare altrettanto. Era cupa - tutto era cupo in lei - e i suoi vividi occhi cerulei erano offuscati da una patina di smarrimento che si diffondeva per l’intero viso, come se avesse versato lacrime cariche di quell’indesiderata emozione e la pelle le avesse assorbite una per una. Scarlett si chiede cosa avesse potuto provocare in lei un’inquietudine tale da cambiarla.
« Sì, era solo... una lettura extrascolastica » rispose Miley frettolosamente, stirandosi le mani come faceva sempre quand’era in preda all’ansia.
Scarlett la fissò a lungo e sentì che la gioia pacata provata sino a quel momento era svanita nel nulla, senza lasciare traccia.
« Non prendermi in giro » disse, più seria che mai, e si fece un po’ più vicina a lei. « Cosa c’è che non va? Vuoi che ne parliamo lontano da qui? »
Ma Miley cominciò a scuotere il capo ancor prima che terminasse la frase. Ogni suo gesto era febbrile, incerto, spaventato.
« No, davvero, non c’è nulla di cui parlare » replicò, cercando di apparire determinata. « Sai che ti parlo sempre, quando c’è qualcosa che non va ».
Si guardarono, l’una sperando intensamente che la faccenda trovasse così una conclusione, l’altra chiedendosi a che cosa credere.
« E tu sai che sono sempre tutta orecchie, no? » disse Scarlett, e l’altra annuì, accennando per la prima volta un impercettibile sorriso.
Il moto d’affetto che si era agitato in lei nei confronti della sorella aveva vinto qualsiasi altro sentimento, palesandosi in quel piccolo gesto.
« Piuttosto, dovevi dirmi qualcosa? » chiese, immergendo una mano fra i capelli per giocherellare con i nodi che le si formavano nei pressi della nuca.
Aggrapparsi a quell’argomento le sembrò l’unica via di fuga possibile. In quel modo, avrebbe potuto accantonare l’altro, quello più scomodo. Quello che aveva deciso, da un po’ di tempo a quella parte, di non condividere con nessuno, neanche con sua sorella, che per lei era la persona più importante al mondo.
« Oh, beh, sai... è a proposito del mio compleanno. E di quello di James » disse Scarlett, senza smettere di osservarla con la massima attenzione.
A quelle parole, Miley serrò gli occhi e si morse violentemente il labbro inferiore, battendo il palmo della mano contro la fronte.
« Il compleanno di James! » esclamò, maledicendosi mentalmente. « Oggi è già il 27? Ho dimenticato di fargli gli auguri, che razza di stupida... »
« Non preoccuparti » la rassicurò l’altra, scrollando le spalle. « Ti fai problemi con James? Sai com’è fatto, a te perdonerebbe qualsiasi cosa. Comunque, dicevo... ha avuto un’idea. Vorremmo festeggiare in Sala Comune domani sera, a cavallo fra i due compleanni. Tu devi esserci, sarà divertente ».
Lei osservò l’entusiasmo dipinto sul volto della sorella e si chiese come avrebbe fatto a dirle che non ci sarebbe stata senza però spiegarle le reali motivazioni che stavano dietro a quel rifiuto. Non era affatto semplice. E ancora, si chiese perché tutto dovesse essere così dannatamente complicato.
« Scarlett, ascolta » cominciò, e già il sorriso di lei si fece meno pronunciato. « Mi dispiace tanto, ma... non sono molto in vena di feste, in questo periodo. Non sono in gran forma e ho un milione di cose a cui pensare, per cui... beh, credo che potrei solo rendere triste la vostra serata, oltre che la mia ».
La sorella si mordicchiò la guancia, studiando la sua espressione sinceramente dispiaciuta. Di nuovo, non seppe cosa pensare.
« Miley... stai praticamente ammettendo che c’è davvero qualcosa non va » le fece notare, cauta, ma la ragazza non le permise di aggiungere altro.
« No, non è vero » replicò, di nuovo seria. « Te l'ho detto, mi sento solo parecchio stanca, tutto qui. Non devi preoccuparti per nessuna ragione ».
Suonò abbastanza convincente, questa volta, forse perché si ritrovò a sperare intensamente che sua sorella seguisse davvero il suo consiglio. Darle altri pensieri in quel momento sicuramente non facile era l'ultima cosa che desiderava, dopotutto. Lei doveva risolvere i propri problemi da sola.
« Sarei felice di farlo, se questo potesse aiutarti » rispose Scarlett, poi si strinse nelle spalle. « Ma tu stai benone, perciò... farò finta di crederci finché non ti verrà voglia di fare due chiacchiere. E, nel caso cambiassi idea sull'evento dell'anno » e qui Miley sorrise, « la parola d'ordine della nostra Sala Comune è Acromantula » concluse Scarlett, strizzandole l'occhio, e si alzò nuovamente, sistemandosi il mantello.
« Vengo con te » si affrettò a dire l'altra, imitandola. « James sta ancora facendo colazione, ne approfitto per scusarmi e fargli gli auguri ».
E così si avviarono, l'una di fianco all'altra, alla volta dell'affollata tavola di Grifondoro, accanto a cui fluttuava Nick-Quasi-Senza-Testa, impegnato in un'accesa discussione sul sistema scolastico dei Paesi del Nord con il Frate Grasso, che sorrideva senza dire nulla, forse solo per pura gentilezza.
« Ciao, ragazzi » salutò Miley, una volta giunta dinnanzi all'allegra comitiva, poi, mentre gli altri ricambiavano il saluto, si chinò immediatamente per abbracciare l'amico per il quale era venuta. « James, buon compleanno! Mi dispiace così tanto di essermi dimenticata, non so come sia successo, in questo periodo... beh, lasciamo perdere, scusa davvero » disse precipitosamente, augurandosi di non ricevere in cambio un'espressione delusa da parte del ragazzo.
Ma lui sorrise calorosamente e scansò Sirius per lasciare che gli sedesse accanto.
« Non mi hai chiesto scusa nemmeno quando tu e Scarlett mi avete chiuso nel fienile di vostra nonna per una notte intera e lo fai adesso? » rise, e le due sorelle si guardarono, divertite. Quell'episodio di parecchi anni prima era uno di quelli che preferivano raccontare. « Dammi un bacio, dài ».
Miley sorrise, sollevata, e obbedì subito all'ordine, riflettendo su quanto fosse stupefacente la capacità di James di rendere le persone intorno a sé più leggere e spensierate anche quando queste si sentivano tormentate e credevano che nulla avrebbe potuto risollevarle. Aveva sempre posseduto quella dote.
« Aspetta un secondo » intervenne Sirius, che era riuscito a deglutire un enorme boccone di uova strapazzate solo in quel momento. « Ti sei lasciato chiudere per ore in un fienile da due bambine? Amico, fai sul serio? Se solo lo avessi saputo prima... » borbottò, continuando a tagliuzzare le sue uova.
« Ehi, guarda che ero un bambino anch'io! » protestò James, provato dal suo tono sprezzante. « E poi, tu che ne sai? Queste qui erano delle gran belle puttanelle, da piccole, altroché. Non saresti sopravvissuto neanche tu, fidati » assicurò infine con la massima serietà, e loro risero.
Sirius, invece, parve sinceramente interessato, e squadrò Miley da capo a piedi, annuendo appena.
Di Scarlett conosceva alla perfezione quel suo lato puramente malefico e oscuro, i suoi giochetti non lo avevano lasciato quasi mai indifferente, ma non avrebbe mai potuto immaginare che anche la dolce, sorridente e apparentemente innocua Miley potesse nascondere un'indole così malandrina.
« Hai della stoffa, piccola Banks » disse, convinto. « Potremmo entrare in affari con la gentile collaborazione della tua adorabile sorellina ».
Miley scoccò una maliziosa occhiata carica di significato a Scarlett, che la maledisse con lo sguardo e si finse disinvolta, limitandosi a ridere.
« Considerami al tuo servizio » rispose poi l'altra, e Sirius sorrise, porgendole il pugno che lei battè col proprio.
Poi si alzò, pronta ad andare via per la sua lezione di Babbanologia, e lasciò scorrere lo sguardo lungo la tavola, soffermandosi un po' più del necessario su Remus, che aveva tenuto il capo chino sul proprio piatto vuoto per tutto il tempo in cui lei era rimasta lì con loro. Lo scrutò per qualche secondo, la sua nuca scoperta, la cicatrice arrossata sul collo, ed immediatamente avvertì l'inquietudine che l'aveva abbandonata per alcuni minuti ritornare a stuzzicare le sue budella attorcigliate. E fu una sensazione talmente potente da farla sentire completamente schiacciata dal suo peso insostenibile, un moto di emozioni così forte che le tempie cominciarono a pulsarle ferocemente, come se qualcosa fosse esploso nella sua testa. Così, spinta da quell'angosciante malessere, decise di andar via il più in fretta possibile.
« Beh, io vado » mormorò, e notò che la propria voce non suonava piena come prima, ma estremamente flebile. « Ci vediamo ».
E, senza attendere risposta, voltò le spalle ai presenti e si allontanò a passo spedito, seguita dallo sguardo preoccupato di Scarlett che riuscì a distrarsi solo quando James riprese la parola, facendo sì che tutti catalizzassero su di lui la propria attenzione.
« Allora, gente, dobbiamo cominciare a mobilitarci per questa maledetta festa, il tempo è già poco e l'evento troppo importante » annunciò, premendo forte i palmi delle mani sul tavolo con l'aria di chi si prepara ad affrontare importanti trattative. « Dite che sarebbe troppo chiedere a Silente la Sala Grande? »
 

 
 
*  *  *
 

 
 
I preparativi per la grande festa in onore del doppio compleanno di Scarlett e James avevano preso il via, su ordine di quest'ultimo, già a metà di quel sabato pomeriggio, e tutti si stavano adoperando per dare una mano. I membri dell'ormai celebre comitiva, infatti, non erano i soli ad essere impegnati nell'organizzazione dell'evento, ma buona parte dei Grifondoro, entusiasmati all'idea di avere ancora un'occasione per fare baldoria, si era messa all'opera con il medesimo impegno.
Uno fra i pochi ad essersi messo da parte era stato Remus, che, sommerso da una montagna di compiti arretrati, aveva deciso di ritirarsi in Dormitorio almeno finché la festa non fosse cominciata. O perlomeno, questo era ciò che aveva raccontato ai suoi amici prima di andar via. In effetti, non erano solo le decine di pagine a cui non si era ancora dedicato a preoccuparlo, ma piuttosto altri pensieri che non avevano proprio nulla a che fare con il programma scolastico sempre più pesante. Pensieri che gli facevano venir voglia di gettarsi a capofitto sui libri con il solo fine di scacciarli via dalla mente. Tuttavia, dopo un intero pomeriggio dedicato allo studio approfondito di ben sei materie - una di queste era Babbanologia, corso che nemmeno frequentava - era giunto alla conclusione che, dopotutto, farlo non era così semplice come aveva inizialmente sperato, tanto che, di tutti i paragrafi che aveva ingurgitato senza mai fermarsi, non ricordava quasi nulla, come se non li avesse mai letti.
Consapevole di ciò, chiuse di scatto l'ennesimo libro e battè la testa contro il cuscino, sospirando pesantemente e serrando gli occhi. Si sentiva estremamente stanco, una sensazione che solitamente accomunava al termine della sua trasformazione, momenti concitati che parevano protrarsi all'infinito, dettati da dolore, sfiancamento ed estrema debolezza. Una debolezza che gli faceva sempre paura, più di qualsiasi altra cosa. Persino più della luna stessa.
Rimase immobile quando sentì la porta che si apriva. Non gli importava di chi stava entrando.
« Amico, Ramoso pretende che tu scenda in tempo per l'inizio della festa » disse la voce di Sirius. « E ci tiene a farti sapere che la torta di compleanno è al cioccolato, nel caso non avessi intenzione di partecipare. Ambasciator non porta pena » aggiunse, sollevando le mani e abbandonandosi ai piedi del suo letto.
Lui annuì appena, reclinando il capo ancora un po', ma non disse una parola e spinse giù dal letto il libro chiuso che teneva sullo stomaco. Sirius guardò la copertina e riconobbe immediatamente il suo volume di Babbanologia. E tanto bastò a fargli capire che qualcosa non andava. Che qualcosa continuava a non andare, in verità. Perché dubitava che il malessere di cui Remus era stato vittima negli ultimi tempi si fosse attenuato con il passare dei giorni.
« Babbanologia, eh? » gli fece, bonariamente ironico. « Diamine, Lunastorta, potevamo studiarla insieme... sai bene che lunedì avremo il test ».
Lui riaprì gli occhi, ma continuò a fissare le tende scarlatte che stavano distese sopra il suo capo, rivolgendo a Sirius solo una rapida occhiata.
Con la coda dell'occhio, lo vide sistemarsi meglio sul suo letto e stendere le gambe incrociate sull'orlo del materasso, tranquillo. Lui, invece, aveva dentro mille esplosioni che cozzavano l'una contro l'altra, guadagnando energia, divenendo sempre più assordanti e sempre meno sensate. E si chiese se tutto questo fosse rintracciabile sul suo viso. Si chiese se gli importasse davvero che lo fosse o meno. Sirius, dopotutto, sarebbe comunque riuscito a capirlo.
« Di' un po' » disse lui, una volta che fu passato quasi un minuto intero di perfetto silenzio, « quanto ti senti uno schifo da uno a dieci? »
Remus emise un respiro profondo e si avvolse meglio la sciarpa intorno al collo, tornando diritto e fissandosi le mani.
Sirius aveva fatto centro: si sentiva davvero uno schifo, eccome. E la situazione non aveva fatto altro che peggiorare con il passare dei giorni, che parevano averlo allontanato sempre più dalla soluzione che stava ricercando per mettere fine ai suoi problemi. Alle difficoltà che poteva guarire, perlomeno, perché alcune di esse dipendevano ancora dalla sua volontà, e non dalla forza crudele che da anni lo sottometteva. Si era reso conto, però, che questa consapevolezza non lo rendeva più sicuro di sé. Lo faceva diventare solo più vulnerabile, oltre che estremamente vigliacco. Difatti, se ogni suo dilemma e tutte le sue disgrazie fossero stati figli della sua condizione, avrebbe potuto cullarsi nella propria infelicità e accusare la propria malattia di qualsiasi dramma lo avesse colpito; ma quando il suo turbamento era generato da colpe che non avrebbe potuto attribuire a nessuno al di fuori di se stesso, ecco che subentrava una spietata verità: non aveva il coraggio di affrontare le proprie sfide, e aveva timore di scegliere un'opzione di fronte ai quesiti che doveva necessariamente porsi.
In quel momento, il quesito più importante che si ritrovava costretto a fronteggiare riguardava ciò che avrebbe dovuto dire a Miley. E in quel particolare caso, le due opzioni a sua disposizione erano così palesi ed evidenti che tentare di sfuggirvi sarebbe stato quanto di più sciocco si possa pensare: poteva raccontarle la verità o raccontarle una bugia. Tutto qui. Ma ad ogni modo, doveva dirle qualcosa, qualcosa che determinasse la fine o l'inizio di qualcos'altro. Qualcosa di definitivo, perché non c'era mai stato nulla di simile nel loro rapporto, ed era proprio questo a farlo stare così dannatamente male. L'instabilità che aveva contraddistinto la loro relazione era da imputare a lui, e soltanto a lui, mentre Miley... lei era stata vittima di ogni sua indecisione. E non lo meritava. Non meritava nulla di ciò che aveva fatto sino a quel momento e nulla di ciò che le avrebbe detto, qualunque fosse stata la sua scelta. Così come non aveva meritato il suo silenzio protratto per giorni e giorni e le sue mancate scuse per quel che era accaduto nei pressi dell'Infermeria, una delle tante colpe che non riusciva a perdonarsi, il cui ricordo era stato per lui motivo di disorientamento nel corso delle ultime giornate.
Si sentiva così affaticato che gli parve che l'unica soluzione per trovare un po' di conforto fosse buttare fuori qualcosa, almeno un po' di tutto ciò che gli ribolliva dentro. Lasciare che i dubbi e i sensi di colpa lo alienassero dal resto del mondo non aveva senso, e non gli sarebbe servito. Sirius invece sì.
« Credo che le dirò tutto » disse a bassa voce, quasi fra sé e sé, mantenendo lo sguardo fisso sulle lenzuola. « Ho deciso… dirò tutto a Miley e la farò finita con questa storia una volta per tutte ».
Sirius lo fissò a lungo e con attenzione, assorbendo pian piano le sue parole, e non diede segni di sorpresa, ma soltanto di comprensione.
Aveva intuito che il suo chiudersi in se stesso avrebbe potuto portare al compiersi di scelte importanti, e quella non era altro che la conferma delle sue ipotesi.
« Ci sei arrivato, allora » gli rispose, accennando un sorriso obliquo, ma Remus non rispose al gesto e rimase immerso nei propri pensieri.
La sua espressione non suggeriva il benché minimo sollievo. Era cupa e non aveva subito il benché minimo mutamento, neanche per un istante.
« Già... » proseguì, sempre rivolto più a se stesso che a Sirius. « Ancora non capisco come ho fatto a non rendermi conto di non aver mai avuto scelta ».
L'altro scivolò un po' più giù sul letto, un braccio dietro la nuca, e non smise di guardarlo.
« Che intendi dire? » domandò, un sopracciglio inarcato, e per la prima volta, Remus sollevò lo sguardo per puntarlo sul suo volto. « Di scelte ne hai sempre avute, in realtà. Avresti potuto mantenere intatto il tuo rapporto con lei, tenerti tutto per te e comportarti come fai con tutti quelli a cui non hai parlato del tuo piccolo problema peloso... e inizialmente l'hai fatto. O avresti potuto tagliare i ponti con lei inventandoti una scusa qualsiasi, e hai provato anche questo. Dirle la verità è solo la terza opzione... andiamo, la gente sborserebbe montagne di galeoni per avere tante diverse opportunità di scelta, nella vita ».
Remus riflettè sulle sue parole, prendendole per vere, seppur con qualche riserva. Sirius aveva ragione solo da un certo punto di vista.
« In teoria sarebbe vero » ammise. « Ma la pratica mi ha dimostrato che in realtà non è così. Io non... » Sospirò, sollevando istintivamente le spalle. « Non sono capace di inventarmi storie, di gestire le bugie che sono costretto a dispensare in giro, non riesco a portarle avanti e... »
« Su questo avrei qualcosa da ridire » lo interruppe Sirius, la sua tipica aria malandrina dipinta limpidamente sul volto.
Malgrado fosse passato oltre allo sbaglio commesso da Remus e fosse ora disposto ad accogliere quel ricordo con un sorriso, evidentemente non aveva ancora dimenticato quanto era accaduto quasi due settimane prima.
« Ah, lascia perdere, sai benissimo che ho ragione » riprese l'amico con fare sbrigativo. « Ancora mi stupisco di essere riuscito a farla franca per un mese, con voi, e per giunta si trattava solo di un'omissione, non di una bugia vera e propria... Con lei è stato diverso, molto più difficile, ho combinato un casino dietro l'altro e tutto quello che dicevo non faceva altro che peggiorare la situazione ».
Sirius lo ascoltò in silenzio, e non potè che credere alle sue parole.
Ricordava ancora tutte le bugie che da ragazzino era stato obbligato a raccontare a loro, i suoi amici, malgrado fosse l'ultima cosa che avrebbe desiderato fare. Con il passare dei mesi e il progressivo intensificarsi della loro amicizia, Remus era divenuto sempre meno abile a trattare con le menzogne che aveva dovuto fronteggiare per far sì che i tre non scoprissero la verità sulla sua condizione. I sensi di colpa si erano fatti sempre più brucianti, e lo avevano indotto a comportarsi in maniera sospetta, tanto che alla fine aveva capito ciò a cui prima di quel momento aveva tentato di sfuggire: svelare il proprio segreto era l'unica via percorribile, non ne esistevano di differenti. Una realtà che aveva faticato ad accettare, ma dinnanzi alla quale aveva comunque dovuto arrendersi.
Sirius riflettè su quanto le due situazioni fossero incredibilmente simili, ma si rese conto che in effetti c'era qualcosa che le distingueva. Remus, infatti, non era stato altro che un bambino quando aveva dovuto convivere con tutte quelle storie improvvisate, mentre adesso si stava trasformando in un uomo, e avrebbe dovuto mostrare una maggiore padronanza in quel campo a lui tanto sgradito. Forse, però, non era poi tanto l'età a fare la differenza, in quel particolare caso, ma piuttosto l'indole, che spesso si dimostra capace di piegare al suo volere qualsiasi scelta.
« E per la prima opzione, invece? » tagliò corto Sirius, certo di coglierlo impreparato. « Che scusa hai per quella? »
Remus non lo guardò, ma cercò un modo per esprimere ciò che desiderava dire senza risultare eccessivamente esplicito. Non tanto per la reazione che l'amico avrebbe potuto manifestare, ma per l'ulteriore confusione che una simile, seppur velata confessione, avrebbe potuto generare in lui.
« La stessa motivazione che è valsa per ognuno di voi » rispose dopo qualche attimo. « E' successa la stessa storia con tutti quelli che conoscono il mio segreto. Quando un rapporto si fa sempre più... intenso, nascondere qualcosa di talmente importante diventa insostenibile ».
Sirius fu tentato di dire qualcosa, ma si trattenne. L'aver semplicemente definito il suo rapporto con Miley più intenso rispetto al normale doveva già essere costato a Remus non poco sacrificio, per cui infierire sulla questione non avrebbe giovato a nessuno dei due.
« Beh, in tal caso dovresti cominciare a pensare di più a quello che vuoi fare, piuttosto che a quello di cui sei capace » replicò con naturalezza, deciso.
Lui, però, si mostrò vagamente perplesso, al punto che chiese: « Che intendi dire? », genuinamente desideroso di capire.
« Voglio dire che non devi sforzarti di trovare la soluzione più comoda, quella… quella che sei più bravo a mettere in pratica, ecco » spiegò a quel punto Sirius. « Se hai capito che alla base del tuo malessere c'è il dispiacere che provi nel doverle mentire, beh... hai già trovato una risposta ».
Quelle parole bastarono a rendere cristalline tutte le sue riflessioni macchiate di dubbi. Non aveva bisogno di altro, perché Sirius, con la massima semplicità, lo aveva indirizzato verso una soluzione che, senza il suo aiuto, fino a quel momento era soltanto riuscito a sfiorare, ma mai ad accogliere.
« E la risposta è che non voglio più prenderla in giro » mormorò, rendendosi conto di quanto fosse vero. « Sì, io... non posso continuare a comportarmi in questo modo » risolse alla fine, più deciso, poi fece una pausa prima di proseguire. « Mi sono stancato di non poterla più nemmeno guardare negli occhi ».
Le labbra di Sirius si incurvarono in un sorriso.
« In effetti è un gran peccato, visti gli splendidi occhi che si ritrova... » disse in tono vago, guardando di sottecchi l'amico.
Remus sollevò lo sguardo, e finalmente si ritrovò a sorridere a sua volta. Senza che avesse potuto arrestarla, la sua mente era corsa rapidamente ai vispi occhi verdi di Miley, e chissà perché, quel pensiero, quell'immagine così vivida fra i suoi ricordi, lo aveva istantaneamente rasserenato.
Si distrasse solo quando Sirius si alzò di scatto, dirigendosi verso il proprio letto.
« Bene, allora conviene darsi una mossa » disse, battendo le mani. « Hai sprecato tempo a palate prima di rimettere in sesto questa situazione, quindi approfitta di questa serata e non combinare altre cazzate, o sarà la fine », e così dicendo, spalancò il proprio baule e cominciò a rovistarvi dentro.
Remus lo guardò distrattamente, per poi abbandonare ancora una volta la testa sul cuscino, gli occhi chiusi nel tentativo di trovare un po' di pace.
« Miley non verrà » disse, atono, e Sirius sgranò gli occhi, preso in contropiede. « Ho... sentito dire a Scarlett che non verrà ».
« Cavoli » imprecò l'altro, afferrando una camicia a caso. « Devi averla fatta davvero grossa, se nemmeno si presenta al compleanno di sua sorella... »
Lui sospirò, ringraziando mentalmente l'amico per l'ormai abituale delicatezza dimostratagli.
« No, beh... non so perché non verrà » rispose, pensieroso. « Ma spero sinceramente che non sia per causa mia ».
Mentre si sfilava i pantaloni, Sirius lo osservò, studiando la sua espressione abbacchiata e assai poco convinta.
« Ci speri, ma non ci credi » obiettò, liberandosi in fretta anche della maglietta per indossare al suo posto una camicia nera.
Remus non potè evitare di pensare che avesse ragione. Aveva captato la sensazione giusta, non c'era ombra di dubbio.
« Sì... è vero » ammise infatti. « Non potrei fare altrimenti. Dopo tutto quello che ho combinato negli ultimi tempi, non la biasimerei se decidesse di non guardarmi più in faccia. E quello che ho deciso di fare, credo che... forse avrei dovuto farlo in un altro momento ». Tacque, meditando. « Adesso va tutto malissimo tra di noi, e questo... beh, potrebbe far precipitare le cose. Io... ho sbagliato, avrei dovuto scusarmi subito ».
« Sì, avresti dovuto » replicò subito Sirius con nonchalance. « Ma Miley non mi sembra affatto una tipa rancorosa o roba simile, quindi non crearti altri mille dilemmi esistenziali, d'accordo? Credi che se avesse voluto piantarla lì e odiarti a morte non ti avrebbe preso a cazzotti di fronte all'Infermeria, dieci giorni fa? Andiamo, avrebbe avuto tutte le ragioni di questa terra, ma non l'ha fatto, quindi hai più di qualche possibilità di farti perdonare, fidati ». Osservò la sua espressione tra il basito e il pensieroso, poi proseguì. « Piuttosto, pensa a quello che devi dirle. E, per piacere, non fare la stessa sceneggiata che hai fatto con noi al secondo anno quando ci hai raccontato tutta la storia. Non serve a niente intervallare ogni singola frase con roba del tipo lo so che non merito neanche un grammo d'ossigeno di questo fottuto mondo e simili. Faresti solo la figura dell'idiota melodrammatico, quindi limitati con l'autoflagellazione ».
A Remus, suo malgrado, venne quasi da ridere, e ammise a se stesso che forse non aveva pronunciato quelle esatte parole, ma di fatto c'era andato parecchio vicino. Sirius parve leggergli nel pensiero e aggiunse, ridendo: « No, sul serio, ci avevi detto qualcosa riguardo all'aria, potrei giurarci! »
Finirono per ridere entrambi, finché a Sirius non venne in mente l'esatto ricordo che stava cercando.
« Ce l'ho! » esclamò, schioccando le dita. « Hai detto che non meritavi nemmeno di respirare la nostra stessa aria, figuriamoci essere nostro amico! Che idiota... »
« Ah, ma dài, non è vero! » rispose l'altro, continuando a ridere, ma Sirius annuì con veemenza, sicuro di quanto aveva appena affermato.
« Sono parole tue, amico » confermò. « James e Peter se lo ricorderanno di sicuro... Io e Ramoso stavamo per riderti in faccia, ma tu eri al culmine della tua rivelazione e non ce la siamo sentiti di rovinarti il momento... dovresti ringraziarci per la nostra sensibilità ».
Remus scosse il capo, ritornando pian piano in sé e riprendendosi dalle risate. Lo stomaco ancora gli doleva.
« Già » ammise, suo malgrado. « In effetti avevate più tatto a dodici anni di quanto ne dimostriate adesso ».
« Siamo cresciuti bene » ribattè subito Sirius, tranquillo e compiaciuto, e i due si scambiarono un altro sorriso divertito. « Dài, forza, datti una mossa, adesso, non hai esattamente un look da festa » aggiunse poi, spiccio, e lui alzò gli occhi al cielo, alzandosi di malavoglia.
« Da quando ti intendi di look? » chiese all'amico, sinceramente curioso, acciuffando qualche indumento dal proprio baule.
« E' un'inclinazione innata » spiegò Sirius, impassibile. « No, seriamente, trova qualcosa di diverso dal marrone o da quel color caccola-di-Troll che ti piace tanto. La Banks ti rimanderebbe su a cambiarti senza nemmeno rivolgerti un saluto, quindi... risparmiati quest'umiliazione ».
Lui rise, appallottolando una camicia dell'esatto colore descritto dal ragazzo per lanciargliela addosso, senza ovviamente colpirlo.
« Ah, beh, ora capisco da quando ti intendi di look » disse, mentre lui si sistemava alla buona i lacci delle scarpe. « Non rischieresti mai di farti bocciare dalla Banks, o sbaglio? » e scosse il capo, ridendo sotto i baffi.
« Sei prevedibile con i vestiti tanto quanto lo sei con le battute, Lunastorta » rispose l'altro con un ghigno. « Rinnovati ».
Continuarono a battibeccare amichevolmente finché non furono pronti per la festa, e così discesero in fretta la scaletta a chiocciola che li introdusse alla Sala Comune, trovandola assolutamente irriconoscibile, tanto che Remus si arrestò sull'ultimo gradino e sbarrò gli occhi, evidentemente stupito.
A quanto pareva, Alice aveva dato il meglio di sé con gli addobbi. James, infatti, aveva assegnato compiti ben precisi ad ognuno dei suoi amici, e aveva riposto in lei la massima fiducia, affidandole la più importante delle mansioni, memore di tutte le sue precedenti e sempre brillanti performance. E sicuramente non aveva commesso un errore: la ragazza aveva accolto con un disarmante entusiasmo la sua proposta di occuparsi dell’allestimento e dell’organizzazione dell’evento, ed era stata la prima a mettersi al lavoro, vittima degli sguardi sconvolti degli amici che, su saggio consiglio di Frank, non avevano neppure osato chiederle perché avesse dato avvio ai preparativi a ben otto ore dall'inizio della festa. Dopotutto, però, la sua non era stata una cattiva idea, perché quando già mezza Casata si era radunata in Sala Comune in occasione dei festeggiamenti, lei si era ritrovata ancora parecchio indaffarata, malgrado la stanza risultasse splendida così com'era.
Poltrone, sedie e divano erano stati posizionati lungo la parete, in attesa di ragazzi sfiancati dai balli incessanti o di chiunque odiasse troppo la pista per lanciarvisi senza problemi; un ampio tavolo posto ai piedi dell’imponente quadro di Godric Grifondoro ospitava tutto il cibo che Peter era riuscito a portare via dalle cucine, e un gran numero di bevande assortite che James era riuscito a procurarsi con largo anticipo tramite un accordo segreto stipulato con Madama Rosmerta; ruolo da protagonista era stato riservato a una minuscola radiolina che, tramite un incantesimo, avrebbe diffuso la musica per tutta la stanza, e la quale stava immobile sul tavolo adibito alle solite partite a Scacchi che si svolgevano in Sala Comune quando non c'era nulla di meglio da fare; a rendere l'atmosfera ancor più festosa contribuiva un enorme striscione che troneggiava sulla parete centrale, sul quale era stampata a grandi caratteri la scritta Buon compleanno, Scarlett e James, e le cui lettere cambiavano colore di continuo; e poi ancora festoni, allegre decorazioni che danzavano per l'intera stanza, palloncini che mutavano forma e, infine, l'ornamento più importante fra tutti: un inarrestabile flusso di sorrisi sinceri e risate spensierate, che donavano al magnifico ambiente un calore se possibile ancora maggiore.
« Ehi, siete arrivati, finalmente! » annunciò la voce di Peter, che si fece presto vicino ai due amici. « Sirius, James ti reclama per la musica, ha già in mente un paio di pezzi che vuole farti cantare... e, Remus, Scarlett chiedeva di te, vuole un consiglio sulla sua acconciatura e si fida solo del tuo parere ».
I due si guardarono, vagamente perplessi, poi sollevarono le spalle contemporaneamente e fecero per avviarsi nei meandri della Sala Comune.
« Guardali, i traditori asociali » li arrestò però James, appena emerso da una zona imprecisata alle loro spalle. « Codaliscia, ricordami di non dargli neanche una briciola di torta, non hanno neppure alzato un dito per dare una mano » aggiunse poi, rivolto a Peter. « E, a proposito, ti proclamo ufficialmente mio migliore amico del giorno. E’ il mio compleanno, conta molto più del solito ».
James, che era solito eleggere migliore amico del giorno colui che meglio riusciva a guadagnarsi la sua approvazione a discapito degli altri, battè una poderosa pacca sulle spalle del ragazzo, che sorrise con orgoglio, consapevole di essersi meritato appieno quell’onorevole carica.
« Felpato, vieni, devi aiutarmi con una canzone. Voglio dedicare Amazing Eyes a Lily, ma la strofa centrale non mi riesce bene... » riprese poi James, serio e preoccupato. « Perché mi guardi in quel modo? E’ la parte più emozionante, amico, se la sbaglio è finita, mi capisci? Finita! »
Sirius non battè ciglio, poi voltò il capo verso Remus, che gli consigliò silenziosamente di compatirlo per non provocare ulteriori danni al suo cervello.
« Perché devo per forza ricordarti che non è il vostro anniversario, ma solo il tuo fottutissimo compleanno? » fece infine il ragazzo, stringendogli le spalle.
Lui ricambiò il suo sguardo con la medesima espressione piatta e imperscrutabile.
« Solo perché non sei il mio migliore amico del giorno da due mesi, non significa che tu sia autorizzato ad essere così scontroso con me » replicò, determinato e vagamente offeso. « Non temere, domani sarai più fortunato. E se non vuoi aiutarmi con la mia canzone, chiederò una mano a Frank. Lui se la cava mille volte meglio di te con i bassi », e si allontanò con aria profondamente risentita, senza aggiungere altro.
« Vado a bere qualcosa » disse a quel punto Sirius, spezzando il silenzio che la teatrale uscita di James aveva generato.
I due annuirono, fermamente convinti che la sua fosse una scelta più che saggia, e lo guardarono andar via e sparire tra la folla.
Una volta giunto al tavolo dei drink, si versò in un calice un po’ di Whisky Incendiario e cominciò a bere, lasciandosi scottare piacevolmente la gola, mentre il suo sguardo vagava per la stanza affollata in cerca di una figura che, appena qualche secondo più tardi, catturò immediatamente la sua attenzione: Scarlett, infatti, era venuta fuori da un cantuccio della Sala Comune, molto carina nel suo abito blu notte a balze e con gli ampi boccoli che le incorniciavano il volto. Era sorridente e appariva divertita e serena, e nonostante fosse impegnata a ricevere auguri e a scambiare qualche battuta sfuggente con un gruppetto di ragazze del loro stesso anno, anche lei riuscì a scorgerlo, incrociando quasi per sbaglio il suo sguardo e scoprendolo puntato su di sé. Spontaneamente, le sue labbra si distesero in un caloroso sorriso, e questo si fece ancor più ampio quando incontrò la risposta di lui, che lo ricambiò e sollevò il proprio calice nella sua direzione, in un gesto a metà tra un saluto a distanza e un brindisi in suo onore.
Il loro contatto, però, non durò più di qualche istante, poiché ad interromperlo arrivò una mano che, da dietro, picchiettò sulla spalla di Scarlett per richiamarla e indurla a voltarsi. Quando lo fece, la ragazza si trovò di fronte Emmeline, sempre elegante nel suo abitino color crema e con una lunga treccia che le ricadeva su una spalla.
« Buon non ancora compleanno, amica mia » le disse, spalancando le braccia e sorridendole apertamente.
Scarlett non esitò oltre e la strinse a sé, affettuosa come non sempre la si vedeva.
« Mel, sei venuta! » esclamò, sinceramente colpita e sorpresa dal suo arrivo.
Date le circostanze, non era stata per niente sicura di vederla alla festa, quella sera, soprattutto se Mary – come era altamente probabile – avesse deciso di non unirsi a loro, costringendo così l’amica a farle compagnia.
« Non avresti dovuto dubitare della mia presenza » la rassicurò lei con il suo solito tono affabile. « In più, beh... James non è stato molto carino quando ha definito maledetti putridi disertori tutti quelli che non si sarebbero presentati stasera, quindi non avrei comunque avuto scelta ».
Rise, e Scarlett con lei, quando giunsero anche Lily e Alice, che si unirono a loro.
« Mel, ti stavamo aspettando! » la salutò Lily, passandole un braccio intorno alla vita per stringerla brevemente a sé.
« Vance, quando avrai voglia di condividere un briciolo della tua eleganza anche con me, sarò ben felice di bere un po' di estratto del tuo charme. O di farmelo iniettare, non ho ancora deciso » fu invece l'intervento di Alice, a cui Lily si unì annuendo ripetutamente.
« Oh, ma dài, siete entrambe splendide! » rise l'amica, passando in rassegna le due ragazze, che sorrisero.
In effetti, Emmeline aveva proprio ragione: Lily indossava un semplice vestitino rosso a pois bianchi, Alice uno color porpora, ed entrambe erano davvero molto graziose.
« Su, andiamo a brindare » propose quest'ultima, e fece per avviarsi verso il tavolo dei drink insieme a Lily, ma si bloccò quando vide le altre due amiche ancora ferme ai loro posti. Scarlett, a dire il vero, si era fatta un po' più vicina ad Emmeline, il volto stranamente e incomprensibilmente serio.
« Mel... » mormorò all'altra, attirando immediatamente la sua attenzione. « Mary non... »
Quelle due brevi parole bastarono alla ragazza per incupirsi a sua volta. 
In quelle ultime settimane, la situazione tra lei e Mary era rimasta totalmente, irrimediabilmente la stessa di un mese e mezzo prima. Gli stessi silenzi, gli stessi rarissimi e quanto mai fastidiosi incontri, la stessa freddezza... nulla si era modificato, e nessuna delle due parti, per ragioni diverse ma egualmente determinanti, si era impegnata perché ciò avvenisse. Tuttavia, Scarlett non poteva negare a se stessa che la festa di quella sera l'aveva indotta a sperare che proprio quella potesse essere la volta buona per poter avere un confronto che appianasse le loro divergenze e superare quella scomoda e dolorosa situazione. Chissà, forse per l'atmosfera leggera e gioiosa che si respirava nell'aria, forse perché le occasioni speciali si rivelano spesso fonti di sorprese inaspettate, o forse per la pura e semplice voglia di crederci, fatto sta che, dal giorno prima, si era quasi convinta del fatto che Mary potesse cogliere quell'opportunità per fare un passo verso di lei, evento che le sarebbe bastato per dimostrare a sua volta tutto il proprio desiderio di chiarire ogni cosa con lei e tornare ad avere lo splendido rapporto che le legava prima del loro litigio. Scarlett era sinceramente stanca di quella guerra fredda, ma quella esasperante angoscia non era sufficiente per permetterle di mettere da parte tutte le sofferenze che il suo comportamento aveva generato e farle addirittura compiere il primo passo, motivo per cui, giorno dopo giorno, si ritrovava a sperare che fosse Mary, magari anche lei consumata da quella lotta silenziosa, a farlo verso di lei.
Evidentemente, però, le sue aspettative erano destinate a rimanere vane, almeno per quella sera.
« Ho provato a convincerla » fece Emmeline, l'espressione a metà tra il comprensivo e l'affranto, mentre anche Lily e Alice tornavano a farsi vicine a loro. « Le ho parlato a lungo, ma l'unica cosa che è stata in grado di dirmi è che non le andava di venire ». Sospirò, sollevando appena le spalle. « Non so davvero cosa dirti, Scar, perché non si confida nemmeno con me. Parliamo del più e del meno, trascorriamo intere giornate insieme, ma non tocchiamo mai l'argomento, e quando tento di farlo lei si chiude a riccio e non dice una parola. Forse teme che possa venire a spifferarti tutto, ma qualunque sia la ragione, non so dirti cosa le passa per la testa, se è ancora rimasta ferma sulle sue convinzioni o se continua a comportarsi così solo per orgoglio. Sai com'è fatta, potrebbe anche essere così... » aggiunse, e le ragazze annuirono, totalmente d'accordo con lei.
Scarlett strinse le labbra, assimilando le sue parole una ad una, e abbassò lo sguardo, fissandosi con insistenza le scarpe.
« Certo che siete due teste dure, tutte e due » intervenne Alice, esasperata non tanto dal complicato carattere di entrambe - ormai le conosceva bene e aveva imparato a farci i conti -, ma quanto per l'inghippo apparentemente insanabile che quella situazione comportava. « Non si riesce nemmeno ad aiutarvi... »
« Alice, sai come la penso » la interruppe subito Scarlett, più dura di quanto volesse sembrare. « Se questa sera Mary fosse scesa da quelle scale, mi sarebbe bastato uno sguardo per far tornare tutto come prima. Ma io non ce la faccio a farmi avanti, non ci riesco e non... non sento di dover essere io a farlo, mi dispiace. E vista la situazione, anche se ne fossi in grado non servirebbe a niente » terminò, una nota di amarezza nella voce.
Si ostinò a guardare altrove, concentrandosi su James che discuteva animatamente con Frank poco distante da lì, mentre le ragazze si scambiavano sguardi preoccupati e cupi, quasi ricercando l'una negli occhi delle altre la soluzione a quella convulsa faccenda.
Inutile dire che non furono in grado di trovarla.
« Sapete che c'è? » disse dopo un po' Lily, accennando un sorriso nel tentativo di porre fine al dilagante malumore che si stava diffondendo tra di loro. « E’ da un mese e mezzo che non trascorriamo del tempo insieme come si deve, noi quattro. Il fatto che Mary non ci sia fa male ad ognuna di noi, e ho l’assoluta certezza che superemo questa situazione molto presto ». Rivolse uno sguardo incoraggiante a Scarlett, poi proseguì. « Ma questa è la tua festa, Scar. E’ inutile farsi prendere dallo sconforto, no? Penseremo domani a tutto il resto, ma questa sera godiamoci un po’ di tranquillità e divertiamoci ».
Sorrise raggiante alle amiche, cercando di convincerle ad unirsi a lei in quella ventata di positività di cui tanto avevano bisogno, e fu felice di vedere che il suo appello venne accolto con entusiasmo dalle altre, che ricambiarono rincuorate il suo gesto.
« Hai ragione » convenne Alice, le guance paffute ben in vista grazie all’ampio sorriso che le illuminava il volto. « Siamo giovani e belle, e questa sera i problemi li lasciamo fuori da questa dannatissima Sala Comune, e Merlino mi fulmini se non credo a quello che dico! »
Le altre risero di cuore, come sempre conquistate dalla bonaria simpatia dell’amica.
« Beh, in tal caso diamoci una mossa, allora » fece Scarlett, nuovamente allegra. « Non mi avete ancora dedicato un brindisi, razza di ingrate ».
Si lasciarono nuovamente andare ad un’ondata di risate, e tutte e quattro si incamminarono verso il tavolo dei drink, dove ognuna riempì il proprio calice della bevanda che più era di suo gusto.
« Dunque, a Scarlett Banks » esordì Alice, schiarendosi la voce. « Che questi diciotto anni possano portarle gioia… »
« … serenità… » intervenne Lily, accodandosi all’amica.
« … salute… » aggiunse a sua volta Emmeline.
« … e tanto, tanto amore » concluse infine Alice, alzando il proprio bicchiere, ma Scarlett non pareva molto convinta del discorso che avevano appena declamato, un’espressione perplessa e vagamente stranita sul volto.
« Mmm… » commentò, storcendo la bocca da un lato. « Non avete qualcosa di più naturale? Più… nel vostro stile, ecco ».
Le altre si guardarono vicendevolmente, fingendo di non aver recepito pienamente il suo messaggio.
« Beh, volevamo fare le cose come si deve, ma evidentemente non lo apprezzi, quindi… » rispose Lily, ostentando un fittizio disappunto, poi sollevò nuovamente il bicchiere, dando il via al secondo brindisi puntualmente modificato. « A Scarlett Banks » esordì, il tono di voce appena più alto. « Che questi diciotto anni possano portarle… mmm… beh, una minore propensione a crearsi complessi mentali a ripetizione, un maggiore e più spiccato senso dell’umorismo, oltre che un drastico calo in ambito pesantezza… »
« … un’inversione di tendenza nella scelta dei colori nel vestire, visto quanto sei poco audace a osare con tonalità pastello » continuò a dire Alice, inserendosi prontamente nel discorso, « e anche un cambio di look con un bel taglio di capelli, perché diciamocelo, per quanto splendida possa essere quella chioma chilometrica, dopo diciotto anni inizia un po’ a stancare… »
« … una maggiore fortuna in amore, visto quante ne hai passate nell’ultimo anno » si inserì Emmeline, e Scarlett si illuse per un momento, credendo che fosse l’unica tra le amiche a volerle fare un augurio semiserio, « e… beh, un pizzico di voglia in più di studiare Antiche Rune, perché non so se riuscirei a sopportare altri tre mesi pieni zeppi di lamentele! » concluse inaspettatamente, e la festeggiata scoppiò subito a ridere, seguita a ruota dalle altre.
« Che Godric Grifondoro benedica i vostri auspici! » esclamò tra le risate, e fece scontrare il proprio calice contro quello delle amiche, generando un rumoroso tintinnio.
Dopodiché bevvero in silenzio, vuotando ognuna il rispettivo bicchiere.
« Accidenti, credo che abbia funzionato » fece Lily, voltandosi a guardare le ragazze. « Insomma, ha riso su alle nostre battute, quando una volta non ci avrebbe più rivolto la parola per una settimana, come minimo… »
« Idiota! » la rimproverò subito Scarlett, colpendola con una gomitata e scoppiando nuovamente a ridere.
« Ah, come non detto, è stato un falso allarme » ribattè ancora la ragazza, e si unì alle risate delle amiche.
A quel punto, però, la loro attenzione fu attirata da un’altra voce, proveniente dal centro della Sala Comune e palesemente amplificata con la magia. A quanto pareva, James aveva deciso di iniziare a dare spettacolo con qualche brillante intervento, tipico del suo repertorio. Dopotutto, era la sua festa, no? Aspettarsi qualcosa di diverso sarebbe stato decisamente sciocco.
« Buonasera, gente! » esclamò, un sorriso a trentadue denti stampato sul volto.
Immediatamente, quasi tutti i presenti risposero al suo saluto con un sonoro ed indistinto boato, segno che il ragazzo era riuscito con successo a trovare l’interesse del suo pubblico.
« Ancora non riesco a spiegarmi come diamine faccia a conquistare la gente con quella facilità » commentò Lily, fissandolo da lontano con un sorriso e scuotendo lentamente il capo. « E’… è un animale da palcoscenico, dovrebbe fare spettacolo nella vita, dico sul serio! Sarebbe perfetto nei panni di presentatore in uno di quegli strampalati talk show babbani che guarda sempre mia madre ».
Rise di cuore, continuando a tenere lo sguardo fisso sul ragazzo, e le amiche con lei, ma non potè aggiungere nient’altro, perché James aveva appena ripreso a parlare.
« Dannazione, siete tantissimi! » riprese, ammirato dal riscontro che aveva ricevuto dalla folla. « Ma dopotutto era prevedibile… da quando sono in questa scuola, non ho mai visto la Casata di Grifondoro fallire una festa, quindi facciamoci un applauso, leoni ruggenti! »
L’invito di James fu accolto alla grande dai compagni, esaltati dal suo travolgente entusiasmo.
« Davvero, sono contento che siate tutti qui » disse poi, riprendendo la parola. « E’ fantastico festeggiare questo compleanno insieme a voi. E poi diciamocelo, un po’ di sano divertimento ci voleva proprio. Ultimamente, i prof se la stanno proprio spassando a massacrarci, per cui un sabato sera diverso dal solito è quello di cui abbiamo tutti bisogno, anche perché… » Fece una pausa, più per creare una sorta di suspense che per trovare le parole giuste per proseguire, « … beh, la festa per la vittoria della Coppa di Quidditch mi pare ancora un po’ lontana, non credete? »
A quelle parole, l’urlo di battaglia dei Grifondoro presenti si fece ancor più rumoroso ed elettrizzato, reazione che allargò notevolmente il sorriso già ampio di James. Otteneva sempre quel risultato, quando lanciava a bruciapelo qualche battuta denigratoria nei confronti delle altre Case o – ancora meglio – quando, con tutta la sicurezza e quel pizzico di presunzione che tanto lo rendeva insopportabile agli occhi degli avversari, si dilettava a provocare l’eccitazione dei compagni con secchi pronostici sulla schiacciante vittoria di Grifondoro alla fine del Campionato. Riusciva a scaldare i cuori di tutta la Casata, con quel suo fare da trascinatore, e il fatto che le sue previsioni risultassero alla fine sempre corrette non faceva che renderlo, allo stesso tempo, idolo incontrastato dei suoi compagni e bestia nera da battere a tutti i costi per tutti gli altri.
« Okay, okay, gente, ho ancora qualcosa da dire » riprese poi, mentre il vocio dei presenti si faceva sempre più fioco per permettergli di continuare a parlare. « Come ben sapete, questa non è solo la mia festa. Se ieri è toccato a me invecchiare e compiere un ulteriore passo avanti verso la senilità, tra qualche ora sarà il turno di una splendida creatura di nostra conoscenza. Scarlett, tesoro, dove sei? »
Si guardò intorno per individuare la ragazza che stava cercando, e quando tre ragazzi del sesto anno si furono spostati per liberargli la visuale, la vide e la invitò a raggiungerlo, tendendole la mano con un raggiante sorriso sul volto. Lei avanzò, scuotendo appena il capo e sorridendo a sua volta, mentre, intorno a loro, i ragazzi si lanciavano in un nuovo coro di giubilo, concedendo il giusto tributo anche all’altra festeggiata.
« Non è meravigliosa? » incalzò James, prendendole la mano e assecondando il chiasso dei presenti. « Ebbene, è insieme a lei che voglio dare ufficialmente inizio a questa festa! Vi auguro di divertirvi, ragazzi! Musica, Peter! » esclamò alla fine, e il ragazzo, pronto accanto alla radiolina che li avrebbe allietati con varie canzoni durante quella serata, amplificò il volume con un rapido tocco di bacchetta, così che un movimentato pezzo rockeggiante si diffondesse per tutta la Sala Comune e desse il via alle danze.
« Sei andato forte col tuo discorso! » esclamò Scarlett, mentre anche lei e James iniziavano a ballare. « Te lo prepari da ieri, ci scommetto! »
Il ragazzo rise di gusto, gettando il capo leggermente indietro.
« Nah » rispose poi, passandosi una mano tra i capelli ribelli. « Sai che ho un talento naturale per queste cose ».
Scarlett scoppiò a ridere, ritrovandosi pienamente d’accordo con lui, e non fece in tempo a smettere che James la prese per un polso e la fece volteggiare due volte su se stessa, attirandola poi a sé con un abile e deciso strattone. Lei lo fissò, uno sguardo divertito e sinceramente colpito che lo indusse a lanciarle un rapido occhiolino.
« Si può sapere quanti talenti naturali possiedi, tu? » gli domandò, scompigliandogli ancor di più i capelli in un gesto affettuoso.
« Più di quanti immagini, luce dei miei occhi » rispose prontamente lui, facendola ridere, e la sorprese con un caschè con tanto di sonoro e impetuoso bacio sulla guancia incorporato.
Si divertirono talmente tanto che per più di mezz’ora non fecero altro che ballare e ridere, ripensando a tutti i compleanni passati e un po’ anche a quelli che dovevano ancora arrivare, chiedendosi se li avrebbero festeggiati sempre insieme, finché non fossero diventati vecchi entrambi.
« E sentiamo, cosa mi regaleresti per il mio centesimo compleanno? » domandò James, curioso, e la vide riflettere intensamente.
« Un bastone » rispose lei, allegra. « Così per andare in giro non dovresti più aggrapparti a Lily, che quando avrà cent’anni sarà ancora bella e in forma ».
« Ah, ma se ha già un mucchio di acciacchi! » fece lui, ridendo. « L’altro giorno le ho proposto di insegnarle un po’ di sano Quidditch o di fare una corsetta intorno al lago e mi ha guardato malissimo… hai presente il suo vecchio sguardo da Potter, ti odio, non uscirò mai con te? Ecco, beh… non lo ha perso ».
Scarlett rise, e pensò che in effetti Lily detestava l’esercizio fisico forse anche più di Emmeline ed Alice messe insieme.
Quando stava per replicare, però, il suo sguardo ricadde casualmente su una ragazza che aveva appena fatto il proprio ingresso in Sala Comune, i capelli leggermente mossi e un abitino bianco che le donava parecchio: sua sorella. Sua sorella era venuta alla festa.
« James, è arrivata Miley, andiamo a salutarla! » disse all’amico, che subito la ricercò con lo sguardo finché non l’ebbe individuata.
E si avviarono, facendosi strada fra coppie danzanti e combriccole di amici ridanciani, facendole cenni con la mano per farsi notare.
« Ehi, sorella! » esclamò Scarlett, stringendola a sé in un caloroso abbraccio. « Lo sapevo che alla fine saresti venuta ».
Lei sorrise, abbracciando anche James e guardandosi rapidamente intorno, colpita dal modo in cui la stanza era stata addobbata.
« Avevi ragione, non potevo mancare » ribattè, affettuosa, e i due sorrisero a loro volta.
« E per il grande evento si è persino messa i tacchi » aggiunse James, sinceramente ammirato. « Cavoli, Miley, così rischi di farmi commuovere! »
A quelle parole, Scarlett sgranò gli occhi, incredula, sconvolta e ansiosa di verificare che non fosse tutta una presa in giro, perché non riusciva davvero a credere alle proprie orecchie. Difatti, si allontanò di qualche passo per squadrare la sorella da capo a piedi, ed immediatamente potè constatare che sì, era proprio vero: Miley sfoggiava con disinvoltura - o quasi - un paio di tacchi alti, ma parecchio robusti, che fecero subito breccia nel cuore di Scarlett.
« Non riesco a crederci » disse, scandendo con veemenza ogni parola. « Se ti vedesse mamma piangerebbe di gioia! Stai benissimo! »
« Grazie » mormorò lei, ridendo e lanciando alle scarpe un’occhiata dubbiosa. « Ma ho portato le scarpe da ginnastica di riserva, le ho messe in quell’angolo accanto alla poltrona, se non ti dispiace. Sento che i miei piedi si stanno già adoperando per una gran bella sommossa, poverini ».
Scarlett non osò lamentarsi - dopotutto Miley aveva compiuto passi da gigante - e sorrise, scuotendo il capo ed esibendosi scherzosamente in un’espressione carica di disapprovazione.
« Da’ un’occhiata a quelle scarpe, di tanto in tanto. Qui in mezzo ci saranno di sicuro un paio di cleptomani, te l’assicuro » le consigliò James, guardandosi intorno sospettoso, e le due risero, coinvolgendo ben presto anche lui. « Beh, vi lascio sole, bellezze. A più tardi » concluse infine, salutandole.
Loro, dopo aver ricambiato il gesto, lo guardarono allontanarsi, per poi rivolgersi nuovamente l’una all’altra.
Miley potè così osservare per bene la sorella, che le apparve radiosa, oltre che bella come sempre. E fu una gioia, per lei, ritrovare accanto al fascino dei suoi ben acconciati capelli scuri e degli occhi sempre brillanti anche tutto lo splendore del suo sincero, contagioso sorriso. Dopo il lungo periodo di oscurità che l’aveva travolta, scandito dal perenne battito di ogni suo rimorso, ritrovare la vecchia luce nella quale aveva sempre trovato pace l’aveva resa migliore. E questa speciale sfumatura che le aleggiava intorno non sarebbe mai potuta sfuggire agli occhi e al cuore di sua sorella.
« Sei stupenda » si congratulò, giocherellando con i suoi morbidi boccoli, e Scarlett la scrutò con un vago sorriso sulle labbra.
Mentre la guardava, ebbe un attimo di esitazione, ma alla fine decise di chiederle ciò che desiderava capire.
« Cos’è che ti ha convinta a venire? » domandò, nel tono più pacato e semplicemente curioso che si possa immaginare.
Lei parve un po’ spegnersi ascoltando le sue parole, e si strinse nelle spalle, sospirando appena, lo sguardo fisso sul pavimento.
Per l’intero pomeriggio, aveva detto a se stessa che sarebbe stato meglio rimanere al calduccio nel proprio letto, cullata dai propri pensieri, pensieri amari che finivano per mescolarsi a bei ricordi e che, come parassiti, avvelenavano anch’essi con la medesima malinconia crudele. Perché non c’è nulla di più doloroso di un ricordo felice quando sai di non poter tornare indietro, di non avere nulla in tuo potere per recuperare l’essenza, le fibre di quell’irripetibile batticuore che tanto ti ha fatto stare bene. E malgrado lo sapesse, Miley non riusciva mai a tirarsi indietro, e si abbandonava con una tale intensità a quelle immagini mai perfettamente dettagliate da dover prendere un respiro profondo, alla fine di tutto, perché le si stringeva un vigoroso nodo allo stomaco capace di farle perdere la bussola per qualche opprimente, caotico momento. Eppure continuava a pensare, tutte le volte, senza ribellarsi. Tutte le volte, tranne quella sera.
Quando si era messa sotto le coperte, infatti, qualcosa era scattato dentro di lei. Una sensazione di stanchezza, di frustrazione e di profonda esasperazione, il desiderio di mandare tutto al diavolo, almeno per un po’, il bisogno di prendersi una pausa, di vedere facce amiche, di fare qualcosa di diverso per occupare la mente con un briciolo di spensieratezza, piuttosto che con tutte le preoccupazioni che in quell’ultimo periodo la affliggevano. Ma soprattutto, ciò che davvero l’aveva spinta ad abbandonare le lenzuola era stato il pensiero di sua sorella. Non era mai mancata ad un suo compleanno, e si sarebbe sentita ancora peggio se avesse deciso di farlo per la prima volta proprio quella sera.
« Te l’ho detto » rispose, sorridendo. « Come potevo perdermi il tuo compleanno? Sarei stata una gran bella sorella da schifo e me l’avresti rinfacciato per il resto dei miei giorni » aggiunse, ridendo insieme a lei. Poi, però, la sua espressione tornò gradualmente seria. « E poi, beh… sono stanca, Scar. Ad essere sincera, sono davvero stanca. Non è un bel periodo, per me, e credo possa farmi bene pensare ad altro, per una sera… è anche per questo che ho messo i tacchi » rise piano, sollevando le spalle. « Avevo davvero voglia di qualcosa di diverso, e forse hai ragione… a volte aiuta anche uno stupido paio di scarpe ».
Scarlett la osservò con attenzione, e di nuovo desiderò con tutta se stessa che si confidasse, che riversasse in lei almeno un po’ di tutta la sua angoscia.
« Aiuta molto anche parlare, però » le ricordò, accorata, e la vide riabbassare di scatto lo sguardo. « Quando ho qualcosa che non va mi dici sempre che confrontarsi aiuta a risolvere i problemi, che tenersi tutto dentro non porta a nulla di buono. Ma tu stai facendo lo stesso ».
Seguì un breve silenzio, durante il quale Miley si sentì estremamente combattuta. In fondo, sarebbe piaciuto anche a lei condividere con Scarlett i propri tormenti, ma non poteva. Per quanto lo desiderasse, non poteva.
« C’è… qualcosa che me lo impedisce » disse, tentando di spiegarsi. « Vorrei tanto poterti dire tutto, ma non posso. E’ una situazione che devo affrontare da sola, e non riguarda solo me, è molto… è complicato. Odio dirlo, ma lo è sul serio. Prima o poi ti racconterò tutto, te lo prometto ».
Si guardarono, e Scarlett non potè far altro che comprenderla, senza più replicare. Si fidava della sincerità di sua sorella, e tanto bastava.
« D’accordo » la rassicurò. « Non sentirti sotto pressione anche per questo, allora. E goditi la festa senza pensare a niente, okay? »
Miley annuì e la abbracciò, chiudendo gli occhi per tentare di liberare la mente come lei le aveva suggerito di fare.
« Okay » rispose, sicura. « E, ti prego, dimmi che c’è qualcosa da mangiare, sto per svenire ».
Scarlett rise e, una volta scioltasi dall’abbraccio della sorella, le fece un cenno verso un punto imprecisato della stanza.
« C’è un tavolo pieno di roba da quella parte » disse. « Emergi viva da questo mare di gente e, non appena vedi Sirius Black, saprai di essere giunta a destinazione. Sempre che non si sia già spazzolato tutto, è chiaro » aggiunse infine, e Miley scoppiò a ridere di cuore, divertita.
« Mmm, sbaglio o qualcuno, qui, ha un solo pensiero fisso per la testa? » suggerì maliziosamente, e Scarlett la fissò, sconvolta.
« L’ho nominato una sola volta! » esclamò, mentre l’altra continuava a ridere. « Ma guarda un po’ cosa devo sentirmi dire… »
Scosse il capo ripetutamente, poi si unì a sua sorella, che, con l’aria di chi la sa lunga, continuava a lanciarle espressioni provocatorie.
« Vai a cibarti, su » la esortò poi Scarlett, fingendosi risentita. « E ricordati che dobbiamo sfamare un’intera Casata, non l’unica clandestina della festa ».
Lei sollevò le mani in gesto di innocenza e cominciò ad allontanarsi verso la direzione indicatale prima da Scarlett.
« Non prometto nulla » replicò. « Au revoir ».
La salutò con la mano, per poi addentrarsi nella folla di persone accalcate al centro della stanza per raggiungere il tavolo che stava cercando. E dovette trattenere a forza le risate quando vide che, in effetti, Sirius era appostato proprio lì vicino, intento a masticare chissà cosa con aria tranquilla. Fu felice di notare che non si trovava in compagnia di Remus. Avrebbe preferito non vederlo, quella sera, ma sapeva che sarebbe stato quasi impossibile non incrociarsi in quella piccola, seppur parecchio affollata Sala Comune.
Ecco, appunto. Era impossibile.
Talmente impossibile che, mentre Miley prendeva qualcosa da mangiare e cominciava a chiacchierare con Sirius, Remus, in piedi accanto alla scala a chiocciola che conduceva ai Dormitori con un calice colmo di vino elfico stretto in mano, aveva appena terminato uno scambio di battute con un paio di compagni di Casa e, quasi all’istante, si accorse di lei. La vide, ma non riuscì a credere a ciò su cui i suoi occhi si stavano focalizzando. Non aveva minimamente preso in considerazione l’idea di incontrarla a quella festa, forse perché credere che sarebbe stata assente gli aveva fatto comodo, dopotutto. Eppure eccola lì, sorridente, con il volto in parte coperto dalla folta cascata di capelli biondo cenere e gli orli del semplice abito candido che le sfioravano le ginocchia. E Remus, ancor prima di cominciare a preoccuparsi per ciò che avrebbe dovuto fare, per quel che sarebbe successo nel corso della serata, pensò che fosse meravigliosa, tanto che ne rimase inguaribilmente incantato.
I mille pensieri che quell’unica idea aveva momentaneamente scacciato, però, non tardarono a ritornare alla ribalta, scalpitando. Tutti i piani che, seppur confusamente, aveva progettato di mettere in atto erano appena stati calpestati, e lui non si sentiva affatto pronto ad improvvisare una decisione alternativa. L’unica prospettiva che gli si spalancava di fronte era quella di un confronto anticipato, ma già sapeva che non sarebbe stato capace di reggerlo. Non subito. Non così all’improvviso.
Era appena stato vittima di un colpo di scena che l’aveva completamente disarmato, e non aveva idea di come avrebbe fatto a riprendersi. Il panico si stava lentamente impossessando di lui, sottomettendolo e impedendogli di ribellarsi. Aveva paura perché non aveva idea di ciò che avrebbe potuto dirle, aveva paura che qualsiasi cosa potesse essere sbagliata… Aveva paura dell’insicurezza che manovrava la sua mente, e delle conseguenze che l’essersi cullato nella paradisiaca idea di avere ancora tempo stava portando. Ma soprattutto, più di ogni altra cosa, aveva paura perché era consapevole di non avere scelta: se avesse deciso di non parlare a Miley neppure in quell’occasione, sentiva che tutto sarebbe andato perso. Non avrebbe più accettato le sue scuse, e il loro rapporto, qualunque forma avrebbe mai potuto assumere, sarebbe sprofondato in una dolorosa, educata freddezza che avrebbe comunque finito per ferirli entrambi. Dopotutto, anche la pazienza di Miley aveva un limite, e lui aveva rischiato di superarlo fin troppo spesso, pentendosene quasi sempre un attimo dopo. L’idea di commettere l’errore decisivo proprio quella sera lo metteva in ansia come quasi nient’altro era mai riuscito a fare.
« Hanno finalmente messo il primo pezzo lento della serata. Non ti sembra un’occasione troppo ghiotta per non buttarti in pista, Lunastorta? »
Il suono della voce di Lily lo ricondusse bruscamente alla realtà, facendolo quasi trasalire. Si voltò, e vide che la ragazza sorrideva e teneva la mano tesa.
« Fai sul serio? » le disse, tentando a sua volta un sorriso, e lei annuì vivacemente.
« Non è galante dire di no ad una signora » replicò, il mento in su per fingersi superba, e di nuovo gli porse la mano in attesa che la prendesse.
Alla fine, lui la afferrò, e insieme si diressero verso il centro della stanza, laddove danzavano numerose coppie immerse in quell’atmosfera più rilassata.
« Da adesso sei in debito con me, sappilo » fece Remus, facendola ridere di gusto mentre entrambi cominciavano a muoversi sul posto.
« Ah, quanto la fai lunga » lo rimbrottò, scostandosi i lunghi capelli dietro le spalle. « Avevi intenzione di startene lì impalato per tutta la serata? »
« Qualcosa del genere, sì » rispose pacatamente lui, con palese sincerità, cosa che la divertì parecchio.
Lo osservò, e potè immediatamente notare che non era affatto tranquillo. Si guardava intorno cercando di far sì che non se ne accorgesse, ma il suo nervosismo era palpabile, e Lily non fece fatica a intuire a cosa fosse dovuto quel suo evidente disagio: aveva visto Miley entrare in Sala Comune appena un paio di minuti prima. Non le servivano altre spiegazioni.
« Sai, non credo che Miley sia una tipa da attacchi alle spalle » disse, serena. « Ma se dovesse avvicinarsi, prometto di avvisarti in tempo ».
Remus parve solo vagamente stupito, ma ad ogni modo non lo diede a vedere. La fissò, un sopracciglio inarcato, impassibile.
« Le notizie viaggiano rapidamente, a quanto pare » commentò, mantenendo il suo tono sempre pacifico, e lei si strinse nelle spalle.
James le aveva raccontato qualcosa di ciò che era accaduto riguardo a quella vicenda, ma Lily era certa che Remus non fosse arrabbiato con lui per questo. Conosceva bene la sua indole, e d’altronde, se non fosse stato così restio a confidarsi e a sfogarsi con chiunque, lei sarebbe stata una delle prime persone alle quali si sarebbe rivolto per chiedere un po’ di conforto, certo di poterne ricevere in abbondanza insieme a qualche buon consiglio.
« Anch’io credevo che non sarebbe venuta » fece Lily, pensierosa. « Ma sono certa che non le dispiacerebbe affatto scambiare quattro chiacchiere con te. Penso che, insieme a te, sia una delle persone più affabili sulla faccia di questo pianeta. Lo sai anche meglio di me, immagino ».
Lui la scrutò, riflettendo sul significato delle sue parole. E in effetti, fu certo che, se si fosse avvicinato a Miley per parlarle, non avrebbe trovato in lei una fortezza di rabbia e rancore, ma un sorriso gentile che, seppur con maggiore fatica, alla fine sarebbe riuscito a far emergere.
« Beh, forse non dovrebbe esserlo » rispose, un po’ duro. « A me non farebbe piacere parlare con qualcuno che mi ha respinto e preso in giro ».
Lily scosse impercettibilmente il capo, mordicchiandosi il labbro inferiore.
« Devi smetterla di parlare sempre come se ti meritassi tutto il male del mondo » disse con forza, determinata. « Non sei la prima persona che commette degli errori, e non sarai nemmeno l’ultima, anzi, sei uno dei pochi che possiede delle ragioni più che valide per farlo. Quindi non attirare su di te l’odio della gente se non hai commesso nessun crimine. Finisce sempre che vieni perdonato da chiunque tranne che da te stesso ».
Remus guardò altrove, ma non si sentì pronto né ad annuire né a scuotere il capo. Non capiva fino in fondo se Lily avesse ragione o meno.
« Non voglio che la gente sia indulgente con me solo perché sono quello che sono » replicò. « Non esistono ragioni valide per sbagliare, la mia non è una giustificazione, e gli errori che ho commesso con Miley… » Fece una pausa, sospirando sommessamente. « Per quelli devo prendermi le mie responsabilità. Il giorno in cui finirò ad elemosinare la compassione della gente deve ancora arrivare ».
Lily annuì lentamente, come a voler dire che lo sapeva molto bene anche lei.
« Quel giorno non arriverà mai, fidati di me » rispose con la massima sicurezza. « Ma ricordati che spesso gli errori che commetti dipendono solo ed esclusivamente da tutto quello che ti porti dietro. Se agissi sempre per come sei davvero, senza badare troppo al resto, faresti solo cose buone, Remus. Perché è nella tua natura. Invece, nel momento in cui cerchi di far quadrare tutto e ti fai condizionare dalla parte più buia di te, è quella a prendere le decisioni al posto tuo. E allora entrano in campo tutti i tuoi sensi di colpa e non fai che andare nel pallone ancor di più, e commettere altri errori, magari, senza rendertene conto. Ma credimi, li eviteresti tutti se solo capissi fino in fondo che quella parte non è altro che una… una orribile briciola di tutto quello che sei. Anzi, a pensarci bene, non fa neppure parte di te, perché è solo un macigno che ti è capitato in sorte senza che tu potessi impedirlo in nessun modo, e soprattutto senza che avessi fatto qualcosa per meritarlo. E’ una maledizione, Remus » insistette lei, abbassando ulteriormente il volume della voce ma mantenendo il precedente tono accorato. « Non puoi permettere che prenda il sopravvento su di te, perché si comporterebbe come una forza negativa e… ti farebbe solo continuare a sbagliare ».
Lo osservò, sperando intensamente che le proprie parole avessero avuto su di lui un certo effetto.
Aveva sempre desiderato che Remus si rendesse conto dell’infinita bellezza che albergava in lui, ma tutte le volte si mostrava ostinato e per nulla propenso a cambiare opinione. Semplicemente, non riusciva a fare a meno di disprezzarsi, per la sua condizione e per tutto ciò che ne derivava, ma allo stesso tempo sognava di essere considerato dalle persone che gli stavano accanto un ragazzo come tutti gli altri, e non era mai riuscito a venire a capo di quel perenne conflitto interiore, che se da una parte lo rendeva strenuo difensore dei diritti dei diversi, dall’altra lo vedeva come il peggiore dei razzisti.
« Non posso prendere decisioni o… fare qualsiasi cosa voglia fare senza tenere conto della mia condizione » disse, cupo. « Sono abituato a conviverci, ma non posso pretendere che anche gli altri lo accettino così facilmente. Non voglio costringere nessuno a sopportare questo peso insieme a me ».
Ma Lily aveva la risposta pronta, e non tentennò minimamente nel dargliela.
« Hai ragione, non devi costringere nessuno » replicò. « Ma se le persone che ti hanno conosciuto vogliono accettarti per quello che sei, non puoi costringerle neppure a fare il contrario, Remus. Faresti loro un torto anche comportandoti in questa maniera. Sai, non c’è nulla di buono in quello che fai quando respingi qualcuno solo per salvaguardarlo da tutta questa faccenda. Sono gli altri a dover decidere per sé, non tu ».
Remus la ascoltò, e non riuscì a trovare nulla da dire per contestare il suo punto di vista. Lily aveva ragione, ma esserci dentro era tutta un’altra storia, e questo mai nessuno avrebbe potuto capirlo fino in fondo. Di questo era sempre stato assolutamente certo, e non si riteneva affatto egoista a pensarla così.
Annuì appena, e Lily, ascoltando la canzone dalle note strascicate che volgeva al termine, lo strinse piano a sé, cosa che riuscì a far percepire a Remus tutto l’affetto incondizionato che la ragazza nutriva nei suoi confronti.
Quando si slacciarono da quel lieve abbraccio, le sorrise, un sorriso grato e rincuorato, sperando che bastasse.
« Non costringermi a farti altre ramanzine, d’accordo? » gli disse lei in tono giocoso. « Sei tu la mamma bacchettona, non io ».
Lui rise, annuendo divertito, e Lily lo seguì a ruota, per poi guardarsi rapidamente intorno, mentre un altro brano cominciava a risuonare per la stanza.
« Beh… io raggiungo James. Adora questa canzone » aggiunse qualche istante dopo, e Remus fece un cenno col capo, sorridendo.
« Farai meglio a correre, allora, o ce l’avrà con te per il resto della serata » la ammonì, scherzoso malgrado la veridicità delle sue parole.
Lily rise nuovamente, gli scoccò un rapido bacio sulla guancia e si allontanò, lasciandolo solo fra i tanti ragazzi che parevano non stancarsi mai di ballare.
Si mise da parte, le mani affondate nelle tasche profonde dei pantaloni, e non riuscì a non pensare a tutto ciò di cui aveva appena discusso con Lily. Sbirciò tra la folla in direzione del lungo tavolo carico di bevande, e di nuovo si soffermò a osservare Miley, che in quel momento stava annusando con aria disgustata un drink che Sirius le aveva offerto, e che sicuramente avrebbe rifiutato.
D’un tratto, si rese conto che in verità nulla sarebbe stato più difficile del continuare ad evitarla. Lui voleva parlarle, voleva spiegarle ogni cosa, e rimuginare ancora su tutta quella complicata faccenda non avrebbe fatto altro che renderla, se possibile, maggiormente intricata.
Era arrivato il momento di porre fine al suo sconclusionato e altalenante percorso che, se avesse continuato a comportarsi in quel modo, avrebbe certamente concluso da solo, e malgrado la paura gli tartassasse lo stomaco, sentì che la via che aveva deciso di percorrere era finalmente la più giusta. Nei confronti di Miley, di se stesso, nei confronti di quell’affetto speciale che non aveva mai osato provare a definire. Per una volta, non si sarebbe pentito.
Così, accogliendo quella ventata di determinazione, si avviò verso il tavolo su cui aveva tenuto gli occhi puntati fino ad allora, senza più riflettere.
« … non puoi disprezzarmi solo perché sono astemia! » stava dicendo Miley quando fu tanto vicino da riuscire ad ascoltare ciò che diceva.
Sirius scosse il capo, vuotando in un solo sorso il bicchiere che aveva precedentemente riempito per lei.
« Infatti non posso. Devo » fu la sua risposta, dinnanzi alla quale lei storse il naso, alzando gli occhi al cielo.
« Beh, in quanto astemia e quindi specie in via d’estinzione, merito rispetto » replicò, piccata, e fu il turno di Sirius di mostrarsi poco convinto.
« Secondo me meriti più un piano di riabilitazione, piccola Banks » le consigliò. « Potrei prenderti in cura personalmente… sarebbe una bella sfida ».
« E chi prenderebbe in cura te? »
La voce di Remus li distrasse dalla loro conversazione, ed entrambi si voltarono a fissarlo, l’uno vagamente sorpreso, l’altra palesemente scossa.
I loro sguardi s’incrociarono, e nel suo, lui riuscì a rintracciare solo un profondo smarrimento, e nulla di più.
« Io sono un alcolista moderato » disse Sirius, spezzando di netto la tensione che si era venuta a creare fra loro. « Non ho bisogno di cure ».
Remus sorrise, ma Miley parve non esserne capace, tanto che restò in silenzio, evitando lo sguardo di chiunque.
« Beh » riprese Sirius a quel punto, allontanandosi dalla parete sulla quale era rimasto appoggiato fino ad allora. « Io raggiungo Peter, se non vi dispiace. A differenza mia, non è molto affidabile quando beve un bicchiere di troppo » e andò via, raggiungendo il ragazzo che in effetti pareva già un po’ intontito.
Rimasti soli, Remus e Miley tornarono inevitabilmente a guardarsi, e fu insolito per entrambi non sorridersi o comportarsi com’era sempre stato naturale fra loro, al punto che si domandarono cosa mai avrebbero potuto dire per rompere il ghiaccio. E se Miley non si era affatto aspettata l’arrivo volontario di Remus e non credeva di dover essere la prima a parlare, lui invece aveva così tanto da dire da non avere idea di dove cominciare.
« Credevo che non saresti venuta » le disse allora, incerto. « Scarlett mi aveva lasciato intendere… »
« E’ il suo compleanno » lo interruppe lei, senza neanche badare al fatto che non avesse ancora concluso. « Non potevo perdermelo ».
Lui annuì, studiando la strana espressione sul suo volto senza riuscire a decifrarla.
Non vi era traccia di risentimento in lei, come d’altronde non ve n’era stata nelle sue parole. Malgrado il tono un po’ più brusco del solito, infatti, non era stata fredda, per niente. Ma c’era qualcos’altro… qualcosa che non aveva scovato nei suoi occhi quando l’aveva vista parlare con Sirius, ma che riusciva a intravedere solo in quel momento, mentre lo fissava. Non capì di cosa si trattasse, ma si sentì sollevato nel notare che non lo respingeva. Si era aspettato qualcosa di completamente differente.
« Sirius stava cercando di corromperti, eh? » disse dopo qualche momento di silenzio, e lei, sebbene in maniera vagamente stentata, rise.
« Di aiutarmi, direbbe lui » replicò, guardandolo di sottecchi mentre si riempiva nuovamente il bicchiere di vino elfico.
Remus sorrise e, dopo un attimo di esitazione, afferrò un altro calice e vi versò dentro un po’ d’acqua fresca, porgendoglielo.
« Posso sperare di avere più successo se ti offro anch’io da bere? » le chiese, osservando curioso la sua reazione.
Miley accolse il bicchiere fra le dita, divertita, e il sorriso che gli concesse in cambio fu il gesto più caloroso che avrebbe mai potuto rivolgergli.
« Successo assicurato » ribattè lei, sollevando appena il calice, e lui lo lasciò scontrare dolcemente contro il proprio, ricambiando il sorriso.
Bevvero, così da avere qualche momento per riflettere, lanciandosi un paio d’occhiate in tralice e cercando di capire ognuno il perché dell’atteggiamento dell’altro: Miley si chiedeva come mai Remus le si fosse avvicinato con quella nonchalance, senza accennare a farle delle scuse o a parlare di quanto era successo fra loro, e Remus si chiedeva come mai Miley avesse accettato tutto questo con serenità, mostrandosi, dopotutto, sorridente come sempre. La differenza, però, stava nel fatto che Miley conosceva bene le ragioni del proprio comportamento, mentre Remus non riusciva a comprendere neppure se stesso, e non faceva che domandarsi perché non avesse dato il via a quella conversazione chiedendole perdono per i suoi incomprensibili, ennesimi freschi sbagli.
« Non abbiamo brindato a niente » osservò lei quasi fra sé e sé, gli occhi fissi su un punto imprecisato, e lui la scrutò a lungo.
« Già, hai ragione » rispose, annuendo lentamente. « Ma io non sono mai stato un granché con… gli auspici da brindisi ». Fece una pausa, riflettendo rapidamente. « Appena tre mesi fa avevi brindato a un anno di sincerità, ricordi? Beh… io so per certo che non l’hai ricevuta. Non da me, almeno ».
Tacque, meditabondo, mentre lo sguardo sorpreso di Miley si posava su di lui, intenso e impossibile da schivare.
L’idea del brindisi lo aveva immediatamente ricondotto, con una sconcertante facilità, alla notte di Capodanno che lui e i suoi amici avevano trascorso insieme. E malgrado non ricordasse quasi nulla di ciò che gli altri si erano augurati in vista dei dodici mesi a venire, le parole di Miley si erano impresse nella sua mente come un marchio, forse perché quell’auspicio non era fra i più usuali, o ancora perché, in qualche modo, lo aveva toccato molto da vicino.
Lei, dal canto suo, era rimasta spiazzata dalle sue parole. Il fatto che si fosse ricordato di quel dettaglio tanto insignificante l’aveva stupita, ma ancor di più si era sentita colpita dal suo riferimento così palese alla situazione che stavano vivendo in quel periodo. Forse, finalmente, Remus stava per dirle la verità.
Così si guardarono, e lei non ebbe bisogno di dire nulla. Stava solo aspettando che fosse lui a parlare.
« Io… devo chiederti scusa, Miley » disse Remus alla fine, guardandola negli occhi. « Non ho fatto che sbagliare da quando ti ho chiesto di interrompere le nostre lezioni di Pozioni, e ti ho allontanata senza che avessi fatto nulla per meritarlo. Non ti ho mai spiegato la vera ragione del mio comportamento, ma se hai pensato che potessi avere qualche colpa, credimi, non è affatto così. La colpa è solo mia, mia e di tutti quei tira e molla da cui avrei dovuto preservarti, perché… beh, tu non puoi essere la vittima di tutti i miei problemi. Quelli devo risolverli da solo ».
Fece una pausa, aspettandosi in risposta una raffica di domande, una ferma, definitiva richiesta di precise verità. Ma non ottenne nulla di tutto ciò.
Miley, infatti, pendeva dalle sue labbra, e lo osservava con un misto di curiosità e dolcezza nello sguardo. Sembrava che stesse interiorizzando le sue parole una ad una, perché ci mise un po’ a replicare, e in effetti era proprio ciò che stava facendo. Non si era aspettata che Remus facesse riferimento ai reali problemi che facevano da sfondo ai suoi comportamenti ambigui, né tantomeno che ne ammettesse l’esistenza. L’aveva presa piacevolmente in contropiede, e per la prima volta dopo tanto, tanto tempo, riuscì a nutrire un briciolo di speranza nei confronti del loro futuro che, senza la sua completa sincerità, non avrebbe avuto modo di esistere in nessuna forma immaginabile.
« Non voglio le tue scuse » esordì, pacata. « O meglio, sono felice di averle ricevute, ma… se hai ammesso l’esistenza di un problema che sta alla base di tutto, se sei stato sincero, finalmente, non c’è nulla per cui tu debba scusarti ».
Lui, spiazzato dalla sua immediata comprensione, non riuscì a trovare all’istante le parole per replicare, e Miley, che non aveva smesso nemmeno per un momento di scrutarlo di sottecchi, approfittò del suo silenzio per proseguire.
« Voglio dire, è facile sbagliare quando dentro di noi c’è qualcosa che non va, e ancor di più quando… beh, quando non possiamo spiegare la ragione dei nostri errori » riprese infatti, fissandolo con sicurezza e titubanza allo stesso tempo. Voleva scegliere con cura le parole da rivolgergli. « Tutto si complica, no? Ma è per questo che credo che… anche se in quei momenti dire la verità sembra la cosa più difficile, in realtà rende tutto molto più semplice. Ci libera, in un certo senso... non credi? »
Remus aprì la bocca per parlare, ma la richiuse lentamente, guardando Miley con spaventosa intensità.
Era stata capace di cogliere l’essenza del suo logorante turbamento con una perspicacia tale da congelarlo sul posto. Era senza parole, non riusciva a pensare a niente che non fosse ciò che aveva appena udito, e per un folle momento si ritrovò a chiedersi se, chissà in che modo, Miley avesse potuto scoprire la verità da sola. Ma scacciò quel pensiero con estrema facilità, dandosi dello sciocco: era impossibile che avesse capito tutto, perdipiù in così poco tempo. Non gli avrebbe mai parlato in quel modo, se avesse saputo ciò che era davvero. Non avrebbe mai potuto accettarlo così serenamente.
« Io… vorrei poterci credere fino in fondo » mormorò infine, tentando di reggere il suo sguardo. « A volte… a volte non è semplice capire se dire la verità è una buona idea. Per te, per gli altri… »
« Non è semplice soprattutto quando non si capisce se questa verità non si può dire o non si vuole dire » ribattè, cogliendo la sua frase lasciata in sospeso per proseguire. « Io non so quale sia la tua situazione ».
Anche Remus cercò di capirlo, riflettendo su come si sentiva all’idea di svelarle la natura della propria condizione, il suo angustiante segreto.
« E’ un po’… è un po’ entrambe le cose » risolse dopo qualche momento, certo di aver detto ciò che davvero pensava. « Ma per tutto questo tempo ho cercato di capire se si trattasse dell’una o l’altra cosa, senza riuscirci, quindi… adesso mi sono reso conto di quanto… di quanto poco importa quello che voglio o posso io nel momento in cui ci sono in ballo altre persone. Non si tratta solo di me, e a questo punto non potevo far altro che scegliere, se dirti la verità o… » Tacque per un istante, guardandola. « … o, beh, lasciare le cose com’erano. E ho scelto di raccontarti tutto perché lo meriti, ma anche perché non volevo che succedesse. Non volevo lasciare le cose a metà, senza spiegarti… e voglio solo che tu mi conosca per quello che sono ».
Miley lo osservò incantata, annuendo impercettibilmente, e un angolo delle sue labbra si piegò appena in un amabile sorriso.
Tanto bastò a far sentire Remus improvvisamente immerso in un lago di pace e di calore, sensazioni che si impossessarono di lui al punto tale da distendere il suo volto teso e cupo in un’espressione impregnata di una nuova, temporanea e sconosciuta calma. E a questo ingorgo di pacifiche emozioni, appena un istante dopo, si sommò una piacevole stretta allo stomaco quando Miley, senza neppure rendersi pienamente conto di ciò che stava facendo, si avvicinò di un passo per stringergli appena le braccia intorno al collo. Fu una tensione gradevole, quella che Remus sentì agitarsi dentro di sé, ben presto danneggiata dal furioso ritorno sul campo di battaglia oramai apparentemente tranquillo di un fiotto di paura che non riuscì a cacciare via: la paura che quella potesse essere l’ultima testimonianza di un affetto che forse sarebbe sfociato nel disprezzo; la paura che quello potesse essere il loro ultimo abbraccio, la sua ultima occasione per sentirsi bene fra le braccia di qualcuno, fra le sue braccia, che sempre erano state capaci di assorbire le tenebre del suo essere spaccato a metà e di ricucire in un luminoso intreccio ciò che di bello dimorava in entrambi.
Era così stanco di dover sempre avere bisogno di seconde possibilità… Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di poter diventare capace di fare la scelta giusta, quella che credeva di aver appena compiuto, ma di cui non poteva essere assolutamente certo… anche solo per quell’unica volta.
Strinse a sé Miley con forza, una forza bisognosa di appoggio, e un attimo prima che lei si allontanasse si rese conto che, comunque sarebbe andata, di quell’abbraccio avrebbe ricordato sempre e solo una cosa, soltanto una delle numerosissime emozioni che aveva avvertito: la speranza. Perché, che decidesse di abbandonarlo o meno, era quella l’idea che avrebbe sempre associato al ricordo dei suoi verdi occhi bambini, e questo era splendido. Difatti, non c’è nulla di più bello per un condannato che incontrare i raggi del sole quando occhi e cuore sono ormai volti a terra. E lui, che condannato lo era sempre stato, su quei raggi di sole aveva costruito la sua intera vita e tracciato le tappe del proprio percorso.
« Ehilà… scusate tanto il disturbo, non vorrei interrompere il vostro idillio, ma… tocca anche a voi, gente, dobbiamo scattarci una foto! »
James irruppe in scena all’improvviso, quasi fosse apparso dal nulla, con Alice che gli trotterellava dietro in compagnia della sua fidata macchina fotografica. I due avevano da poco dato il via al tour intorno alla Sala Comune, con l’intento di immortalare il festeggiato insieme ad ogni singolo presente, e scatto dopo scatto, James pareva entusiasmarsi sempre più, cosa che Miley e Remus notarono immediatamente e che li indusse a scambiarsi uno sguardo divertito.
« Allora, l’impostazione della foto è la seguente » esordì James, sollevando le mani come chi si prepara a dare direttive. « Tu, Miley, starai al centro. E sposta un po’ quei capelli, è assurdo che tu e tua sorella teniate sempre gli occhi nascosti… mentre tu, amico… »
« Alice, scatta, per favore » lo interruppe Remus, alzando gli occhi al cielo, e il ragazzo lo fissò, disgustato dal suo atteggiamento poco collaborativo.
Proprio quando si trovò sul punto di replicare con veemenza, però, il sonoro clic della macchina fotografica di Alice li colse tutti impreparati.
« Non ero pronto! » protestò allora James, riversando su di lei la propria rabbia, ma l’amica si mostrò indifferente e si strinse nelle spalle.
« Non m’importa » replicò con la massima calma. « Non ballo già da un quarto d’ora, la pista mi reclama a gran voce. E poi dovresti anche pagarmi ».
Lui scosse il capo con costernazione, senza riuscire a capacitarsi dell’inettitudine e dell’arroganza della propria collaboratrice.
« Non ci si può mai affidare a nessuno, maledetto Salazar… » borbottò, seccato. « Su, da’ qua. Cercherò un aiutante più efficiente ».
Alice scoppiò in una risatina di scherno e tenne stretta a sé la sua preziosa macchina fotografica, facendo indispettire James ancora di più.
« Col cavolo che ti do la mia piccolina! » ribattè, ferma sulle sue posizioni. « Cercami fra un’ora, forse sarò di nuovo disponibile, se mi chiederai scusa ».
E con queste parole si congedò, allontanandosi a passo deciso sui vertiginosi tacchi a spillo e lasciando James irrimediabilmente basito.
Guardò i due amici in cerca di conforto, ma loro scrollarono le spalle contemporaneamente con una vaga aria dispiaciuta.
« Ritorno più tardi per una foto decente, allora » mormorò, un po’ afflitto, e andò via trascinando i piedi, mentre Remus e Miley ridevano di cuore.
Trascorsero insieme gran parte della serata, approfittando della comune allergia al ballo, mentre la festa procedeva senza intoppi.
Tutti si stavano divertendo da matti proprio come James aveva sapientemente previsto, e dopo più di un’ora, l’allegria e la spensieratezza erano divenute assolutamente contagiose: al centro della stanza erano ormai in moltissimi a ballare instancabilmente, complici l’assoluta frenesia che regnava nella piccola Sala Comune e l’alto tasso di alcool che buona parte dei presenti poteva vantare nel proprio corpo; tutto il cibo proveniente dalle cucine era sparito in un batter d’occhio, mentre due bottiglie superstiti di Ogden Stravecchio attendevano ancora di essere svuotate (Sirius le aveva puntate con straordinaria insistenza); un ragazzo del quarto anno, particolarmente preso da una movimentata canzone che lo aveva spinto a lanciarsi forsennatamente in pista, aveva osato demolire per errore una delle varie decorazioni allestite da Alice, onta alla quale la ragazza aveva replicato con durezza, costringendo il povero malcapitato all’esilio in Dormitorio; Peter, invece, aveva scoperto a suo discapito un nuovo e parecchio diffuso effetto che l’alcool gli provocava - oltre al solito, inarrestabile attacco di nausea, s’intende -, ovvero l’euforia, e si era così dato al canto finché Remus, impietosito, non era intervenuto per trarlo in salvo dall’umiliazione pubblica a cui si stava sottoponendo e per la quale avrebbe sicuramente pagato dazio il giorno dopo; la radio era impazzita per dieci minuti buoni, facendo esplodere la testa a tutti quanti, e l’intervento di Simon Phelps, appassionato di quel genere di aggeggi, si era dimostrato provvidenziale; James, come aveva anticipato agli amici, aveva dedicato il brano Amazing Eyes a Lily, stonando quasi tutte le note, anche le più elementari, e il risultato della sua brillante pensata era stato innanzitutto la rabbia di Lily, che aveva tentato in tutti i modi di mascherare l’imbarazzo, e solo alla fine del pezzo il suo conseguente tentativo di ucciderlo, da cui James, dopo numerose peripezie, era riuscito a fuggire grazie all’aiuto dei suoi Battitori, gli unici in grado di arrestare la furia altrimenti incontrollabile della ragazza; Alan aveva rischiato di danneggiare gravemente il proprio femore andando a sbattere con violenza contro il tavolo nel tentativo di attirare l’attenzione di un paio di ragazze attraverso un’abile – ma evidentemente non poi così tanto – mossa di ballo; infine, un ragazzo corpulento e solitario del sesto anno, sceso dal proprio Dormitorio quasi un’ora dopo l’inizio della festa e, a quanto pareva, uno dei pochissimi a non essere venuto a conoscenza del fidanzamento di James e Lily, aveva tentato di approcciarsi affabilmente a quest’ultima che, preoccupata all’idea di un possibile e irruento intervento di James, gli aveva lasciato intendere con chiarezza la propria situazione sentimentale, tanto che lui, compresa la faccenda, aveva deciso di dedicare la propria attenzione ad Emmeline.
Ebbene, così era andata avanti la festa fino a quel momento, e nessuno pareva avere intenzione di farla terminare troppo presto.
Prima fra tutti Alice che, entusiasmata dalla buona riuscita di tutti i preparativi, era impegnata a discutere con Frank, nel corso di un secondo ballo lento, delle proprie opinioni in merito alla faccenda.
« Certo, ci sarebbe voluto più cibo » stava dicendo, storcendo il naso. « O meno gente ingorda, un’opzione vale l’altra ».
Frank la studiò attentamente, le sopracciglia inarcate.
« Questo significherebbe che non saresti dovuta venire » osò replicare, sorprendentemente spavaldo ma in tono come sempre pacato, e lei si mostrò profondamente indispettita.
« Doveva esserci più cibo, punto » ribattè, mettendo fine alla questione. « E sei un gran mascalzone, oltre che un ipocrita. Ti ho visto, prima, insieme a quel Black… stavate banchettando allegramente e non avete lasciato neanche una briciola. Che vergogna » concluse, sprezzante.
Il ragazzo cercò di difendersi. Com’era prevedibile, stava scontando il caro prezzo della propria indesiderata audacia.
« Io ho solo bevuto un goccetto di Ogden, non so di che cosa tu stia parlando e non sono responsabile delle tue allucinazioni » fu la sua secca risposta.
Questo insulso tentativo di replica, però, non convinse minimamente Alice, che alzò gli occhi al cielo e scosse il capo, irritata.
« Sei ancor più disonesto del tuo compagno di bevute, allora, altroché… » rispose, sinceramente offesa e infastidita.
Lui rise, trovando incredibilmente buffa l’estrema serietà con la quale aveva accolto la sua battuta, e la strinse più forte a sé, continuando a muoversi lentamente sul posto e riuscendo subito a farla sciogliere, finché non la sentì ridere a sua volta.
« Seriamente, riesci a sentire il mio stomaco che brontola? » chiese, mentre quest’ultimo, prontamente, confermava le sue parole.
« No, sai, forse dovremmo ballare un po’ più vicini… » fece lui con un sorriso che la diceva lunga, e Alice, divertita, ottemperò alla sua richiesta. « E comunque tra un minuto la pianterà. Sapevo che ti sarebbe venuta fame, ci avrei messo la mano sul fuoco, così ti ho tenuto da parte un enorme dolce pieno di panna. Laggiù c’è Sirius che fa da sentinella. Allora, sono perdonato? » domandò infine, allegramente speranzoso.
Lei per poco non fece i salti di gioia, e gli scoccò un sonoro bacio sulle labbra per ricompensarlo del suo adorabile gesto.
« Assolto da tutte le accuse » rispose, sorridendo radiosa. « E… beh, a questo punto non c’è motivo di far aspettare ancora Sirius, no? »
« Oh, adesso quel Black è diventato Sirius? » la canzonò immediatamente Frank, che aveva colto quel sostanziale salto di qualità.
Alice agitò una mano a mezz’aria e, approfittando della fine della canzone in corso, lo costrinse a seguirla in direzione del tavolo accostato alla parete, zona controllata a vista da Sirius che, nelle vesti di guardia del prezioso tesoro di Alice, aveva appena salutato Alan in seguito a un breve scambio di battute con cui aveva potuto accertarsi delle condizioni di salute della sua gamba infortunata.
« E non scolarti anche quell’altra bottiglia, amico, a mezzanotte abbiamo un brindisi da fare! » gli fece il ragazzo prima di allontanarsi.
« Contaci! » replicò Sirius, ridendo, e dopo un istante vide il suo groviglio di ricci sparire tra la folla, mentre Alice e Frank lo raggiungevano.
« Dov’è? » chiese subito la ragazza, candidamente, e cominciò a smantellare la tavola con lo sguardo alla ricerca del suo dolce.
Per Sirius non fu affatto difficile immaginare a che cosa alludesse con quella precisa domanda.
« Dietro a quelle bottiglie » rispose infatti, facendo un vago cenno verso destra. « Nessuno oserebbe toccarle finché ci sono io nei paraggi ».
Frank sorrise, osservando la fidanzata che si avventava avidamente sul dolce, poi gli battè una pacca sulla spalla e si allontanò insieme ad Alice che - lui lo sapeva bene - non era minimamente capace di mangiare qualcosa quando non stava seduta, e ancor di più quando i suoi piedi calzavano un paio di tacchi alti quasi quindici centimetri, proprio come quella sera.
Sirius, così, rimase da solo, il capo chino a fissarsi le scarpe, la vista inframmezzata da ciocche di capelli neri che oscillavano intorno al suo viso. La festa non gli stava dispiacendo, e aveva trascorso gran parte del tempo a scherzare e conversare con i compagni e amici Grifondoro, ma, mentre nel corso delle feste passate aveva sempre potuto contare su Remus, nemico del ballo tanto quanto lui, quella sera aveva dovuto fare a meno della sua presenza (per quanto spesso sapesse essere crudele e irritante, non si sarebbe mai permesso di sottrarlo alla compagnia di Miley) e, più di una volta, si era ritrovato da solo a bere accanto al tavolo o comodamente seduto sul divano a osservare la gente intorno a sé.
Si versò altro Whisky, pensando di ritornare a stendere un po’ le gambe su una delle poltrone dall’altra parte della stanza, ma quando sollevò lo sguardo si accorse di Scarlett, impegnata a ballare a un paio di metri da lui in compagnia di Lily e di un’altra ragazza dal viso affabile e un bel taglio maschile.
Bevve un sorso della forte bevanda, e quasi senza rendersene conto, ben presto si ritrovò a riflettere sulla loro situazione attuale e, anche e soprattutto per lui, ancora piuttosto incomprensibile.
In quell’ultimo periodo, un palese riavvicinamento aveva preso timidamente spunto dal loro incontro in Biblioteca per sbocciare definitivamente, spalancandosi dinnanzi agli occhi di tutti. Giorno dopo giorno, si erano ritrovati ad incontrarsi e a chiacchierare sempre più spesso, con la solita complicità, e proprio com’era accaduto mesi addietro, le casuali occasioni per farlo si erano progressivamente moltiplicate, quasi fosse la loro inconscia volontà a determinare il ripetersi di quelle quotidiane opportunità. E Sirius non poteva in alcun modo negare che ciò gli facesse incredibilmente piacere.  Aveva trascorso giorni, dopo quel pomeriggio in Biblioteca, a cercare e ricercare quella rabbia che – ne era sicuro – era rimasta dentro di lui anche dopo il loro acceso confronto in Sala Comune, quella rabbia che gli aveva impedito di concederle subito un’occasione per ricominciare e che lo aveva allontanato da lei persino dopo tutto quello che si erano detti per avvicinarsi di nuovo. Non era pronto ad accettare che non fosse rimasto neanche un briciolo di risentimento in lui, eppure non riusciva a rintracciarne più l’essenza, ed era proprio questo che più di tutto lo mandava fuori di testa, perché si conosceva bene, e se c’era qualcosa che era davvero incapace di fare con facilità, quello era sicuramente perdonare. Se questo era assolutamente vero, però, era altrettanto vero che Sirius Black aveva perso molti dei suoi difetti da quando Scarlett Banks era entrata nella sua vita, e anche se non se ne rendeva ancora conto, probabilmente covare rancore sempre e incondizionatamente era uno di quelli che per buona misura lo avevano abbandonato.
Si sentiva nuovamente leggero, insieme a lei, forse perché era stanco di provare il contrario, forse perché tutto quello che Scarlett gli aveva detto e il nuovo ardore con cui si era ripresentata dinnanzi ai suoi occhi avevano fatto breccia su di lui molto più di quanto volesse ammettere, o forse perché inconsciamente sapeva che Scarlett non era stata l’unica ad ingigantire quella situazione, ad ogni modo le ragioni per non desiderare che tutto quello che stava succedendo fra loro accadesse davvero si erano sciolte insieme alla sua freddezza, e allora a che pro continuare a sbandierarla con tanta ipocrisia? Farlo non avrebbe giovato a nessuno dei due.
Si era reso facilmente conto dell’estrema naturalezza con cui gli eventi stavano facendo il loro corso, ma ancora non riusciva ad essere tanto lungimirante da comprendere e vedere ciò a cui quel nuovo percorso avrebbe portato. Insieme stavano bene, e nessuno, guardandoli, avrebbe potuto credere che qualcosa fosse cambiato, tra di loro. Ma Sirius, senza riuscire ad evitarlo, continuava a domandarsi se tutto questo fosse vero.
Lo fece anche in quel momento, mentre la guardava ballare, ma il potente zampillo di speranza di trovare una risposta non fu sufficiente a fargliela ottenere. Voleva davvero fidarsi di Scarlett nuovamente; tuttavia, i suoi dubbi erano duri a piegarsi. Attendeva un calcio furioso che li stroncasse in un solo colpo, ma definitivamente.
Immerso in quei pensieri, si distrasse solo quando vide Scarlett avvicinarsi, l’aria solo vagamente stanca e i capelli ancor più vaporosi rispetto a prima. Quando lo vide sorrise appena, e giunta al tavolo, si servì un bicchiere di Acquaviola prima di ricominciare a guardarlo, mentre lui non aveva distolto lo sguardo da lei neppure per un secondo, sebbene con opportuna discrezione.
« Sei una noia, Black » furono le prime parole di Scarlett, e bevve un primo sorso d’Acquaviola. « Non ti facevo così passivo alle feste ».
Lui accennò un ghigno, cogliendo il guizzo divertito nei suoi occhi, e sorseggiò anche lui il suo Whisky.
« Ciao anche a te, Banks » replicò, sardonico, e il sorriso della ragazza si fece più largo, le labbra che premevano sul vetro del bicchiere.
« Da quando ti soffermi sulle formalità? » gli chiese, poggiando il bicchiere vuoto sul ripiano del tavolo alle sue spalle. « Seriamente, mi dispiacerebbe sapere che non ti stai affatto divertendo. Avresti preferito un… non so, una sfida di bevute all’ultimo sangue? » continuò a provocarlo.
Sirius si strinse nelle spalle, prendendo in considerazione la sua proposta.
« E’ un’idea » rispose infine con fare tranquillo. « Sempre meglio di stare a guardare per ore degli… arti che si agitano in maniera inconsulta ».
Lei scosse il capo, lanciando uno sguardo alla massa di corpi che si dimenavano al centro della stanza, e rise.
« Eppure ricordo perfettamente di aver ballato con te, la notte di Capodanno » gli disse, incrociando le braccia al petto. « O si trattava di un tuo sosia? »
Lo vide degustare con calma l’ennesimo sorso di Whisky e prendersi tutto il tempo per rispondere, com’era suo solito fare.
« Ah, no, per carità, ero sicuramente io » rispose poi, serio. « Ma non crederai che stessi veramente ballando… era un’illusione ottica, Banks, quelle luci babbane danno un po’ alla testa. Sono certo di non essermi mosso di un centimetro » concluse, rivolgendole un fugace sorriso.
Scarlett annuì lentamente e ripetutamente, fingendosi piacevolmente colpita da quella rivelazione.
« Beh, è un peccato » rispose poi, simulando un sincero dispiacere e rivolgendogli un sorriso complice. « Insomma, per questa tua avversione non ci siamo incrociati per tutta la festa, e stai pur certo che non ho intenzione di ubriacarmi solo per trascorrere un po’ di tempo con te ».
Lui non parve in alcun modo ferito da quella affermazione, anzi sorrise, mostrandosi assolutamente concorde con lei.
« Oh, non mi sognerei mai di allontanarti dal tuo habitat naturale » ribattè prontamente. « Tu stai bene dove stai ».
Scarlett inarcò un sopracciglio, sorpresa e al tempo stesso incuriosita dal suo velato complimento.
« Davvero? » ribattè tendenziosamente, fissandolo intensamente. « Non eravamo tutti quanti una… massa di arti che si agitano in maniera inconsulta? »
I loro occhi si scontrarono, e nessuno dei due accennò a voler distogliere lo sguardo dall’altro neanche quando furono passati parecchi istanti.
« Non tutti, no » rettificò Sirius con la massima compostezza. « Insomma, non è un mistero che non mi dispiaccia guardarti ballare, Banks ».
Lei assunse un’espressione furba e vagamente colpita, ma si sforzò di non ostentare la benché minima aria compiaciuta.
« Beh, in tal caso dovresti cominciare a guardare un po’ meno e fare pratica un po’ di più, non ti pare? » gli propose, sistemandosi i capelli.
« Non rientra esattamente fra le mie priorità, a dire il vero » ribattè lui, sincero. « E poi so riconoscere i miei limiti… a differenza di altri ».
Fece un breve cenno col mento in direzione di un ballerino improvvisato che, passando proprio di fronte a loro, stava esibendosi in una serie di accentuati e alquanto discutibili movimenti pelvici che avevano già lasciato a bocca aperta un paio di ragazzine scandalizzate poco distanti da loro.
Quando anche Scarlett ebbe superato il comprensibile e immediato shock, scoppiò a ridere sonoramente, con Sirius che le venne subito dietro.
« Con ciò dovrei pensare che potresti fare peggio di così? » gli domandò, volutamente provocatoria.
Lui continuò a ridere, la sua tipica, contagiosa risata simile a un latrato.
« E’ probabile! » rispose in tono divertito.
« Ah, ma dài, mi rifiuto di crederci! » disse invece Scarlett, che ancora rideva. « Sono fermamente convinta che la propensione al ballo alberghi dentro ognuno di noi. E’ solo che in alcuni è più nascosta rispetto ad altri, quindi… basta semplicemente tirarla fuori » concluse, sollevando le spalle.
Si guardarono, lei allegra, lui educatamente perplesso, almeno finché le sue labbra non si arricciarono appena, quasi impercettibilmente.
« Potresti insegnarmelo tu ».
Si scrutarono per parecchi istanti, e lei accennò un sorriso stuzzicante, inclinando il capo per studiare con maggiore attenzione l’espressione che modellava i tratti del suo viso. Poi, senza una parola, gli strinse il polso fra le dita e lo condusse al centro della stanza.
Già sapeva che sarebbe stato un viaggio senza ritorno. Già sapeva che avrebbe finito per perdersi in lui, e lui in lei. Già sapeva che avrebbero perso il controllo. Già sapeva che non si sarebbe fermata.
Le dita si intrecciarono sulla sua nuca scoperta ed entrambi cominciarono a muoversi simultaneamente, lei sciolta, lui ancora bloccato. C’era qualcosa di insolito nelle sue movenze impacciate, quello non era il suo atteggiamento usuale, ma vederlo un po’ in difficoltà la divertì, anche se non lo diede a vedere.
« Avanti » lo esortò, facendoglisi un po’ più vicina. « Rilassati ».
Lui, inizialmente, avvertì le sue parole più come una mezza presa in giro da parte sua che come un reale consiglio, così la fissò, sollevando le sopracciglia a mo’ di avvertimento, facendole intendere che stava approfittando della sua pazienza.
« Immagina di essere sulla tua moto » lo esortò invece lei, ridendo piano. « La rigidità non aiuta per niente, devi solo scaldarti e lasciarti andare. Non è poi così diverso, non credi? »
Sirius riflettè su quel paragone apparentemente azzardato, ma si ritrovò ad ammettere che, posta in quella maniera, i suoi suggerimenti gli apparvero decisamente più comprensibili. Così accolse le sue parole come una sfida, e decise di mettere in pratica la sua sollecitazione, poggiandole le mani sui fianchi per far sì che a separare i loro corpi rimanesse soltanto una sottile striscia d’aria carica di tensione.
Mossa calcolata, la sua. Desiderava scoprire se potesse essere lei ad annullare quel minimo distacco che li teneva divisi, ma forse sarebbe andato perso senza che nessuno dei due si rendesse conto di come era successo.
Lei lo fissò, e Sirius riscoprì con gioia i suoi occhi grandi che, così da vicino, parevano più ammalianti che mai.
« In verità pensavo peggio, sai? » scherzò lei dopo un po’. « Credevo di averti colto completamente impreparato ».
Lo vide sorridere, e subito capì che aveva la risposta pronta, come sempre.
« Questo non succederà mai » ribattè infatti, mostrandosi sicuro di sé. « Ormai dovresti averlo imparato ».
Scarlett gli rivolse un’occhiata incredula e diffidente, continuando a muoversi e mantenendo la lieve distanza che impediva ai loro corpi di toccarsi.
« Ne sei tanto sicuro? » gli chiese, punzecchiandolo. « Avresti dovuto vederti un minuto fa, allora. Non l’avresti pensata in questo modo ».
« Ah, sì? » fu la tempestiva replica di Sirius, che parve altrettanto dubbioso. « Beh, sarà stata un’altra illusione ottica. Non sono per niente impreparato ».
E a conferma delle proprie parole, fu lui ad annientare quel velo di nulla per stringersi a lei, una mano premuta sulla sua schiena, ma senza prepotenza.
Scarlett, dal canto suo, non rimase indifferente a quel contatto. Avvertì distintamente un moto di entusiasmi sbatacchiare dentro di sé, per poi placarsi gradualmente, in contrasto con la brutalità che aveva contraddistinto la sua partenza. Non era stato solo il gesto di Sirius ad aizzare quelle sensazioni, ma piuttosto il coinvolgimento con cui l’aveva attirata a sé. Le aveva ricordato tutte le volte in cui, in passato, aveva desiderato tenerla vicina.
« Adesso non montarti la testa, ti stai solo muovendo su due piedi » gli fece presente con fare giocoso, riprendendo il controllo.
« Non mi hai chiesto una coreografia, Banks » disse a quel punto lui. « Mi hai solo chiesto di lasciarmi andare… e io lo sto facendo ».
Lei sollevò le sopracciglia, fissandolo insistentemente, ma il suo volto non fece una piega. Era in attesa di una replica.
« Ti sei messo a obbedire ai miei ordini, Black? » chiese allora Scarlett, curiosa di scoprire che cosa avrebbe risposto.
« Non era un ordine, era una richiesta » la corresse immediatamente lui, inducendola a riformulare il quesito.
« Ti sei messo a obbedire alle mie richieste, Black? »
« Solo quando corrispondono alle mie » risolse Sirius con prontezza e noncuranza, quegli atteggiamenti che tanto innervosivano chiunque si intrattenesse a confrontarsi con lui. Quegli atteggiamenti che tanto innervosivano Scarlett, malgrado in fondo riuscissero anche a divertirla.
« Non succede spesso » riflettè, inchiodando gli occhi ai suoi, e lui non si ritrasse, ma lasciò che il loro vigore continuasse a nutrirli.
« Sta succedendo » rispose con semplicità, e Scarlett non potè che pensare che avesse pienamente ragione.
Stava succedendo. Stava succedendo perché entrambi desideravano la stessa cosa, e intimamente, l’avevano sempre saputo. Desideravano lasciare che errori e intrusi e urla diventassero nulla di più importante di un insignificante ieri. Desideravano che oggi fosse il momento della svolta, e non una di quelle giornate che si agganciano alle precedenti in una catena di tempo sprecato, di tempo prezioso che si dimentica, si rimpiange e si odia. Desideravano che domani fosse quel breve, felice momento in cui ci si sente soddisfatti del rischio che si è corsi, di un sogno che è finalmente ormeggiato al porto. Quel raro momento in cui non ci si pente di nulla, e la gioia si può afferrare a mani nude. Ma si trovavano immersi in un fiume turbinoso di cui non potevano comandare la corrente, e per quanto si sforzassero di rimanere ancorati l’uno all’altra in attesa della fine di quella tempesta, non riuscivano a intravederne la foce; un torrente che li aveva travolti e che avrebbe potuto dividerli o ricongiungerli, senza dover mai chiedere loro alcunché.
Si strinsero le mani, la destra di lui sulla sinistra di lei, guardandosi negli occhi, cullandosi. Poi lui fece una cosa che la sorprese e la divertì: senza preavviso, la afferrò per un polso e la fece roteare su se stessa in un mezzo giro, così da farla atterrare con la schiena contro il suo petto, le loro braccia intrecciate. Per un po’, sorridendo appena, dondolarono sul posto senza curarsi di nulla. Lei, che teneva il capo sulla sua spalla, riusciva a intravedere il suo profilo concentrato, lui, che avvertiva il suo calore attraverso il tessuto dei propri vestiti, la osservava, attento e silenzioso.
Era da tempo che non si ritrovavano così vicini. Non c’era stato nessun contatto minimamente rilevante, fra loro, da quando avevano cominciato a riavvicinarsi. Al contrario, prima che si mettessero insieme, erano state numerose le volte in cui si erano ritrovati a un passo l’uno dall’altra, a condividere gesti significativi, vibrazioni elettrizzanti e respiri mozzati. Adesso stavano procedendo con maggiore cautela, ma non avevano per nulla fatto fatica a ritrovare quella fiamma che li aveva attirati così fervidamente in passato, forse perché non aveva mai esaurito la propria vigoria.
Quando si guardarono, riuscirono a intravederlo distintamente nei propri occhi, quel desiderio che non si era mai separato da loro. Era lì, scalpitava, si divincolava in quell’agglomerato caotico di sentimenti che, alla sua stessa stregua, erano risorti in un getto prorompente, proprio come accade a ciò che per troppo tempo viene tenuto intrappolato, compresso, e che al minimo tocco finisce per esplodere.
Catturati da quell’incantesimo, fecero fatica a distanziarsi quando il brano che aveva fatto da sottofondo al loro ballo giunse al termine. Si allontanarono lentamente, e subito tornarono a guardarsi negli occhi, quasi non potessero proprio farne a meno.
« Non è stato così difficile, allora » soffiò lei alla fine con un mezzo sorriso.
Lui inclinò il capo, scrutandola, e ricambiò il suo piccolo gesto.
« No » rispose dopo un attimo. « Non lo è stato affatto ».
Perché, che stessero parlando semplicemente del loro ballo o di qualcosa di più profondo, era vero: recuperare se stessi e lasciarsi andare era stato quanto di più naturale avrebbero mai potuto immaginare.
Riflettendo su questo, Sirius fece un passo indietro, sfiorandole il braccio prima di allontanarsi, inizialmente senza una meta ben precisa.
Dopo qualche momento, però, vide che, sul divano di fronte a sé, stava comodamente seduto James. Istintivamente, si chiese quale apocalittico evento avesse potuto indurlo ad arrestarsi, dopo un’intera serata di balli ininterrotti.
« Amico, eccoti, finalmente! » lo accolse, battendo il palmo della mano sul posto a sedere accanto a sé. « Per la miseria, non mi ricordavo nemmeno più che faccia avessi, dove diavolo sei stato tutta la sera? Persino Lunastorta si è fatto vedere più di te! »
Lui si abbandonò sul divano a braccia spalancate e diede uno sguardo alla stanza, incrociando le gambe.
« Avevo bisogno di starti lontano per un po’, dopo aver perso mezz’ora a farmi fotografare insieme a te » rispose, lanciandogli un’occhiata obliqua.
James, infatti, aveva preteso che i Malandrini si prestassero al triplo delle foto rispetto a quelle che aveva richiesto a tutti gli altri, e questo supplizio era costato ai tre, vittime del suo volere da festeggiato, un mucchio di tempo prezioso che avrebbero preferito trascorrere in tutt’altro modo, soprattutto a causa delle pose assurde che James li aveva costretti ad assumere e che solo e soltanto lui trovava creative e assolutamente geniali.
« Quanto la fai lunga, è stato divertente! » lo rimbrottò James, disapprovando la sua mancanza di entusiasmo. « Al nostro primo anno eri sempre tu a proporre foto su foto, adesso cos’è, hai una specie di rigetto solo perché con la pubertà ti sei imbruttito? E poi, pensaci, tra vent’anni, quando tu sarai un latitante ed io un Auror di successo che ti darà la caccia, saranno l’unica cosa che mi farà ricordare che un tempo eri stata una persona sana. Più o meno » aggiunse in fretta, riflettendo sull’effettivo stato mentale di Sirius relativo a quel periodo.
Dapprima, lui lo fissò, palesemente freddato dalle sue idiozie a cui ancora, dopo ben sette anni di amicizia, faceva sinceramente fatica ad abituarsi, poi esplose in una fragorosa risata che James si ritrovò immediatamente ad imitare.
« Cos’abbiamo, noi? Diciott’anni? » fece quest’ultimo dopo un po’, mentre ancora ridevano, e l’altro gettò indietro il capo.
« Dev’esserci un errore! » rispose, un braccio abbandonato sulla spalla di James. « Non so se sia più assurdo festeggiare i tuoi diciott’anni oggi o aver festeggiato i miei un mese fa ».
Fecero fatica a riprendersi dal flusso di risate che, anche dopo parecchi istanti, non aveva accennato ad arrestarsi. A volte, succedeva così, fra loro: cominciavano a ridere per una banalissima sciocchezza e non riuscivano più a smettere. Solito comportamento idiota tra amici.
« Fottutissimo Godric… ho bisogno di un po’ d’acqua » sospirò alla fine Sirius, una volta che furono riusciti a calmarsi, e James strabuzzò gli occhi.
« Di un po’ d’acqua? » ripetè in tono incredulo. « E da quando sai bere anche acqua? Hai passato tutta la serata a svuotare bottiglie di Whisky… »
« Ah, ma è una fissazione! » esclamò l’altro, voltandosi a fissarlo a sua volta. « E tu hai passato tutta la serata a ballare e saltare come un idiota, e allora? Qual è il problema? » gli chiese, riferendosi al loro assai differente modo di divertirsi a quel genere di feste.
Stranamente, però, James assunse un’aria malandrina e lo guardò per qualche secondo prima di replicare.
« Sai, non mi sembrava che ballare ti dispiacesse tanto, appena cinque minuti fa… » disse, apparentemente vago, ma un ghigno si era dipinto sul suo volto.
Sirius, che aveva finalmente compreso il motivo della sua inquietante espressione, rise, scuotendo il capo con incredulità.
« Tu e Lunastorta non sapete far altro che spiare, eh? » gli fece, divertito. « Ricordami di regalare a Peter una scatola di Cioccorane per ringraziarlo della sua sacrosanta discrezione. Che Merlino benedica quel ratto » concluse, alzando gli occhi al cielo per invocare il suddetto mago defunto.
L’amico rise, ammirando la sua capacità di eludere discorsi a lui poco graditi.
« Non cambiare argomento » lo ammonì infatti, continuando a sorridere beffardo. « E piuttosto, dimmi se non ti viene da ridere ripensando a quella volta in cui mi dicevi che per te Scarlett era un capitolo chiuso. Dài, dillo. Sei ridicolo da far paura o no? » e cominciò nuovamente a sghignazzare senza ritegno.
Sirius lo squadrò con educata perplessità, ma l’accenno di un sorriso solleticò anche le sue labbra mentre lo guardava ridere.
« Cavoli, la Prewett sarà anche la regina del gossip, ma tu fai da imperatore, amico » gli fece, fingendosi colpito. « E comunque, per la cronaca, io e la Banks non siamo tornati insieme e non mi risulta che lo faremo a breve. Puoi aggiornare la stampa, è una dichiarazione ufficiale ».
James si strinse nelle spalle, e credette alle sue parole in maniera fortemente relativa. Sirius non era per niente una fonte attendibile.
« Ah, beh, se non ti risulta… » disse, ironico, facendo come se la conversazione fosse chiusa così da renderlo contento.
Si scambiarono un’occhiata, entrambi divertiti, poi, quando distolsero lo sguardo, videro Lily che si faceva vicina a loro.
« Ciao, festeggiato. Ciao, amico del festeggiato » salutò, allegra. « Non è che avreste un posticino per me? Sono stanca da morire e su quelle poltrone c’è uno stormo di cornacchie che sputano veleno su ogni singola persona presente in questa stanza » e così dicendo, alzò gli occhi al cielo.
James si fece subito da parte, compensando lo sforzo nullo di Sirius che non si era spostato neppure di un millimetro, e lei si sedette, sospirando.
« Grazie infinite, Black » disse, amabile, e accavallò le gambe, slacciando il cinturino di una delle sue scarpe per massaggiare il tallone indolenzito.
« Dovere, chérie » rispose lui, accennando un mezzo sorriso. « Ma dimmi, se voi ragazze vi ostinate ad andare in giro con quelle, perché dovrei impietosirmi, Evans? » replicò poi, facendo un cenno in direzione dei suoi tacchi.
Lei non si voltò neppure a guardarlo, e ripetè la precedente operazione anche con l’altra scarpa.
« Parli come se non ti piacesse vedercele indosso » rispose prontamente, un po’ stizzita, e James gli lanciò uno sguardo eloquente per dirgli che, in questo modo, la discussione era ufficialmente finita. Poi, si soffermò ad osservare la ragazza con un vago sorriso sul volto, in silenzio.
« Ti ho già detto che stasera sei uno schianto, Evans? » disse poi, quasi incapace di trattenersi, ma palesemente sincero. « Con questo vestito mi ricordi… mmm, com’è che si chiamano? » Riflettè per qualche secondo, poi schioccò le dita, facendo intendere di aver raggiunto la soluzione. « Ah, ce l’ho. Una pin up, ecco cosa. Una splendida pin up » disse poi, studiandola e riflettendo sulla somiglianza che aveva appena trovato.
Lei, a quelle parole, si rimise diritta contro lo schienale del divano e lo fissò, riservandogli un’occhiata infastidita che lui non riuscì a comprendere.
« E tu conosci le pin up perché…? » domandò tendenziosamente, inarcando le sopracciglia finché non si dispersero fra i capelli del suo ciuffo.
James, improvvisamente preso dal panico, si rese conto all’istante del terribile pericolo che stava correndo, ma fortunatamente lo colse un’illuminazione.
« … perché me ne ha parlato Sirius. Ha dei loro poster » rispose, sperando così di potersi trarre in salvo, ma si sentì ancora parecchio teso.
Ancora fortemente sospettosa, Lily lo scrutò attentamente per qualche istante, come se volesse cavargli a forza la verità dagli occhi, poi si voltò verso Sirius per chiedere una conferma di quanto James aveva appena affermato. Lui, indifferente, annuì con invidiabile nonchalance e disse solo: « E’ così ».
La ragazza, a quel punto, si prese del tempo per ponderare seriamente la questione, e solo dopo essersi appuntata mentalmente di riferire a Scarlett quel particolare e piccante dettaglio su di lui, si decise a rendere esplicita la propria sentenza per non arrecare a James ulteriore sofferenza.
« Beh, sì, hai ragione, in effetti l’abito è ispirato agli anni ’50 » fece, sorridendogli, e lui, vagamente allibito e ancora incredulo di averla fatta franca, tirò un sospiro di sollievo. « L’idea era un po’ quella, già ».
« Se mi passi una sua foto la aggiungo al catologo, amico » disse allora Sirius a James, facendo un breve cenno alla ragazza con un sorrisetto malizioso.
« Ti piacerebbe… » fece quest’ultimo, ed entrambi scoppiarono a ridere, mentre Lily, fra loro, alzava sconsolata gli occhi al cielo.
« Certo che avete uno strano modo di fare complimenti alle ragazze » commentò, pur sapendo che la propria osservazione non sarebbe servita a nulla.
Loro si guardarono, domandandosi di cosa diamine si stesse lamentando.
« Guarda che noi siamo eccezionali con i complimenti, Evans! » protestò veementemente James, colpito da quell’affermazione diffamante.
Sirius, notando l’espressione contrariata sul volto di Lily, decise di mettersi al riparo da una burrasca annunciata prima di rimanerne travolto.
« Avete intenzione di litigare? » domandò, e loro, semplicemente e con convinzione, annuirono. « Beh, allora divertitevi » concluse, spiccio.
E così dicendo si alzò dal divano, scompigliando per dispetto i capelli di Lily e allontanandosi prima che potesse fermarlo o insultarlo in qualche modo.
« Allora, cos’è questa storia? Io non sarei capace di fare complimenti? » riprese allora James, riportando l’attenzione su di sé. « Se ti stai attaccando a una simile critica, sei davvero a corto di insulti, lascia che te lo dica. Sono inattaccabile, sotto questo punto di vista ».
Lily non lo degnò di uno sguardo, troppo impegnata a risistemarsi i capelli con tutta la calma possibile per dedicarsi a lui.
« Ah, beh, tu puoi essere convinto di quello che ti pare, Potter, ma io stavo parlando a te, non al tuo ego » replicò con un sorrisetto, tagliente. « E prima che finisca la serata devi necessariamente trovare un complimento migliore. Ti ho già perdonato per quella scena balorda della canzone di poco fa, e non credo che ti convenga farmi arrabbiare di nuovo, se ci tieni a non vedere la tua faccia spappolata sulla torta. Sai che Scarlett mi perdonerebbe, se conoscesse il mio movente » aggiunse, sicura di sé.
Altrettanto tranquillo, lui le diede una mano, lasciando scivolare le dita fra i suoi capelli un po’ più morbidi e lisci del solito.
« Tutti i complimenti che vuoi, mia bella Evans » rispose poi, sorridendo appena. « In fondo lo sai anche tu che sono un vero maestro, in materia ».
Pur di non concedergli la benché minima soddisfazione, Lily assunse un’espressione fortemente dubbiosa.
« Più fatti e meno parole, dovrebbe essere questa la tua filosofia » rispose, studiando qualche ciocca dei propri capelli per mostrarsi indifferente.
Colto il suo tono di sfida, James accennò un ghigno, segno che la sua mente aveva già partorito un piano finalizzato a far rimangiare a Lily le sue parole.
Le si fece più vicino, senza che lei se ne accorgesse e le circondò la vita con le braccia, attirandola piano verso di sé, il volto di fianco al suo.
« Tanto per fare un esempio » mormorò, studiandola da vicino mentre lei tentava di non guardarlo, « da queste parti dovrebbe esserci qualcosa che merita i miei complimenti… mmm, vediamo un po’… »
Poggiò le labbra sulla sua guancia, lasciando baci distratti e facendola inevitabilmente sorridere appena. Aveva gli occhi chiusi, ma non aveva bisogno di riaprirli per accorgersene: tutte le volte in cui lo faceva, due adorabili fossette scavavano le sue guance paffute, rendendo amabile la sua espressione.
« Trovato niente? » gli disse Lily, e la sua voce suonò così ridente da far divertire anche James, che la imitò.
« Hai delle guance morbidissime » le comunicò a bassa voce. « Di’ la verità, Evans, qualcuno ti ha mai detto che hai delle guance morbidissime? »
Lei continuò a ridere e scosse appena il capo, stringendosi istintivamente nelle spalle quando James cominciò a strusciare lievemente il naso contro la sua guancia, un solletico e una carezza delicati come un soffio di vento.
« No, devo ammetterlo » rispose, mentre la bocca di lui scorreva lungo la sua pelle fino a raggiungere il collo contratto di lei.
Si bearono di quel contatto che, seppur accennato, li immerse in un lago di piacevoli brividi, e Lily, quasi inconsciamente, si fece più stretta a lui, coinvolta dal suo smisurato affetto, che non avrebbe mai smesso di stupirla e rinfrancarla. James non potè far altro che tenerla così, vicina a sé. Almeno finché non la sentì smuoversi appena fra le sue braccia, voltare il capo verso di lui e baciarlo, sorridendo e tenendo premute le mani ai lati del suo viso.
Fu così bello che, alla fine, scoppiarono a ridere per pura gioia e dovettero allontanarsi, le mani di lei che scivolavano fino a stringergli le spalle.
« Sei ancora in prova » disse, la voce intrisa di divertimento, e lui palesò un’espressione furba, tipica del suo repertorio.
« Cavoli, Evans, sei difficile da accontentare » commentò, annuendo impercettibilmente. « Su, vieni con me. Balliamo. Ho ancora tanti assi nella manica da giocare, e tu, dolcezza, ne rimarrai sconvolta, puoi credermi ».
E ridendo, si trascinarono verso il centro della stanza per ballare, spensierati, finché non si fossero sentiti esausti.
Intorno a loro, la festa proseguì a gran ritmo fino a tarda sera, e si dimostrò un vero e proprio successone.
Allo scoccare della mezzanotte, tutti quanti brindarono chiassosamente a Scarlett, il cui compleanno era sopraggiunto effettivamente solo in quel momento, e più tardi, quando arrivò il momento di tagliare la torta, tutti i presenti parvero palesemente allegri, e Alan pensò addirittura di rivolgere un ringraziamento speciale ai due festeggiati per aver salvato in extremis uno dei mesi peggiori della sua misera vita, e anche se stesso, poiché negli ultimi giorni aveva preso in considerazione l’idea di gettarsi dalla Torre di Astronomia.
« Allora, adesso possiamo tagliare questa maledetta torta? » domandò a gran voce James, che per tutta la serata aveva atteso quel magnifico momento. E non appena tutti risposero in coro di sì, lui cominciò a guardarsi intorno. « Dov’è il coltello? Amico, mi serve il coltello. Amico! »
Fece segno a Peter di avvicinarsi, ma il ragazzo sembrava impegnato in un’affannosa ricerca.
« Non ricordo dove l’ho messo! » urlò attraverso la stanza, premendosi i palmi delle mani sulle tempie, e James scosse il capo, sconsolato. « Qualcuno ha preso il coltello? L’avevo lasciato… su, andiamo, non facciamo scherzi, era proprio lì, io avevo pensato a tutto… »
Nel corso dei minuti successivi, in molti si adoperarono per ritrovare il coltello perduto. Peter temeva che, a causa di quell’imprevisto, tutto l’impegno che aveva profuso per la buona riuscita della festa risultasse vano, mentre tutti gli altri, semplicemente, avevano voglia di assaggiare una fetta di torta. Uno fra questi aveva molto intelligentemente proposto di procedere al taglio della torta attraverso l’uso di un banalissimo incantesimo, ma pur avendo fame, James aveva detto che no, non lo avrebbe fatto, poiché la tradizione andava assolutamente rispettata, e su questo non poteva transigere.
Alla fine, dopo cinque minuti buoni di quel gran caos, il coltello era saltato fuori in maniera inattesa.
« Non starete mica cercando questo » intervenne a un certo punto Sirius, lasciando dondolare il coltello di fronte al viso.
Tutti si voltarono a fissarlo e poterono vedere il sorrisetto soddisfatto stampato sul suo viso, identico a quello che troneggiava sul volto di Remus, in piedi a braccia incrociate proprio accanto a lui. Peter dovette richiamare a sé tutto il proprio buonsenso per trattenersi dall’afferrare quel coltello per infilzarli.
« Approverei con gioia lo scherzone, se non fossi così affamato » fu il commento di James, che però guardò gli amici con aria compiaciuta. « Ora però datemelo » aggiunse poi, e Peter lo strappò con disprezzo dalle mani dell’amico e, furibondo, lo consegnò in quelle di James.
« Per la miseria, è un coltello bestiale! » esclamò, fissando sconvolto le dimensioni decisamente eccessive della lama.
« E’ l’unico che ho trovato » si giustificò Peter, un po’ risentito. « E non mi pare che Appellarne un altro sia esattamente un’idea geniale… »
James fece per ribattere, ma Scarlett lo anticipò.
« Possiamo piantarla qui una volta per tutte? » sbottò, rubando il coltello all’amico, e in moltissimi acclamarono calorosamente le sue parole. « Grazie, ragazzi » aggiunse infatti in tono amabile, sorridendo con tutt’altra espressione.
Poi, senza perdere altro tempo, intrecciò le dita a quelle di James e, insieme, lasciarono sprofondare il coltello nella glassa della torta, gesto che fu accolto da un rumoroso applauso e da qualche sparuto buon compleanno urlato al vento, a cui i due festeggiati risposero con dei gran sorrisi.
Fu Alice ad arrestare in tempo la diffusa richiesta di torta: a suo dire, quel fatidico momento doveva essere prima immortalato a dovere.
« Un bel sorriso, diciottenni! » disse, appostandosi dietro la propria macchina fotografica.
James abbracciò Scarlett, sorridendo quando la vide stringere fra i denti con la dovuta cautela la lama del coltello, e Alice scattò la foto, soddisfatta.
« Cibatevi pure! » urlò poi a tutti i presenti, facendosi da parte, e nessuno di loro se lo fece ripetere due volte.
Dell’enorme torta non rimasero che briciole, e quando la serata volse al termine, Scarlett e James poterono confermare l’inconfutabile veridicità della celebre massima di Charlus: meglio una festa in grande che due in piccolo, non c’era ombra di dubbio.
 

 
 
*  *  *
 
 

 
Un passo indietro ed io già so di avere torto, e non ho più le parole che muovano il sole.
Un passo avanti e il cielo è blu, e tutto il resto non pesa più, come queste tue parole, che si muovono sole.
[…]
Un passo indietro ed ora tu, tu non ridi più, e tra le mani aria stringi, e non trovi le parole, e ci riprovi ancora a muovermi il sole.
Ancora un passo, un altro ancora.
Un passo avanti ed ora io, io non parlo più, e tra le mani mani stringo. A che servon le parole?
Amore, dài, dài, dài, muovimi il sole.
 
 
 
« Allora, la tripla razione di torta ti è bastata, John? Lo sai che un gruppo di ragazzi, laggiù, si lamentava del fatto che avessi avuto un trattamento privilegiato da parte del tuo amico festeggiato? Non ti vergogni neanche un po’? »
« No, per niente. Nemmeno per idea. Avevo detto a Peter di portare una torta tutta per me, ma se n’è dimenticato, per cui… mi sono dovuto arrangiare ».
« Oh, beh, allora dobbiamo ringraziarti. Va’ a raccontarlo a quei tuoi compagni di Casa un po’ bevuti, sono certa che ti chiederanno scusa in ginocchio ».
« Ah, ma piantala! Piuttosto, va’ anche tu a servirti di nuovo, non fare complimenti. Tra di noi non sono necessari certi convenevoli ».
« Ehi, ehi, ehi, frena! Mi hai appena dato della mangiona, e non è con il tuo charme da quattro soldi che puoi camuffare un insulto come questo ».
« Insulto? Non mi permetterei mai di insultarti, ma diciamo pure che la fama della tua tendenza al bis ti precede… »
« Beh, e con questo? Sei davvero uno sfacciato… e se mi conoscessi così bene come lasci intendere, sapresti che preferisco di gran lunga il salato ».
« Certo, hai ragione… e che mi dici degli ordini che spedisci via gufo a Mielandia ogni mese? Una volta mi hai accennato qualcosa del genere… »
« Non fraintendermi. Ho detto che preferisco il salato, non che disdegno i dolci. Rifletti sul significato di queste parole mentre vado a mangiare un’altra fetta di torta ».
Le risate da parte di Remus che accompagnarono Miley mentre si dirigeva a passo deciso verso la propria preda, il piatto vuoto ben stretto fra le dita, furono le ennesime di quella serata trascorsa all’insegna della spensieratezza.
I due, infatti, erano riusciti a godersi la festa e a divertirsi in santa pace in seguito all’intenso dialogo che li aveva riavvicinati. Come legati da un tacito patto, avevano deciso di lasciare in sospeso quella conversazione che - lo sapevano - avrebbero comunque dovuto affrontare, concordando sul fatto che quel luogo e quel momento non fossero tra i più appropriati per quel genere di discorsi, e per qualche ora avevano lasciato che le preoccupazioni e i cattivi pensieri abbandonassero le loro menti eccessivamente affollate, così da poter ritornare ad essere quelli di sempre. La loro mossa si era rivelata vincente, e il tempo che avevano trascorso insieme era stato dettato da sorrisi, gesti giocosi ed allegri scambi di battute, proprio com’era sempre accaduto fra loro. La consapevolezza che presto tutto sarebbe stato chiarito aveva reso Miley incredibilmente più serena, mentre ad incoraggiare Remus era stato l’atteggiamento positivo di lei che, ancora una volta, si era dimostrata incline a concedergli un’altra occasione.
Così, accantonato per un po’ il loro più grave turbamento, era stato estremamente semplice ritrovare quella sintonia che li aveva sempre attirati l’uno verso l’altra, così semplice da rendere altrettanto facile anche tutto quanto il resto, che facile a loro non era mai sembrato.
« Ah, sorellina… mi stavo giusto chiedendo quando saresti venuta a riscuotere di nuovo ».
La voce di Scarlett alle spalle di Miley non la spaventò, ma la indusse a sorridere.
« Lo sai che non mi piace lasciare il cibo a marcire » rispose divertita, voltandosi e assaporando il primo boccone di torta.
« Ma certo che lo so, e so anche che sei venuta qui solo per mangiare, non inventarti scuse » replicò Scarlett, ridendo.
Affondò l’indice nella glassa al cioccolato, gustandola, e Miley assunse un’espressione visibilmente indispettita.
« Questo sarebbe un pretesto per dirmi che la mia presenza non ti è gradita? » rispose. « Beh, sarai felice di sapere che sto per andarmene, allora ».
Scarlett parve intristirsi e inclinò il capo, sconsolata.
« Di già? » fece, afferrando lievemente per un braccio la sorella, come a volerla trattenere con la forza.
« Guarda che non è esattamente il crepuscolo » rispose lei, sorridendo. « Anche altri ragazzi si stanno ritirando, e in più io devo anche arrivare sana e salva al primo piano quando stasera ci sono in giro i Caposcuola di Corvonero… li odio, sono incorruttibili e stronzi ».
« Niente di più vero » concordò all’istante Scarlett, accompagnando le parole ad una smorfia disgustata.
« Volevo salutare anche James » riprese poi l’altra, guardandosi intorno per individuare il ragazzo. « Dove si è cacciato? Non lo vedo da un po’… »
« In realtà nemmeno io » rispose la sorella, grattandosi distrattamente il capo. « Mi sembrava di averlo visto salire in Dormitorio, ma non so per-… ah, eccolo! » esclamò poi, non appena lo vide scendere dalla scaletta a chiocciola, una mano stretta a quella di Lily, l’altra che teneva in pugno la scopa nuova di zecca che la sua fidanzata gli aveva regalato la sera prima.
« Bene, gente, è stato tutto bellissimo, ma adesso vi devo lasciare » annunciò a voce alta il ragazzo, una volta entrato in Sala Comune. « Ho una faccenda da sbrigare, ma sarò di ritorno tra non molto », proseguì, avvicinandosi a Scarlett e Miley.
« Ma che diavolo fai con quella scopa in mano? » gli domandò immediatamente la prima. « E soprattutto dove diavolo hai intenzione di andare? Insomma, mi abbandonate tutti? »
James le concesse una breve carezza, rivolgendole un sorriso sornione.
« Hai dimenticato che quella ricattatrice che ti ritrovi come migliore amica mi ha regalato questa bellezza ad una condizione? » le ricordò infatti, con uno sguardo che tutto suggeriva, tranne che quell’obbligo da rispettare rappresentasse un peso, per lui.
La sera prima, infatti, Lily gli aveva consegnato - come tutti gli altri - il suo regalo, generando nel festeggiato un’euforia esplosiva e immancabilmente contagiosa. A smorzare il suo entusiasmo, però, era arrivata la brusca frenata della ragazza nel momento in cui gli aveva comunicato che quel nuovo modello della Comet sarebbe diventato suo solo dopo un passaggio fondamentale. Quelle parole erano bastate a fargli perdere le speranze di poter mettere le mani su quella scopa, ma la crudeltà di Lily aveva avuto vita breve: impietosita dal suo sconforto, era scoppiata a ridere di fronte alla sua espressione scoraggiata e lo aveva rassicurato, dicendogli che gliel’avrebbe lasciata più che volentieri dopo un bel giretto notturno intorno alla scuola che lui avrebbe necessariamente dovuto concederle. A quel punto, il cuore di James si era fatto di colpo molto più leggero, e un nuovo sorriso compiaciuto si era fatto largo sul suo volto, straordinariamente simile a quello di Lily.
« Ah, già… la fuga romantica » rispose Scarlett, riportando alla mente quel particolare e ricordandosi che avevano dovuto posticipare quel viaggetto a causa del temporale della sera precedente. Scoccò una breve occhiata maliziosa a Lily, che rise silenziosamente, poi si rivolse nuovamente a James. « Beh, divertitevi, allora » concluse, e il ragazzo le lasciò un rapido bacio sulla guancia.
« Prometto che ti aiuterò a mettere a posto » le disse, mentre faceva lo stesso con Miley.
« Sì, come no… » ribattè prontamente lei, facendolo ridere.
Poi lo vide montare sulla scopa insieme a Lily e, dopo aver spalancato la finestra più grande della Sala Comune con un colpo di bacchetta, sfrecciarono via in un lampo sotto gli sguardi stupefatti dei rimanenti Grifondoro.
« Non torneranno prima dell’alba » scherzò Miley in tono definitivo, e rise insieme alla sorella, dividendo con lei il resto della torta sul suo piatto.
« Vai via adesso, allora? » le chiese Scarlett alla fine, guardandola trattenere uno sbadiglio, e lei annuì.
« A meno che non abbiate una camera per gli ospiti… sì, vado via adesso » confermò, sorridendo, e avanzò di un passo per abbracciare la sorella.
« Se incontri i Corvonero, di’ loro di farsi un giro intorno al Platano Picchiatore. E che si sono persi una magnifica festa » fu il suo saluto.
Miley scoppiò a ridere e si slacciò dall’abbraccio, scattando sull’attenti.
« Sarà fatto » le assicurò, e le due si scambiarono un altro sorriso prima che lei si allontanasse.
Salutati gli altri amici Grifondoro, si ricordò appena in tempo di dover recuperare le scarpe da ginnastica che aveva lasciato nella stanza, e quando le ebbe riprese, si diresse nuovamente verso Remus per augurare anche a lui la buonanotte prima di andare via.
« E quelle? » rise lui quando la vide arrivare, facendo un gesto in direzione delle scarpe che teneva agganciate alle dita.
« Piano di emergenza » rispose lei, stringendosi nelle spalle. « E, a pensarci bene, questa è un’emergenza. Non sopravviverei per sette piani di scale con queste maledette bestie » aggiunse, e si mise a sedere per indossare le scarpe di riserva, lamentandosi sommessamente per il dolore ai talloni.
« Quanto la fai lunga… non vedo nessuna ragazza soffrire quanto te, sai? » la prese in giro Remus, guadagnandosi un’occhiataccia.
« Solo perché sono tutte delle ipocrite perfettine » rispose lei, tirando con forza i lacci per annodarli, e lui annuì con aria scherzosamente scettica. « Non fare quella faccia, guarda che ti vedo benissimo » rise ancora Miley, risollevando lo sguardo per puntarlo su di lui.
Si scambiarono un’occhiata divertita, poi lui accennò con un lieve scatto della testa all’uscita della stanza.
« Se stai andando via, ti accompagno alla tua Sala Comune » le disse, cordiale.
Lei sorrise timidamente, facendo spallucce, e si rialzò, afferrando in un rapido gesto i propri tacchi abbandonati sul pavimento.
« Oh, beh… non è necessario, arriverò in un attimo » rispose, un po’ imbarazzata, ma lui si mostrò immediatamente risoluto.
« Sai che una leggenda racconta che Gazza tiene una frusta nel suo ufficio? » le disse, un’espressione seria dipinta sul volto.
« Se la leggenda è Gazza stesso, sì, lo so benissimo » rispose lei, ridendo, e lo vide spalancare le braccia come se la questione fosse appena stata risolta.
« E allora, vuoi davvero che ti lasci andare da sola? » le chiese, incredulo, ma questa volta un sorriso increspò anche le sue labbra.
Miley lo scrutò per qualche secondo, riflettendo sulla faccenda, poi ricambiò spontaneamente il gesto.
« Spero di non dover tenere sulla coscienza il peso delle tue frustate… ma va bene » rispose, e lo precedette verso l’uscita, lanciandogli un altro sorriso.
Quando si ritrovarono fuori dalla Sala Comune, si avventò su di loro un’aria gelida, tanto che rabbrividirono, stringendosi nelle spalle. Fra le alte pareti del castello deserto regnava un silenzio imponente, e la vista delle rampe di scale in quel momento in quiete e degli ampi corridoi scarsamente illuminati a quell’ora tarda, fece apparire qualsiasi luogo intorno a loro molto più ampio e dispersivo di quanto già realmente non fosse.
Quasi intimoriti all’idea di spezzare quell’equilibrio armonioso di isolamento e silenzio, cominciarono a proferire qualche parola solo dopo aver udito un lieve scricchiolio alle proprie spalle, e parlarono in tono sommesso, rispettoso dell’ambiente che li avvolgeva.
« Dovremmo essere piuttosto al sicuro, comunque » esordì Miley all’improvviso, pensierosa. « Ho un fiuto infallibile per i Caposcuola impiccioni e i custodi sadici. E sono persino armata » aggiunse infine, smuovendo appena i tacchi che dondolavano in sintonia con i suoi passi.
Remus rise sottovoce, e le sue parole gli fecero tornare in mente qualcosa che, inspiegabilmente, aveva dimenticato nel giro di qualche secondo.
« Io ho qualcosa di ancor più infallibile del tuo fiuto infallibile » la rimbeccò, incuriosendola all’istante.
Immerse una mano nella profonda tasca interna della giacca, e ne estrasse una vecchia pergamena immacolata e parecchio sgualcita, che Miley fissò per dieci secondi buoni, palesemente perplessa, prima di volgere lo sguardo muto in direzione di Remus, il quale a sua volta la osservava divertito.
« Ci stai andando giù pesante con le prese in giro, questa sera » osservò serenamente la ragazza, sistemandosi un ciuffo di capelli dietro l’orecchio.
Lui sorrise, e con tutta la calma possibile aprì la pergamena, guardando Miley negli occhi prima di pronunciare la fatidica formula.
« Giuro solennemente di non avere buone intenzioni » disse con voce limpida, mentre lei lo fissava come se fosse improvvisamente ammattito.
La sua attenzione, però, venne attirata dopo appena un istante dall’incantesimo stupefacente che si stava diramando sulla pergamena a partire dal punto esatto in cui la bacchetta di Remus l’aveva toccata con un secco colpetto. Un incantesimo che la lasciò letteralmente a bocca aperta.
Fili di inchiostro lucente si inseguivano sulla carta, seguendo una traiettoria precisa, si facevano largo dappertutto senza che nulla potesse fermarli, arricciandosi in ghirigori e disegnando linee definite… una magia strabiliante. Miley non aveva mai visto nulla di simile.
« Non riesco a crederci » riuscì a sussurrare con un filo di voce quando la Mappa fu completa di ogni suo dettaglio.
Remus scrutò la sua espressione colpita, sorridendo, e notò che la ragazza non riusciva a staccare gli occhi dalla Mappa e ne studiava ogni particolare.
« Geniale, no? » disse, fiero, e lei puntò lo sguardo su di lui, gli occhi colmi di sorpresa ed entusiasmo che parevano sorridergli.
« E’ più che geniale, è… epico! » esclamò, scuotendo il capo come se ancora stentasse a credere a ciò che aveva appena visto. « Ma dove l’hai presa? E’ tua? Devo assolutamente averne una, è incredibile, non ho mai visto nulla del genere in tutta la mia vita… Chi l’ha inventata? »
L’esaltazione la spingeva a parlare senza quasi riprendere fiato, e Remus si chiese come avrebbe reagito dinnanzi alla sua soprendente risposta.
« Quattro pazzi criminali molto annoiati » rispose in tono leggero. « Uno di loro è qui di fronte a te ».
L’espressione che si fece largo sul volto di Miley fu a dir poco impagabile. Boccheggiò per qualche momento prima di riuscire a dire qualcosa.
« Non riesco a crederci » ripetè, facendo ridere Remus. « Tu? Tu, che non sai nemmeno preparare una pozione contro i foruncoli, hai creato questa? »
« E’ sempre commovente scoprire quanta stima dimostri nei miei confronti » rispose lui, senza riuscire a trattenere un’altra risata. « E comunque il qui presente babbeo è solo un misero collaboratore. Non saremmo mai riuscita a crearla se non ci fossimo impegnati tutti insieme ».
Miley, che era sempre più sconvolta, strinse il suo braccio e battè la testa contro la sua spalla, il viso nascosto dai voluminosi capelli biondo cenere.
« Non riesco a crederci » mormorò per la terza volta, scuotendo il capo contro la giacca di Remus, segno che quelle scoperte l’avevano assolutamente devastata. Poi si raddrizzò nuovamente. « E poi non è solo una mappa! Quei cartellini sono… sono davvero…? »
« Davvero » confermò Remus con assoluta tranquillità, annuendo solennemente. « Possiamo seguire ogni singolo movimento di ogni singola persona all’interno di questo castello. Detta così sembra piuttosto inquietante, lo so, ma… insomma, in alcuni casi è utile. Un po’ come questa sera, no? »
Lei annuì lentamente. Pareva ipnotizzata, e solo l’ennesima risata di Remus, dovuta proprio a quell’espressione, riuscì a farla riprendere, tanto che rise anche lei, passandosi una mano lungo la fronte e poi fra i capelli per ritrovare la stabilità mentale in seguito a quello shock.
« Ci sono posti di cui non conoscevo neppure l’esistenza… » disse, tornando ad osservare curiosa la prodigiosa Mappa.
« Abbiamo individuato tutti i passaggi segreti del castello, e… buona parte delle scorciatoie, credo » spiegò Remus, indicandone qualcuno con gesti vaghi.
Miley, ammirata, continuò ad annuire, lo sguardo che andava dalla Mappa a Remus e viceversa, in un ciclo continuo.
« Siete straordinari » disse infine con un gran sorriso, palesemente sincera. « Dico davvero, la vostra magia è… sbalorditiva ».
Lui si sentì piacevolmente sorpreso da quei complimenti, e sorrise bonariamente di rimando, senza sapere bene cosa dire.
« Oh… beh, grazie mille, Miley » rispose infine, imbarazzato, e lei rise di fronte al suo accennato smarrimento.
« In ogni caso, resti comunque una dannata testa di legno che non sa nemmeno preparare una pozione contro i foruncoli, John » disse, amorevole.
Entrambi risero, ritrovandosi a guardarsi con il medesimo, profondo affetto limpidamente fotografato sul volto. Remus, osservandola, si chiese quale gioia potesse essere più dirompente di quella che si scatenava in lui tutte le volte in cui ridevano insieme; Miley fu certa che non ce ne fosse nessuna.
Era un qualcosa che nessuno dei due riusciva a comprendere fino in fondo, quella furiosa e beata voglia di ridere che coglieva entrambi quando stavano l’uno accanto all’altra. Non sapevano spiegarne l’origine, né tantomeno le ragioni, ma era uno dei sentimenti più genuinamente belli che avessero mai covato dentro in vita loro. Perché non era, in verità, semplice gioia passeggera, quella sensazione che riuscivano a trasmettersi reciprocamente, no. Era qualcosa di più forte, di più duraturo, di più stupefacente… era qualcosa di straordinariamente simile alla felicità.
« Sai… adesso capisco come avete fatto a farla franca per tutti questi anni » commentò Miley dopo qualche momento, non appena entrambi si furono ripresi dal flusso di risate scroscianti.
« Ah, no. Devo correggerti, Miley » rispose lui. « L’abbiamo creata solo l’anno scorso, quindi per tutto il resto del tempo il merito va solamente a noi ».
La ragazza rise, stupita dall’orgoglio con cui celebrava le proprie malefatte mai punite, e lo fissò con aria d’approvazione.
« C’è una luce particolare, nei tuoi occhi, quando parli di tutti i guai che avete combinato » ci tenne a dire, compiaciuta, e lui rise, pensando che, se l’avessero sentita i suoi amici, sarebbero stati fieri di lui. « Complimenti, ragazzo, complimenti. Sei un Malandrino coi fiocchi ».
Remus chinò il capo in segno di gratitudine, trattenendo a fatica un sorriso, e nel compiere questo gesto i suoi occhi ricaddero sulla Mappa. Istantaneamente, un cartellino molto vicino ai loro attirò la sua attenzione, facendogli quasi sgranare gli occhi. Come aveva fatto a non notarlo prima?
« Maledizione, Gazza! » sussurrò concitato, e accartocciò immediatamente la Mappa dentro la tasca della giacca.
Il custode era prossimo a svoltare l’angolo, ma a un passo da loro vi era una porta, e Remus sperò intensamente che non fosse chiusa a chiave. Strinse una mano sulla maniglia, e quando la vide aprirsi, trascinò frettolosamente Miley con sé, serrando le dita intorno al suo braccio e richiudendosi la porta alle spalle.
Così, nella furia con cui si era barricato in quella che scoprì essere un’aula deserta e poco illuminata, finì per spingere involontariamente Miley contro la parete, mentre ancora la teneva stretta per le braccia. Un attimo, e sentirono i passi strascicati di Gazza che attraversava il corridoio, borbottando fra sé e sé parole che non riuscirono a decifrare. Fu solo allora che tornarono a guardarsi. Fu solo allora che si scoprirono vicini.
Non avevano mai potuto scrutarsi in quel modo… così, a un passo l’uno dall’altra. Non c’era nulla fra loro, nulla di speciale era accaduto, ma non poterono fare a meno di avvertire un peso che premeva loro sul petto, impedendo all’ossigeno di compiere un sereno e ordinario viaggio al di fuori e dentro di loro. Rimasero immobili per qualche istante, come in attesa di qualcosa che sapevano per certo sarebbe arrivato, dello scattare di un’ora fatale, di un appuntamento da tempo stabilito, mentre in verità erano del tutto ignari del futuro, e galleggiavano in quel precario stato di quiete che pareva essere in procinto di precipitare in una lunga corsa. Aspettavano, ma solo nel folle tempo irrazionale prigioniero delle loro menti, perché tutto, quel poco che fu tutto, accadde subito, in una scarsa manciata di secondi, prima che potessero concretamente rendersene conto.
E accadde così. Accadde che Remus perse per un momento la consueta lucidità e fu assorbito da tutto ciò che fino ad allora aveva tentato di tenere a bada. Accadde che si ritrovò con le labbra premute appena contro quelle di lei, un tocco così gentile da sembrare quasi infantile.
A Miley bastò quel lieve contatto per avvertire esplosioni di scintille nella propria testa. Ebbe le vertigini, tanto che le scarpe che teneva appese alle dita scivolarono e piombarono a terra, generando un gran fracasso. E non riuscì a pensare a ciò che quel gesto potesse significare, a quanto rimaneva ancora da risolvere, a quel che sarebbe successo nel momento in cui si sarebbero guardati di nuovo… aveva ingoiato tutto nell’istante in cui la bocca di Remus aveva sfiorato la sua, mandando in tilt entrambi, facendo vacillare tutti quegli ingarbugliati pensieri concatenati che, mentre si erano guardati alcuni momenti prima, avevano subissato qualsiasi altra cosa.
E Remus… lui, dal canto suo, riuscì semplicemente a realizzare ciò che fino ad allora era sfuggito alla sua comprensione, lasciando inevitabilmente da parte tutto il resto: si rese conto, paradossalmente in un attimo, di aver inconsciamente desiderato il sopraggiungere di quel momento per molto, molto tempo, tanto che alla prima occasione il suo buonsenso aveva ceduto il passo all’istinto, concretizzando quel vecchio e vago frutto della sua immaginazione a cui non aveva mai osato donare dettagli, nella vana speranza che riuscisse così ad evaporare, senza determinare alcun danno.
Neppure quando si separarono, però, riuscì a realizzare di averne appena compiuto uno lui stesso. Si sentiva inebriato dal modesto splendore del lieve bacio che si erano appena scambiati, e i grandi occhi di Miley che tornavano ad aprirsi traboccavano tanta sorpresa da confonderlo ancor di più. Allentò la stretta delle proprie mani intorno alle sue braccia, lasciandole scivolare lungo la sua pelle, guardandole muoversi perché non riusciva più a guardare lei. Miley, invece, non sganciò i suoi occhi da lui neanche per uno soltanto dei pochissimi istanti in cui rimasero così, nuovamente in bilico, nuovamente in attesa… di qualcosa, però, che questa volta non aspettarono passivamente, ma che andarono a prendersi, di corsa, un po’ come se spettasse loro di diritto. Un altro bacio, e fu un’esplosione definitiva, un’ondata di vertigini, di nuovo, un tremulo desiderio trattenuto che acquistava forma… un gran fracasso, ma nelle loro menti, i pensieri assenti, azzerati, lontani da loro, come quel tempo che non concepivano, che scorreva senza toccarli… una sorpresa, un’altra volta, ma anche una conquista. Un brusco risveglio da un lungo sonno, per poi precipitare nuovamente nell’oblio.
Remus la baciava, e non pensava di non meritarlo, o di sbagliare, o di farle del male; e Miley lo baciava, e non pensava che fosse una menzogna, che non fosse vero, che se ne sarebbe pentita. Quel bacio era distante miglia da tutte quelle bugie, dalle fughe immotivate, dai nascondigli ricercati in se stessi per trattenere verità e belle emozioni. Quel bacio era l’espressione compiuta di quella spontaneità che apparteneva a entrambi, ma che tante volte, senza una ragione, avevano consumato a morsi, rischiando così di snaturarsi. E fu meraviglioso, per una volta, smettere di farlo, cibarsi di pura bellezza, piuttosto che di falsità. Fu meraviglioso, per Miley, avvertire il calore delle mani di lui sul viso, e per Remus sentire che lei non si tirava indietro, ma gli stava vicina…
Fu meraviglioso, almeno finché la cruda realtà non tornò a bussare alla loro porta: il rifugio che avevano trovato, il viaggio fuori dall’ordinario che avevano intrapreso… la fine di tutto quanto era già stata scritta all’origine, ma loro, speranzosi e imprudenti, non l’avevano letta. L’avevano ignorata.
Raggiunse prima Remus, l’impietosa verità a cui non aveva dato importanza, spezzando il loro bacio, e il suo entusiasmo, e il suo coraggio. Spegnendo di botto ogni cosa. E Miley, solo guardandolo, seppe già che qualcosa, per l’ennesima volta, non andava.
« Dannazione… » sussurrò lui impercettibilmente, rivolto esclusivamente a se stesso, e fece un passo indietro. « Mi dispiace, io… non so davvero cosa mi sia preso… scusami » disse poi precipitosamente, evitando con cura di incontrare il suo sguardo.
Lei, al contrario, lo fissò a lungo, immobile, senza riuscire a capire bene come si sentiva. Alla fine annuì appena, chinando per un momento il capo.
« Non sai cosa ti sia preso » ripetè a bassa voce, atona, con lentezza, e la delusione che trapelava dalle sue parole colpì Remus come una frusta.
La guardò, e riuscì a scorgerla con chiarezza anche nei suoi occhi, che non lampeggiavano di rabbia, affatto, ma parevano privi del solito calore.
Il panico tornò ad assalirlo. Era arrivato il momento di dirle la verità, di raccontarle tutto, altrimenti non avrebbe mai potuto capire ciò che davvero significavano le sue parole, e quella che adesso era pura delusione avrebbe preso il sopravvento, tramutandosi in rancore, un sentimento che probabilmente non sarebbe svanito con tanta facilità, dopo tutti gli errori che aveva già commesso in precedenza.
Ma Miley, semplicemente, non aveva ancora elaborato tutto questo. Lo stupore sorto in seguito alla sua reazione inaspettata le impediva di formulare qualsiasi pensiero compiuto, e sperò intensamente che fosse lui a spiegarle il senso di quelle scuse incomprensibili, ancor prima che fosse lei a chiederlo.
E difatti così fu.
« No, non… non intendevo dire questo, in realtà » rispose Remus, in evidente difficoltà. « Non sono pentito, è solo che… »
« Allora perché mi stai chiedendo scusa? » chiese subito Miley guardandolo intensamente, con un sincero e profondo desiderio di capire.
Era frustrata dalla sua perenne insicurezza, desiderava risposte, desiderava chiarezza, ma lui pareva incapace di concederle. Eppure, le aveva assicurato che sarebbe stato sincero, con lei. E nonostante tutto, Miley continuava a fidarsi delle sue parole. Si fidava ciecamente di lui.
Era Remus, forse, a non sentirsi più capace di fidarsi di se stesso. Cercava di riflettere, di riacquistare la lucidità, ma non gli era mai parso tanto difficile.
Per cosa le aveva chiesto scusa? Per aver aspettato troppo o per non aver aspettato abbastanza? Per essersi frenato per troppo tempo o per non aver continuato a farlo? Non aveva la minima idea di cosa fare, dire o pensare, in quel momento. Nulla pareva avere senso, ma era lui a doverlo ritrovare. E fu con un enorme sforzo che riuscì a comprendere ciò che realmente provava: aveva detto bene, non si era affatto pentito di averla baciata, neppure per un istante; ma in cuor suo sapeva bene di aver commesso un grave errore facendosi avanti senza averle prima raccontato la verità sul proprio conto. Sentiva di averla privata della sua libertà di scelta. Era più che probabile che Miley non si sarebbe mai sognata di baciarlo, se avesse saputo cos’era, ciò che nascondeva. Ma a lui, all’istinto che l’aveva battuto sul tempo, tutto questo non era importato.
« Perché… non sono riuscito a controllarmi, avrei dovuto… » tentò di rispondere, ma si arrestò e diede in un pesante sospiro.
Lei era in attesa, e lo guardava. Lui, invece, non riusciva a farlo. Non riusciva a farlo perché già sapeva che non sarebbe stato capace di darle ciò che lei chiedeva di sapere. Non era pronto a compiere quel passo, e non se n’era reso conto finché non si era ritrovato sul punto di doverlo fare.
« Avresti dovuto cosa? » domandò ancora Miley, avvicinandosi a lui, frugando i suoi occhi che, ostinatamente, la rifuggivano.
Avevano tutto da celare, ma non riuscivano a nascondere niente. E per questo si eclissavano essi stessi, cercando asilo nel buio intorno a loro.
« Perché hai tanta paura di parlarmi? » chiese ancora lei con veemenza. « Guardami! Perché non mi dici che cosa ti succede? »
Lui non seppe rispondere.
La paura, sì, era quella la causa di tutto. Come ci si tiene lontani da essa? Remus avrebbe tanto voluto trovare un modo.
Fu proprio l’angoscia, forse, a spingerlo a pensare a quanto pesava sulla sua vita, su ogni cosa, la sua condanna. Non lo aveva quasi mai fatto prima, perché piangersi addosso lo faceva sentire un’inerme nullità, e malgrado le proprie disgrazie, aveva sempre tentato di tenere in vita il proprio spirito con forza e dedizione, durante quegli anni tormentati. Tuttavia, non potè che domandarsi perché nulla potesse mai prescindere dalla sua condizione. Perché tutto ciò che si ritrovava ad affrontare doveva sempre essere reso più difficile dai limiti che oscuravano i suoi orizzonti? Provò vergogna nel porsi quelle domande sciocche, la cui risposta non doveva essere esplicitata per poter essere compresa. Provò vergogna per la propria codardia inguaribile, ma ancora una volta non riuscì a vincerla.
« Non posso » rispose, sfiancato. « Io devo… devo chiederti una cosa, Miley. Devo chiederti di non… di non farmi rispondere. Non adesso. C’è troppo… è troppo quello che non sai, e io ho bisogno… » Scosse il capo, guardandola. « So di aver rimandato fino ad ora, ma questa sera, io… non ce la faccio ».
Lo disse con una tale sincerità da sentirsi smarrito, ma lei accennò un lieve sorriso e gli strinse le mani con una forza che non pareva possedere. All’improvviso, ogni traccia di risentimento era scivolata via dal suo volto, strisciando nel buio, disperdendosi.
Le sue parole, l’urgenza di rassicurazioni che svettava dal tono della sua voce malferma, l’avevano indotta a ragionare. Quando mai la fretta era stata d’aiuto a qualcuno? Mettergli pressione non avrebbe avvantaggiato nessuno dei due. E lui le avrebbe detto la verità. Di questo era assolutamente certa. Aveva detto così, aveva detto di aver deciso di parlarle con sincerità, e lei credeva a ciò che Remus aveva detto. Quella volta non l’avrebbe delusa.
« Questa sera possiamo far finta di non aver bisogno di niente » gli disse allora con calore. « In realtà… è proprio così che mi sento ».
Si mise in punta di piedi, le mani poggiate sul suo petto, e sfiorò le labbra di Remus con le sue, chiedendo tacitamente ancora un altro bacio. Lui deglutì, titubando a un soffio da lei, per poi accogliere la sua bocca sulla propria, colmarla d’affetto, tentando di versare, attraverso quel sottile spiraglio, un po’ di quelle verità che la sua voce si era rifiutata di pronunciare. E forse ci riuscì, chissà, perché fu con amore che lei continuò a baciarlo. Timorosa, maldestra, impacciata, un po’ com’era lui. Esattamente così come l’aveva conosciuta.
Stordì i propri sensi di colpa con quel bacio, sotterrandoli mentre ancora respiravano, e inspirò l’aria che lei gli concedeva, aria fresca, la sua, aria pulita, non contaminata da rimorsi, segreti e menzogne, ma beata nella sua purezza, così come a lui era strettamente necessaria.
Il dover sempre provare rammarico, sempre, in ogni momento, lo assillava. Non gli lasciava pace, scampo, tempo e respiro. Ma per quella sera doveva essere egoista. Doveva lasciare che Miley lo colmasse dei suoi sentimenti, o almeno che donasse affetto al ragazzo che, ad ogni modo, lei aveva conosciuto. Lei, che non gli lasciava pace, scampo, tempo e respiro... che lo consumava del tutto e lo faceva sentire bene. Lo faceva sentire amato.
Lo faceva sentire umano.
 
 
 

 
Un passo indietro ed io…
Un passo avanti e tu…
Un passo avanti e noi…
 

 
 
*  *  *
 
 
 

La Sala Comune si era ormai quasi totalmente svuotata, e i pochi ragazzi restanti ciondolavano per la stanza con aria stanca e assonnata: a quanto pareva, la torta di compleanno di Scarlett e James aveva avuto un effetto soporifero su tutti quanti, tanto che nel giro di pochi minuti moltissimi dei partecipanti si erano dissolti, attratti dal richiamo dei propri caldi letti a baldacchino e dalla splendida prospettiva di una buona, sana dormita.
In pochissimi si erano offerti di aiutare Scarlett a dare una sistemata, e anche coloro che gliel’avevano proposto avevano intensamente sperato che la ragazza rispondesse che no, poteva cavarsela benissimo da sola, cosa che in effetti aveva detto a ognuna di quelle gentili anime pie. Così, adesso che la festa era ormai giunta al termine, mentre anche l’ultimo gruppetto di ragazze presenti si ritirava in direzione dei Dormitori, Scarlett rimase in compagnia di Alice ed Emmeline, che inframmezzavano ogni frase con un sonoro e ampio sbadiglio.
« Guardate che non sono necessari tutti questi sbadigli » disse alla fine la festeggiata. « Andate a letto, su, posso badare io a questo macello ».
Le due si scambiarono uno sguardo dubbioso, per poi rivolgere nuovamente a Scarlett la propria attenzione.
« Ma non c’è neppure James… » obiettò Emmeline tentando di mettere a tacere i propri sensi di colpa, e la fissò, impietosita.
« E lui e Lily ne avranno ancora per molto, credo… » aggiunse Alice, mordicchiandosi nervosamente una guancia.
Scarlett agitò una mano a mezz’aria, scostandosi i capelli sulla schiena, e le zittì scuotendo ripetutamente il capo.
« Un paio di incantesimi e avrò finito » risolse, rassicurante. « E piantatela con questa messinscena, se aveste davvero avuto intenzione di aiutarmi, lo avreste già fatto. Ma per oggi vi perdono » si affrettò a dire, fintamente magnanima. « In realtà, non mi annoia così tanto l’idea di risistemare questo posto » aggiunse infine, sollevando appena le spalle.
Ed in effetti era così. Nonostante non fosse mai stata molto solerte da questo punto di vista, quella sera non le pesava minimamente il fatto di essere la vittima predestinata alla rimessa a nuovo della Sala Comune. Non avvertiva la benché minima avvisaglia di spossatezza e non aveva sonno, quindi l’idea di rimanere un po’ da sola a dare una sistemata l’attraeva molto di più rispetto a quella di scivolare tra le coperte solo per girarsi e rigirarsi nel letto, incapace di trovare una posizione abbastanza comoda da farla addormentare.
Alice, conoscendola, strabuzzò gli occhi, assolutamente certa di non aver sentito bene, forse proprio a causa dell’eccessiva stanchezza.
« Sul serio! » esclamò allora Scarlett, ridendo dinnanzi alla sua espressione, e lei sollevò le mani come a volersi discolpare.
« Okay, okay, ti credo » rispose, malgrado in verità fosse ancora parecchio scettica. « Quando torni ad essere la solita pigra strafottente, facci un fischio, allora. Buonanotte, diciottenne » la salutò infine, sorridendo, e si abbracciarono, mentre Scarlett, tra le risate, la mandava a quel paese.
« A domani! » disse, e guardò le amiche andar via su per la scaletta a chiocciola che conduceva ai Dormitori.
Dopodiché, rimasta sola, riaccese la radio a bassissimo volume, giusto quel tanto che serviva per trovare un po’ di compagnia nella musica che emetteva, e battè le mani per poi sfregarle l’una contro l’altra, cominciando a darsi da fare per ripulire il tavolo su cui Peter aveva disposto cibo e bevande e riportando alla memoria qualcuno degli incantesimi di pulizia che sua madre le aveva insegnato.
Non era mai stata granché brava a padroneggiare quel genere di magia casalinga - forse perché si era sempre dimostrata piuttosto restia ad apprenderla - ma se la cavò piuttosto bene. Aspirò le briciole disseminate sulla tovaglia, fece Evanescere le bottiglie vuote e, dopo essersi versata due dita d’Acquaviola in un calice, bevve tutto d’un fiato e si liberò anche di tutti i bicchieri rimasti. Una volta terminata l’operazione, con la tavola sgombra e rimessa al suo solito posto, si guardò rapidamente intorno per fare il punto della situazione e, in questo modo, cercare di capire come procedere. Inizialmente, si concentrò sugli elaborati festoni e sulle molteplici decorazioni che Alice aveva creato per l’occasione, e dopo averli fatti sparire, si rese immediatamente conto di quanto avessero cambiato l’aspetto della stanza, perché, in loro assenza, la Sala Comune riassunse all’istante un’aria molto più familiare che le suggerì che il lavoro da fare per far tornare tutto come prima non era poi così tanto. Tolti di mezzo altri resti e piccole cianfrusaglie sparsi qua e là, alla fine non le rimase altro che rimettere al loro posto le due poltrone, gli altri tavoli e il divano, e procedette a ridisporli in questo esatto ordine.
Fu solo quando ebbe puntato la bacchetta sul lungo divano eccezionalmente posizionato sotto la più ampia finestra della Sala Comune per farlo Levitare che si rese conto di ciò che, inizialmente, era sfuggito alla sua occhiata distratta: qualcuno, oscurato dal buio quasi totale in quella zona della stanza, oltre che dall’alto schienale che sbarrava la strada alla luce della luna, vi stava sonnecchiando sopra, l’avambraccio che premeva sulle palpebre chiuse, le gambe incrociate… e quel qualcuno era Sirius.
Quella vista la colse tanto di sorpresa che cacciò un brevissimo urlo, abbastanza forte da risuonare per la stanza, ma non sufficientemente potente da svegliarlo. Si premette una mano sul petto, tornando nuovamente calma, e scosse il capo fra sé e sé, rivolgendo al ragazzo addormentato uno sguardo carico di disapprovazione. Anche in quello stato di assoluta quiete e incoscienza, era sempre capace di prenderla in contropiede.
Si chinò, piegando le ginocchia finché non riuscì a guardarlo da vicino, e pensò che, in quelle condizioni, pareva quasi una persona pacifica. Sorrise, divertita, osservando le sue dita sottili premute sul petto che si alzava e si riabbassava lentamente, i capelli sparsi disordinatamente sul largo bracciolo del divano e le labbra socchiuse. Era così bello guardarlo riposare che si chiese se fosse davvero necessario svegliarlo. Alla fine, però, protese una mano per toccargli la spalla e scuoterlo, ma si arrestò un attimo prima di sfiorarlo, ripensandoci all’improvviso.
Perché svegliarlo così pacatamente se le si stava presentando un’occasione così ghiotta per farlo in grande stile? Dopotutto, doveva pur fargliela pagare per lo spavento che, seppur inconsapevolmente, le aveva fatto prendere qualche momento prima. E inoltre, non si sentiva minimamente in colpa all’idea di vendicarsi, perché sapeva benissimo che, al posto suo, da perfetto Malandrino qual era, Sirius avrebbe agito nello stesso, identico modo. Così, con tutta la freddezza e la lucidità necessarie per mettere a punto uno scherzo degno di questo nome, si prese qualche minuto per riflettere sull’organizzazione e la messa in atto della grande malefatta.
Purtroppo, però, non essendo la sua una mente criminale neanche minimamente paragonabile a quella di Sirius, non riuscì a partorire nessuna idea particolarmente originale, e optò per un classico, puntando più sull’efficacia e meno sull’estro, che a quanto pareva non era il suo forte.
Si rialzò, riappropriandosi della bacchetta che aveva abbandonato sul pavimento, e ghignò malefica prima di procedere.
« Aguamenti! » esclamò, puntandola dritta sul suo viso, ed immediatamente un feroce schizzo d’acqua lo schiaffeggiò, facendolo svegliare di colpo.
« Ma che…?! » sbottò, imprecando, e d’impulso strappò la bacchetta di mano al suo aggressore e gliela puntò contro.
Quando vide che si trattava di Scarlett, sogghignò e non si curò minimamente delle sue rumorose proteste, continuando a sommergerla d’acqua ancora per qualche istante, finché la cosa non lo annoiò. Alla fine, fissandola mentre gocciolava da capo a piedi, scoppiò a ridere sonoramente.
« Bella pensata, Banks » si complimentò, porgendole la bacchetta. « Se alla fine non ti fossi fatta fregare come una principiante, sarebbe stato uno scherzo epocale. Anche se abbastanza banale, a dirla tutta » aggiunse infine, riflettendoci meglio.
Lei incrociò le braccia al petto e gli rivolse uno sguardo omicida. Era chiaramente furibonda per la svolta inaspettata che avevano preso gli eventi.
« Sto gelando! » disse, afferrando con rabbia la bacchetta e cominciando a far fuoriuscire dalla punta un po’ d’aria calda.
« Ah, addirittura » la rimbeccò lui, accomodandosi nuovamente sul divano, e scosse forte la testa per scacciare via l’acqua con fare molto canino.
« Per una volta che volevo farti uno scherzo… » borbottò a mezza voce Scarlett, imbronciata, e lui ricominciò a ridere.
Si avvicinò, prendendole nuovamente di mano la bacchetta e lei aprì bocca per ribattere, ma la richiuse un attimo dopo.
« Nessun rimpianto, Banks, ho apprezzato moltissimo la tua simpatia » le rispose allora Sirius, fingendosi rassicurante mentre il suo sorrisetto raccontava tutta un’altra storia, e cominciò ad arruffarle i capelli per far sì che si asciugassero, puntandole contro la bacchetta.
Lei, suo malgrado, sorrise, rivolgendogli di sbieco un’occhiata divertita che lui ricambiò con altrettanta intensità.
« Riuscirò a lasciarti a bocca aperta, un giorno » annunciò lei solennemente, ripromettendosi di fare di meglio quando se ne fosse presentata l’occasione.
Sirius annuì, continuando ad immergere una mano fra i suoi capelli sempre meno impregnati d’acqua per poi lasciarli andare di botto.
« Non vedo l’ora » replicò semplicemente, e la vide sorridere di nuovo.
Dopo un paio di minuti, allontanò la bacchetta dalla sua chioma un po’ increspata e gliela restituì solo dopo essersi dato una rapidissima asciugata, un’espressione allegra sul volto.
« Stai sogghignando perché mi si è sciolto il trucco, non è vero? » gli disse Scarlett, un po’ indispettita ma altrettanto divertita.
« Non sto sogghignando, ma sì, ti si è sciolto il trucco » rispose lui, ridendo. « Sta’ tranquilla, quest’aria da panda ti dona moltissimo ».
Lei lo fulminò con lo sguardo, affrettandosi a strofinare il dorso delle mani sulla pelle per ripulirsi, ma non riuscì a trattenere anche lei una risata.
« Vogliamo parlare della tua barba al caffè di ieri? O dei tuoi capelli assurdi in questo momento? » ribattè, inarcando un sopracciglio.
« E tu vuoi davvero farmi credere che i miei capelli hanno qualcosa che non va? » domandò lui, scettico. « Oggi ho persino usato il balsamo speciale di James… per sbaglio, ovviamente » aggiunse con serietà.
« James non usa nessun balsamo speciale » replicò lei, assolutamente convinta di ciò che diceva, ma lui le rivolse un’occhiata eloquente e lei si zittì.
Lo osservò mentre si guardava intorno con aria curiosa, per poi puntare nuovamente gli occhi su di lei.
« Ti sei data ai lavoretti di casa, eh? » le chiese, ammirando l’abilità con cui aveva rimesso a nuovo la stanza.
« Beh, sì » rispose lei, abbandonandosi sul divano con un sospiro. « Mentre tu eri in letargo, mi sono data da fare ».
Sirius le si accomodò accanto, spalancando le braccia per lasciarle ricadere sullo schienale del divano, e le lanciò un rapido sorriso.
« L’alcool provoca qualche effetto anche su di me, sì » rispose, tranquillo. « Ma sempre meglio dormire che perdere il controllo dei propri freni inibitori, non trovi? »
Lei voltò il capo e lo fissò per qualche secondo, fingendosi sbalordita per quelle parole che sapeva essere senza dubbio sarcastiche.
« Tu non hai freni inibitori » gli ricordò, ridendo mentre parlava, e lui la seguì a ruota, ritrovandosi a convenire con lei su quell’inattacabile verità. « E comunque non ho ancora finito con i miei lavoretti di casa, quindi, con il tuo permesso… » e lasciò la frase in sospeso, rialzandosi lentamente.
Cominciò a riordinare un basso tavolinetto stracolmo di roba lì vicino che era precedentemente sfuggito alla sua attenzione, mentre lui lasciava a sua volta il divano per risistemarlo di fronte al camino e tornava a sedersi su una poltrona vicina al ripiano su cui era poggiata la radio. Stava trasmettendo un brano estremamente lento, a giudizio di Sirius più adatto a un funerale che a un ballo romantico, e mentre lo ascoltava si concentrò su Scarlett che, indaffarata, borbottava incantesimi sottovoce e dava rapidi e frequenti colpi di bacchetta in direzione degli oggetti di cui voleva sbarazzarsi.
Quasi inconsciamente, si ritrovò a ripensare al loro ballo di quella sera, e alle sensazioni che la vicinanza di Scarlett gli aveva trasmesso. Riviverle lo fece anelare ad un altro contatto, e realizzando ciò, si rese conto di sentirsi molto più sicuro riguardo ai propri sentimenti di quanto non fosse mai stato negli ultimi tempi. Lei gli aveva lasciato intendere di desiderare delle risposte, delle nuove certezze in merito alla loro ambigua, indefinibile situazione, e Sirius, che inizialmente aveva avvertito con chiarezza il bisogno di ritrovarle in primo luogo per se stesso, adesso si sentiva finalmente pronto a trasmetterle a lei, che avrebbe aspettato quel momento con muta impazienza. Era stato semplice, dopotutto, rimettere a posto i loro disgregati tasselli; più difficile, invece, era stato combattere quella naturalezza con cui si erano nuovamente messi insieme. Atteggiamento insensato, il suo, controproducente, infantile. E se n’era reso conto in tempo, tanto da essere riuscito a preservare quella spontaneità, piuttosto che scacciarla, comunicandola silenziosamente anche a lei.
Forse, però, era giunto il momento di vivificare quelle risposte che erano state fino ad allora sfocate, altrimenti tutto sarebbe rimasto esattamente uguale a prima. Tutto quanto, fra loro, immerso nell'instabilità e nell’incertezza. E non lo avrebbero sopportato ancora a lungo. Necessitavano di dare forma ed espressione a ciò che provavano, indipendentemente da tutti quegli ostacoli che, premendo con furia dall’esterno, tentavano di sgranare e deformare ogni sentimento che, albergando in loro, si avvicinava alla realtà.
Dovevano rendere priorità assoluta quel loro bisogno così intimo. Sirius lo stava già facendo.
Distogliendo infine lo sguardo da Scarlett, cominciò a ricercare una canzone decente da ascoltare, e fu solo dopo numerosi tentativi che riuscì a rintracciare un brano orecchiabile di sua conoscenza. Alzò un po’ il volume con un pigro tocco di bacchetta, canticchiando fra sé e sé e inventando sul momento un mucchio di versi di cui non ricordava le parole. Scarlett riuscì a sentirlo, e si voltò, ridendo piano.
« Mi stai rovinando la canzone » gli disse, la voce intrisa di divertimento.
Per tutta risposta, lui cantò molto più forte, alzandosi dal divano per avanzare verso di lei e stringerle le dita intorno agli avambracci. La indusse a muoversi un po’, e la vide gettare il capo all’indietro, preda di un altro fiotto di risate a cui lui si unì con sfrenata allegria, senza mai smettere di cantare. Appena il tempo di farle compiere un rapido giro su se stessa, però, e il pezzo, così come l’esibizione di Sirius, si avviò verso la sua conclusione.
« Eh, Banks? » scherzò lui alla fine, mentre lei ancora rideva a crepapelle. « Chi è che non sa ballare? »
« Ancora tu » rispose Scarlett con spavalderia, battendogli il palmo della mano sul petto.
Si guardarono, il sorriso negli occhi, finché qualche istante dopo non sentirono fluire dalla piccola radiolina delle note profondamente diverse da quelle che si erano appena congedate. Note infinitamente più delicate, quasi timorose, accennate. Note familiari per le orecchie di Sirius, che si arrestò, in ascolto. Non gli ci volle che un momento per riconoscere il brano, l’ultimo del repertorio delle ormai famosissime Sorelle Stravagarie, che già affollava le stazioni radio dell’intero mondo magico.
Diceva tanto, quella canzone, spesso sussurrando appena. Diceva molto più di ciò che lui o chiunque altro sarebbero forse mai stati in grado di dire con parole proprie. Diceva tanto con poco, il che è sempre più difficile di quanto ci si possa immaginare.
Tornò a fissare Scarlett, e notò che stava accennando un sorriso. La sua espressione l’aveva incuriosita, e lo osservava cercando di capire a cosa fosse riferita, se alla melodia che aveva appena preso avvio o, magari, a un pensiero improvviso passato di volata per la sua mente. Non immaginava che, in verità, si trattava un po’ di ambedue le cose, ma Sirius sorprese tanto lei quanto se stesso. Sapeva bene che ciò che stava per fare non era molto da lui, e non avrebbe mai fatto qualcosa del genere in nessun altra circostanza, ma la cosa non lo disturbò minimamente. Quella canzone avrebbe potuto aiutare entrambi a comprendere delle pillole di verità che, da soli, forse non sarebbero mai riusciti a decifrare, perciò decise, di nuovo, di lasciarsi andare.
Si fece più vicino a lei, scostandole un ciuffo di capelli via dagli occhi, e lasciò scivolare una mano sulla sua schiena, accostando le labbra al suo orecchio, non al punto da toccarlo, ma tanto da far sì che la propria voce soffiasse dritta verso di lei, senza dissolversi lentamente nel vuoto, senza perdere la propria intensità, le vibrazioni di ogni singolo suono.
« And dance… » mormorò, cominciando a cantare sottovoce, « … your final dance. This is your final chance... »
Al suono di quelle parole, Scarlett avvertì qualcosa sussultare dentro di sé. Sorrise appena, piacevolmente sorpresa, e continuò ad ascoltare.
Desiderava che le raccontasse quella canzone, scoprirla insieme a lui, danzare sulle sue note. Sirius, cantandone solo qualcuna, l’aveva già rapita.
« ... to hold the one you love » proseguì, muovendosi lentamente sul posto insieme a lei. « You know you've waited long enough ».
Si guardarono negli occhi, e Scarlett sorrise di fronte all’espressione che si dipinse sul volto di Sirius mentre cantava quell’ultimo verso.
Si disse che forse quella canzone avrebbe parlato un po’ di loro, e che magari era proprio questa la ragione che lo aveva spinto a sussurrargliela all’orecchio, quasi fosse un segreto che, se lo desiderava, poteva restare fra loro, inespresso. Ma Scarlett voleva ardentemente saperne di più, proprio come quando ci si sente avidi di conoscere i dettagli di una storia che ci viene confidata intimamente. E’ naturale che, sin da subito, si brami di scoprire come tutto va a finire.
« So believe that magic works » cantò ancora lui, avvolgendola nuovamente e stringendola forte a sé. « Don't be afraid of being hurt ».
Lei poggiò il mento sulla sua spalla, lasciandosi cullare, e riflettè sul significato di quelle parole, beandosi del calore che lui riusciva a trasmetterle.
Era sempre stata questa, la sua paura più grande. Essere ferita ancora l’avrebbe resa debole, diffidente, umiliata, molto più di quanto già non si fosse sentita in passato. Ed era proprio questo timore ad averle messo i bastoni tra le ruote tutte le volte in cui, suo malgrado, aveva tentato di approcciarsi nuovamente a quel sentimento che l’aveva scaraventata a terra senza preavviso. D’altronde, quando si rimane vittima di simili scherzi, non è semplice mostrarsi pronti ad accettare una nuova sfida. E Scarlett aveva avuto bisogno di tempo per affrontarne una così significativa.
Ma non era stato solo il tempo a spingerla verso quella direzione. Era stato Sirius, più di tutto il resto, ad accompagnarla nel corso dell’evoluzione, della rinascita della sua vecchia forza. Senza di lui, sarebbe rimasta inevitabilmente agganciata alle sue fragilità, incapace di approdare su un terreno più sicuro qual era quello che, al contrario, aveva trovato conoscendo Sirius. Perché nonostante potesse sembrare il più turbolento che avrebbe mai potuto attraversare, in fondo era sempre stato dura, reale terra ferma su cui poter poggiare i piedi senza paura di scivolare giù e di farsi male. E tutti gli scogli che aveva superato, che avevano superato su quel terreno ignoto per entrambi, avevano rappresentato la prova più difficile, l’ultima prima che potesse davvero voltare le spalle a ciò che aveva passato, a ciò che era stata, a ciò che non aveva mai desiderato provare o avere in vita sua.
E allora quella sollecitazione così sottile, eppure così forte, dettata dalle note di quella splendida canzone, era un potente sprone per entrambi, che dovevano accogliere, in cui dovevano credere, da cui dovevano lasciarsi guidare. Perché Sirius, cantando a lei quei versi e ripensando a ciò che stavano cercando di superare, lo disse anche a se stesso: non avere paura di essere ferito.
« Don't let this magic die... » mormorò, dondolandosi appena insieme a lei. « The answer's there… oh, just look in her eyes ».
E seguì ancora una volta il consiglio della canzone, guardandola, facendola sentire bella e minuscola a un tempo per l’intensità con cui la scrutava.
« And make your final move » cantò, e all’improvviso la fece ruotare su se stessa in una rapida piroetta, per poi ridere di cuore insieme a lei. « Don't be scared… she wants you too ».
Accennò un sorriso, lasciando scorrere le dita fra i suoi capelli un po’ impigliati, osservando la serenità che distendeva il volto di Scarlett.
« Yeah, it's hard… you must be brave. Don't let this moment slip away... » continuò a sussurrare, tanto che lei riuscì a sentirlo appena.
Ed era vero, ancora una volta. Le parole di quella canzone erano incredibilmente vere. Dovevano avere il coraggio delle proprie scelte, essere egoisti nella difesa di ciò che provavano, consapevoli dell’importanza che i loro sentimenti possedevano. Non avrebbero più fatto in tempo a lasciarli da parte per dimenticarli, la loro potenza predominava prepotentemente su di loro, e a quel punto non potevano far altro che continuare a lottare per far sì che li sommergessero definitivamente. Era semplicemente ciò che più volevano.
Ma come si fa a lottare quando l’unica scelta possibile è l’attesa? L’attesa di una decisione che non è completamente in nostro potere? Era questo a renderli così impotenti, ma quella sera, mentre stavano abbracciati, tornarono a sentirsi, dopo infinito tempo, protagonisti delle proprie volontà. E mentre ballavano già sapevano che non avrebbero dato importanza a tutte le difficoltà che circondavano perennemente ogni loro passo avanti. Ci avrebbero pensato più tardi, in un altro momento. Desideravano fin troppo fervidamente godersi un po’ di loro per poter riflettere su qualsiasi altra cosa esistente. E così avrebbero fatto.
Mentre la canzone si avviava quasi verso la sua conclusione, si sentirono storditi, del tutto persi in loro, nella musica, nel buio. Per lei, sentire la mano di Sirius muoversi lungo la schiena era un brivido perenne. Per lui, avvertire quel brivido era vitale.
« And don't believe that magic can die » continuò a sussurrare, mentre la voce della donna, alla radio, si alzava di tono. « No, no, no, this magic can’t die ».
Rese più morbida la presa sulla sua schiena, facendosi nuovamente un po’ più distante per incontrare i suoi occhi annegati nel buio della stanza.
« So dance… » disse, e potè udire il suo respiro che suonava un po’ più irregolare del normale, « … your final dance. ‘Cause this is… »
« … your final chance » concluse lei con voce involontariamente soffiata.
Sentirono se stessi avvicinarsi, l’uno verso l’altra, inconsapevolmente, eppure con tutto il desiderio che albergava in loro. Fu come essere a un passo dalla realizzazione di una grande impresa, ma senza la consapevolezza di ciò che tale azione avrebbe comportato: ne sarebbero usciti vincitori e conquistatori o umili vittime? Lo avrebbero saputo solo stando a vedere che cosa succedeva. E allora sarebbe stato troppo tardi per una ritirata o una prematura gioia. Avrebbero vissuto ciò che c’era da vivere. E, oramai, rischiare era un po’ divenuta la loro filosofia di vita.
Si resero conto di aver serrato gli occhi solo quando avvertirono il respiro dell’altro avventarsi con leggerezza sulla pelle. Non si resero conto di nulla, in verità, se non delle loro labbra che, alla fine - chissà come, chissà chi l’aveva deciso, chissà come sarebbe stato, chissà chi si era mosso per primo, chissà, forse erano stati entrambi, chissà - alla fine si toccavano e tornavano a conoscersi, a riabbracciarsi, a dirsi che il loro ultimo addio non aveva funzionato.
Fu un bacio di intensità crescente, che prese avvio da un’incertezza e si trasformò pian piano in una sconcertante convinzione. Fu un bacio impaziente, dopo un primo istante di sorpresa, come le mani di Sirius, che guidavano il capo di Scarlett con vigore e facevano sì che non si allontanasse. Fu un bacio atteso, agognato, rivelatore, che compresse i loro polmoni e dilatò il loro cuore, che fece stringere saldamente le loro palpebre e lasciò socchiudere, spalancare e poi sigillare di nuovo le loro labbra. Fu un bacio che prorompeva da dentro, e che non possedeva alcun legame con il mondo esterno. Era loro, puramente loro, e nessuno avrebbe potuto sottrarglielo.
Fu - e Sirius potè avvertirlo con istantanea chiarezza - quel calcio rabbioso che spezzò di netto la lunga catena dei suoi dubbi, quello che tanto aveva ricercato e aspettato. E non riuscì a trovare nulla di sbagliato nelle loro mani che si cercavano, nulla di bugiardo nel loro bacio affannoso, nulla di stonato nei loro respiri che tornavano a incontrarsi. Perché se davvero aveva creduto, aveva potuto pensare che la loro sintonia si fosse spenta, che l’essenza del loro sentimento nel passato non avesse più speranza di rinascere con la medesima potenza, quel bacio era stata l’esplosiva e inattaccabile dimostrazione dell’opposto.
Questa magia non può morire.
Era così che recitava la canzone che aveva raccontato con un fil di voce a Scarlett. Ed era vero: l’incantesimo che li aveva legati tempo addietro non era nato per essere sciupato da qualche duro ostacolo, non era mai stato destinato ad avvizzire; si era generato e poi rinforzato con un’energia tale da non poter più essere slegato in alcun modo. E questo, in fondo, entrambi lo avevano sempre saputo. O perlomeno, ci avevano tanto, tanto sperato.
E lo scoprirono in quell’esatto momento, mentre tenevano gli occhi chiusi e le labbra incollate. Perché, che fossero circondati da una tempesta di neve ad Hogsmeade, ancora vagamente scossi da un folle, spericolato giro in moto, o che si trovassero al caldo nella loro accogliente Sala Comune, poco importava: nel corso di quegli istanti concitati, nonostante avessero entrambi temuto il contrario, ebbero l’assoluta certezza che nulla era cambiato da allora, e che il tempo, il quale spesso si diverte ad essere un po’ tiranno e un po’ galantuomo, aveva giocato anche con loro.
Inizialmente, li aveva travolti con la sua velocità, plasmando le loro emozioni fino a portarle all’estremo, e così, in un flash estemporaneo e beffardo, li aveva spinti ad attraversare un burrascoso passaggio che, da un’ingenua gioia, li aveva condotti a una furia immotivata, senza che potessero nemmeno comprendere entrambe le sensazioni fino in fondo.
Successivamente, però, il tempo aveva deciso di sdebitarsi per quello sgarbo, e si era concesso loro totalmente, donandogli una grande oppurtunità, un’ultima chance di cui entrambi necessitavano per crescere, capirsi, mancarsi e poi riportare tutto, pian piano, alla sua originaria importanza, chetando così i furori frettolosi e vuoti e rafforzando i loro sentimenti più solidi.
Alla fine, portato a termine quel percorso, il tempo aveva deciso di allontanarsi per qualche istante, di abbandonarli al loro fugace, sospirato idillio. Ma fece ritorno ben presto, quando si separarono, respirando forte, solo per ricordare a Scarlett che no, non era ancora giunto il loro momento, che c’erano ancora dei conti in sospeso da risolvere e degli intralci da superare. La congelò sul posto come una ventata d’aria gelida, questa improvvisa e spietata consapevolezza, inducendola a fissare Sirius con uno sguardo così vacuo e spento da rendere ben presto cosciente anche lui di tutto ciò che c’era ancora da oltrepassare. Gli poggiò le mani sul petto, allacciando i propri occhi al pavimento, per poi risollevarli, insofferente.
Per poi risollevarli, allontanarsi, e annegare nel suo sguardo duro e svigorito per dirgli unicamente e senza voce: mi dispiace.








Note della Malandrinautrice: Salve! Stento a credere che, dopo due mesi, vi ricordiate ancora di noi e di questa storia, ma tutto ciò che possiamo fare per "giustificarci" (che brutto termine) è ripetervi per l'ennesima volta la solita solfa: troppo studio, troppi impegni, capitolo difficile, blabla. Lo sapete già, d'altronde siamo sempre tutti molto impegnati, credo, e questo è un capitolo di ben 85 pagine, badate bene. Quindi, passiamo oltre.
Tanti bei bacetti (?) e altrettanti passi indietro, eh? Ma nel frattempo, gioiamo per i nostri Blanks e Johniley che, nonostante tutto, almeno un po' si sono finalmente dati una mossa! E devo dire che, in questa situazione, sono moltissimi i punti in comune che è possibile rintracciare fra queste due coppie.
Beh, cosa possiamo dire? A breve comprenderete meglio le ragioni e i risvolti del passo indietro di Remus, dello strano comportamento di Miley, delle questioni irrisolte che Scarlett deve ancora affrontare e della reazione di Sirius a questo ennesimo buco nell'acqua. Intanto, mettiamoci tutti in cerchio e balliamo una bella COOOONGA, gente!
Okay, freniamo i nostri entusiasmi. Aggiungo solamente che il brano contenuto nel capitolo che fa riferimento a Remus e Miley è 'Un passo indietro' dei Negramaro, un pezzo carico di significato, mentre quello che Sirius canta a Scarlett è 'Magic works', ebbene sì, proprio delle Sorelle Stravagarie! E' uno dei fantastici brani suonati durante il Ballo del Ceppo, ed è anche la canzone da cui abbiamo preso ispirazione per il titolo di questa storia. *Ripensa con nostalgia ai tempi in cui diceva: Rossè, secondo te è meglio 'Your final chance', 'Final chances' o 'The final chance'?*
Nostra, invece, è l'immagine a inizio capitolo dei nostri bei festeggiati!
Detto ciò, non ci resta che ringraziare con tutto il cuore le trenta persone che hanno trovato tempo e voglia per recensire lo scorso capitolo: è straordinario che il vostro entusiasmo non sia minimamente scemato con il passare del tempo, i vostri complimenti non smetteranno mai di stupirci e commuoverci! 
E ringraziamo anche i 410 delle preferite, i 98 delle ricordate e i 404 delle seguite! Grazie infinite, gente!
Vi abbracciamo, a presto!


Simona_Lupin
   
 
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