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Autore: reginaincantesimo    16/03/2014    4 recensioni
"Ormai è come se non fossi più senziente: il mondo scorre intorno a me ed io so di non farne più parte. E’ così, non sono più parte del mondo, non è più il mio posto, ma non saprei dove altro andare.
Passano altre ore ed altri giorni, poi tutto cambia."
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Risveglio.HG

Ciao a tutti!

Dopo tanto tempo torno con un’altra one-shot, la prima in questo fandom.

Siamo parecchi mesi dopo l’episodio delle primule, Peeta e Katniss hanno già ricominciato a prendere confidenza l’uno con l’altra. Un giorno succede qualcosa, che ho preferito non specificare, che induce Katniss a chiudersi in se stessa.

Spero che entrambi non mi siano venuti troppo OOC e che vi piaccia la shot.

A presto

Mm91

 

***

 

Risveglio

 

 

 

 

Sono quindici giorni che sono racchiusa nel mio bozzolo. Non ho nessuna intenzione di uscirne, al massimo mi trascino fino in bagno per fare una doccia. Sono in camera mia, Sae ogni tanto mi porta qualcosa da mangiare ma io spilucco solo il pane e bevo un po’ d’acqua. Ha provato a portarmi del the ma l’ho lasciato stare. Ho sbarrato le finestre e non voglio che si accenda la luce. Voglio solo rimanere avvolta nel mio piumone bianco e lasciarmi sopravvivere. Sono stanca. Continuo a svegliarmi di notte in preda agli incubi, continuo a sobbalzare ad ogni rumore strano o imprevisto, continuo a rivivere momento per momento quel giorno. Ormai è come se non fossi più senziente: il mondo scorre intorno a me ed io so di non farne più parte. E’ così, non sono più parte del mondo, non è più il mio posto, ma non saprei dove altro andare.

Passano altre ore ed altri giorni, poi tutto cambia.

Sento spalancare la porta della mia stanza e qualcuno dal passo irregolare piomba dentro, accende la luce e si dirige verso le finestre per spalancarle. Dal mio solito dormiveglia  comincio a urlare perché spenga la dannata luce: -Spegnila! Spegni la luce! Ho detto spegni!-

Quando si gira verso di me lo riconosco: è Peeta. – Non spengo un bel niente! Tu adesso ti alzi e vai a farti una doccia. Poi scendi giù con me-.

-Vattene, lasciami stare!-

-Non me ne vado questa volta. Non mi manderai via come hai fatto con Haymitch. Dovessi portarti di peso nel bagno, tu adesso vai a lavarti! Questa stanza puzza!-

-Lasciami stare… tu mi odi! Cos’altro vuoi da me?-

E’ in quel momento che lo vedo cedere. Forse è solo un attimo, ma le mie parole lo hanno colpito come un pugno in pieno volto. Si allontana dalla finestra e si avvicina al letto. Mentre si siede sul letto io mi allontano il più possibile da lui e mi avvolgo ancora di più nella coperta. Lo vedo allungare una mano e scatto: -Non mi toccare!- . Immediatamente lui ritira la mano e la poggia sulle ginocchia. Sospira.

-Io non ti odio, Katniss. Tutt’altro. Per questo motivo non posso vederti in questo stato. Non posso più reggere il pensiero che tu sia chiusa qui, tutta sola, come un cucciolo impaurito, Non posso più sopportarlo- dice con un sospiro quasi rassegnato.

-Tu mi odi…- ripeto io. E’ una delle mie poche certezze in questo momento: Peeta mi odia, Peeta non vuole vedermi più.

-Se ti riferisci al depistaggio sappi che sei talmente dimagrita che non somigli nemmeno più alla ragazza che mi facevano vedere in quei momenti. So che non sei lei e so che quelle immagini, così come me le hanno fatte vedere loro, non esistono. So controllarmi adesso, e se così non fosse sei talmente diversa da non poterti in nessun modo ricollegare a lei. Posso scostare la coperta ora? Vorrei guardarti…-

Fa di nuovo per allungare la mano ed io trattengo il respiro, fino a che non sposta il lembo della coperta e vedo, per la prima volta dopo tanto tempo i suoi occhi azzurri, e nei suoi occhi azzurri una preoccupazione senza fine.

-Dio mio, Katniss. Come hai fatto a ridurti così? Come abbiamo potuto lasciartelo fare?-.

Non colgo appieno il significato delle sue parole, quasi non le comprendo. Devo avere un aspetto pietoso se mi guarda così.

-Ce la fai a metterti seduta?- mi chiede con dolcezza. Annuisco e cerco di far forza sulle braccia. Non riesco. – Ti aiuto- sussurra e le sue mani sono in un attimo sulle mie spalle e mi aiutano a cambiare posizione. Comincia ad abbassare ancora di più la coperta, ma io la stringo forte. – Katniss, è inutile che continui. Non ti farò vincere questa volta. Lascia che ti tolga questa coperta.- Obbedisco. Non posso fare altro, non ne avrei le forze.

Continua a tirare via da me il piumone bianco fino a quando non mi ha scoperta. Con un ultimo strattone lo lancia dall’altro lato della stanza. Si alza dal letto, non capisco cosa voglia fare. Lo vedo chinarsi verso le mie gambe e trascinarle giù dal bordo, come si fa con i malati. Forse sono malata anch’io. Ormai sono seduta sul bordo del letto.

-Riesci a stare così mentre ti preparo il bagno?- Ho giusto le forze per annuire, lo scatto di poco fa ha prosciugato le mie riserve di energia.

Lo vedo ricomparire in camera pochi minuti dopo, ha le maniche della camicia arrotolate. Accenna un sorriso mentre mi dice che il bagno è pronto. Non lo capisco. Non trovo un motivo per cui stia facendo tutto questo. Cosa gliene importa se mi lascio vivere come ho fatto ultimamente? Ma non ho la forza di fargli nemmeno questa domanda.

Lui si avvicina con cautela, mi accarezza una guancia mentre io continuo a guardare a terra, poi mi aiuta a sollevarmi dal materasso ed inaspettatamente mi prende in braccio, per portarmi nel bagno. Mi aspetta la vasca ricolma di acqua calda e di sapone che ha già fatto le bolle. Siamo vicinissimi alla vasca quando mi mette giù e comincia a tirarmi su la maglia.

-No! Fermo! Che fai?-

-Ti spoglio? Da sola non ce la faresti mai…-

- Non è vero. Vattene, faccio da sola- riesco a dire in un sussurro-.

- Ma se non riesci nemmeno a parlare. E comunque non ci sarebbe niente da vedere, solo le ossa-.

-Smettila! Perché mi dici tutte queste cattiverie?-

-Dico la verità. Ora fatti aiutare-.

Sono costretta a cedere: le sue mani sono calde, sicure e leggere su di me. Mi rendo conto che cerca di toccarmi il meno possibile. Mi sfila le mutandine insieme ai pantaloni della tuta, forse per evitarmi l’imbarazzo. Mi aiuta ad entrare nella vasca e mi slaccia il reggiseno mentre mi dice di sedermi. Poi si gira ed esce.

Rientra poco dopo con un cambio completo e lo poggia su un mobiletto, poi si inginocchia accanto alla vasca. – Cosa vuoi fare adesso?- gli chiedo. – Lavarti i capelli. Io ti tengo su, tu cerca di bagnarli completamente- dice e mentre io mi sposto per abbassare la testa, lui mi tiene per la nuca, poi mi aiuta a tirarmi su. Prende il flacone dello shampoo  e se ne versa una noce in mano e comincia a massaggiarmi dolcemente la cute ed i capelli, quando pensa di essere soddisfatto li avvolge in uno chignon, si sciacqua le mani e mi poggia un asciugamano di spugna dietro la nuca, così da stare più comoda.

-Vado a prepararti qualcosa da mangiare, tu stai qua e non fare sciocchezze. Non provare ad alzarti o ad uscire, ti faresti solo male. Tornerò io ad aiutarti. Prova a goderti l’acqua calda, ok?-

E’ allora che fa una cosa che non mi sarei mai aspettata: si avvicina e mi bacia la tempia, leggermente, poi si alza e se ne và.

Rimango a bagno nell’acqua, a bearmi del nuovo bozzolo che mi circonda, come mi ha detto lui. Cerco di restare sveglia e non cadere nel dormiveglia che mi ha preso da quella volta.

Quando ritorna mi trova esattamente nella posizione in cui mi aveva lasciata. Mi chiede se dorma e con un leggero cenno del capo gli faccio capire di no.

-Sei pronta per uscire?-. Dalla mia bocca esce un pigolio che vuol dire si, e lui capisce. – Ti devo sciacquare i capelli prima.- Prende il soffione della doccia e comincia a far scorrermi l’acqua tra i capelli. La schiuma va via e sento che sono morbidi e puliti. Lo ringrazio con uno sguardo.

Quando ha finito con i capelli prepara un grande telo a terra, e ne tiene un altro aperto davanti a sé. Capisco che devo uscire e così raccolgo le forze per alzarmi. Appena  sono fuori dall’acqua mi avvolge il telo intorno al busto e lo ferma dietro la schiena. Tenendomi un braccio in vita riesce a farmi uscire senza sforzo. Se prima mi sentivo una malata, ora mi sento una bambina. Miglioro?

Non appena poggio i piedi a terra lui afferra un altro asciugamano e comincia ad asciugarmi le braccia, poi si ricorda dei capelli e li avvolge in un telo. Continua asciugandomi la schiena ed inginocchiandosi si dedica alle gambe. Era tanto che nessuno si occupava di me in questo modo.

-Ti devi vestire- sussurra.

-Da sola non ce la faccio-.

-Lo so. Ti aiuto io, non c’è problema.-

Mi veste, cercando di non mettermi in imbarazzo: fa in modo di infilarmi gli slip tenendomi su l’asciugamano e lo stesso fa per mettermi la maglietta. E’ solo allora che con uno strattone toglie il telo e si inginocchia per aiutarmi ad infilare i pantaloni. – Appoggiati alle mie spalle, così non cadi-. Io faccio semplicemente come mi dice e sento i muscoli delle sue spalle guizzare sotto le mie dita mentre alzo prima  un piede e poi un altro per indossare la tuta che ha preparato per me. Mi rendo conto che se non li stringesse in vita con il laccetto probabilmente cadrebbero. Sono davvero pelle ed ossa. Non mi guardo allo specchio, non voglio vedermi.

Continuo a muovermi come un automa: lascio che Peeta mi faccia sedere su uno sgabello e mi asciughi con cura i capelli, dopo avermeli pettinati. Ci mette molto tempo ed io mi rilasso. E’ come se uscissi da uno stato di trance quando mi chiede se può abbracciarmi, e mi ritrovo in piedi, di fronte a lui. Ancora una volta l’unico modo in cui posso rispondergli è con un lieve cenno del capo. Ed ecco che le sue braccia mi circondano facendo attenzione a non farmi male, è come se fossi di vetro. Sento il calore del suo abbraccio e le labbra che mi si posano sul capo, poi un sussurro: -Vederti così mi distrugge-. Si allontana con un’ ultima carezza.

-Andiamo giù, si mangia-.

Mi prende di nuovo in braccio e mi porta giù dalle scale. La casa è in ordine come al solito, merito di Sae, immagino. Mi adagia su una poltrona che ha spostato vicino ad una finestra del salottino. Affaccia sul giardinetto posteriore della casa. Avvicina a me un tavolino su cui è posato un vassoio con le focaccine al formaggio che tanto mi piacevano, una fetta di torta, della frutta, una caraffa con l’acqua ed una tazza di the. Avvicina una sedia alla mia poltrona e si siede lì, senza proferire parola.

Passa molto tempo, il sole comincia a calare. Nessuno di noi si è mosso, io guardo fuori dalla finestra, Peeta guarda incessantemente me.

-Pensavo che il messaggio fosse chiaro- dice. Io continuo a guardare fuori dalla finestra.

-Katniss, guardami quando ti parlo, per favore-.

Mi giro di malavoglia.

-Ti decidi a mangiare da sola o ti imbocco? –

-Non ho fame-.

-Certo che non hai fame. Sei anoressica, ormai. Mangerai lo stesso. Non ce ne andremo fino a che non avrai mangiato-.

-Se ci tieni tanto a saperlo, solo l’odore del cibo mi fa venire da vomitare. Mi sto trattenendo dal farlo ed è già molto-.

-Non hai nemmeno la forza di camminare ed ancora non ti rendi conto dell’enorme stronzata che stai facendo. Ma come fai?-

-Non ho bisogno di camminare. Voglio stare a letto-.

- Ti ho già detto che non ti permetterò di ammazzarti così o di sopravvivere in questo modo-.

-Sono stanca. Lasciami stare-.

E’ allora che non ci vede più. Con uno scatto si alza dalla sedia e va in cucina. Penso che non voglia farsi vedere arrabbiato da me, forse pensa di potermi spaventare. Sto davvero mettendo alla prova la leggendaria pazienza di Peeta Mellark?

Quando torna porta con sé un vasetto pieno di una strana poltiglia. Senza una parola scosta il tavolino e sposta una sedia davanti a me. Si siede e prende un cucchiaino di quella pappetta.

-Cos’è?-

-Mela. L’ho frullata. Si dà da mangiare ai bambini piccoli. Apri la bocca-.

Provo a replicare, ma prendendomi in contropiede, mi infila il cucchiaio in bocca. Non posso sputare: sono costretta a mandare giù il boccone. E’ dolce, ma non ne voglio lo stesso.

Provo di nuovo a parlare ma mi interrompe: - Non ci provare. Non mi farò commuovere questa volta, te l’ho già detto. Mangerai e non farai storie.-

Non c’è modo di fargli cambiare idea, lo so. Faccio come mi dice. Provo anche a mangiare da sola, ma non ce la faccio, è costretto ad aiutarmi. Più mangio, più sembra contento. Quando finisco la ciotolina mi dice: -Brava! Hai mangiato due mele. Ti va di andare sul divano, vicino al fuoco?-. Io gli faccio cenno di no con la testa. – Dove vuoi andare?-

-Su-.

-Non puoi. Devo cambiare le lenzuola e dare una sistemata. Tornerai sopra quando sarà ora di andare a dormire. Va bene il divano adesso?-

-Si-.

-Andiamo allora- dice, prendendomi di nuovo in braccio.

Mi posa dolcemente sul divano e mi adagia una coperta addosso. Mi fa una carezza prima di voltarsi verso il camino per ravvivare la fiamma. Poi si avvia verso il piano superiore. Passo il tempo ipnotizzata dalle fiamme nel camino. Quando lo sento scendere, tempo dopo, quasi mi spavento. Ha un sacco in mano e mi dice che andrà un attimo a casa sua e che cercherà di fare presto.

Ad un certo punto, durante la sua assenza sento delle voci fuori, sembra che urlino ma non mi interessa e smetto di ascoltare.

Quando Peeta rientra sembra alterato ma cerca di non darlo a vedere. Viene verso il fuoco, che ravviva, e si volta verso di me: - Come va?-

-Mhm-.

Sono stesa sul divano ormai. Lui si allontana di nuovo ma torna subito tenendo in una mano il piatto di focaccine e nell’altra un cuscino.

-Posso sedermi lì con te?-

-Si-

Si siede sul divano e si poggia il cuscino sulle gambe. Mi trascina con la testa sul cuscino e comincia a giocare con i miei capelli. Ad un certo punto spezza il silenzio:

-Ci hai sentiti urlare?-

Io faccio cenno di si con la testa e solo allora lui continua: -Ho litigato con Haymitch. Non voleva che venissi. Secondo lui non avrei dovuto impicciarmi e lasciarti superare questo periodo di crisi da sola. Forse pensa anche lui che io sono ancora pericoloso per te. Gli ho risposto che non mi sembra che lui abbia fatto molto in queste settimane per aiutarti e che se ti avesse vista forse avrebbe cambiato idea. La parte che più potrebbe interessarti è questa: gli ho chiesto di non venire per un po’ e di avvisare Sae di fare lo stesso. Ci porterà comunque qualcosa da mangiare ogni tanto. Saremo tu ed io-.

-Sembra una minaccia-.

-Lo è. Non ti permetterò di ripiegarti su te stessa. Ti alzerai tutte le mattine, mangerai tutte le volte che sarà necessario e ti rimetterai in forze. Ho chiamato un paio di medici ieri: mi hanno detto di farti mangiare poco e spesso. Con il passare dei giorni recupererai le energie che adesso ti mancano e ricomincerai a vivere normalmente. Non voglio sentire scuse. Potrai urlare e ribellarti quanto vorrai, ma io non mollerò-.

Io non rispondo. Ho capito che quando si mette in testa qualcosa non cambia idea per niente al mondo.

Sono io a spezzare il silenzio: -Perché fai tutto questo?-

-Perché ti amo, Katniss-.

La sua risposta mi spiazza, tanto da sentire la necessità di girarmi e guardarlo negli occhi. Non so cosa rispondergli. Da quando è tornato da Capitol City non me l’ha mai detto, pensavo che quella parte di Peeta forse persa per sempre. Riesco solo ad avvicinarmi di più al suo torace e a prendere la sua mano nella mia poi chiudo gli occhi.

Quando li riapro è ormai buio. La mano di Peeta è ancora nella mia mentre l’altra mi accarezza i capelli.

-Ti va di mangiare un altro po’?- mi chiede. Dico di si solo per farlo contento.

Mi tira su con un mezzo sorriso sulle labbra, mi porta contro il suo petto e mi aggiusta la coperta che tengo ancora addosso. Mi mette in mano una delle sue focaccine e mi guarda mangiarla lentamente, molto lentamente. Continua ad accarezzarmi i capelli di tanto in tanto o mi abbraccia cercando di non farmi male. Mi chiede se ho sete e mi passa l’acqua. Comincio a pensare che tutta questa premura non mi dispiaccia.

Penso a quello che mi ha detto prima. Ha detto che mi ama. Ed io avevo dato per scontato che non mi volesse più dopo tutto quello che era successo. Il fatto che mi ami potrebbe cambiare tutto. Potrei scoprire di avere ancora qualcosa per cui vivere. Forse non è tutto perduto come credevo fin da quando sono tornata al mio distretto. Forse c’è ancora speranza per me, per noi. Ma forse sto correndo troppo. Potrebbe averlo detto solo perché sapeva che io avevo bisogno di sentirmelo dire. Non lo so, è tutto così confuso. Decido di smettere di pensare. Ormai sono una campionessa in questo.

Invogliata da Peeta mangio una seconda focaccina e bevo ancora acqua. Restiamo in silenzio a scrutarci, più o meno di nascosto, nella semioscurità del salottino.

Sono le nove e mezza di sera quando Peeta si avvicina al mio orecchio: -E’ ora di andare a letto, che dici?-

Gli dico che per me va bene. Mentre saliamo di sopra mi spiega che rimarrà a dormire da me, nella stanza accanto alla mia. Quando entriamo nella mia stanza noto subito l’assenza del mio piumone bianco.

-Dov’è la mia coperta?-

-L’ho bruciata, insieme a tutto il resto-.

-Che cosa hai fatto?- gli chiedo furente.

-L’ho bruciata. Puzzava, come tutto il resto. Chiamerò Effie e te ne farò comprare un’altra uguale se vuoi. Quella era irrecuperabile-.

-Non puoi decidere delle mie cose-.

-Posso, se tu non sei in grado di farlo da sola. Ed in questo momento non lo sei-.

-Io non sono stupida!-.

-No, non sei stupida. E’ solo la tua mente che ci gioca dei brutti tiri. Non sei completamente te stessa, se vuoi saperla tutta. Lascia che siano gli altri a decidere cosa sia meglio per te. Quando starai meglio ti riprenderai la tua autonomia-.

Mi ritrovo a pensare che il suo discorso abbia un senso. Non riesco nemmeno a reggermi in piedi, come dargli torto. Non ho nessuna intenzione di dargli ragione, quindi taccio.

Senza alcuno sforzo mi mette a letto e mi rimbocca le coperte. Io mi stendo e mi ritrovo a godere della freschezza delle lenzuola appena cambiate. Ancora una volta in questa lunga giornata penso che forse ha ragione lui. – Sono nella stanza a fianco. Se hai bisogno di qualcosa mi chiami, ok?- Faccio segno di si. – Buonanotte Katniss- dice mentre si alza dal letto e va verso la porta. Dopo qualche passo si ferma e torna indietro. Viene a lasciarmi un bacio sulla fronte e una carezza.

 

E’ notte fonda quando mi sveglio in preda ad un incubo. Sono seduta nella mia parte di letto. La porta si spalanca di colpo: è Peeta. Sto già piangendo quando si avvicina. Cerca di consolarmi come può.

-Ti prego, resta- riesco a dirgli tra le lacrime. Si infila nel letto accanto a me in un attimo e ci stendiamo. Mi tiene tra le sue braccia come durante il Tour della Vittoria. Mi sembrano così lontani quei momenti in cui avevamo trovato un equilibrio.

-Pensavo di averti perso per sempre-.

-Come vedi non è così. Sono tornato, per sempre-.

-Grazie. Per oggi, dico-.

Non risponde ma mi stringe un po’ di più e mi dà un altro di quei baci sulla testa che ho scoperto di amare tanto, poi dice. – Cerca di dormire ora-.

 

Il mattino ci trova abbracciati, come ci siamo addormentati. Peeta si sveglia prima di me, quando comincio a svegliarmi, infatti, mi sta già accarezzando il braccio e la schiena. Mi volto a guardarlo e gli dico: - Buongiorno! – aprendo appena gli occhi. Si china per darmi un bacio sulla fronte e mi risponde: - Buongiorno a te! Come va?-. L’unica risposta che mi va di dare a questa domanda è un mugugno. Lui ridacchia e mi chiede se ho fame. Io gli rispondo di no, ma aggiungo anche che so che mi farà mangiare lo stesso. Gli chiedo almeno di aspettare dieci minuti ancora prima di alzarci. Mi propone di restare a letto mentre lui va a vestirsi. – Voglio rimanere a letto con te- gli dico.

-Va bene. Ma dopo mangi, senza fare storie-.

Lo stringo un po’ di più.

Venti minuti dopo siamo in cucina e lo guardo preparami la colazione mentre sono seduta al tavolo. I biscotti sono già davanti a me, mi taglia una fetta di pane e poi mi porta il the. Sono due tazze, ce n’è una anche per lui.

-Tu non bevi mai il the a colazione-.

-Volevo farti compagnia-.

-Ah-.

-Bevi, su!-.

-E’ troppo caldo-.

-Non è vero. Hai promesso che non avresti fatto storie-.

Mi tocca cedere. E’ irremovibile. Comincia a bere a piccoli sorsi mentre Peeta spezzetta il pane ed i biscotti in modo che io possa mangiarli facilmente. Prendo qualche pezzettino a casaccio, per farlo contento ma non ho fame. Mi intima di finire tutto.

-Hai voglia di fare qualcosa di particolare oggi?-

-No-.

-Posso leggerti qualcosa se vuoi. Oppure possiamo vedere un cartone animato, li guardavo sempre quando da piccolo ero malato-.

-Io non sono malata!-

-Sei sicura?-

Abbasso la testa, ha ragione lui.

-Cartone, allora?-

-Va bene!-

-Vado a prenderli, mi aspetti?-

-Dove potrei andare, Peeta? Mi aiuti ad arrivare al divano?-

Ancora una volta mi prende in braccio. Mi adagia sul divano e mi stende la coperta addosso, perché non abbia freddo.

Torna in cinque minuti con una grossa scatola sotto il braccio. E’ piena di cosi rotondi che chiamavano dvd. Li ho visti poche altre volte, a scuola. Si mette a scegliere e poi ne infila uno nella base della tv. Non presto molta attenzione a quello che succede. Per la maggior parte del tempo sonnecchio stretta a lui. Il contatto fisico mi fa stare meglio.

Mi sveglio quando lo sento muoversi. – Dove vai?- gli chiedo.

-A prepararti la mela, come quella di ieri-.

-Ma ho appena mangiato!-

-Sono passate tre ore Katniss. Hai dormito-

-Perché non mi hai svegliata?-

-Ti sei agitata tutta la notte, invece ora dormivi così bene-.

Mi sposto per farlo alzare. Torna da me dopo qualche minuto con in mano la ciotolina di ieri e si rimette ad imboccarmi. Quando sono a metà bussano alla porta. Va ad aprire Peeta. Lo sento parlare con qualcuno, ma riesco ad afferrare solo un “sta meglio”. Quando torna mi dice che era Sae che ci ha portato lo stufato per pranzo e che ha chiesto come mi sentissi. Tutti mi trattano come se fossi malata. Lo sono?

Mentre era via ho mandato giù qualche altro cucchiaio di mela e sembra accorgersene.

-Peeta?-

-Si?-

-Cosa siamo noi adesso?-

-Katniss, non mi sembra il caso. A stento ti reggi in piedi, non vuoi affrontare questo discorso, non ora-.

-Smettila di trattarmi come se fossi malata e rispondimi!—

-E va bene. Io ti amo! Ma questo già lo sai. Te l’ho detto anche ieri sera. Sei tu a non sapere cosa provi o cosa vuoi. Io sono qua e non me ne andrò. Non ci sarà un altro Presidente pazzo che si metterà tra di noi. Sei tu che devi capire adesso. Ed io non posso fare nulla, se non amarti con tutto me stesso.-

-C’è stato un momento in cui ho cominciato a capire che forse avevi ragione tu, avevano ragione tutti gli altri. Se ne era accorta anche mia sorella: io ti amavo, ma non lo sapevo. E quando l’ho capito tu sei tornato, ma non eri più tu. Mi è caduto il mondo addosso, ormai il tuo amore era l’unica certezza in quel casino che era la mia vita. Tutto quello che mi ha fatto andare avanti in quei mesi è stata la vendetta. Solo quello. Sono diventata una persona orribile, davvero. Ero convinta che il ragazzo che avevo conosciuto, quello che mi amava con tutto se stesso non ci fosse più. Dopotutto penso che mi sbagliassi, ancora una volta. Sei tornato ed avevamo cominciato a ricostruirci una vita normale. Poi quel giorno…-

-Katniss, ascolta: stai male e va bene. Devi stare male. Nessuno passa quello che abbiamo passato noi e ne esce incolume. Devi cominciare ad accettare il fatto che tu non sia incrollabile. Hai diritto di stare male quanto e più degli altri e devi farti aiutare. Devi permetterci di aiutarti. Possiamo essere la tua famiglia, possiamo ricominciare daccapo. Se vuoi io starò al tuo fianco ogni giorno. Ti costringerò a mangiare quando non avrai fame, ad alzarti dal letto quando vorrai restare nel tuo bozzolo, a tenere in ordine questa casa per poterci vivere al meglio e ti spingerò ad uscire quando vorrai rimanere tra queste quattro mura. Io ci sarò! Ma tu me lo devi permettere. E quando starai davvero meglio potremo riprendere quel discorso, se vorrai ancora. Solo allora. Per ora hai il diritto di stare male.-

Non so come faccia a trovare sempre le parole adatte. E’ un dono il suo.

Sto davvero meglio ora che mi ha parlato e che so cosa pensa: Peeta non crede che io sia “mentalmente instabile”, come mi hanno definita al 13, Peeta sa che sono una sopravvissuta, perché lo è anche lui ed ha capito prima di me che devo ormai rimettere in piedi la mia vita, che si è frantumata del tutto, prima di andare avanti per quella che sarà la mia strada.

 

In questo modo passano parecchi giorni. Sono giorni noiosi, in parte, perché non ho nulla da fare o meglio, non ho la forza di fare nulla. Comincio a seguire la dieta che Peeta si è fatto recapitare da specialisti di Capitol City e provo ad aiutarlo in casa come posso. Le prime volte ero esausta dopo aver pelato tre patate, poi comincia ad andare meglio.

Un giorno gli chiedo di Haymitch, mi manca il mio mentore. Dice che sta bene e che potremmo invitarlo a cena. Decidiamo per la sera successiva. Haymitch viene a casa mia e cena con noi. E’ sobrio. Prima di andarsene si scusa con Peeta e riconosce che sto effettivamente meglio rispetto all’ultima volta che mi ha vista.

Passa un mese e sono di nuovo in grado di lavarmi da sola, di muovermi liberamente per casa e di preparare qualcosa da mangiare. Peeta ed io viviamo praticamente insieme ma dormiamo ancora in letti separati: viene da me solo se comincio ad urlare per incubi particolarmente intensi. Ancora non sono uscita di casa, ma non importa.

Sono tutti più sollevati, riesco persino ad avere una conversazione telefonica civile con mia madre che promette di venire a trovarmi e mi raccomanda di continuare a seguire la dieta. Alla fine abbiamo trovato un modo per tenerci impegnati nelle nostre interminabili mattine in compagnia l’uno dell’altra: Peeta mi insegna a cucinare. Riesco meglio di quello che pensassimo, la conoscenza di tutte le piante reperibili al distretto mi aiuta non poco. Ci divertiamo un mondo a preparare i nostri pranzi. Ovviamente Peeta mangia molto più di me.

Ci sono ancora delle mattine in cui non voglio alzarmi dal letto per niente al mondo, ma c’è lui a costringermi ad andare avanti. Qualche volta deve ancora insistere per farmi finire quello che ho nel piatto. Non ha perso quel modo di fare autoritario con cui si è presentato qui un mese fa e con il quale mi ha costretta ad alzarmi dal letto e a riprendere in mano la mia vita. Non è ancora tutto a posto ma ci sto lavorando. Ci stiamo lavorando, insieme.

Con il passare dei giorni mi rendo conto che i sentimenti che provavo per lui cominciano a riaffiorare, forse perché adesso somiglia di più al ragazzo che ho conosciuto ai tempi della prima arena e del Tour della Vittoria. O forse perché quei sentimenti non se ne sono mai andati dei tutto.

Non so nemmeno io come un giorno mi trovo ricoperta di farina e stretta tra le sue braccia. Dopo tanto tempo sento le sue labbra appoggiarsi sulle mie e quel senso di completezza che ho tanto cercato negli ultimi anni mi scoppia nel cuore, come una scoperta. Mi tiene stretta a sé per i fianchi e continua a baciarmi. Appena me lo permette mi avvicino al suo orecchio e gli sussurro: -Ti amo-.

Dopo averlo fatto vorrei solo scappare a nascondermi ma lui mi stringe così tanto da rendermelo impossibile.

-Ho avuto davvero paura di perderti per sempre, quel giorno quando sono entrato in camera tua-.

-Mi dispiace. Non me ne vado più, promesso-

-Ti amo Katniss-.

 

  
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