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Autore: TuttaColpaDelCielo    16/03/2014    2 recensioni
«Ho sbagliato qualcosa?» chiedesti, tremando nel fuoco.
«No. Non hai sbagliato nulla.» ti risposero «Non è colpa tua.»
Ti condannarono ugualmente.

Nata dalle proprie ceneri come l'araba fenice, si chiede Chi sono? e impazzisce lentamente, senza memoria di ciò che fu prima.
Senza passato non c'è futuro; se non eri, non sarai. Allora che senso ha essere?
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 33 – Ishild





Non l’ha udito arrivare.
Si è voltata all’ultimo istante, scorgendone la figura distorta sulle acque del torrente, appena prima che l’uomo giungesse a sfiorarla; ora indietreggia appena, con le braccia al petto e un’inquietudine violenta.
Non è la prima volta che lo vede – ma mai così vicino, mai a solo un soffio da lei. Mai più di una presenza evanescente, a scrutarla a distanza con occhi che riecheggiano qualcosa.
Occhi che riecheggiano qualcosa.
Riecheggiano qualcosa.
Qualcosa.
E allora lo fissa in silenzio, senza urlare, senza fuggire, cercando di dare un senso a quel qualcosa che riecheggia lontano.
Lui china il volto per ricambiare lo sguardo – è più alto degli uomini del paese, più alto persino di Artair, che sfiora gli stipiti con il capo. È più robusto, più grande, e quando le tende una mano lei si sente minuscola. Potrebbe stringerle il collo e strangolarla senza fatica, con quella mano.
E invece l’uomo le preme due dita sulle labbra, come a zittirla.
Lei sussulta.
È gelido.
«...Ishild.»

Piange.
Piange e singhiozza e urla e non capisce, non vuole credere, tra le dita si trova capelli strappati. Chiede perché. Chiede di lei. Vomita parole in una lingua estranea, la lingua di madre nei sogni, dubbi e domande e ancora singhiozzi e ancora urla.
Lui la guarda dall’alto, in silenzio.
«Dimmi che non è vero.» rantola con la voce arrochita. Solleva lo sguardo a fissarlo, implorante. «Dimmi che stai mentendo. Ti prego.»
L’uomo allunga una mano e le scosta i capelli dal viso, in una carezza lieve.
«Non posso, Ishild.»

«Morag, sì? Un nome grazioso, bambina.»
La donna la guarda con il volto inclinato di lato, come se il collo non riuscisse a sostenerlo.
«Preferisco Ishild.»
Risata – bocca spalancata. Zanne scoperte.
«Oh, Morag. Bambina.»
«...io sono Ishild.»
«Tu credi?»
Le si avvicina barcollando, quasi ondeggiasse nell’aria, sospinta dal vento. Tutto in quella donna sembra decadente – anche il passo. Anche il riso. Anche il respiro caldo, bollente, ad un soffio da lei.
Una decadenza spaventosa e ammaliante.
«Eppure» sibila il demone contro le sue labbra «non puoi dire d’essere la stessa di un tempo. Sei rinata. Sei diversa. Sì?»
Lei annaspa, trema sotto quello sguardo – barato oscuro che la inghiotte senza speranza. Vorrebbe solo chiudere gli occhi e coprirsi le orecchie, ma non può, perché quella voce è una nenia che incanta e incatena.
«Dici di essere Ishild.»
La donna sorride, dolcissima.
Spaventosa e ammaliante.
«Ma Ishild, bambina, non è che lo spettro di un’ossessione.»

Lei è ombra rincorsa negli incubi, vuoto che divora, figura evanescente.
Sa che lei esiste, che è importante. Riconosce il suo richiamo nella solitudine opprimente, ne cerca il volto tra i ricordi del prima – ma i ricordi del prima sono nulla. Memorie vuote. Solo le parole di Michael a narrare, spiegare, dipanare davanti a lei la trama di un passato che non rimembra.
Sa che lei esiste, che è importante, e che un giorno potrà riaverla e cadere insieme e non separarsene più.
Ma di lei non sa null’altro e annaspa nell’ignoranza, nel silenzio di occhi grigi troppo distanti, cercando di dare un nome all’assenza.

«Mi ami?»
Michael aggrotta la fronte, stringe le labbra con irritazione. La mano, mentre scorre a pettinarle i capelli, ha un fremito.
Non risponde.
«Mi ami, Michael?»
Silenzio – ancora.
Lei gli appoggia la fronte contro un braccio a sospira.
«Perché non rispondi?»
«Cosa vuoi sentirti dire?»
La sua pelle è fredda, ma la sua voce di più.
Sempre così gelido. Così distante.
«Di certo mi hai amata, se sono qui. D’altronde non è stato il nostro amore a farmi rifiutare dal mio primo Fuoco? Non è stato perché tu mi hai toccata
Gli stringe il braccio, affonda le unghie nella carne per reclamare la sua attenzione. Lui la guarda dall’alto e non reagisce. Forse non se n’è neppure accorto, o forse la sta solo ignorando per non cedere alla furia. Non le piacerebbe se cedesse, immagina.
Continua comunque.
«Dici che la ferita mi aiuterà a ricordare, che ritrovare lei mi aiuterà a ricordare, quando il Fuoco mi avrà accettata. Che potrò tornare da te, eterna e immortale. Penso che... sì, penso che si possa definire amore, forse, questo tuo desiderio di avermi con te per sempre. Non credi, Michael? Eppure» storce le labbra in una smorfia «eppure trascorrono mesi, prima che tu torni da me. Né sembra costarti molto sforzo, mantenere puro il mio corpo.»
Lui resta a fissarla in silenzio, immobile, per un tempo che le pare infinito.
Istanti di stasi.
E poi sente la sua mano gelida contro il volto e il suono di un colpo e lei all’improvviso rovina a terra. Bruciore, sangue dal labbro spaccato – fa male.
Il caduto incombe su di lei, fremente di collera.
«Ti avevo detto di non parlare con Eisheth.»
Lei sorride, anche se il labbro rigurgita sangue. Ha voglia di piangere.
«Mi ami, Michael? O è solo ossessione?»
Michael le volta le spalle.

(rabbia silenzio solitudine.)
Non usi mai il mio nome. Eisheth a volte mi parla del prima. Mai il mio nome. Non capisco. Dove vai? Da Dumah. No, non andare. Per favore. Per favore, resta. (silenzio.) Mai il mio nome. Mai il mio nome. Ti prego, parlami di lei. Parlami del prima. Ci sono cose, del prima, che potrebbero non piacerti. Ma io voglio sapere. Ti prego. No, non andare. Resta. Resta... (rabbia silenzio solitudine dubbi.)
Non usi mai il mio nome. Mai il mio nome. Io sono Ishild, non sono uno spettro. Sono qui, perché non mi guardi? Perché non mi parli? (silenzio.) Ti manca mai il Paradiso? Voglio essere l’unica a mancarti. Solo io. Dimmi che sono l’unica, dimmi che sono importante. Dimmi che mi ami.
(rabbia silenzio solitudine dubbi terrore.)
E se non ricordassi? E se non la riconoscessi? E se- hai paura. ...sì. Stringimi, ho paura. Mi disprezzi, vero? Sono sempre così umana, lo so. Non li tradirai. Resterai con loro. Non... no, non dire questo, non dirlo, ho bisogno di sapere che ci sei, che mi aspetterai, avevi ragione tu non avrei mai dovuto ascoltare Eisheth mi sono venuti tutti questi dubbi ma ti prego non dire così, sto crollando non vedi? Ho bisogno di te. Ho bisogno di te. Li temi. Li temi a tal punto che non oserai. No, no no no no, no, non sono codarda, non sono una di loro, non disprezzarmi, non sono... Dimostralo.

Socchiude gli occhi.
Il sole, all’orizzonte, muore per rinascere ancora.
Come me. Come noi.


«Povera, povera cara. Povera sciocca.» sussurrò Eisheth, stringendola contro il proprio petto. Le accarezzò le guance, si bagnò le dita delle sue lacrime. «Fa male, sì? Sapere di essere stata ingannata, usata, tradita. Sapere che qualcuno ha voluto sibilarti menzogne, avvelenarti la mente. È davvero crudele, bambina, sì? Così sola, confusa, disperatamente affamata di attenzioni. E lui è giunto ad abbracciarti, bambina, bambina sciocca...» strusciò le labbra contro i suoi capelli «solo per strapparti le ali.»

 * * *

Dita di ghiaccio cercavano le sue labbra, gli zigomi, il groviglio dei capelli. Le percorrrevano il volto come a voler ritrovare forme conosciute e riecheggiare il passato, ribadire un possesso.
«Non piangere.» bisbigliò il caduto «Va tutto bene, Ishild, ora va tutto bene.»
Le baciò le gote, si bagnò le labbra delle sue lacrime.
Fece male.
Fece schifo.
Lei voltò il viso di scatto per sottrarsi a quel tocco. Pregò che la pioggia lavasse la vergogna e il disgusto, ma dalle gocce ottenne solo altro gelo, brividi di freddo a scuoterle il corpo ancora nudo – un freddo che veniva da dentro e non se ne sarebbe più andato, perché era la sua stessa essenza ad agonizzare nel ghiaccio.
Se solo non avesse ascoltato il Censore, se solo avesse ignorato quelle cose incredibili – Cherubini nati umani e madri e unioni fertili e schiene senza squarci e basta per favore basta. Avrebbe voluto cancellare ogni parola perché era troppo, troppo da assimilare, troppo da sostenere. Portava alla follia. Alla Caduta.
E lei era caduta, infatti. Con un altro dannato ad attenderla.
Se solo da umana non si fosse lasciata corrompere.
«Ishild, non mi riconosci? Non ricordi?»
Sì, ricordava – grazie al Censore e all'essenza sconvolta dal Fuoco e a un bacio che aveva risvegliato troppo. Ricordava e si odiava.
«Lasciami in pace.»
Ricordava e lo odiava.
«Ishild...»
Lo sguardo dello sconsacrato era dolore confuso che le colava addosso. Avrebbe voluto rallegrarsene, ma i singhiozzi continuarono a violarle le labbra, i rimpianti non smisero di stringerle la gola. L'angoscia minacciava di non concederle mai tregua, indifferente persino alla stanchezza opprimente.
«Io sono Sachiel. Ishild non esiste più.» lasciò che le ali si accasciassero attorno al busto, esausta, sottraendo la pelle nuda agli sguardi «Lasciami in pace, Michael.»
Lui le sorrise con una malinconia dolce, delicata quanto la carezza che le sfiorò i capelli.
«Non posso.»

* * *

«Ci pensi, bambina? Sei stata nelle sue mani per la tua intera vita. La ferita che lui ha corrotto, lui ha infettato, senza che potesse mai chiudersi. Anane che ti ha condotta a lui. I tuoi pensieri impuri, i tuoi ricordi, l'attrazione verso quella puttana... lui lo sapeva, bambina. Lui ti ha condannata a marcire nel dolore e nel passato, perché sporcassi la puttana. È sempre stata lei, quella importante. Lei.» le baciò il capo «E di te, bambina, cosa rimane ora? Una bambola inutile, gettata nel fa-»
Eisheth tacque. Tornò a parlare dopo un istante, la voce inasprita e rivolta ad un altro.
«…la feccia è in fermento.»
Amitiel, ancora stretta al suo petto, avvertì le sue braccia farsi più calde.
«Sephon?»
«Siamo ancora celati.» rispose una voce maschile, dietro di loro. Il cherubino sussultò – non aveva percepito nessuno oltre ad Eisheth.
«Questo lo so, Sephon.»
Il demone la lasciò e si alzò in piedi di scatto, urtandole il viso con le gambe. Bruciore.
«Il Custode?»
«Ancora dov'era, inerme. Sto celando anche lui.»
«Vivo
Sibilo. Inquietudine.
L'aria che tornava bollente, carezze minacciose di un'essenza inquieta. La pioggia aveva smesso di cadere: nulla portava conforto dal calore, nulla lavava le lacrime.
«Tua figlia ha un... un certo attaccamento verso di lui. Ho pensato che-»
«Idiota.»
«Vado subi-»
«L'hanno trovato. Idiota!»
Amitiel portò le mani alle tempie – mal di testa. Nausea. Non capiva.
«Cosa...» mormorò, alzando lo sguardo su Eisheth.
La donna storse le labbra in una smorfia e sibilò: «Sono sempre più scontenta, bambina.»
«Eisheth,» s'intromise l'altro demone «aprono un passaggio. Ne arrivano altri.»
«Quella puttana non si sposta. Vogliono farsi ammazzare?»
Quella puttana.
Sachiel.
Amitiel fece forza con le gambe e si rizzò lentamente, percependo ogni muscolo rigido per l'essenza ancora sconvolta. Si aggrappò ad un braccio di Eisheth. Il demone arricciò ancora le labbra, come infastidita, ma da vicino la sua smorfia si rivelava quasi un ghigno.
«Sì, bambina, vieni anche tu. Sarà divertente.»

* * *

«...Khamiel?»
«Spostati, Liwet. Voglio gli Arcangeli.»
«Ci è permesso recuperare i nuovi Ca- ah!»

Successe tutto molto in fretta. L'urlo si levò mentre ancora sembrava riecheggiare il colpo, poi qualcosa sbatté contro una superficie dura e cadde a terra – no, non qualcosa. Qualcuno. Ma nel momento in cui lo realizzò già risuonavano altre voci, ringhi, gorgogli rauchi, e Michael era ritto davanti a lei con le ali tese.
«Cosa volete?»
«Il cherubino.»
«È adulta, Guardiano. Sono certo che tu sappia contare sei ali.»
Una sagoma si mosse verso Michael, ma prima ancora che lei riuscisse a distinguerla c'era stato un altro colpo sordo, membra contrapposte, un ringhio di rabbia a vibrare nell'aria. Altri due arcangeli si erano affiancati a Michael per fermare il Guardiano: una aveva ali nere come ombre e un viso sconosciuto, l'altro piume bianche e capelli color sabbia e una mano sulla spalla di Khamiel – Gabriel, lo riconobbe, Gabriel che tante volte aveva salutato nella luce, in Paradiso. Khamiel ancora ringhiava, trattenuto dal caduto a lei estraneo e dall'arcangelo candido, mentre dietro di lui altri Guardiani latravano parole roche – Simiel e Hagar e Ramiel e altri, altri che aveva intravisto nei viali, udito discutere alla Via, timbri dolorosamente familiari.
Sì, successe tutto molto in fretta, perché lei non avrebbe mai potuto avere i riflessi di un arcangelo e il gelo le rodeva le ossa, stordendola.
Ma i Guardiani erano giunti, finalmente, a porre fine all'agonia e al disgusto.

«Calmatevi.» tuonò Gabriel, sovrastando gli altri. Scese di nuovo il silenzio – neppure la pioggia scorreva più, persino il cielo era muto. Khamiel assecondò la stretta del compagno e si allontanò di un passo.
«Stiamo raccogliendo un nuovo caduto.» sibilò Michael, ancora fremente «Non vi è concesso intromettervi.»
«Attaccate i Cherubini, ora?» una voce femminile – Ramiel. «Così rispettate i patti?»
«Vedi cherubini?» rispose uno sconsacrato, gorgogliando una risata.
«È svanito nel nulla, quindi.»
Khamiel tornò a parlare, rauco e minaccioso. Sachiel si ritrasse, spaventata, ma nessun altro diede segno di timore. Non avevano conosciuto l'ira di Khamiel, forse? Non era un bene far arrabbiare Khamiel, no, no. Davvero. Dal basso vide la sua espressione distorta dalla furia e strisciò più indietro.
«Il cherubino è svanito nel nulla, e il Custode si è massacrato da solo.»
«Cosa farnetichi, Guardiano?» latrò una donna, l'arcangelo caduto che aveva fermato Khamiel.
Idioti. Idioti. Sarebbe stato solo peggio, a quel modo, più lungo e più atroce, e lei invece voleva solo chiudere gli occhi e trovare il nulla ad attenderla. Prima che la sua essenza si guastasse e le sue piume si annerissero e lei diventasse come loro, corrotta, crudele, ché il Paradiso a volte l'aveva nauseata e ferita ma era sempre meglio di loro, del loro marciume, del loro orrore, il Paradiso era l'alternativa migliore perché in Paradiso c'era luce e calore e c'era Amitiel e se non poteva avere il Paradiso allora non avrebbe avuto niente. Era meglio così, davvero, era meglio morire che corrompersi, restare incatenata a quel caduto agghiacciante, macerare nei rimpianti e nell'orrore e nella vergogna di ciò che aveva ricordato, ciò che era successo, ciò che aveva fatto.
Che si scontrassero e basta, senza logorarsi con parole che lei capiva solo in parte, troppo angosciata e stordita. Che facessero schioccare i colpi e risuonare le grida, e che la uccidessero, pregava, che la uccidessero in fretta.

«Gabriel, non collaborano.» ringhiò Khamiel.
L'altro, in risposta, ritirò la mano dalla sua spalla.

Di nuovo, successe tutto molto in fretta.






***
Angolo autrice
Piano piano si chiudono le fila, ma come vedete, l'azione non è finita! *ride malefica*
Grazie mille a chi mi segue. Prima o poi riuscirò a rimettermi in pari con le risposte alle recensioni, non mi aspettavo davvero di riceverne così tante!
Alla prossima (:
   
 
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